CAPITOLO 9 (Parte 1)
Fiamme gialle e azzurre. Fiamme gialle e azzurre. Il tempo sta per scadere. Il tempo sta per scadere.
Jennifer continuava a fissare il soffitto della camera da letto. Rimuginava sul tempo, un tempo che stava per scadere. Lei ne era consapevole. Una corsa contro il tempo. Sophia e Taylor erano nel bagno e ballavano e cantavano a squarciagola, imitando le pose e i gesti di famose rockstar, ammiccando e muovendo i fianchi proprio come Britney Spears. Giocavano, ignare che le lancette dell'orologio procedevano spedite, andando incontro al gong finale. Erano i primi di giugno e anche la scuola a Primestone era finita. Per sempre. Non ci sarebbe stato un nuovo anno scolastico. Per nessuno.
La temperatura, rispetto alle settimane precedenti, si era abbassata e l'ondata eccezionale di caldo aveva fatto spazio a una calura meno soffocante e a leggere brezze che sferzavano con maggior impatto la mattina al sorgere del sole e la sera verso il tramonto. Gli unici obblighi che ora i giovani mutanti di Primestone dovevano adempiere erano le visite mediche il sabato mattina, unica routine in quel cosmo isolato dal mondo. Il tempo sta per scadere.
Jennifer sentiva la forza del demone aumentare di giorno in giorno, come una valanga che via via compatta sempre più neve. Mentre le sue amiche erano festanti, con il cuore avvolto in morbido zucchero filato, fantasticando sui loro sogni giovanili, Jennifer era preoccupata. Una mannaia stava per essere calata sulle loro teste. Una mannaia, come quella che aveva l'uomo con la maschera da maiale che avevano visto qualche settimana prima dal campanile. «Ragazze, la volete piantare di fare tutto questo casino!» gridò Jennifer all'improvviso. Le amiche si ammutolirono. Sophia e Taylor fecero capolino dal bagno. La ragazza dai capelli rossi aveva il phon, ma non lo stava usando per asciugarsi i capelli, bensì come finto microfono. Taylor invece stava utilizzando una spazzola. «Jennifer... sei arrabbiata? Va tutto ok?» domandò Sophia. «È il ciclo che ti fa stare nervosa?» chiese Taylor. Aveva imparato che le mestruazioni producono dei cambiamenti nel carattere delle donne. Diventano più suscettibili e aggressive. Così almeno le era stato spiegato. Ma lei di ciò non doveva preoccuparsi. Non ancora.
«Non è colpa del ciclo, Taylor!» trillò Jennifer. Sophia e Taylor protrassero la testa all'indietro come se piuttosto che le parole, l'amica avesse lanciato una palla di fuoco come un drago. «Ok, ho il ciclo... ma non è quello il problema... il tempo sta per scadere». Jennifer abbassò lo sguardo come malinconica. Sophia e Taylor percepirono la tristezza nei suoi occhi. Il tempo sta per scadere. Quella frase le fece rabbrividire, ma allo stesso tempo prendere coscienza. Come potevano starsene così tranquille a cantare e ballare (ballare!), quando la morte stava loro col fiato sul collo? Si intristirono, come colte da una pessima notizia. «Dobbiamo muoverci, ragazze. E dobbiamo dirlo anche agli altri. Il prossimo demone da affrontare è quello di Chris». «Freddy Krueger?» chiese conferma Sophia a Jennifer, con vocina tremolante. «Oddio, quello fa paurissima!» ribatté Taylor, portandosi le mani alla bocca e proiettando gli occhi quasi fuori dalle orbite. Sbiancarono come un fiore di loto americano. «Perché prima quello di Chris e non quello di Ed?» chiosò Sophia, come se facesse davvero la differenza. Jennifer fissò i suoi calzini per qualche secondo. Sembrava essere entrata in trance. Poi rispose, con voce sommessa. «Perché è più debole... più grande è la paura, più forte è il proprio demone... e la paura di Ed è più grande di quella di Chris. Non siamo ancora pronti per battere il barboncino. Ci farebbe a pezzi».
