CAPITOLO 9 (Parte 2)

A quel punto, Jennifer mosse il braccio dal basso verso l'alto e il mostro piombò a terra, schizzando macchie di sangue nero come un'arancia che viene spremuta. «E ora il colpo di grazia!». Sophia, fece quattro passi avanti e un'imponente fiammata investì il mostro. Ancora non era in grado di gestire i suoi attacchi e spesso sprecava in un solo colpo quasi tutte le sue forze. Un grido di dolore invase l'aria. Stava bruciando e il suo prolungato lamento fece rabbrividire i ragazzi, che per un attimo ebbero pietà di quel mostro. Ma solo per un attimo. Piccoli scoppiettii continuavano a cuocere quell'ammasso di fuliggine e carne bruciata che era rimasta. «Grande, l'abbiamo battuto!» dichiarò Leonard chiudendo la mano a pugno e alzandola in segno di vittoria. «Evviva!» esultò Chris. A ruota, tutti gli altri ragazzi esultarono festanti, tranne Jennifer. Lei continuava a fissare quel mucchietto in decomposizione e bruciato che ora colava nero liquame. Lo sento, lo sento ancora... non è morto. Non è ancora finita!

Un turbinio si alzò impetuoso e si stagliò contro il cielo come una tromba d'aria. Fu così improvviso che ai ragazzi rimasero le urla e la saliva strozzate in gola. In pochi secondi, dai fumi neri di quei liquami si era ricomposto Mister Lame in tutta la sua malvagità. «Sorpresa! Eccomi, tornato di nuovo! Come va, gente!? Vi va di BALLARE!?».

Un ghigno oscurò il volto ricomposto del demone, mostrando sfilze di canini affilati come ferri arrugginiti che sbucano dalle macerie di un palazzo. Cominciò a sghignazzare e sbraitare, sputazzando liquido di fogna, mentre densa bava del colore dello schermo di un monitor trasbordava dai lati della sua bocca, un taglio che raggiungeva quasi gli occhi. «E mi sembrava troppo bello!» si rammaricò Thomas. All'improvviso, una tempesta soffiò alle sue spalle, sferzando contro i ragazzi. I suoi vestiti però non si sgualcivano minimamente, così come il suo cappello o il suo ciuffo di capelli. «Apriamo il secondo round!» esclamò ridendo a perdifiato, come un maniaco pronto a pugnalare a morte le sue vittime. Sollevò la gamba destra e cominciò a volteggiare su quella sinistra come se fosse una trottola. Avvitava sul terreno scavando un piccolo solco. «Merda, che fa!?» gridò spaventato Lucas.

Scoppio. In uno scoppio il mostro si volatilizzò, come se il mantello dell'invisibilità gli fosse stato calato addosso. «Jennifer, che succede!?» chiese terrorizzata Sophia. «Non lo so, ma è ancora qui, non se ne è andato!». «Pessima notizia!» disse Leonard.

Grido. Thomas lanciò un grido. Si voltarono tutti verso di lui. Il ragazzo avvertiva qualcosa di freddo solleticargli il fianco. Poi il solletico divenne una fitta, poi bruciore intenso e infine calore. Abbassò lo sguardo. Dal suo fianco sinistro sbucavano tre lame scintillanti, tinteggiate di rosso cremisi e gocciolanti come tegole di tetti dopo un temporale. «Non è il mio sangue, vero?» ridacchiò il ragazzo. Gli altri Sfigati avevano il cuore in gola, pomparono così forte che si offuscò loro la vista per qualche secondo. Le palpebre cominciarono a pulsare e sudavano freddo. Thomas era appena stato infilzato a un fianco da Mister Lame. Ed era solo per un malato godimento che il mostro aveva deciso di non colpirlo direttamente in un punto vitale. Sfilò gli artigli dal ragazzo, occhi vitrei che tremavano alla vista del sangue e per la vita che gli veniva portata via. Le lame riemersero con un suono metallico. Thomas s'inginocchiò e si accasciò a terra. Fiotti purpurei gli sgorgavano dai fori sul fianco, macchiando la sua maglietta di fluido vermiglio. Il ragazzo fece una risatina e cominciò ad ansimare. Gli altri erano terrorizzati e paralizzati, quando un urlo li scosse: «BASTARDO!». Era la voce di Lucas. Lanciò dai palmi due fulgidi getti d'acqua limpida che non fecero altro che far ridacchiare il mostro. «Cosa c'è Lucas, il tuo potere è di nuovo inutile!?». Sibilo. Lucas ruzzolò a terra, rotolando innumerevoli volte, come un pallone lanciato troppo lontano. Urtò la testa contro una carcassa d'auto. Lanciò prima un guaito, poi un lamento di dolore prolungato. Mister Lame lo aveva graffiato all'addome e il dolore lo aveva paralizzato.

