CAPITOLO 8 (Parte 2)

«Tranquillo, Thomas» rispose la ragazza. Leonard scosse per un attimo la testa e guardò di nuovo Jennifer. La magia era purtroppo terminata. «Ok... allora a domani» le disse con tono affranto, mascherato in buona parte da un ghigno un po' forzato. «Certo... a domani Leonard... ciao Thomas». «Ciao dolcezza!» esclamò Thomas imitando la voce del Sergente Latino Sexy. Leonard si voltò e, con le mani nella tasca, cominciò a salire i gradini. «Ho interrotto qualcosa?» chiese quasi con preoccupazione Thomas, come colto da un intuito. «No, niente, tranquillo» rispose l'amico con un sorriso tanto grande quanto falso. No, tranquillo! Mi hai soltanto rovinato il primo bacio della mia vita, e con la ragazza più bella dell'universo, per giunta! Che tempismo! Jennifer intanto aveva aperto la porta e si apprestava a richiuderla. Buttò un ultimo sguardo verso le scale. Notò il volto di Leonard guardarla per un attimo e poi girarsi. Si vergogna forse? Ma quanto è tenero! Chiuse la porta. «Allora Jennifer, lo hai baciato?» chiese entusiasta Sophia, saltellando incapace di trattenere la gioia per la sua amica. «Allora Jennifer, ti ha baciata?» domandò Taylor, strabuzzando gli occhi, mossa da un'ammirazione a lei poco chiara nei confronti della sorellona. «Be' in realtà... no, non ci siamo baciati» rispose affranta, con un tono di voce calante, come a spegnersi, come il rumore di una marmitta d'auto che si allontana. «Tranquilla, fa niente! Alla fine vi bacerete! E farete l'amore!». «Per diamine Sophia, ma la metti sempre così!?» arrossì Jennifer, tonando con voce squillante.

Sophia si mise a ridacchiare, suscitando l'ilarità anche di Taylor che portò entrambe le mani alla bocca, a voler in parte soffocare il fiato che intanto le solleticava i palmi. Jennifer, rincuorata dall'amorevole armonia che sprigionavano le amiche, sorrise e si mise a ridere anche lei. Le loro voci risuonarono nell'appartamento come un'allegra melodia di fiera, gioiosa e priva di qualsivoglia inganno recondito. Purezza immacolata erano quelle note, voci che via via lasciavano il mondo della fanciullezza, per avviarsi come un'auto senza freni verso l'età adulta. Tale fu lo sferzare di quelle risa, che spazzò via perfino i cattivi pensieri provocati dalla presenza costante di quello là. Un sorriso per abbattere il Male. Una cosa non poteva sopportare quella malefica entità, che osservava con livore e ira quelle giovani vite. Quelle otto prede che gli sfuggivano, gli provocavano malessere, ma allo stesso tempo lo eccitavano in un modo perverso, in maniera difficile da provare e comprendere per un essere umano. Qualcosa di simile a quella di un assassino che maciulla le sue vittime e vede il loro sangue sgorgare a fiotti, possiede le loro vite e le vede spegnersi tra le sue mani. Jennifer più di tutti. Li odiava, ma allo stesso tempo li amava, con tutto il suo potere, con tutte le sue energie. Sarebbero stati le ciliegine sulla sua torta, un prelibato dolce fatto di orrore, terrore e morte, un putrido miscuglio di oscenità e sangue, carni intrise di sentimenti velenosi, accartocciate e arricciate, a produrre una fragranza afrodisiaca e nefasta. Alla fine, ballerete tutti... e sarà un'orgia senza fine.