A pezzi. Sophia e Taylor ebbero un lieve giramento di testa. Un gelido brivido ghiacciò le loro fronti e i loro piedi. Tremavano come se la temperatura si fosse abbassata di dieci gradi in un minuto. «Forza! Vestiamoci e andiamo a parlarne con gli altri!» esclamò Jennifer. E così fecero. Un'ora dopo, erano tutti riuniti nell'appartamento dei ragazzi, intorno al tavolo del soggiorno. Il silenzio era calato nella stanza, sopra le loro teste. Mille pensieri imperversavano nelle loro menti, come battiti d'ala di un gabbiano, pesanti e tumultuose. Paura, orrore, terrore, tristezza, malinconia, inadeguatezza. Erano questi i sentimenti che andavano per la maggiore in quel momento. Erano tutti pallidi come se avessero un candido lenzuolo a coprire i loro volti. Ghiacciati come gelati d'inverno. Quello che soffriva di più era Chris. Dondolava avanti e indietro, avanti e indietro con la schiena, tenendo le spalle chiuse e rannicchiandosi come un riccio. Aveva lo sguardo perso, fisso sulla tovaglia bianca e blu a quadri, incapace di pronunciare una parola o guardare negli occhi gli amici. Gli altri lo contemplavano come si farebbe con un bambino malato che ha bisogno di cure e attenzioni.
«Dai Chris, lo sconfiggeremo, non avere paura» provò a rincuorarlo Leonard, dandogli un paio di pacche sulla spalla. Chris reagì spostandogli con foga il braccio e sbottò: «per te è facile parlare, l'hai già sconfitta la tua paura! Poi tu sei forte a differenza mia!». Leonard si rattristì. Percepiva che l'amico in qualche modo si sentisse in competizione con lui. Leonard non voleva che Chris provasse quella sensazione, ma non sapeva come fare per evitarla. «Chris... non sei solo, ci siamo noi con te. Combatteremo tutti insieme al tuo fianco». Chris voltò lo sguardo verso Sophia. La sua rossa chioma brillava alla luce che filtrava dalla finestra. Un fiume di fuoco. Distolse subito lo sguardo, incapace di fissarla negli occhi per più di qualche secondo. Con vocina quasi da bambino disse: «lo so, ma... non significa che non abbia paura. Perché non posso avere paura?». «Nessuno sta dicendo che non puoi avere paura, Chris, ma bisogna affrontarla!» disse Jennifer. «Ah, parli proprio tu!» sbottò ancora una volta. Poggiò le mani sul bordo del tavolo e si allontanò strisciando la sedia. Mise le mani conserte e fissò in direzione opposta al volto di Jennifer.
«Tu che sei in grado di parlare con quello là! Tu che con la tua mente sei l'unica che non si fa abbindolare da lui! Magari siete diventati pure amici, chi lo sa!». «Ma che cazzo dici, Chris!». Leonard andò in escandescenze. Fu assalito da un calore intenso al volto e il sangue gli andò dritto al cervello come un'auto che si schianta contro un muro. Afferrò per il colletto Chris e lo sradicò dalla sedia come una radice. I loro musi erano a pochi centimetri l'uno dall'altro. «Chiedile scusa, subito! Ma come cazzo ti viene in mente di dirle una cosa del genere! Tutte le volte che ci ha salvato ha rischiato la vita per noi e tu te ne esci con queste stronzate!? Dammi un motivo, uno solo, per non riempirti di botte!». «Ehi, Leonard, calmati» provò Thomas a farlo ragionare. «Diamine Leonard, datti una regolata» proseguì Lucas. Ed deglutì, mentre Taylor aveva già gli occhi lucidi. Scoppiò a piangere. «N-n-non dovete litigare! Noi... n-noi siamo amici!». La biondina abbassò il capo e si portò le mani al volto. Sophia la cinse a sé e le baciò il capo. «Leonard, lascialo andare» sussurrò Sophia.
