CAPITOLO 9 (Parte 3)

Fu John Harris a uccidere Clint, ma Bobby non lo sapeva. Aveva lanciato l'allarme alle Guardie di Sicurezza, ma il corpo del fratello non fu mai più ritrovato. L'amministrazione non diffuse mai la notizia della scomparsa di un altro ragazzo. Erano preoccupati che il panico e la crescente paura avrebbe potuto compromettere la stabilità emotiva dei giovani abitanti. Gli unici a sapere che fine avesse fatto Clint, a parte appunto gli amministratori di Primestone, erano Bobby, John e gli Sfigati. Jennifer aveva raccontato di un sogno in cui si era ritrovata al cimitero cittadino ed era stata circondata da degli zombie. E raccontò di aver visto Clint Brown con la testa ammaccata. A procurargli quella ferita era stato il bullo della città.

Se si chiedeva a qualche abitante di Primestone chi fosse il più odiato da John, ciascuno di loro avrebbe risposto che era lui il più odiato, indicandosi con il dito. La verità era che Harris odiava tutti, ma la sua avversione per i fratelli Brown e per gli Sfigati era al limite dell'ira più minacciosa. I primi erano odiati perché avevano osato ribellarsi a lui e alla sua leadership. Erano stati accusati di alto tradimento. Bobby e John vennero alle mani per ben due volte. La prima volta ne uscì vincitore Harris, la seconda il maggiore dei Brown. Dopo quella volta, il bullo minacciò di ucciderlo. E solo Dio sapeva quanto quella minaccia fosse vera. Dannatamente vera. Gli Sfigati invece erano odiati perché per ben due volte l'avevano sconfitto. Quell'idea gli assediava la mente, dilaniandola. Per lui era qualcosa d'insopportabile. Ora abitava da solo in un appartamento sulla Main a pochi minuti di distanza da Violet Market.

Nei primi giorni di maggio, una voce nella sua testa aveva cominciato ad assillarlo e a invadere i suoi sogni. Ma non era la vocina della sua coscienza, era qualcosa di esterno. Quello là. Era così che la sua mente lo identificava. Un giorno, mentre si stava preparando per una delle sue solite scorribande, si stava specchiando nella camera da letto. Vide riflessa un'ombra alle sue spalle. Si voltò di scatto, ma non vide nulla. Si girò verso lo specchio e questa volta non vide più il suo riflesso. Lanciò un urlo, uno stridulo grido più simile a quello di un bambino e cadde con il sedere sul pavimento. Si trascinò con le suole delle scarpe all'indietro per poi sollevarsi arrampicandosi sul materasso del letto. Si pizzicò le guance per vedere se stesse sognando. Non stava sognando. Il suo riflesso era sparito dallo specchio. Una voce poi proruppe nell'aria, una voce demoniaca. Cupa e aliena. «Hai mai ballato, John Harris?». Il ragazzo trasalì e sbiancò. Il cuore batteva a più non posso nel petto, come un rullo di tamburi. «Chi ha parlato!? Chi sei!?».

Prima fu il silenzio. John si guardava intorno scuotendo la testa a destra e a sinistra, come alla ricerca disperata di qualcosa di perduto. Poi l'aria riprese a vibrare, come se qualcosa che non doveva esserci stesse forzando l'atmosfera a spostarsi, a fare spazio a una massa indesiderata. «John, rivuoi il tuo riflesso? Io posso aiutarti...». «E in che modo!?» ribatté lui, preso dalla foga. Cominciò a sbavare e divenne rosso in volto. Era arrabbiato, ma allo stesso tempo spaventato a morte. «Se tu farai una cosa per me, io ti ridarò il riflesso e in più...». «In più cosa!?» lo interruppe John, sbraitando con gli occhi quasi fuori dalle orbite. Una sghignazzata risuonò nella stanza. «Ti piacerebbe avere più potere, John? Ti piacerebbe essere più forte?». «Più forte?». Un dubbio assalì John, ma non era una titubanza come quando ti aspetti che qualcuno ti stia per fare uno scherzo. Era una morbosa curiosità che lo stava risucchiando. Il dubbio era: so che puoi darmi la forza, ma manterrai la tua promessa? John sentiva che qualunque cosa fosse quella voce, proveniva da qualcuno o qualcosa che aveva davvero potere. «Tu odi i fratelli Brown, vero?». «Con tutto me stesso!». «Benissimo! Allora facciamo un patto. È diviso in due parti, dovrai compiere due missioni. La prima consisterà nell'uccidere Clint Brown, in cambio ti ridarò il tuo riflesso». Uccidere Clint Brown? John era strasicuro di aver capito male. Un senso di profonda eccitazione lo colse, ma quell'enfasi era smorzata e tenuta a bada da quel briciolo di razionalità che ancora era rimasta nella mente deviata del ragazzo. Non era semplicemente cattivo. John Harris era pazzo. Davvero pazzo. Ma pochi se ne rendevano conto. Neanche gli Sfigati e i fratelli Brown ne avevano la piena consapevolezza. Mai avrebbero potuto immaginare che un sedicenne potesse raggiungere un simile livello di pazzia, troppo ingenui erano per conoscere a pieno il mondo. Harris voleva conferme. Desiderava ardentemente far del male ai fratelli Brown, ma un formicolio sembrava tenerlo ancora ancorato al terreno. Il pene gli venne duro nei calzoni.