«I miei artigli sono intrisi di paralizzante! Senza cure mediche, morirete tutti!». «Sta bluffando... non può essere vero, sta bluffando!» urlò Lucas con gli occhi sgranati. Ma era la verità. Lucas e Thomas cominciarono ad ansimare e a sobbalzare in preda a forti convulsioni. «Vediamo se refifti a quefto!». Un denso pallino di muco giallo-verde svolazzò in aria colpendo il volto del mostro. La sostanza non fumò e non fece lamentare il nemico. «Ed, pensi di sconfiggermi sputandomi in faccia!? Piccolo moccioso, vattene a dormire!». Uno schiocco e poi un tonfo. Ed era svenuto. Il ragazzino era stato scaravento contro le mura di un palazzo da un calcio molto violento. Batté la testa e perse i sensi. «Ed!» gridò Leonard. «No, Ed!» urlò Chris. «Cucciolotto!» strillò Taylor. «Bene, bene... Leonard... Taylor... Sophia... Chris... e Jennifer, la mia puttanella preferita!».

Mister Lame riprese a sghignazzare spalancando la bocca come a voler percuotere con le sue malefiche risate, i suoi gracchi e la sua isteria maniaca, i ragazzi. «Allora, chi è il primo a voler ballare?». «Figlio di puttana, la pagherai per aver fatto del male ai miei amici! Sta' alla larga!». Leonard gonfiò entrambe le braccia, riempiendole d'aria come con un gonfietto e rombarono in una squillante onda d'urto. Il mostro incrociò le braccia. Il vento lo trascinò dietro di un metro, non di più. Una risatina isterica e perversa illuminò il suo cupo viso. «Che roba è, Leonard? Una scorreggia? Mi scorreggi in faccia, Leonard?». Il ragazzo spalancò gli occhi, dilatando la sclera al massimo. «Ma che sta succedendo, non era mai stato così forte!». Taylor era diventata pallidissima ed era incapace di compiere qualsiasi movimento. Perfino deglutire o respirare era diventato difficoltoso. Si trovò davanti agli occhi tre spade brillanti di riflessi metallici, macchiate ancora del sangue di Thomas. Straordinaria era la rapidità con cui un essere tanto possente si muoveva. Era come se l'aria non facesse attrito sul suo corpo. Muoveva l'aria come dotato di massa, ma allo stesso tempo si destreggiava come se fosse meno denso della materia ordinaria. Sto per morire, pensò Taylor.

Scoppio. Mister Lame non era più davanti a lei. Ora giaceva a terra, dopo aver strisciato sul cemento, sgualcendo il suo lussuoso vestito. Jennifer lo aveva steso con un altro dei suoi colpi, senza però sconfiggerlo definitivamente. Lesta, Sophia sparò una fiammata dai suoi palmi, mancando il nemico. Si era rotolato a terra, schivando il colpo. «Spirito delle Parole: tecnica delle lame volanti!». In rapida sequenza, i tre artigli vibrarono in aria come frecce e, fendendo l'aria, trapassarono anche le giovani e morbide carni di Jennifer, Sophia e Chris. La prima fu colpita alla spalla sinistra, la seconda alla gamba destra, mentre il ragazzo al braccio destro. Sentì il metallo conficcato proprio tra l'ulna e il radio, facendo frizione tra i due ossi. Si mise su un ginocchio e scrutò con un conato il sangue che gli gocciolava dal braccio, infilzato da quell'artiglio fatale. Taylor svenne dal terrore, sbiancando come un fantasmino. Cedettero prima le caviglie e poi il resto del corpo. Piombò a terra come se le fossero state sottratte le articolazioni, voltando gli occhi all'indietro nelle cavità oculari.

