CAPITOLO 9 (Parte 4)
Qualche ora prima, John Harris si stava specchiando o almeno ci provava. Lo specchio nell'anta dell'armadio della sua camera da letto non emanava più alcun riflesso. «Perché non vedo più il mio riflesso? Di nuovo...». Harris digrignò i denti con fare minaccioso e cominciò a voltarsi a destra e a manca, aspettando che da un momento all'altro si palesasse il suo amico immaginario. Era così consapevole del suo precario equilibrio mentale, che si era convinto che quella voce che sentiva fosse prodotta dalla sua mente, che soffrisse di allucinazioni. Allucinazioni meravigliose. Quella voce metteva in moto i suoi istinti primordiali, i suoi desideri perversi più reconditi, come un cane a cui non si dà da mangiare e poi viene aizzato contro un altro cane a combattere. Lui si sentiva stimolato, quella voce alimentava la fiamma della sua follia. Stette in silenzio per quasi venti secondi, aspettando una risposta. Poi un soffio di vento.
La finestra era chiusa, ma uno spiffero gli fece svolazzare i capelli. «Ciao John... oggi è un giorno speciale». «Perché?» si raddrizzò il ragazzo, in un misto tra eccitazione e terrore. Harris aveva paura di non riuscire a controllare i suoi istinti, dimenticandosi che avesse già ucciso un essere umano. Se ne sarebbe ricordato qualche ora dopo. «Perché è un giorno speciale? Perché mi devi fare il secondo e ultimo favore». Una sghignazzata isterica si diffuse in tutta la casa, rimbalzando sulle mura come una palla impazzita. «Sentiamo» disse John, sempre più emozionato all'idea di compiere una missione. Era convinto che fosse una missione per conto suo, non credette neanche per un attimo che a comandarlo ci fosse per davvero qualche entità sovrannaturale. «Se porterai a termine questo compito, e io ti darò il potere necessario per portarlo a termine ... Te Lo Re-ga-leròòò...». Il ragazzo sobbalzò, come se un'anima maledetta gli avesse sussurrato alle orecchie nel cuore della notte. Sbiancò come un fiocco di neve e rabbrividì. «C-c-cosa... cos'era quella voce?». Seguì una risatina. «Tranquillo, di tanto in tanto mi parte un assolo...».
La voce cominciò a ridere ancora una volta a squarciagola, con tono prima stridulo e poi roco. John Harris fu preso da un sorriso, che però non arrivò mai a manifestarsi sul suo volto. Si limitò a una smorfia incomprensibile, corrugando la fronte. Per la prima volta, il seme del dubbio s'era piantato fra i suoi pensieri. L'istinto, o forse quel residuo di sanità mentale che gli era ancora rimasta, gli aveva forse mormorato di non fidarsi, di darsela a gambe levate. Quel dubbio si dipanò subitaneo, scosso dalla proposta della voce. «John Harris, oggi il tuo compito sarà quello di uccidere gli Sfigati... tutti quanti!». Quella richiesta arrivò alla mente del ragazzo come una fucilata e gli fece scuotere il cervello come se fosse impastato in un frullatore. «Cioè uccidere... quegli sfigati?». «Esatto! Che ne dici, ci stai?». Una risatina diabolica e sommessa arrivò alle orecchie di John. Non s'insinuò nell'orecchio interno come una semplice richiesta, ma come (una maledizione) un comando. Harris odiava essere comandato, ma quella imposizione in particolare lo fece sentire... inerme. Incapace di rifiutarsi. Era come se fosse costretto in qualche modo ad accettare, e non per via del suo riflesso mancante. Era perché aveva il sentore che la parte oscura del suo animo lo avesse inghiottito. O forse era l'animo di qualcun altro? O di qualche altra cosa... E qui, ancora una volta, gli venne il dubbio che forse non era frutto della sua immaginazione quella voce.