***

Maggio stava per finire e avrebbe passato il testimone a giugno, lento come i cicli naturali che sconvolgono la Terra tra un'era geologica e un'altra. Il tempo in quella cittadina trascorreva in modo diverso rispetto a come lo percepivano le persone nel resto del mondo, trasportate dal ritmo serrato della frenesia della società moderna. Mentre per i giovani mutanti, nonostante la ciclicità di certi rituali come l'andare a scuola o il coprifuoco alle dieci di sera, il tempo aveva tutto un altro significato e alle volte sembrava non esistere. Così come gli uomini dell'antichità, che seguivano i fenomeni naturali e l'orologio biologico per adattarsi alla vita quotidiana, allo stesso modo gli Sfigati si lasciavano tirare dallo scorrere degli eventi, come una fune che tira un sacco su per un'altura. Mancavano ormai poche settimane alla fine delle lezioni e, quando ciò sarebbe avvenuto, lo scorrere lento degli eventi sarebbe diventato ancora più evidente. Era come se al mondo ci fossero due orologi, uno per Primestone e uno per il resto degli abitanti del mondo. Ciascuno di loro muoveva le lancette e rintoccava a ritmi diversi, desincronizzati in maniera incomprensibile, che a trovarseli di fronte ci si sarebbe scervellati nel cercare una giustificazione. Non una giustificazione morale, ma matematica. Come trovare le equazioni per descrivere il moto rettilineo uniforme oppure quello uniformemente accelerato. Forse, dopo un po', ci si sarebbe rassegnati all'idea di trovare una soluzione. Era un fenomeno che andava ben oltre la mente aritmetica dell'uomo, come giustificare il perché dell'esistenza piuttosto che il contrario. E ogni volta il proponimento era sempre lo stesso: evitare di chiederselo. Peccato che nessuno mai lo seguisse, Sfigati compresi.

Giorno dopo giorno si rendevano conto di quanto sfuggenti diventassero sempre di più quei ricordi violenti che provocavano vertigini momentanee, turbinii elettrici nella testa. La Nonna Pervertita di Leonard, L'Uomo Nero di Taylor e Jennifer, il Corvo di Sophia, il Freddy Krueger di Chris, il Barboncino dopato di Ed o il graboid di Lucas. Mancava all'appello solo Thomas. Il ragazzo sembrava ignorare del tutto questo fatto, ma gli altri sapevano che prima o poi sarebbe toccato anche a lui, come è certo che, se si viene colpiti da un proiettile, questo, nella migliore delle ipotesi, ti lascia un bel foro. Sembrava ignorare che sarebbe arrivato il suo momento, orribile e pauroso come sempre, ma forse, nel profondo del suo animo, sprofondato come nell'abisso dell'inconscio, sapeva che sarebbe toccato anche a lui, il giudizio di quello là lo avrebbe raggiunto. Era come provare a fare una gara di corsa con la luce. Niente è più veloce della luce. Alla fine lo avrebbe raggiunto. Eppure, sembrava che quei ricordi stessero via via affievolendosi, come vetri d'auto che si appannano sotto la pioggia, celando la vista di ciò che c'è oltre. Allo stesso modo, sembrava che qualcosa facesse di tutto per nascondere quei ricordi nefasti e penetranti, come un chiodo che si fa strada dentro le venature di un asse di legno. Intanto, le nubi si stavano aprendo su Primestone, circondata in modo perenne per buona parte dell'anno. Con l'approssimarsi dell'estate, sembrava esserci una sorta di tregua. Il sole caldo di maggio occhieggiava dal cielo rendendo i prati straordinariamente verdi e rigogliosi, mentre i palazzi e le case vuote assumevano un aspetto meno inquietante e più vivo, come una crema di bellezza che vivacizza un po' un viso spento. Quel tempo infondeva leggerezza nel cuore nelle giovani vite che lo abitavano (anche agli adulti a dire il vero).