Leonard si sentiva travolto dal terrore e dalla responsabilità. Le sue suole sembravano inchiodate al terreno. I tendini dicevano di muoversi, ma i muscoli si contraevano ritirandosi. Cosa fare? I suoi amici erano stati neutralizzati (anche Jennifer!) e ora lui era solo contro Mister Lame. «Sei pronto a morire, piccolo ometto? Quando sarai morto ti farò una bella sega, ti farò succhiare il pisello dalle larve... e ballerai, oh ballerai, Leonard... e sarà un'orgia senza fine!». La voce del mostro divenne spaventosa e cupa, profonda come se provenisse da un pozzo senza fondo, amplificata e distorta come sparata da una cassa ad alto volume. Il demone inarcò il braccio destro, lunghissimo arto terminante con tre lunghi artigli, rasoi mortali e schioccò l'aria come una frusta. Nello stesso periodo di tempo, il ragazzo gonfiò il braccio sinistro, che vibrò e sbuffò come una ciminiera di un battello a vapore. I loro movimenti giocavano all'unisono con l'aria. Il ragazzo diede un urlo di rabbia mista a terrore, così come Mister Lame ringhiò come una tigre. «Leonard!» urlarono insieme Jennifer, Sophia e Chris, mossi dallo stesso sentimento di profonda amicizia e amore che provavano nei confronti del ragazzo.

Boom! Uno scoppio fece cadere a terra il mostro, che lanciò un guaito, mentre Leonard strisciò con la schiena sul manto stradale scorticandosi la schiena. Il suo braccio fumava e i muscoli del suo corpo erano a pezzi. Bruciava dall'interno come se i suoi organi fossero stati messi in una carbonella. Non sarebbe più stato in grado di combattere per quell'incontro. Ansimò per qualche secondo per poi svenire. Solo Jennifer, Sophia e Chris erano ancora vigili per poter assistere a quell'orrore. Mister Lame, con la mano maciullata e grondante di sangue e brandelli di carne e legamenti, un disgustoso groviglio di tessuti connettivi e pelle, digrignò le labbra a formare un sorriso che lasciava trasparire quelle lamelle seghettate che ora si erano trasformate in ossi ammuffiti e ingialliti, colanti di un fluido denso e nero come colla sciolta su un fornello. «Sento odor di paura, sento odor di carne fresca, venite qui a prender l'esca!».

I tre impallidirono come illuminati dal chiarore dei raggi lunari durante il plenilunio. Il mostro dilatò la bocca al punto da lacerarla, gelando il sangue dei ragazzi. Lentamente, stavano perdendo le forze e le speranze. I muscoli erano intorpiditi e si sentivano febbricitanti. Gocciolavano sudore dalla fronte e le ascelle si erano inumidite. Le caviglie e i polsi stavano cedendo sotto il peso del terrore. «Chris, tocca a te, solo tu puoi sconfiggerlo!» trillò Jennifer. Chris sembrava come annebbiato da un gas soporifero. Aveva gli occhi spiritati e vitrei e osservava quella funesta immagine infernale approssimarsi davanti al suo volto. Ma aveva recepito il messaggio dell'amica. E, in una maniera del tutto sconosciuta a qualsiasi logica umana, cominciò a urlare parole che in apparenza sembravano sconnesse tra di loro, uno strano gioco di sillabe. «Capre elettriche, dormire, bei sogni, robot, luce, amore!». Un lamento di paura e dolore scosse il mostro che indietreggiò serrando le mascelle e inarcando le labbra verso il basso, come rattristito. Guaiti di puro orrore imperversarono nell'aria, come un cane bastonato. «Smettila, moccioso! Smettila!» lo implorò. «Io non ho paura di te!» ribatté Chris. «Ora beccati questa raffica! Freud, passeggiare, bianco candore, anestetico, amicizia... Captain World!».