«Allora, John!?» gli intimò la voce. A quel punto, l'ultima difesa mentale del ragazzo crollò. Era stato sconfitto. Nella testa. Balbettò prima per qualche secondo, con occhi morti, come privi di vita, fissi sulle mattonelle grigie, pallido in volto. Poi mormorò con voce atona: «accetto.»
E fu quella la ragione per cui quel giorno, il sei luglio per l'esattezza, Bobby entrò in collisione di nuovo con John Harris e i suoi scagnozzi, una combriccola che tutto era tranne che allegra o simpatica. Bobby Brown stava passeggiando sulla Main, con le mani in tasca, perplesso, puntando con gli occhi le suole delle scarpe. Rimuginava sugli ultimi avvenimenti e sulla scomparsa del fratello. Non pensava ad altro. Ogni sera finiva con il piangere nel suo letto, arrotolandosi nelle lenzuola. Che fine aveva fatto Clint? Bobby non ne aveva le prove, ma sapeva che era morto. Poteva mai essere il contrario dopo due mesi? Senza cibo? Dove avrebbe trovato l'acqua? Giù al Derrick? E qualcosa, un istinto celato, gli sussurrava di andare al Derrick. Era solo, non aveva amici o compagni, perché andarci? Forse perché, nei mesi estivi, la Main si riempiva di bimbetti e ragazzini festanti e lui non aveva voglia di ascoltare il loro chiasso? Forse, o magari... era per altro. In quel momento la sua mente era oscurata da mille pensieri e John Harris era distante quanto l'oceano. Se avesse dato un'occhiata alle sue spalle, avrebbe notato che, nei pressi di Violet Market, quattro feroci tigri si stavano disponendo a ventaglio dietro di lui. Se Bobby fosse sceso solo cinque minuti prima o cinque minuti dopo, avrebbe già imboccato uno dei sentieri per il Derrick, oppure si sarebbe ritrovato alle sue spalle e avrebbe deciso di voltare per altri lidi, e l'apocalittico scontro nei pressi della centrale nucleare, e tutto quello che sarebbe seguito, forse, non sarebbe mai avvenuto o il corso degli eventi avrebbe seguito un cammino diverso. Ma così non fu.
In quel momento, come avrebbe constatato solo Jennifer nei mesi seguenti e per il resto della sua vita, nessuno era veramente padrone del suo destino. Qualcosa muoveva i fili, ma non era quello là.
Era come se stessero seguendo i solchi lasciati da giganteschi ingranaggi. A voler giustificare tutto con il libero arbitrio, sarebbero impazziti. John Harris, quella mattina, era riuscito a riunire un manipolo di "amici", esortandoli ("minacciandoli" sarebbe la parola corretta) di seguirlo per una missione speciale. «Vuoi fare uno scherzo a Bobby Brown?» chiese Samuel Young. «Certo!» ribatté John. «Voglio farla pagare a quel gran figlio di puttana per avermi sfidato». «Non te ne sta andando bene una, vero Harris, vero Harris!?» sbraitò quel menomato mentale di David Jones. Il ragazzo aveva aculei per tutta la faccia e sulle braccia, come quelli di un riccio, piccoli aghi grigio scuro. Ma non era tanto famoso per quello, quanto per i suoi livelli di idiozia ai limiti della decenza umana. Non era colpa sua, era solo... scemo. John Harris gli tirò un ceffone così forte che per poco non gli strappò al collo. Gli aculei del ragazzo non gli procurarono alcun danno, visto che nel tirargli il palmo aveva indurito la sua pelle, colorandola del solito rosso ramato. «Dai John, lo ammazzi così, lo sai che è mezzo rincoglionito» lo implorò Samuel. «Ma bisognerà... correre?» chiese Johnny ansimando, bianco in volto, forse anche per il terrore di doversi mettere a inseguire qualcuno. Per uno come lui che sfiorava i centotrenta chilogrammi, con una pancia così grossa che il lardo gli usciva da sotto la maglietta, incapace di coprirgli il ventre, fare leva sulle gambe per aumentare il passo era una tortura. Appena usciti dall'appartamento di Harris e proseguendo lungo la Main, John aveva scorto Bobby Brown.