«Hai detto... uccidere Clint Brown?». «Esatto! Fallo e riavrai il tuo riflesso. Poi toccherà agli Sfigati, ma in quel caso avrai il mio aiuto...». Una risata fragorosa riprese a far vibrare l'aria nella stanza. John Harris era felice. Ma era una felicità diversa da quella che una persona sana di mente è abituata ad associare a quella parola. Qualcuno gli stava offrendo la possibilità di vendicarsi. In un perverso gioco mentale, Harris si era convinto che la vita ce l'avesse con lui e che tutte le disgrazie che gli capitavano fossero colpa degli altri. Gli altri. Tutti erano contro di lui. Lui pagava sempre i suoi debiti, ma gli altri non lo facevano mai. Nessuno pagava i propri... «Debiti!» proruppe la voce demoniaca, come se gli avesse letto nel pensiero. «Gli farai pagare i debiti che hanno nei miei confronti! Sarai il mio araldo, il mio riscossore delle tasse! Ci stai, John Harris?». Al ragazzo parve di percepire un ghigno. Nessuno era nella sua stanza, solo quella voce riempiva il silenzio. Eppure, lui aveva visto un ghigno. «Ci sto... oh, cazzo se ci sto!». L'ennesimo sghignazzare fece tremare la stanza, come scossa da un tremore che proveniva da sottoterra.

E così avvenne l'omicidio. Per qualche motivo misterioso, Clint si era diretto da solo al Derrick. Era come se qualcuno lo stesse guidando nel sonno verso una meta che non desiderava. Perché stava andando al Derrick da solo? Fu l'ultima domanda che si pose in vita sua. Quando si destò da quella specie di catarsi, John Harris sbucò dalle frasche e lo percosse a pugni con tutta la forza che aveva. Clint, paralizzato dal dolore lancinante ai fianchi e dalle lacrime che gli sgorgavano, pensò che il bullo si sarebbe limitato a pestarlo. La solita lezione da bulletto. Ma così non fu. Quando il minore dei Brown fu a terra tramortito dal dolore, John raccolse un masso grosso quanto un melone e lo scaraventò sulla testa del ragazzino. Crack. L'osso del cranio si era piegato e una fontanella di sangue cominciò a sgorgare. Clint non riuscì nemmeno a urlare. Svenne sul colpo. E John Harris non si arrestò. Quando smise di maciullargli il cranio con il masso, a Clint ne rimaneva soltanto la metà. La sua testa riversava in una pozza di sangue. Gli girò intorno, osservando i pezzi di cervello che galleggiavano nel fluido purpureo. Poi si sistemò sulla superficie levigata di un masso scaldato dal sole. Guardò il suo capolavoro di morte. Lo osservò per molto tempo, quasi un'ora. Giudicò quel tempo ben speso. Era rimasto incantato dal vedere una bava rossa colare dalla bocca di Clint e quei suoi occhi quasi fuori dalle orbite e quel cranio così grezzamente e splendidamente ammaccato, come il posteriore di una vecchia Cadillac, come nei film.

«Allora Clint, dimmi... com'è morire?» chiese John al corpo freddo e privo di vita del giovane Brown. «Vedi la luce oppure è tutto buio? Si balla, Clint? Stai facendo un'orgia, Clint? È per questo che non mi rispondi, figlio di puttana?». Un sorriso adombrò il volto di Harris. Un sorriso di sadica soddisfazione, solitudine e lontananza, un ronzio vago e cupo di un vasto vuoto che riempiva lo spazio tra lui e il resto del mondo. Solo contro tutto e tutti. Era la sua crociata e l'avrebbe portata a termine, a qualunque costo, fino alla fine dei suoi giorni.