Ma il ragazzo aveva ancora il fiato grosso e con occhi iniettati di liquido cremisi fissava l'amico che ora aveva lo sguardo rivolto alla sua sinistra. Sembrava ammutolito. Si rendeva conto di aver pronunciato parole sgangherate, ma era incapace di chiedere scusa. «Vi rendete conto di cosa ha detto!?» urlò stizzito Leonard. Aveva le guance vermiglie e sprizzava rabbia da tutti i pori. I muscoli delle sue braccia si erano contratti, esaltando tutta la sua fiera muscolatura. «Leonard, piantala! Era solo arrabbiato, ma non diceva sul serio. Non me la sono presa. Piuttosto, non credi di stare esagerando? Vedi di calmarti» lo rimproverò Jennifer. Tutti ebbero l'impressione che a parlare fosse stata una persona adulta. Leonard reagì come se gli fosse stato appena sparato un tranquillante, come una tigre che viene abbattuta per essere portata via. Mollò la presa sul colletto della maglietta di Chris. Quest'ultimo cadde con pesantezza sulla sedia, producendo un tonfo sordo. Aveva le braccia penzolanti e la schiena curvata in avanti. Fissava il pavimento lucido, da poco passato con lo straccio da Lucas, sfavillante come uno specchio. Neanche una macchiolina ne intorpidiva la superficie. «Scusa Chris, ho esagerato» pronunciò Leonard che si mise a sedere svogliato, lasciandosi quasi cadere sulla seduta di vimini. «No, Leonard... scusami tu... e scusami, Jennifer, non dovevo dirti una cosa così brutta... scusatemi tutti». Chris cominciò a singhiozzare.
Sollevò la schiena cercando di drizzarla il più possibile e si asciugò gli occhi con le mani, sfregandosi quasi con foga, imbarazzato. Aveva le scocche rosse e non sopportava l'idea che gli altri lo vedessero piangere. «Ehi, bro! Dai su, dammi un abbraccio forte!» gli sorrise Leonard, mostrando la dentatura in tutta la sua interezza. Chris sollevò lo sguardo e fissò l'amico. Aveva le braccia spalancate, pronto a stringerlo a sé. Non ci pensò più di cinque secondi. I due già stavano piagnucolando come infanti. «Evviva gli sposi!» esclamò Thomas. «Che coglione» borbottò Lucas. «Forza, abbraffiamofi tutti!» incitò Ed. In un attimo, il duo era diventato un ottetto, un unico affettuoso abbraccio. Prese come singole, le fiammelle all'interno dei loro animi erano piccole, ma quando erano insieme andavano in risonanza, rimbombando come un grido possente lanciato da un'altura in mezzo alle montagne, diventando una viva fiamma che brucia ogni cosa.
Ma un soffio improvviso li fece trasalire, freddo come se provenisse dal polo nord. «Sciocchi, è così che la mettete? Bene, ricordatelo... alla fine, ballerete tutti... e sarà un'orgia senza fine...».
La minaccia fu più chiara del solito. Non era più una vocina flebile come la luce emanata da una candela o il mormorio delle foglie spazzate via dal vento d'autunno. Era chiara, limpida e torbida allo stesso tempo, più squillante, come se diventasse sempre più materiale, consistente. Non era più qualcosa di mentale, qualcosa che aleggiava solo nei loro cervelli, come una piccola carica elettrica, un elettrone impazzito che dissipa la sua energia scomparendo nel vuoto quantico. Assomigliava sempre di più a un suono reale, un qualcosa che provoca vibrazioni delle particelle di gas, di energia. Energia. Stava arrivando. Stava bucando quel sottile quanto resistente mantello che separa il mondo reale da tutto il resto. Lo stava strappando a poco a poco, striscia dopo striscia, fibra dopo fibra. Mancava poco ormai e sarebbe piombato nella realtà a quattro dimensioni, come un fantasma che prende possesso di un corpo e comincia ad agire secondo la sua volontà. Gli Sfigati trasalirono come non avevano mai fatto in vita loro. Sobbalzarono e gridarono in preda alla paura. Le loro voci si mescolarono a formare un unico spaventevole lamento. Un ghigno susseguì a quella minaccia, allontanandosi poi come un ladro che fugge dopo aver rubato in un'abitazione. I loro visi pallidi potevano essere benissimo rappresentati in un unico quadro, una tela dell'orrore.