«È la formica! La formica di merda!» esclamò con occhi iniettati di sangue, ma allo steso tempo illuminati come quelli di un barbone che riceve un pasto caldo dopo un paio di anni dall'ultimo. «La formica?» fece eco Young, conoscendo assai poco Brown. Poi i suoi occhi opachi si accesero alla vista di quel ragazzo con quelle buffe antenne blu. Quel giorno Bobby Brown aveva dimenticato il suo cappello, frastornato com'era. «La formica! Prendiamola!» gridò Jones. David stava già allungando il passo, quando fu strattonato da John Harris. Il ragazzo sapeva che Bobby non solo era un avversario difficile da stendere, ma che era anche molto agile e veloce, proprio come una formica.
«Calmi ragazzi. Procediamo piano e vediamo dove si dirige. Ci sono le Guardie di Sicurezza lungo la Main, non possiamo farci beccare subito. Limitiamoci per ora a seguirlo». E così fecero. Si disposero alle sue spalle, accorciando minuto dopo minuto la distanza che li separava. La pancia immensa di Johnny Goodman sobbalzava sotto la maglietta producendo un flaccido mormorio, mentre David Jones sudava a profusione ed era rosso in volto. «Che cosa vuoi fargli, John?» si era informato Samuel sottovoce, in un misto tra curiosità e, soprattutto, preoccupazione. Aveva sentito Harris fischiettare e di tanto in tanto sogghignava. Il fatto che il ragazzo passasse sempre più tempo da solo, dava da pensare a Samuel. Non era mai stato stabile mentalmente, ma ora John lo preoccupava sempre di più. Non era tanto convinto che si sarebbe limitato a un semplice scherzo, come calargli i pantaloni e riempirgli le mutande di terra, o magari a un pestaggio leggero. Si sarebbe accontentato di così poco? Negli ultimi mesi Harris era incorso in diverse disavventure. Era venuto a conoscenza del fatto che fosse stato costretto alla ritirata per ben due volte dagli Sfigati, senza contare che in altre due occasioni si era scontrato con Bobby, avendo la peggio la seconda volta. Samuel aveva il sentore che in qualche modo Harris potesse esagerare. L'irrequietudine aveva spinto Samuel a porsi quella domanda che avrebbe preferito evitare. Quell'interrogativo lo metteva profondamente a disagio.
«Tranquillo, giusto un paio di schiaffi per ricordagli chi comanda. Lo prendiamo e lo portiamo giù al Derrick, magari alla vecchia fermata dei treni. Semplice come bere un bicchiere d'acqua!» rispose Harris. «Solo un paio?». Se Harris avesse avuto in mente qualcosa di diverso, Samuel Young si sarebbe defilato. Un pestaggio di quelli pesanti sarebbe stata un'esagerazione. «Tranquillo Samuel, ci sgranchiremo solo le mani. Non voglio sporcarmi troppo con quella formica» bisbigliò John, sempre più vicino a Bobby. Ormai la distanza si era ridotta a poco più di ottanta metri. Lungo tutta la Main avevano incontrato soltanto un paio di Guardie di Sicurezza. A un certo punto, Bobby aveva svoltato lungo la Up Street e di lì a pochi minuti si sarebbe ritrovato in aperta campagna. «Lo sbattiamo sulle rotaie» aveva proposto David con gli occhi che ormai gli luccicavano. «D'accordo, John!? Non è fantastico!?». «Sì, ma abbassa la voce, coglione» lo apostrofò il ragazzo. David si ammutolì, mentre Samuel si sentiva sempre meno tranquillo. «Lo sbattiamo sulle rotaie... gli riempiamo le mutande di terra e gliela strofiniamo pure in faccia... un paio di cazzotti... e poi ho da fargli pure una confessione».