Mentre John Harris, Samuel Young, Johnny Goodman e un ragazzo mezzo scemo di nome David Jones inseguivano un trafelato Bobby Brown lungo la vecchia linea ferroviaria di Primestone, che percorreva la città giù verso il Derrick, un chilometro più in là, Jennifer e gli altri membri del club degli Sfigati erano ancora seduti a meditare sulle sponde del ruscello.

«Vi ho già detto di sapere da dove proviene quello là?» ruppe il silenzio Jennifer. «Dalla centrale nucleare» fece eco Chris, facendo trasalire spaventati tutti gli altri, come per un rumore improvviso. Taylor scosse le spalle come se fosse rabbrividita, mentre Ed sbiancò. Jennifer annuì. «Io e Chris abbiamo fatto delle ricerche sulla centrale. Niente di così utile, ma siamo riusciti a formulare comunque un'ipotesi». «Sentiamo» intervenne Leonard. Nel farlo, lanciò un'occhiataccia a Chris come a volerlo rimproverare. Ecco dove andavano i due, scatenando la gelosia funesta del ragazzo. Chris se ne accorse e distolse lo sguardo. Jennifer proseguì nella sua spiegazione. «Questa creatura, o qualunque cosa sia, si nutre di radiazioni. È testimonianza il fatto che, a differenza di ciò che ci viene detto, qui i livelli di radioattività sono del tutto normali. Giusto, Chris?». «Giusto!» esclamò il ragazzo come se fosse stato appena interrogato dall'insegnante. La gelosia di Leonard aumentò ancora di più. Mise le braccia conserte e cominciò a rimuginare. Soli, nella biblioteca della scuola superiore... che cosa avranno fatto? Cosa si saranno detti? L'avrà guardata troppo Chris? pensò il ragazzo. Chris avrebbe voluto urlargli che non l'aveva degnata di uno sguardo (anche se Jennifer era una bella ragazza), ma sarebbe stato alquanto imbarazzante.

«Ora, Chris mi ha suggerito che probabilmente questo essere si sta cibando delle scorie e del combustibile nucleare che è ancora all'interno della centrale» concluse Jennifer. «Quindi siete davvero sicuri che venga da lì?» chiese Lucas, spostando gli occhi prima su Chris, poi su Jennifer. «Io ne sono convinta e Chris ancora di più», rispose Jennifer. Sono venuti tutti da lì, portati dal vento, tutti gli esseri che abbiamo visto». «Ma allora perché ognuno di noi vede qualcosa di diverso? Io questa cosa non riesco a capirla» disse Lucas, guardando rapidamente gli altri, come a cercare conferme della sua obiezione. «Io credo di aver capito, − mormorò Sophia, per poi riprendere a parlare a voce più alta dopo un momento di riflessione − rispecchiano le nostre paure. Ognuno di noi ha una paura diversa e lui sfrutta questo aspetto. Vero, Jennifer?». La ragazza annuì. «Esatto. In biblioteca, io e Chris abbiamo trovato altre informazioni. Si tratta di una sorta di magia nera. Credo che questo demone usi l'energia che mangia per aumentare la sua maledizione. Più mangia, più diventa forte, più estende il suo influsso». «E non c'è un modo per sconfiggerlo per sempre? Mi stai dicendo che, quindi, anche sconfiggendo tutte le nostre paure, non sarà sufficiente a fermarlo?» chiese Sophia con viva preoccupazione in volto. Tutti rabbrividirono. Jennifer, purtroppo, annuì. Taylor sembrò quasi gemere, mentre Sophia aveva un gran desiderio di rotolarsi a terra e mettersi a urlare.