Primestone era addormentata sotto una bolla invisibile che la isolava dal mondo, e la vita procedeva ignara di come il resto dell'esistenza avesse deciso di andare avanti. A dirla tutta, forse, il tempo a Primestone scorreva assecondando più i ritmi dell'universo, che quelli degli uomini e, da questo punto di vista, la città era in qualche modo più naturale, più incontaminata, come una foresta pluviale non ancora esplorata. Ma di naturale a Primestone c'era ben poco. In due anni qualcosa aveva ucciso ventinove tra ragazzi e bambini, trucidandoli e massacrandoli peggio di come si farebbe con le bestie d'allevamento. Per fame? Probabile. Per gioco? Dipende dalla definizione di gioco. Se s'intende eccitarsi mangiucchiando cadaveri, mozzare arti e nutrirsi di carni intrise di paura, allora la risposta è sì. Quello là, definizione vaga e precisa allo stesso tempo, si divertiva in una maniera del tutto contorta e incomprensibile a provocare quanto più danno psicologico potesse alle persone, soggiogandole nei loro sogni, con le loro paure, allucinandole nei modi più variopinti possibili. Quello là, considerava gli uomini un peso? Una minaccia? Cibo? Era impossibile stabilire con certezza matematica cosa si formasse nella mente (aveva una mente?) di quell'essere che di terreno aveva ben poco. La sua realtà era diventata così certa che sembrava quasi essere diventato un membro della città, come un cane randagio che tutti i giorni ti fa visita al cancelletto del giardino e che alla fine decidi di adottare. Ecco, Primestone aveva adottato quello là, o forse era il contrario. Se la città si fosse rifiutata, state certi che avrebbe forzato il cancelletto e avrebbe piazzato una bella tenda da campeggio al centro del giardino. Ormai c'era e non se ne sarebbe andato mai, se non forzato. E chi mai l'avrebbe potuto forzare? Neanche gli Sfigati si rendevano conto di quanto fosse vasto il suo potere, sicuri delle abilità di Jennifer. Stavano crescendo e in qualche modo ciò non li rendeva più forti, ma più deboli. Jennifer capiva ormai che il tempo a loro disposizione stava per scadere e che andarsene da Primestone non poteva più essere un'utopia, ma doveva essere un'esigenza impellente, come mangiare, bere o respirare. Dovevano andarsene.

Pensare è semplice. Si può immaginare di battere le braccia e spiccare il volo. Chi vieterebbe mai una cosa simile? Magari sarebbe opportuno non dirlo in giro, ma ciascuno di noi ha qualche fantasia più o meno grande. Il problema è poi tramutare il pensiero, i sogni, i desideri in realtà. Jennifer negli ultimi giorni pensava sempre più a questo problema e ogni volta che ci rimuginava sopra non trovava una soluzione diversa. Dovevano sconfiggere tutte le loro paure. Mancavano ancora tre scontri. Gli altri ragazzi sembravano più rilassati, ma non per noncuranza o pigrizia: era colpa di quello là. Esercitava sulla città una sorta di influsso che annebbiava la mente, effetto che era quasi del tutto assente in Jennifer. L'unico che sembrava averne qualche sentore era Leonard, che percepiva il pericolo in modo più distinto rispetto agli altri. La ragazza sapeva che più tempo sarebbero rimasti, più facile sarebbe stato sconfiggerli e ucciderli. Le sue prede preferite, le uniche che sono riuscite a fuggire tutte le volte. Un gruppo di ragazzetti che il destino aveva fatto incontrare, uno strabiliante gioco di prestigio programmato con accuratezza maniacale. Il fatto che si sarebbero incontrati era scontato come il fatto che se si moltiplica un numero negativo per uno positivo, il risultato è un numero negativo. Erano da stabilire solo le circostanze, una serie di percorsi che seguono strade diverse ma che alla fine portano tutte alla stessa destinazione.

Quella domenica, l'umidità rendeva la pelle appiccicosa come nastro adesivo e si attaccava ai vestiti come una ventosa. Il solo pensiero che luglio e agosto sarebbero stati ancora peggiori faceva sudare gli Sfigati. Se ne stavano nel nuovo appartamento dei ragazzi, chi disteso sul divano come una foca sul ghiaccio, chi buttato sul letto come un pesce lesso su un piatto, chi seduto, sciolto come un budino a temperatura ambiente. Un inferno in miniatura. Le loro fronti gocciolavano come delle grondaie. Non c'erano ventilatori e nemmeno l'aria condizionata. Uova sode inumidite nel loro sudore. Sonnecchiavano abbattuti da quella calura eccessiva per il mese di maggio. La temperatura era di almeno quattro, forse sei gradi Celsius sopra la media stagionale. Le ragazze stavano sul letto in canotta (senza reggiseno) e pantaloncini. Sophia aveva già intimato in maniera più rude e aggressiva possibile ai ragazzi di non avvicinarsi alla camera. «Se qualcuno di voi prova a buttare un'occhiata in camera, giuro che vi strizzo le palle come si fa con i panni e ve le lancio dal monte Sik!» esclamò con una tale foga che la sua gola si seccò già a metà frase, con gli occhi iniettati di sangue. Thomas aveva provato a protestare in maniera timida, asserendo: «ma se dobbiamo andare in bagno? Dobbiamo passare per forza davanti alla camera». Lo disse con una vocina che sembrava quella di un bambino di sette anni, con la mano alzata, quando si chiede alla maestra il permesso per andare in bagno. Aveva lo sguardo basso, incapace di mantenere il contatto visivo con Sophia. Sentiva già il mugolio di rabbia della ragazza che stava per partire come un caccia in missione di bombardamento, quando Leonard gli diede una gomita al fianco e disse: «chiudi gli occhi e procedi lo stesso!». «Esatto!» chiosò Sophia con tono di soddisfazione.