Mister Lame lanciò un grido di disperazione portandosi le mani alla testa e scuotendola come una biglia impazzita. «Ora Chris, ora!» lo esortò Jennifer. «Vai Chris!!!» gridò Sophia. Il ragazzo si sollevò e gonfiò il petto. Dallo strappo che aveva sulla maglietta, fulgidi riflessi bianco-arancio illuminarono la gemma che aveva incastonata nel petto, come una lampadina portata a tensione troppo elevata, e si generò un piccolo mulinello di aria che diede vita a un flusso color arancio. «Cosa vuoi fare, moccioso!? Ti ucciderò!!!». Il mostro provò ad agguantare il ragazzo, ma non ci riuscì. Fu travolto da un bagliore così luminoso che il cielo sopra Primestone da grigio divenne una tavolozza di colori: bianco, celeste e arancio. Le nubi furono dissipate e sminuzzate come prezzemolo in un mixer. Chris diede fondo a tutta la forza che aveva nelle corde vocali e a tutta l'energia immagazzinata nelle sue cellule. Quando il raggio svanì, riscaldando l'aria circostante come in un caldo bagno termale, il ragazzo svenne a terra, mentre del mostro era rimasto solo il candido velo. Una folata di vento gelido lo portò via, trascinandolo fino alla grata di una fogna verso la Piazza dei Caduti. Sarebbe rimasto a galleggiare per secoli nelle acque stagnanti di fognature non più funzionanti.

Quello stesso pomeriggio, delle Guardie di Sicurezza che passavano di lì, allertate dai bagliori e dal trambusto, intervennero e recuperarono i ragazzi feriti. Quella volta neanche mezza domanda gli fu posta. Una volta medicati (nessuno dei medici si accorse delle lame, loro li videro come cocci di vetro), furono rispediti a casa con tanto di frustate omaggio per punizione da parte del Doc.

***

Alla fine, anche luglio arrivò. Il sei del mese si spinsero più in là rispetto a dove stavano di solito al fiume Derrick. In città faceva un caldo tropicale, ma l'aria soffiava fresca nel groviglio di ombre che si trovava sulla costa meridionale del ruscello. Quel giorno, ancora una volta, gli Sfigati si erano dati appuntamento e ciascuno raccontò la sua storia di nuovo e di come fossero riusciti volta per volta a evitare e sconfiggere la minaccia che incespicava e si aggrovigliava a Primestone, goffa e malevola in tutta la sua mostruosità. Mesi più tardi, Jennifer avrebbe ricordato come gli altri l'avevano fissata. Il loro sguardo cadeva su di lei e non più su quello di Leonard. Volevano che fosse lei a decidere, perfino Leonard (che comunque continuava a essere visto come una figura di riferimento) si era rassegnato all'idea che solo la ragazzina avesse il potere sufficiente per affrontare quello là. Voleva che fosse lei a decidere cosa fare, ma il fatto è che neanche lei lo sapeva con esattezza. Aveva avuto il sentore che affrontare le rispettive paure fosse un buon modo per sconfiggerlo. Ma ora iniziava ad avere dei dubbi e l'idea di fuggire da Primestone le sembrava sempre più una passeggera utopia giovanile, che un progetto concreto. E nel rendersene conto, era stata sommersa da un'ondata di disperazione. Cosa volevano che rispondesse loro?

Ricordava di averli osservati in faccia, a uno a uno: Leonard, Sophia, Taylor, Chris, Ed, Lucas e Thomas. Aghi di luce e musica volteggiavano in aria. Avrebbe ricordato gli aghi di luce, perché Thomas aveva appeso una vecchia radiolina a un ramo di un tronco sul quale si era seduto. Si trovavano in ombra, ma il sole rimbalzava dalla superficie del Derrick per poi venir deviato dalla cromatura della radiolina negli occhi di Jennifer. «Per cortesia, Thomas, tira giù la tua radiolina! − protestò Jennifer − Mi stai accecando!». «Scusami bellezza, provvedo subito!» rispose con prontezza Thomas. In quel frangente, il ragazzo dominò la sua lingua lunga e si limitò a eseguire quel comando, perché lui in quel modo l'aveva recepito. Si affrettò a staccare la radio dal ramo. Intanto, lo sciabordio del ruscello e il vago ronzio delle pompe di drenaggio, che portavano l'acqua del Derrick fin sotto le mura esterne e poi al fiume Pinnot, rompevano il silenzio di quel pomeriggio d'estate. Il brusio che aleggiava nell'aria accompagnava gli sguardi degli Sfigati che non perdevano mai di vista il loro punto di riferimento: Jennifer. Avrebbe voluto chiedere loro di guardare altrove, lei odiava essere fissata. Che cosa si erano messi in testa che fosse, una specie di santone oppure un supereroe?