Ma la sua mente si ricompose, posizionandosi con le ginocchia premute contro il seno e le braccia strette attorno agli stinchi. «Come facciamo a sconfiggerlo?» chiese Leonard con una punta di preoccupazione. Thomas all'improvviso intonò, posizionandosi nel mezzo degli sguardi degli altri Sfigati: «semplice! Faremo una gara di rap e chi avrà la parlantina più supersonica vincerà! Lo stordirò con la mia linguaccia!». Quella battuta li fece ridere per quasi un minuto. «Comunque, il suo potere è di tipo mentale» disse Jennifer. «In ogni caso, non abbiamo idea da dove possa venire il demone con esattezza» commentò Chris. «Purtroppo è così» gli fece eco Jennifer. «Quindi è a questo che dobbiamo credere» chiosò Lucas, facendo capire con il tono che gli sarebbe piaciuto affermare il contrario, rinnegando tutta quella discussione, ma non trovava la forza mentale per farlo. L'evidenza dei fatti era contro di lui. «Fembra avere tutto un fenfo cofì» osservò Ed. «Comunque tranquilli, nessun problema, ci penserà Thomas Watt con le sue scariche elettriche a dare una bella scossa al mostro e a farlo strisciare via» dichiarò Thomas imitando la voce di Captain World in tutta la sua autorevolezza. Ovviamente il risultato fu ben lontano dalla voce di un eroico guerriero che viaggia per l'universo.

«Se aspettiamo che lo faccia fuori tu, moriremo tutti tra atroci dolori e sofferenze» replicò Chris. Qui risero ancora tutti insieme. «Allora che facciamo?» chiese Lucas. Questa volta la domanda fu generale. Tutti si guardarono in volto perplessi, facendo spallucce. Leonard allora si alzò. «Facciamo un bel giro d'esplorazione» propose il ragazzo. Ora l'attenzione era volta su di lui. Jennifer sapeva cosa fare con il mostro, ma per tutto il resto era Leonard la guida. Dopotutto, era sempre il loro capo. «Mi si sta addormentando il sedere». «No, dai Leonard! Qui si sta bene, fa fresco» protestò Sophia. «E se ti dicessi che ho portato dei walkie-talkie?» disse all'improvviso Chris, alzandosi a sua volta in piedi. Il ragazzo face l'occhiolino a Sophia senza neanche accorgersene. Se così non fosse stato, sarebbe morto dall'imbarazzo. «Fantastico, Chris! Dove li hai presi!?» saltò Thomas. Gli altri rimasero ammaliati. «Ora credo di sapere dove è finita la scorta di batterie che avevo messo da parte» borbottò Leonard. «Oddio Chris, ti prego» continuò Thomas colmo di gioia, «andiamo a esplorare il Derrick e facciamo finta di essere soldati in missione nella giungla vietnamita! Giuro che non ti dirò mai più che hai la gemma più bella del mondo e non ti chiamerò mai più Pietra Preziosa!». E qui Sophia cominciò a sganasciarsi dalle risate e divenne paonazza. Seguirono a ruota Taylor e Jennifer. Leonard cominciò a ridere, così come Lucas e poi Ed. Anche Chris si unì alle risate e infine Thomas cominciò a sghignazzare. Le risa veleggiarono sulle acque limpide del Derrick, festoso suono estivo, cristallino come i riflessi della luce del sole sul fiume.

Nessuno poteva immaginare che in lontananza, nell'enorme squarcio del reattore numero tre della dismessa centrale nucleare di Primestone, degli occhi fucsia fosforescenti fissavano a quasi un chilometro di distanza quelle giovani anime. Occhi che spiavano. Jennifer per una frazione di secondo ebbe un sobbalzo. Distolse lo sguardo e guardò verso est. Percepiva qualcosa, ma nulla appariva alla sua vista. Poi il formicolio cessò, come una candela che si spegne. Tornò alle risa dei suoi amici. Quel giorno, tutti insieme, s'inoltrarono nel cuore del Derrick, nel tentativo di trovare l'ispirazione. Prima che la loro fantasia potesse mettersi in moto, ebbero una visione idilliaca. Salendo su un'altura, una nuda roccia porosa rosso sabbia, intravidero nella radura, tra la folta vegetazione, un'insenatura naturale che il ruscello aveva scavato nella roccia. L'acqua fluiva più lentamente e sembrava quasi stagnare. Un piccolo lago. Ma era limpidissimo e poco profondo. «Oddio, un laghetto!» strillò Sophia. «Tuffiamoci!». La ragazza, come se avesse visto un'oasi nel deserto dopo giorni di peregrinaggio, si tolse prima le scarpe, poi i calzoni e infine la maglietta. «Sbaglio o si sta denudando?» notò Lucas. Thomas lanciò un fischio d'incoraggiamento, adocchiando il bel sedere dell'amica, mentre gli altri ragazzi sembravano ammutoliti. E con loro enorme sorpresa, anche la timida Jennifer si trasformò in una selvaggia. Si tolse i vestiti gettandoli quasi con stizza a terra e si catapultò verso la sorgente d'acqua. A ruota, le seguì Taylor. «Aspettatemi, vengo pure io!» trillò la biondina. In mutande e reggiseno, s'immersero nell'acqua correndo a perdifiato. Spruzzi d'acqua volteggiavano in aria, riflettendo i raggi solari. Le loro risa risuonarono in quella piccola foresta, dolci, gioiose e infantili.