Ora Leonard era in cucina. Un piccolo flusso d'acqua gli scendeva per la gola, rinfrescante acqua di frigo. Chissà quanto arsenico c'è qui dentro, pensò. Ma ormai per lui e per gli altri era come fare affidamento su una medicina giornaliera e non ci facevano neanche più caso. Posò il bicchiere con pesantezza sul tavolo della cucina, con fare distratto e pensieroso, e si diresse verso il soggiorno. Lucas sonnecchiava sulla sedia, Thomas ed Ed sul divano, mentre Chris era andato in bagno. I tre ragazzi sembravano degli angioletti stanchi. I loro capelli erano umidi di sudore e un lieve tanfo solleticò il naso di Leonard. Dio, se Lucas sentisse questa puzza, si metterebbe a urlare e costringerebbe tutti a farci il bagno. In quel momento, Leonard sentì il lento strisciare delle pantofole di Chris, che procedeva in maniera goffa dal bagno verso il soggiorno. Aveva una mano sul volto e con l'altra tastava il muro della parete opposta alla camera da letto dove dormivano le ragazze. Strisciò il muro come farebbe un rullo per dare una mano di vernice. Quando si accorse di essere a distanza di sicurezza, tolse la mano dal viso e si avvicinò verso Leonard sollevato, facendo un sorrisetto. «Certo che le ragazze sono sempre problematiche» asserì a bassa voce Chris. Leonard annuì. «Senti Chris, ti devo chiedere una cosa». «Dimmi pure». Leonard aveva lo sguardo basso e perso nel vuoto, come se stesse pensando a qualcosa con intensità, a tal punto che sembrava che da un momento all'altro gli dovesse scoppiare il cervello. «Ti ricordi di quello che ci ha detto Sophia riguardo alle mura interne?» domandò Leonard all'improvviso, come se il suo cervello si fosse riattivato dopo un periodo di pausa. In sordina gli era venuta quell'idea ma, come spesso accade, avrebbe cambiato i loro destini, portandoli in maniera inevitabile lungo dei binari prestabiliti.

Chris ci rifletté qualche attimo, come a voler metabolizzare al meglio quella domanda e dare la migliore risposta possibile. «Intendi il fatto che una volta ha sentito delle urla oltre le mura interne?». «Sì, esatto!» squillò Leonard a voce più alta. Una vampata d'imbarazzo gli infiammò il collo. Temeva di aver svegliato gli altri. Vide Ed fare uno sbadiglio per poi girarsi sull'altro fianco. Thomas e Lucas invece respiravano con regolarità. «A proposito di ciò, ho fatto qualche ricerca». «Che hai trovato?» chiese Leonard con curiosità. «Ho letto dei ritagli di giornali e degli articoli dell'epoca. Qui a Primestone c'era una setta che stanziava in una grossa villa e i cui membri furono accusati di portare avanti sacrifici umani. Li chiamavano i Giustizieri di Cristo». Una pallottola di saliva si fermò in gola a Leonard. Fece una gran fatica a deglutire. Il fiotto scese giù come un bottone, raschiando l'esofago. «S-s-sacrifici?». «Già, sacrifici. Molti membri furono arrestati, ma la setta non fu mai smantellata. Si diceva che avessero gravi anomalie nell'aspetto, tipo i mutanti, ma di quelli brutti, capisci?». Leonard annuì muovendo la testa come se avesse voluto agitare un cocktail. «Avevano bevuto tipo dell'acqua contaminata o roba simile... stavi pensando di fare qualcosa Leonard? Hai in mente un piano?». Seguì qualche secondo di silenzio. Leonard tornò a rimuginare con sguardo fisso al pavimento. Quando faceva così, Chris già sapeva che all'amico sarebbe venuta in mente un'altra delle sue meravigliose (e a volte avventate) idee. «Stavo pensando che dovremmo trovare un modo per guardare oltre le mura». «Oltre le mura?» domandò Chris con fare perplesso, strabuzzando gli occhi, per poi proseguire. «Sai, anche Lucas e Thomas hanno detto di aver sentito grida provenire dalle mura interne, ma quelle che hanno sentito loro erano più grida di pazzi, Sophia ha sentito invece urla di disperazione... comunque, a detta loro, salendo sui tetti delle case nei pressi delle mura, si riescono a intravedere solo i tetti e i piani delle case più alte, non si ha una panoramica completa».