«Porca di quella puttana... mi sono cagato sotto» bisbigliò Thomas. «Sbaglio o... era più spaventosa del solito?» domandò Lucas, già consapevole che la risposta eventuale sarebbe stata affermativa. «Mi sembra chiaro che dobbiamo agire il prima possibile, ci sta sfidando» chiosò Jennifer. La ragazza rivolse il suo sguardo su quello di Chris. Gli occhi dei due ragazzi s'incrociarono. Lui era sbiancato in maniera preoccupante, ma gli occhi verdi della ragazza sembrarono infondergli coraggio, come se emanassero un'energia propria che stava ricaricando di fiducia e coraggio il suo corpo. E la sua mente. Lei non disse nulla. Lui non disse nulla. Annuirono all'unisono, consapevoli che andava fatto ciò che andava fatto.
***
Passarono un paio di giorni. Si erano preparati come quando avevano affrontato la paura di Leonard. Erano digiuni da un paio di giorni. I loro stomaci brontolavano come lavatrici che centrifugano, ma era necessario. L'effetto dell'arsenico veniva limitato, permettendo di utilizzare con maggior forza ed efficienza i poteri mutanti.
Gli otto Sfigati si trovavano su Purple Street. Si guardavano intorno, osservando i vetri delle finestre delle case. Tutte erano chiuse, con le tapparelle abbassate. Qualche vetro era rotto. Le porte dei palazzi erano tutte serrate. Nessuno abitava in quella strada. Era come se un sentore di male impedisse agli altri mutanti di viverci, come allarmati da un'energia invisibile e misteriosa, un'entità ingannevole. Non si vedeva, ma faceva sentire la sua influenza. Un leggero venticello lambì le loro teste, facendo svolazzare i capelli. Era freddo. Dannatamente freddo, come gelato dalla perdizione, ma non del tipo umano, una perdizione demoniaca. Chris deglutì. Tremava in maniera vistosa, tanto che sembrava ondeggiare, battendo i denti come se fossero bacchette di legno. All'improvviso sentì qualcuno stringergli la mano. Abbassò lo sguardo. Una mano aveva avvolto la sua. Era quella di Sophia. Era soffice e morbida come un lenzuolo e presentava un lieve rossore sulla punta delle dita. Chris sollevò lo sguardo e la vide sorridere. Gli trasmise una sicurezza (e una vampata di calore) indescrivibili. «Andrà tutto bene» gli sussurrò. Lui annuì, abbozzando un sorriso, bloccato a metà strada dalla paura che ancora gli gelava il sangue nelle vene. Frattanto, Leonard posò la mano sulla spalla sinistra di Chris e rincuorò l'amico.
«Quando sarà finita, ci faremo una bevuta di quelle epiche» disse ammiccando. Sul volto di Chris si aprì un sorriso più convinto, sebbene le sue labbra tremassero ancora. Intanto il venticello era diventato vento e aveva cominciato a battere sui petti degli otto amici come a volerli trascinare indietro, intimargli di darsela a gambe e rinunciare ai loro intenti eroici. «Fchifofo moftro, non abbiamo paura di te! Fatti fotto!» urlò Ed. «Già, non abbiamo paura di te!» continuò Sophia. «Ti faremo il culo!» gridò Thomas. «Il mio potere non è più inutile!» esclamò Lucas. «Ti faremo mangiare la polvere!» strillò Taylor. «Cosa c'è, hai paura di noi, stronzo!?» scoppiò Leonard. Jennifer invece rimase taciturna, concentrata su ogni minima perturbazione, vuoi che fosse un cambio di direzione del vento o della sua intensità, vuoi che fosse un rumore sinistro di passi o un fulmine. La temperatura intanto continuava a calare e le magliette erano diventate inutili stracci strappati. Il cielo si era annuvolato, ingrigendosi come di cupo odio. Primestone odiava gli Sfigati, ma allo stesso tempo li amava. Quello là odiava gli Sfigati, ma allo stesso tempo li amava. In un modo tutto suo, certo, ma li amava così tanto che voleva farli soffrire. Voleva che soffrissero più di tutti, perché quello là li amava. E li odiava con tutte le sue forze. Puro odio.