«Forza ragazzi, che aspettate, andiamo anche noi!» propose Thomas, non stando più nella pelle. Ma gli altri ragazzi sembravano imbambolati da quelle fanciulle, dolci sirenette che nuotavano e giocavano nell'acqua. «Che c'è, avete paura, fifoni?» li sfidò Thomas. «Certo che no!» ribatté Leonard. Chris sembrava il più interdetto. Sophia in mutande e reggiseno in acqua che si fa il bagno con Jennifer? Già si stava toccando. «Chrif, per favore!». chiosò Ed rimproverandolo. «Che sta facendo il porcellino?» lo adocchiò con un sorrisetto ironico Thomas. «Tu non è che scherzi, Thomas» disse Lucas. «C-che vuoi dire?» domandò imbarazzato l'amico. Leonard intanto, fissava la sua musa, con i capelli bagnati e tirati all'indietro, e il suo sinuoso corpo, snello e minuto come quello di una fatina. La gola gli si era seccata. Si sentiva come immobilizzato, incendiato da vampate di calore al volto e con le farfalle nello stomaco. Trasalì all'improvviso, sentendo la voce di Sophia. «Ehi, tesorucci! Non venite a fare il bagnetto con noi?». Taylor e Jennifer risero. «Che branco d'idioti i maschi» annotò poi Sophia, rivolgendosi alle amiche. Jennifer posò l'indice sulla lingua e poi lo rivolse in aria, come a mettere il puntino su una i. Sophia e Taylor divennero paonazze e risero forte.

«Ci stanno prendendo in giro, mi sa» chiosò Lucas. «Forza, andiamo!» disse Leonard puntando i piedi. Un piccolo polverone si sollevò. Fece un paio di passi in avanti, ma vide che nessuno lo seguiva. «Ragazzi, che diamine! Ci vergogniamo di due ragazze e una bambina? Che razza di uomini siamo!». Chris balbettò alcune sillabe senza senso, poi riprese a parlare in modo corretto. «Giusto qualche secondo, Leonard... siamo un po' indaffarati». Leonard abbassò lo sguardo all'altezza dei cavalli dei pantaloni dei suoi amici. Lo stesso Thomas, che prima sembrava euforico, ora era costernato e contemplava il terreno con fare religioso, come se fosse in preghiera. Leonard si portò la mano al volto. «Oddio...». La sua fu un'esclamazione di rassegnazione. Un minuto dopo i maschi si erano tuffati in acqua, approfittando di un momento di distrazione delle ragazze che si erano girate per spruzzarsi getti d'acqua addosso. «Wow Chris, la tua pietra è sempre più bella... vuoi sposarmi?» domandò Thomas. «Fanculo, Thomas» fu la risposta del ragazzo. Risate generali scoppiarono tra gli altri Sfigati.

Restarono in acqua per quasi venti minuti, prima di risalire a riva. Ora si stavano asciugando al caldo sole di luglio, sdraiati su delle lucenti rocce levigate. Taylor stava facendo le punte ai capelli di Ed e quest'ultimo non sembrò dispiaciuto. Gli altri osservavano quella coppietta che sembrava così perfetta. «Sei sempre in forma, Leonard» notò Chris. Leonard, che divenne subito rosso in volto, si guardò il ventre. In effetti, rispetto agli altri, sfoggiava un fisico ben più palestrato. Chissà se a Jennifer piacciono i muscoli, pensò il ragazzo. Ora adocchiava di tanto in tanto l'amica e ricordava di quanto a marzo fossero stati vicini a baciarsi. Se Thomas non fosse intervenuto, sarebbe stato il suo primo bacio. Guardando quelle labbra sottili e umide, così desiderabili, non voleva far altro che baciarla. Era stato il suo primo amore e mai se lo sarebbe dimenticato per il resto della sua vita. Più in là con gli anni avrebbe ricordato che c'era stato un tempo in cui si era perdutamente innamorato di una ragazza dai capelli corvino e dagli occhi verdi, ma non sarebbe riuscito a ricordare il suo nome. Lei dondolava i piedi, osservando lo smalto giallo che le aveva messo Sophia in mattinata. Provò un paio di volte a fissare Leonard, ma ogni volta che incrociava il suo volto si ritirava, diventando vermiglia sulle guance.