Quell'ultima frase era stata detta mettendo in mostra i denti cariati, con un fare che sapeva di autentica minaccia. I capelli di John quel giorno erano più unti del solito e sembravano quasi colare sudore come una grondaia inzuppata. «Ora fate silenzio» concluse John. Ora erano a poco più di trenta metri da Bobby e Harris stava per dare l'ordine di carica, quando Goodman ebbe una fuga di gas dal suo sedere. Il regime alimentare a cui era sottoposto era particolare. Mangiava il quintuplo di un ragazzo di pari età normopeso, e soprattutto gli facevano ingurgitare una gran quantità di fibre. Fagioli, piselli, ceci, tutti alimenti che lui adorava. La sua emissione di gas fu così potente che sembrò per davvero che gli dovesse saltare in aria il sedere o che fosse esplosa una piccola carica esplosiva. Bobby si girò. John vide i suoi occhi dilatarsi. «Prendiamolo!» tuonò. Bobby, che per un attimo sembrò paralizzato, partì a gambe levate con uno scatto da ghepardo. Intuì subito che questa volta, se non fosse riuscito a fuggire, ci sarebbe rimasto secco.
Per attraversare i canneti, gli Sfigati s'erano disposti a ventaglio con i walkie-talkie in mano, a pochi metri di distanza l'uno dall'altro. Leonard era al centro, mentre ai suoi lati c'erano Chris e Jennifer. Dopo Chris c'era Sophia e poi Ed. Dalla parte opposta c'erano Taylor, Thomas e Lucas. Tutti i ragazzi avevano trovato l'ispirazione, lasciandosi trasportare dalla fantasticheria sulla «giungla vietnamita». Il Derrick d'altronde lasciava molto adito a quell'immagine. Il terreno davanti a loro era ora scuro e limaccioso, con punti di fango più profondi e cedevoli che andavano evitati saltando. La putrescenza del fogliame infestava l'aria con un tanfo penetrante e maleodorante. Leonard si fermò all'improvviso e mise in funzione il suo walkie-talkie. «Attenzione Sfigati, qui è Lupo bianco. Avvistato gruppo di vietnamiti in jeep». A rispondere per primo fu Chris: «Lupo bianco, qui è Lupo arancio. Ricevuto, prestare attenzione». A uno a uno risposero tutti gli altri. Jennifer era Lupo verde, Taylor Lupo rosa, Sophia Lupo rosso, Ed lupo giallo, Thomas lupo blu, Lucas lupo nero. «Lupo bianco, qui è lupo nero. Sono armati?» s'informo Lucas. «Fino ai denti, lupo nero» rispose Leonard. Il messaggio fu recapitato a tutti. I loro volti sembravano bambineschi, tanto erano carichi di emozione. Si nascosero tra le canne, abbandonando quella sorta di stradina di terra scura e si avvicinarono per congiungersi tutti spalla a spalla. I loro corpi erano ancora umidi per via del bagno precedente. La jeep con un manipolo di vietnamiti transitò davanti a loro e tutti la videro.
Giallo ocra con macchie verdi scure, due tonnellate e mezza di acciaio scintillante al sole, un ammasso di metallo che sobbalzava su grosse ruote con profonde venature, facendo schizzare la fanghiglia ovunque. Ebbero la sensazione di vedere un uomo alla guida e altri quattro armati seduti, con gli occhi sbarrati e le divise verde militare sporche di sangue, residuo degli ultimi nemici riempiti di piombo. Un debole crepitio fece vibrare le canne. Poteva essere la brezza oppure qualcosa di più magico, soprannaturale... una jeep carica di vietnamiti diretta verso ovest, verso le mura interne di Primestone. «Pericolo scampato» annunciò Leonard. Tutti sfogarono la tensione in un profondo sospiro e proseguirono nel loro cammino. «Ehi, Leonard! Avevo con me la fionda! Avrei potuto beccarli o magari avrei potuto lanciargli una bella scarica elettrica» brontolò Thomas. «Sei pazzo, Thomas? Siamo in pieno territorio nemico e ancora non abbiamo raggiunto la nostra meta. Volevi farti crivellare?» ribatté Leonard. «Giusto...» disse Thomas non troppo convinto, mentre Ed spingeva gli occhiali sul naso, che gli scivolavano per via della grandezza e del sudore. Leonard diede l'ordine di proseguire e i ragazzi si riportarono sul sentiero. Trovarono un punto del ruscello in cui l'acqua era molto bassa e alcune pietre asciutte affioravano dal terreno. Saltandoci sopra sarebbero riusciti ad attraversare la riva.