Avrebbe voluto urlare loro la sua frustrazione contro, ma non poteva perché erano suoi amici e stavano semplicemente aspettando che lei decidesse che cosa dovevano fare adesso in merito al mostro che infestava la città. Avrebbe voluto lasciare l'incarico a qualcun altro, ma non era possibile. Si chiedeva perché fosse toccato proprio a lei, ma la risposta era facile. Lei era saggia, era riuscita a entrare nella mente del mostro, su di lei il suo potere non aveva effetto, lei era riuscita a sentire la sua vera voce. Per gli altri ragazzi, Jennifer era qualcosa di più vicino a una divinità che un mutante con la telecinesi. Per qualche misterioso motivo che non avrebbe mai capito fino in fondo, lei era diventata il faro del gruppo, Mrs. Mind. Così l'aveva soprannominata Thomas. Jennifer lanciò un'occhiata a Leonard e fu lesta ad abbassare lo sguardo. Il ragazzo aveva accettato che fosse lei a guidarli. Con qualcun altro non l'avrebbe mai fatto, ma lui amava la ragazza alla follia. Con una placida fiducia negli occhi, guardava Jennifer come se fosse un dolcetto da assaporare. La sua amata, la sua dea.

Guardare Leonard le faceva sentire la bocca dello stomaco come invasa dalle farfalle. Poi finalmente parlò. «Non possiamo andare dalle Guardie di Sicurezza. Quelli dell'amministrazione sanno qualcosa, ma fanno finta di nulla. Anche se volessero darsi da fare, non saprebbero come affrontarlo. Siamo rinchiusi in questa gabbia, con un leone affamato. Vi ho promesso di fuggire, ma mi sembra sempre più inverosimile... voi che ne pensate, ragazzi?». «Mrs. Mind, se mi permette − rispose Thomas con la voce del Lord dei Sette Regni − la sua arguzia è così raffinata che è molto vicina dall'essere lungi a portare a termine una missione di cotanta importanza. Nella fattispecie, se posso apportare un suggerimento...». «Parla nella lingua umana, Thomaf!» lo apostrofò Ed. «Disse l'Uomo dalle mille effe!» ribatté Thomas. «State calmi, ragazzi!» intervenne Leonard prima che i due cominciassero a farsi le linguacce e iniziassero una gara d'insulti. Frattanto, Lucas appariva preoccupato. Aveva il volto teso e ingrigito, le guance tese. Sembrava un vecchietto in un ospizio. «Tutti noi ci siamo riuniti perché in qualche modo siamo riusciti a fuggire dalle grinfie di quello là. Forse dovremmo cercare aiuto in qualche altro ragazzo che è riuscito a farla franca, sapete... l'unione fa la forza!» proruppe Chris all'improvviso. I ragazzi si guardarono intorno, come a cercare qualcuno che non c'era. «E chi sarebbe? Su chi mai potremmo contare?» chiese dubbioso Lucas, che ora sembrava spiritato tanto era pallido. «Dai, piuttosto pensiamo a...» insistette Jennifer, sempre più angosciata, incapace di concludere quella frase.

Un paio di mesi prima, Bobby Brown aveva perso suo fratello Clint. Il ragazzo era scomparso nel nulla, come divorato dalle ombre. Bobby sapeva che in qualche modo era colpa di quello là. Qualche settimana prima della scomparsa del fratello, lui e Clint furono spettatori di un evento che aveva del paranormale. Come tutto a Primestone, d'altronde. In una loro escursione attorno al Derrick, i due fratelli, che ormai avevano lasciato John Harris a cuocere nella sua stessa rabbia, ebbero un incontro ravvicinato con un gigantesco mostro preistorico: un Tyrannosaurus rex. Quel gigantesco rettile era già rannicchiato in un angolo dei loro incubi. Da bambini, i due Brown avevano visto Jurassic Park. Erano rimasti scandalizzati dalla forza bruta di quel mostro, di come i protagonisti fossero rimasti intrappolati all'interno di una jeep e fossero stati sobbalzati dalla forza brutale del dinosauro. Come per magia, quella loro ancestrale paura bambinesca, venne a galla con un impeto inaspettato, come se non vedesse l'ora di essere tirata fuori. L'enorme creatura era apparsa tra i grovigli del Derrick e si era innalzata in tutta la sua potenza. Aveva gli occhi neri, lacrimavano fiumi densi e cupi di liquido che sembravano più liquami di discarica che lacrime. Le sue fauci contenevano lunghe schiere di denti ingialliti, con pezzi di carne fetida attaccata alle gengive. Un ruggito come di leone, ma assai più grave, lacerò l'aria, come uno scoppio prolungato. La creatura cominciò a inseguirli, nel frastuono delle urla lanciate dai due ragazzi. Trovarono rifugio in un vecchio camion abbandonato, rosso per la ruggine e la vernice ormai opaca. L'abitacolo era invaso dalla polvere e dalle ragnatele, ma non sarebbe stato un problema neanche per Chris. Cosa era peggio, affrontare un ragnetto o un gigantesco rettile del Cretaceo?