Frattanto, Sophia osservava Chris e la sua gemma incastonata nel petto, un luccichio che le ricordava un anello col diamante, di quelli che gli uomini fanno alle donne per dichiarare il loro amore. Migliaia di sfumature arancioni si aggrovigliavano in pochi centimetri cubici. Il ragazzo le apparì stranamente carino. Un sorriso le illuminò il viso, con i gomiti poggiati sulle cosce e le mani a sostenere la testa. Chris fece di tutto per non incrociare il suo sguardo. Perché mi sta guardando? Forse è perché sono orribile? Certo, deve essere così. Sembrerò un mostro, pensò il ragazzo. Intimorito da quelle attenzioni insistenti da parte della ragazza (mai lo aveva fissato per così tanto tempo e così a lungo), Chris sobbalzò in piedi e fece una proposta: «sigarette e sandwich!». «Come, scusa?» domandò Leonard. Gli amici si girarono verso Chris, incuriositi dalla sua improvvisa enfasi. «Ho detto che nello zainetto ho portato sigarette e sandwich. Chi ne vuole?». «Sì!» trillò Jennifer colma di felicità. Alzo le braccia al cielo come in segno di vittoria e scalciò come un neonato a cui viene fatto il solletico. Leonard l'ammirò in un misto di gelosia e dolcezza. Gli si scioglieva il cuore a vederla felice, ma era geloso del fatto che fosse Chris a renderla festante e non lui. Pochi minuti dopo, ogni membro del gruppo aveva un sandwich alle noci macadamia.

Qualcuno fumava e tutti mangiavano. In quei momenti, minuti effimeri come bollori adolescenziali, si sentivano in pace con il mondo, in qualche modo invincibili. Non erano costretti a pensare al loro futuro, né al loro passato, né a demoni e magie nere e nemmeno alle Guardie di Sicurezza. Il mondo erano loro e nessuno poteva toccarli, nessuno poteva fargli del male. Momenti d'invincibilità, in cui il tempo e lo spazio erano loro, i pensieri di tutta l'umanità si fermavano, come se l'enorme calderone nel quale si trovavano si fosse acquietato, mentre i loro pensieri continuavano a bollire solitari, per poi fumare via nel vento, lontani da ogni turbamento, da ogni tristezza, portando con sé solo brio e piacere. Quegli istanti di potenza erano condensati in nubi di tabacco bruciato e nicotina, così mesti che bastava un soffio scanzonato per portarli via. Attimi brevi e infiniti, che alla fine lasciarono il passo alla realtà, fluttuando via, mentre calava il silenzio sugli Sfigati. Lucas si guardò intorno. Taylor con Ed, Chris e Sophia, Jennifer e Leonard. Guardò poi Thomas che ridacchiava a denti stretti tutto contento, pensando chissà a quale stupidaggine. Thomas alzò lo sguardo sentendosi osservato. Vide Lucas che lo fissava. Lo guardò come a chiedergli: perché mi fissi? Cosa c'è? Lucas e Thomas avevano un rapporto più stretto rispetto a quello che avevano con gli altri. Erano tutti amici, certo, ma il loro legame era più consolidato. D'altronde, prima che il club si formasse, loro già si conoscevano. Lucas gli fece cenno con lo sguardo sollevando la testa, come a dirgli: guardati intorno. A loro bastava un'occhiata per parlarsi. La loro intesa era perfetta.

Il silenzio, che ora sembrava un fastidioso frastuono, era una quiete d'imbarazzo. Nessuno sapeva cosa dire o come comportarsi. E allora ci pensò lui. Scattò in piedi, si tappò il naso ed esclamò imitando la voce del Marconista di Fanteria: «Attenzione, attenzione! Allarme rosso! Avvistato squadrone vietnamita a poche centinaia di metri! Attenzione, richiesta immediata, respingere il nemico!». Leonard scattò a sua volta in piedi: «battaglione, prepararsi a ingaggiare il nemico! Forza truppe, mettiamoci in marcia!». All'unisono, tutti gli altri, scattarono sull'attenti, facendo il saluto militare. «Sì, signore!».

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