«Lupo bianco!» chiamò all'improvviso Jennifer che era alle sue spalle. Lui si arrestò senza girarsi a guardare e si tenne in equilibrio su una roccia spalancando le braccia. L'acqua gorgogliava e cantava infaticabile sotto ai suoi piedi. «Cosa, lupo verde?». «Attento a non finire in acqua. Ci sono le sanguisughe. Ti prosciugano il sangue in un paio di giorni al massimo e si attaccano ovunque». Leonard avvicinò il walkie-talkie alla sua bocca e diede l'indicazione a tutti: «uomini, qui è lupo bianco, attenzione, sanguisughe nel ruscello. Attenti a non finirci dentro». «Ricevuto, lupo bianco» rispose Sophia facendo una faccia schifata, vogliosa di mettersi a urlare. Le fece eco una smorfia di disgusto di Taylor. Uno dopo l'altro, traballanti, riuscirono a percorrere l'arduo percorso. Alla fine, raggiunsero una zona di terreno asciutta, quasi arida, lasciando alle loro spalle il ruscello e il pantano dell'altra sponda. Era la prima volta che si ritrovavano dall'altra parte. Ora le canne avevano lasciato il posto a un'immagine meno bucolica. Il terreno era crepato e in lontananza si vedeva un grosso cilindro di cemento. Era una delle grosse pompe di drenaggio che convogliavano l'acqua in condotti sotterranei per poi farla sbucare oltre le mura, riportandole nel fiume Pinnot.
«Questo posto mi fa cagare sotto» bisbigliò Chris. Frattanto, Thomas ebbe la sensazione di avvertire una voce. Vieni alla centrale nucleare, la centrale nucleare, centrale... nucleare... centrale.... Il ragazzo alzò lo sguardo e si guardò attorno. «Lucas, hai sentito?» chiese il ragazzo preoccupato. «Cosa?». Lucas notò che Thomas iniziava ad ansimare e che i suoi occhi dilatati schizzavano da destra a sinistra e viceversa, come se stesse cercando qualcosa. «Tutto bene, Thomas?» domandò perplesso. Il ragazzo stette per qualche secondo ammutolito, per poi riprendere a parlare. «Niente. Devo essermelo immaginato». Lucas fece spallucce e poi fece cenno all'amico di proseguire perché il gruppo aveva aumentato la distanza da loro. Gli Sfigati arrivarono fin a una piccola altura e si arrestarono di colpo. Rimasero scossi dall'immagine che gli si era palesata innanzi. Un gigantesco mostro di cemento armato, con quattro enormi ciminiere che storpiavano il paesaggio come una figura macabra di morte in un quadro che rappresenta la festa in un paese. Era la centrale nucleare in tutto il suo grigiore, un gigante dormiente. Era ben visibile una fiancata del grosso palazzo squarciata, come se fosse esplosa una bomba. Poco più avanti, c'erano due uomini in armature scintillanti, argentate e lucidate come posate in una casa signorile. Due Guardie di Sicurezza armate procedevano a passo lento, da destra verso sinistra rispetto alla visuale dei ragazzi. Uno di loro, con voce metallica, si udì urlare: «maledizione! Perché diamine oggi la radio non prende!?». E l'altro rispose: «È sempre così da queste parti... e va sempre peggio».