Una vibrazione sembrò scuotere l'aria, sollevando una piccola tempesta di polvere che si formò rapida, come comparsa per magia. I ragazzi furono costretti a proteggersi dal pulviscolo che sbatteva sulle loro palpebre ustionandole e scorticandole. Le labbra si seccarono, mentre gli occhi si arrossivano e lacrimavano per via dello sfregamento. Jennifer, colta da una sensazione, un formicolio nella sua mente, sollevò lo sguardo verso un palo della luce. Sulla sua sommità era presente una telecamera. La piccola spia rossa che ne indicava il funzionamento, come una piccola coccinella rossa, si spense in un battito di ciglia. Sta arrivando, lo sento. È arrabbiato, molto più del solito. Ed è più forte. Questa volta non sarà facile, non che lo sia mai stato, ma questa volta sarà davvero difficile. Ti prego, Dio, lo so che non sono proprio una tua devota credente, ma ti prego, se davvero esisti, proteggici. Se esiste il male, allora deve esserci anche il bene. Per favore, Dio, proteggi i miei amici!
I pensieri di Jennifer furono sfuggenti e lesti come piccole scariche elettriche. E in quella nebbia di polvere e sabbia (sabbia!?), un'ombra nera si palesò a poco più di quindici metri da loro. In pochi secondi, il vento calò d'intensità e il pulviscolo si posò, adagiandosi al suolo e distendendosi come un velo sul cemento arido della strada. L'ombra ora era chiara, una figura distinta i cui particolari erano ben visibili. Era identico a come Chris lo ricordava. Si sentì come catapultato indietro nel tempo, sparato a ritroso dal cavo che lo teneva ancora alla schiena e che all'improvviso lo aveva tirato fino a strattonarlo mesi e mesi addietro, un viaggio temporale, ma fatto con la mente. Un brivido terrificante lo fece gelare come un koala al polo sud. Mentre lui si drizzò, gli altri furono presi dai tremori. I loro occhi furono proiettati verso l'esterno, sgranati più che mai. Come aveva fatto Chris a non avere un infarto alla vista di un essere così mostruoso?
Vestito con un elegante smoking nero, un cappello trilby in testa con ciuffetti che pendevano come piccole ragnatele annerite, guanti artigliati e centrino della nonna a coprirgli il volto. Era la cosa più spaventosa e assurda che avessero mai visto. Gemme di occhi fucsia fosforescenti dipanavano con la loro luce la foschia che intanto era scesa, nebbia lamentevole che ingrigiva la visuale sul nemico. Denti aguzzi sbucavano sporgenti come lame dallo strappo che gli faceva da bocca, lacerazione su quel velo adornato con merletti. Una voce cupa e grave dilaniò l'aria, come sparata da un compressore. «Volete farmi il culo, ho sentito bene!? Perfetto! Vediamo chi di voi oggi morirà! Sappiate che concentrerò tutta la mia forza su Chris, perché lui è il goffo ometto protagonista di questa fantasia!». Chris diede un urlo di sfogo e disperazione. «Preparatevi!» ordinò Leonard. «Sì, capitano!» rispose Thomas.
Tutti tesero i muscoli e i nervi ed erano pronti a subire il primo attacco. Il mostro curvò le gambe piegando le ginocchia in avanti, mentre allargava le braccia ai lati delle spalle. Tre metri e mezzo di apertura alare, grosso come un albatros. Gli artigli metallici scintillarono emettendo un flash come se fossero stati illuminati dalla luce solare. Peccato che il sole fosse coperto in quel momento. Una sferzata di vento colpì in pieno gli Sfigati che ruzzolarono a terra, imbrattandosi nella polvere. Cominciarono a tossire a causa dei grumi che intasavano le loro vie respiratorie. Le loro gole erano diventate secche, come se tutta l'umidità all'interno del palato fosse stata prosciugata, come quando viene chiusa una diga e seccato il bacino sottostante. Notarono che i loro vestiti avevano dei piccoli tagli. Sulle gambe, sui volti e sulle loro braccia scorrevano piccole strisce di sangue che si asciugavano a causa del vento che soffiava. Era come se tante lamette avessero procurato piccole incisioni sulla loro pelle. Le ferite bruciavano come se gli avessero buttato sopra dell'alcol. «Che cazzo è successo!?» chiese sbalordito Leonard, strabuzzando gli occhi. Il mostro aveva le braccia incrociate davanti al petto, come se avesse... spazzato via l'aria. «Ora sembra più Wolverine» chiosò Lucas. «Ragazzi, non avviciniamoci troppo! Proviamo con gli attacchi a distanza!» disse Chris. «D'accordo, avete sentito!? Attacchi a distanza!».