La creatura affondò i suoi denti nelle lamiere, infrangendo i vetri. Le schegge e i cocci provocarono tagli sottili alle braccia dei due fratelli. Il telaio si piegava, stretto nella sua morsa, come schiacciato da una di quelle presse che utilizzano gli autodemolitori. Il ferro cigolava e si lamentava, mentre i sobbalzi facevano sembrare l'interno del camion un'attrazione di un parco giochi. Ma lì di divertente non c'era nulla. Mentre Clint piangeva disperato, Bobby era così frastornato dalla paura che i singhiozzi gli si erano bloccati in gola. Era incapace di fare qualsiasi cosa, tranne pensare. I suoi pensieri erano freddi e lenti e laceravano il cervello così come il T-rex lacerava il ferro del veicolo. Fissava la bava che colava dalla bocca del dinosauro, acqua sporca d'impurità che sembravano enormi larve strapiene di pus, incollate da quel fluido nero come carbone. Poi uno strappo, un taglio nella sua mente. Nel film l'attore Sam Neill diceva che, se fossero stati fermi e immobili, il T-rex non li avrebbe visti. Quella è una tipica stronzata da film! Come può non vederci, se restiamo immobili!?, pensò Bobby.

Ma quell'idea, per quanto stupida potesse apparire, per qualche motivo oscuro, incomprensibile, gli parve quella giusta. Si voltò verso Clint, lo prese per le spalle e lo scosse forte, per farlo rinsavire dal suo stato di terrore catatonico. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Ci vollero diversi scossoni prima che portasse finalmente il suo sguardo sul volto del fratello. Urlava con tutta l'aria che aveva nei polmoni, ma quelle grida apparivano a Clint come ovattate, distanti chilometri e chilometri. «Clint, ho un'idea! Ti fidi di me!? Ti fidi di me!?». Clint annuì con un leggero movimento della testa. Sembrava più un riflesso involontario che una reale consapevolezza. Ma non c'era tempo da perdere. Il T-rex ora aveva smesso di dilaniare l'abitacolo e con la testa stava dando violenti colpi al lato del mezzo, nel tentativo di ribaltarlo. Si sollevava e ricadeva, si sollevava e ricadeva, si sollevava ancora e ricadeva. Ogni volta che le ruote sinistre toccavano terra, le lamiere lanciavano un acuto sempre più insistente, come se dovessero collassare da un momento all'altro. Frattanto, Bobby afferrò Clint per un polso e lo trascinò fuori aprendo la portiera opposta rispetto a quella dove si trovava il carnivoro. Scesero dal camion e percorsero qualche metro. «Fermiamoci!» gridò Bobby che si arresto di colpo, facendo sobbalzare in modo goffo il fratello. «Bobby, ma che cazzo stai facendo!? Dobbiamo fuggire!». «No, restiamo immobili e non ci vedrà!» ribatté Bobby. Clint sembrava frastornato, guardava il fratello con occhi sbarrati. Che fosse impazzito? Voleva farsi inghiottire vivo da quella bestia?