«Non poffiamo profeguire» convenne Ed. «Be', di certo non andremo verso la centrale» rispose Leonard. Gli altri annuirono. Si sedettero tutti a riflettere. Osservavano le Guardie girovagare in mezzo a quelle piante come se stessero descrivendo un cerchio, mentre i raggi solari picchiavano sulle loro teste. «Che vista meravigliosa» disse Thomas, dimenticandosi già della voce che aveva sentito poco prima. «Certo, meravigliofa come una merda» disse Ed, usando un tono così serio e solenne che fece scoppiare d'ilarità tutti gli altri. «Dove andiamo?» chiese Taylor con vocina allegra. Leonard ci rifletté qualche secondo e poi disse: «Poco più avanti ci dovrebbe essere uno scalo ferroviario». «Ma che bello!» gli fece eco Sophia. «Magari troviamo altri vietnamiti da far fuori». «Così ti vogliamo, bambola» disse Thomas, puntandole l'indice contro. «Sì, magari vediamo qualche vecchia locomotiva» disse Jennifer con occhi luminosi. «Coraggio, andiamo» li incitò Chris. Gli otto ragazzi s'incamminarono tagliando perpendicolarmente il Derrick, dando il fianco sinistro alla centrale, avvicinandosi alla posizione presunta dello scalo ferroviario.
Le due Guardie di Sicurezza sollevarono lo sguardo e videro disegnate contro il cielo azzurro, come indiani in partenza, otto piccole figure. Avrebbero voluto seguirli per vedere cosa stessero progettando, ma tornarono a discutere tra loro su come far funzionare le loro radio.
Bobby Brown, già da parecchi minuti, correva verso il Derrick. Si guardava intorno per vedere se ci fosse qualche Guardia di Sicurezza a cui chiedere aiuto. Nemmeno l'ombra. Si era impantanato in una situazione complicata. Si stava allontanando sempre di più dalla città e quindi anche dalla visibilità delle telecamere. Nessuno sembrava essere in grado di aiutarlo e la situazione sembrava peggiorare. Cercava di mantenere la calma e di prendere pochi respiri, ma profondi. Si muoveva con cadenza regolare e non a perdifiato. Cercava di dosare al massimo le energie per battere i suoi inseguitori sulla resistenza piuttosto che sulla velocità.
John e Johnny erano pesanti e correvano come elefanti vecchi e malati anche nel pieno delle forze, mentre Samuel e David erano leggeri e avevano un passo più svelto. Bobby si girò per guardarsi indietro e vide che Samuel l'aveva quasi raggiunto. Che diamine ci fa questo idiota nel gruppo con John Harris? Lo sa che non si limiterà a menarmi qualche ceffone, ma mi farà a pezzi? pensò Bobby mentre vedeva il volto felice di Samuel. Continuò la sua corsa affannata, allontanandosi rispetto alla posizione in cui si trovavano gli Sfigati in quel momento, avvicinandosi maggiormente allo scalo ferroviario. Raggiunse un binario secondario vecchio e arrugginito e seguì la sua traiettoria, come se al posto dei piedi avesse delle rotaie. Ora Bobby ci dava davvero dentro, pompando i polpacci con vigore e calciando il terreno con forza. Riuscì a mantenere stabile la respirazione e non provava dolore. Non ancora almeno. Sapeva che, mantenendo quel ritmo, primo o poi la milza avrebbe cominciato a dolere e a protestare.
All'improvviso, in lontananza, vide il cancello dello scalo. I treni, all'epoca, non proseguivano oltre. Primestone era l'unica destinazione della rete ferroviaria di tutta la contea. Quelli dei paesini limitrofi dovevano scendere in città se volevano prendere il treno e dirigersi nelle contee e negli stati confinanti. Un cartello giallo e corroso recava la scritta:
PROPRIETÀ DELLA FEDERAZIONE, VIETATO L'ACCESSO. I TRASGRESSORI SARANNO PERSEGUITI AI SENSI DI LEGGE
Il cancello sembrava chiuso, ma quando si arrestò davanti alla porta vide che il lucchetto era a terra. Aprì l'anta e si catapultò oltre. Gettò un'occhiata alle sue spalle e vide arrivare in sequenza Samuel Young, David Jones e molto più in lontananza John Harris e poi Johnny Goodman. Quell'attimo fu sufficiente a vedere qualcosa di strano sul volto di John. Un nero furore, ma non era semplice rabbia. Era qualcosa di più. Molto di più. Chiuse il cancello con tutta la forza che aveva e fece tre passi indietro. La serratura era scattata producendo un sordo suono metallico. Un paio di secondi dopo, Samuel Young rovinò contro la rete metallica e poi lo seguì David Jones. Young non sorrideva più. Ora sembrava imbronciato e amareggiato e disse: «dai Bobby, apri il cancello! Vigliacco!». «Vigliacco!? Quattro contro uno e sarei io il vigliacco!?» protestò Bobby. Ma nessuno gli diede retta. Samuel provò a strattonare la rete metallica, mentre David lanciava dalle sue braccia, come piccole freccette, i suoi aculei, descrivendo un semicerchio col braccio. Ma la rete era troppo fitta per farne passare qualcuno. Tintinnavano sul ferro come posate su un bicchiere di vetro. Un attimo dopo, arrivarono gli altri due.