L'urlo di Leonard spronò le menti degli altri. In contemporanea, Sophia sparò una doppia fiammata dai palmi, Jennifer sparò un'onda mentale puntando il palmo della mano destra verso il nemico, Lucas un doppio getto d'acqua, Thomas invece un fulmine. Ma prima che gli attacchi lo raggiungessero, il demone ringhiò con un lamento che fece vibrare le abitazioni circostanti. Alcuni vetri di auto andarono in frantumi. L'onda d'urto sferzò contro i ragazzi che rovinarono con la schiena a terra, mentre i loro colpi si persero nell'aria. «Mi dispiace, ma i vostri attacchi sono troppo deboli contro questa versione! Un po' mi dispiace che finirà così in fretta! E io che avrei voluto divertirmi ancora un po' con voi. Che ne dite, balliamo tutti insieme la macarena!?» strillò il mostro, ridacchiando in preda a una folle euforia, eccitato come una belva in calore. «Cazzo!» urlò Jennifer. «Jennifer, qualche suggerimento!?» domandò Leonard. «Tesoro, ti prego, fatti venire in mente qualcosa!» la supplicò Sophia. «Sì bambolina, se hai un coniglio nel cilindro, è arrivato il momento di tirarlo fuori!» esclamò Thomas, ridacchiando in preda al panico. Lucas intanto era sbiancato, mentre Chris balbettava farfugliando suoni senza significato. «Ci penso io, ragazzi!» trillò all'improvviso Taylor. Gli taglierò la gola, pensò la biondina. Si alzò e corse verso il nemico scattante e con sguardo fisso, inarcando verso il basso le sopracciglia.
«Oh, la mocciosetta ossuta vuole tagliarmi la gola forse!? Vieni, vieni, fatti sotto!», pronunciò il mostro, tra l'iracondo e l'ironico. Il demone allargò le braccia e con schiena così curvata da essere quasi parallela al terreno, corse incontro alla piccola biondina che le stava venendo incontro. «Dannazione! Aiutiamola, presto!» urlò Leonard. Tutti i ragazzi corsero incontro al bestione di due metri e trenta che, come un treno merci in corsa, calpestava il terreno come se sotto alle suole delle sue scarpe di alta classe (Louis Vuitton per l'esattezza) ci fossero dei blocchetti di ferro che tintinnavano a ogni concitato e violento passo. Diede un ruggito di carica, descrivendo un arco con il braccio destro in direzione di Taylor. Le fulgide e limate lame dei suoi artigli stavano quasi per colpire la bambina, quando il mostro sentì come se qualcuno l'avesse afferrato al polso e avesse deviato la traiettoria del suo attacco, quel tanto che bastava per evitare che Taylor venisse infilzata. Le lame si conficcarono nel terreno, spaccandolo come tufo, che, sgretolandosi, lasciò profonde cicatrici.
Taylor, evitato il colpo, si portò al suo fianco, passandogli sotto il braccio destro. Il demone mosse gli occhi in maniera indipendente come quelli di un camaleonte. Uno puntava la piccola Taylor, l'altro Jennifer. Era stata quest'ultima con la forza della sua mente a evitare che Mister Lame (nome ufficiale datogli da Thomas) infilzasse l'amica. Lurida puttanella, te la farò pagare. Quel pensiero minaccioso arrivò all'orecchio di Jennifer come un mormorio, chiaro e distinto in mezzo al trambusto provocato dalle grida di carica degli amici. Frattanto, Leonard era sospeso a mezza altezza e stava puntando il braccio sinistro, gonfio quanto la coscia di un manzo, in direzione del nemico. Fumava dai pori del suo braccio e sfiatava come se l'aria all'interno non riuscisse più a comprimersi e volesse tornare verso l'esterno. «Beccati questo, mostro!» gli strillò contro. Il demone, in una frazione di secondo si ritrovò con mezza faccia squartata. Un violento boato esplose in aria, una cannonata degna del più potente dei carrarmati. L'urto fece saltare in aria parte del manto stradale a pochi metri alle spalle del mostro. Metà del velo era sparito, mentre l'altra metà era bruciacchiato. Un bulbo oculare con tanto di nervo penzolava da un'orbita. Carni annerite e mollicce pendevano come budini dalle ossa scoperte, verdognole come ricoperte dalla muffa. All'improvviso, un odore di feci, uova marce e putrefazione infestò l'aria. Un lamento flebile singhiozzò dalla gola del mostro.