Il T-rex, intanto, smise di dare capocciate al camion. Sollevò lo sguardo, dando l'idea di un bambino curioso che cerca il suo giocattolo preferito nella sua cameretta, facendo capolino oltre l'abitacolo del mezzo. Avanzò distribuendo il suo peso prima su una zampa e poi sull'altra, mostruose macchine di morte, artigli enormi e scintillanti al chiarore dei raggi solari. I suoi passi calpestavano il terreno come se ogni volta scoppiasse una bomba. Clint cominciò a urlare, ma Bobby gli piantò una mano sulla bocca, così forte che il fratello sentì i denti premere nelle gengive. Lo prese una fitta, ma la paura del pericolo che si avvicinava lo fece desistere dal lamentarsi. Il muso del T-rex era ora a un metro da loro. «Clint, non ti muovere per nessuna ragione al mondo, ricorda... se resti immobile non può vederti». Le parole di Bobby risuonarono nella mente di Clint come una sgraziata melodia, un blaterare senza alcun nesso logico. Era come se gli stesse chiedendo di ballare la salsa con un solo piede, reggendo sul naso una palla da basket e con le mani due bicchieri di cristalli tenuti dritti su degli stuzzicadenti. Il fiato della creatura ora soffiava come una tempesta sui loro corpi. A stento riuscivano a tenere gli occhi aperti, vuoi per il tanfo di uova marce e carne morente che risaliva dalla gola del dinosauro, vuoi per il terrore. Intravedevano le narici del T-rex che si dilatavano e si richiudevano come lo sfiatatoio di una balena. I suoi occhi erano gialli e gelatinosi, enormi specchi ai lati della sua testa, grossa quanto un uomo adulto. Stava soltanto ronfando, eppure sembrava il ruggito di una tigre. Un piccione, è solo un piccione gigante. Gli uccelli sono i discendenti dei dinosauri, Bobby, non avere paura. È solo un piccione gigante!

Restarono immobili più che potevano. Solo le caviglie di Clint tremavano in maniera vistosa come prese da forti tremori. Bobby se ne accorse e disse al fratello, provando a rincuorarlo: «Clint, stai calmo. Resta fermo e lui non ti vedrà. Non urlare e lui non ti sentirà. È solo un uccellaccio senza ali e senza piume troppo cresciuto... fra poco se ne andrà e sarà tutto finito». Clint aveva la mano di Bobby che gli copriva perfino le narici. Non riusciva a respirare, quindi provò a sollevare di poco la testa. Appena le narici furono a contatto con l'aria, tirò leggeri inspiri seguiti da altrettanti rapidi e fiochi espiri. Le sue guance si erano gonfiate ed erano diventate purpuree. Il T-rex li fissava impalato come se... come se non li vedesse più. Ruotò la testa prima a sinistra e poi a destra e poi di nuovo ripeté il giro altre quattro volte. Sollevò la testa tendendo i muscoli del suo poderoso collo. Fissava Bobby e Clint, ma era come se stesse fissando il vuoto. Avvicinò la testa ai due ragazzi, portando il suo occhio a pochi centimetri dalla faccia di Bobby. Il ragazzo ora guardava il muscoloso braccio anteriore del T-rex, con quei due artigli grossi come mannaie. Non avrebbe mai avuto il coraggio di fissare il riflesso giallognolo dell'occhio del mostro, iniettato di ruscelli cremisi di sangue. Sentiva il suo respiro lento risucchiare l'aria come un'aspirapolvere, una molto grande.

All'improvviso fece due passi indietro e sollevò di nuovo la testa. La creatura ora li osservava da quasi cinque metri d'altezza e ruotava di poco la testa, come quando un gattino osserva un oggetto ed è timoroso sul come comportarsi. Improvvisamente, la creatura ruggì. Non sembrava un grido di forza, era più un lamento di rabbia... di paura. Clint diede un lamento sordo, stemperato dalla mano del fratello che gli premette forte sulle labbra, mentre con l'altra gli teneva saldamente la testa da dietro. «Non ti muovere, Clint... non muovere un muscolo... non gridare» gli suggerì ancora una volta il fratello. Il T-rex cominciò a scuotere la testa e a guaire come se lo stessero percuotendo. Si voltò di scatto, sferzando l'aria con la coda, che sembrava il braccio di una gru. Lo spostamento d'aria per poco non fece rovinare a terra i due. Il carnivoro, così come era apparso all'improvviso, scomparve nei grovigli del Derrick, sfumando a mano a mano che si allontanava. In lontananza, sembrò diventare polvere e sfumare via portato dalla brezza, come una sigaretta. Una voce stridula e lamentosa scosse l'aria. «Maledetti, me la pagherete! Alla fine, ballerete anche voi, ballerete! E sarà un'orgia senza fine...». Un lungo e sibilante sghignazzare infestò l'aria come uno sciame di locuste. Bobby trasalì, mentre Clint sbiancò come un cadavere tenuto in uno stagno da settimane. Non superò mai la paura. I giorni seguenti ebbe difficoltà a mangiare e parlò pochissimo. Poi scomparve. 

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