«Apri, schifoso insetto! − latrò John − Sei una merda, hai capito!? Hai capito, bastardo!? Sei una formica e io ti schiaccerò, ti schiaccerò!». Cominciò a scuotere la rete con tale forza che gli altri ne furono intimoriti. Goodman sbiancò e ansimava a causa della fatica. Sudava in maniera copiosa. Le braccia di John divennero ramate e cominciarono a picchiare sulla rete come mazze di ferro. Bobby era ben conscio di quanto facessero male quando colpivano la pelle e le ossa, lo aveva sperimentato lui stesso. Ebbe un sussulto. Aveva il cuore che gli batteva forte e si allontanò dal cancello. A scuoterlo furono gli occhi di John. Vide gli angoli della sclera colorarsi di nero, come se vi fosse stato versato dell'inchiostro da un calamaio. Anche quando Harris lo picchiò non ricordava di essere stato così tanto intimorito e spaventato. Osservava gli altri tre inveire e ringhiare contro il cancello, ma la foga che ci metteva Harris era... esagerata. Perfino per un bullo. Non provava l'ebbrezza del bulletto di quartiere. Nei suoi occhi c'era qualcosa di più tetro e non era per via del nero. Era una rabbia diversa. Un istinto omicida. Immobilizzato dai suoi stessi pensieri, tornò a fissare John nella sua interezza. Lo vide all'improvviso avvicinarsi a una vecchia carcassa di metallo, il telaio corroso di una Volkswagen Maggiolino. Le fessure erano riempite di erbacce e formiche. Gli altri tre si fermarono a fissarlo, ignari di ciò che stava per accadere. Harris infilò le mani sotto una delle lamiere e cominciò a fare forza. La carcassa si smosse.
«John... che stai facendo? È troppo pesante, non puoi sollevarla» rifletté Goodman. Ma John era furioso. Chiuse gli occhi e divenne paonazzo. Il telaio sembrò smuoversi, provocando sordi versi di meraviglia negli altri ragazzi. Bobby aveva gli occhi sbarrati. Non vorrà davvero sollevare un telaio? Per fare cosa? E poi... è impossibile, non può avere tutta quella forza, oppure... mi sbaglio? Si sbagliava. In una frazione di secondo, il telaio era inclinato su un fianco e Harris con uno scatto lo aveva caricato sulle sue spalle. Sembrava ora lui la formica che regge un oggetto molto più pesante del suo peso. Tutti, compreso Bobby, guardavano a bocca spalancata. «Dio santo» borbottò Samuel. Un attimo dopo, il telaio superò la rete metallica e rovinò su dei tubi d'acciaio che erano accatastati pochi metri alla destra di Bobby. Il frastuono che ne derivò rimbombò per oltre un chilometro. La carcassa di metallo rotolò un paio di volte prima di arrestarsi. John aveva le vene delle braccia verdi e gonfie sotto uno spesso strato ramato. Le sue tempie pulsavano e sudava dalla fronte. È impazzito, alla fine è successo. Ha perso del tutto la ragione... fuggi, fuggi! Sta per succedere qualcosa di terribile... fuggi!
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