Leonard ricadde a terra con il sedere, lanciando un guaito di dolore. Il rinculo lo aveva sparato all'indietro. Il mostro ora tremava, incapace di credere che dei mocciosi gli avessero inflitto un simile danno. Ancora frastornato, un liquido trasparente lo inzuppò dalla testa ai piedi, appesantendo i ciuffetti di capelli che gli sbucavano da sotto il cappello. Lucas gli aveva spruzzato dell'acqua. «Thomas, attacco combinato!». «Vado!» rispose il ragazzo alla dichiarazione dell'amico. Posizionò le mani a pochi palmi le une dalle altre, come a voler lanciare la kamehameha di Goku. Con un movimento ondulatorio come quando si lancia una palla da bowling, puntò i palmi verso il bersaglio e una luce bianco-azzurra scintillò fulminea. Mister Lame venne scosso da una violenta scarica elettrica che lo fece sobbalzare e sfrigolare come una frittura. Una puzza intensa di bruciato impregnò l'aria, mascherando gli sgradevoli odori che già la permeavano. Un secondo lamento, questa volta più lancinante, proruppe dal demone. La sua testa tremava come se qualcuno gliela stesse scuotendo. Fu proprio in quel momento che Taylor, salita sulla schiena del mostro, che per la scossa si era inginocchiato, lo infilzò con un osso acuminato al collo. Come un'arteria recisa, un fiotto sgorgò e spruzzò liquido nero e denso, viscido come bava di lumaca.
«MALEDETTI!» strillò sguaiato. «Finiamolo!» gridò Chris. Il mostro, con il lato destro del volto fumante di un vapore grigio-argenteo e i tendini a vista che pulsavano come attraversati dai sussulti di un cuore, sollevò lo sguardò e avvertì il pericolo. Mentre Taylor saltava dalla sua schiena, in lontananza vide un puntino arancione, come la fioca luce di una stella lontana in una sera nuvolosa. Un sibilo attraversò l'aria e poi un... WHEEZE! Un rantolo, un flusso di acqua incanalata in una tubatura, un... raggio laser. Fu investito da un calore intenso e da un'abbagliante luce arancione. Tale fu la violenza del colpo che fu trapassato. Avvertì un senso come di leggerezza allo stomaco ed emise suoni gutturali a causa dei grumi di sangue che si aggrumavano in bocca, inondandogli la gola. Il raggio proseguì per molti metri, dissipandosi come una fiamma che si spegne al vento. Un foro grosso come due palloni da calcio di diametro si era aperto, lasciando cadere viscere e carni morte a terra, mollicce, disgustose e nauseanti. Puzzo di decomposizione fece trasalire i ragazzi che si allontanarono di qualche passo. Chris aveva la maglietta quasi del tutto bruciacchiata e strappata sul petto. «M-m-maledetti... b-b-ballerete... alla fine, ballerete anche voi, non p-p-potete sfuggire al Caos, il vero ordine delle cose».
Quelle parole squillarono come una profonda rivelazione, come se qualcuno gli avesse appena mormorato sul punto di morte il segreto della vita. Non compresero mai il significato nascosto di quella affermazione, ma sapevano che era importante. Era importante per l'anima, come se fossero stati esposti per un attimo a un piano di coscienza superiore, qualcosa che mai più ebbero modo di provare nella loro vita. Per un attimo furono dèi e non più uomini. Avevano la conoscenza assoluta e così come li aveva folgorati, come una cotta a prima vista per un ragazzo o una ragazza, allo stesso modo li abbandonò, facendoli trasalire e ritornare alla realtà.
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