Leonard rimase qualche altro secondo in silenzio. «Il campanile». «Come?» domandò Chris. Lo aveva detto con voce così bassa che sembrò un mormorio del suo cervello, piuttosto che una reale esclamazione in un dialogo tra due persone. «Ho detto il campanile, quello a Violet Market che sta poco oltre lo store. È il punto più alto della città, credo. Non mi vengono in mente edifici più alti. Che ne pensi?». A Chris brillarono gli occhi. Sembrava un'idea meravigliosa. Accennò a un passo indietro, come se fosse stato investito dalla luce di un faro. «Hai ragione. È molto alto ed è abbastanza vicino alle mura interne. Si dovrebbe vedere benissimo cosa c'è». «Sono d'accordo» asserì una vocina alle loro spalle. Era quella di Jennifer. Il suo passo felpato, il peso piuma e l'assenza di pantofole avevano attutito il suo avvicinarsi. Leonard e Chris portarono subito le mani agli occhi. «Ragazzi... perché vi mettete le mani in faccia?» chiese la ragazza perplessa, inclinando di poco la testa. «P-perché sei in canotta e pantaloncini. Se ti guardiamo, Sophia ci ammazza!» disse Chris, senza preoccuparsi di celare quel tono di viva preoccupazione. Leonard aveva avvertito un calore intenso su tutto il corpo e si era irrigidito come se fosse stato legato a una tavola di legno. Jennifer notò che tremava leggermente e arrossì. Le tornò alla memoria quel momento sul pianerottolo, dove i loro sguardi si erano incrociati e le loro labbra avevano vacillato, avvicinandosi come due magneti di polo apposto. Un formicolio allo stomaco la fece sobbalzare, non col corpo, ma nella mente.

«Tranquilli, Sophia esagera sempre, non mi dà fastidio. Potete aprire gli occhi». Chris e Leonard, titubanti come se Sophia potesse sbucare alle spalle di Jennifer per incenerirli, tolsero le mani e le adagiarono sui fianchi, a scatti, come se avessero vecchie giunture arrugginite al posto dei legamenti. Leonard osservava Jennifer come un critico d'arte osserverebbe un quadro di Picasso appena scoperto. Le sue gambe sottili scoperte, la pelle liscia e bianca come un fazzoletto, i pantaloncini grigi, quei fianchi appena accennati, ma che già suggerivano la bellezza di quella futura donna. La canotta bianca, che si adagiava in modo discreto sui piccoli seni, le scendeva lungo il corpo lasciando scoperto un filo sottile di ventre piatto. I capelli erano arruffati come il pelo di un furetto, con quel visino ancora in bilico tra quello di una graziosa bambina e quello di una donna da copertina, e gli occhioni verdi erano limpidi come un mare tropicale. Una frangetta appesantita dall'umidità le copriva la fronte, rendendo più sottile il suo volto. Leonard sentiva le farfalle nello stomaco, un gran trambusto di fanfara nella sua mente, fiamme e rossore a chiazze su tutto il corpo. Insomma, un gran caos gli procurava quella ragazzina: quel sorriso per Leonard era come un colpo di pistola.

«Comunque, dicevo che secondo me dovremmo salire sul campanile a buttare un occhio. Può essere che scopriamo qualcosa di utile». «Benissimo! Quindi, dobbiamo solo dirlo agli altri» chiosò Chris. «Già abbiamo sentito tutto» risuonò una voce alle loro spalle. Leonard e Chris si voltarono, mentre Jennifer fece capolino oltre le spalle dei ragazzi. Era stato Lucas a parlare, accovacciato sulla sedia, con le gambe incrociate. Anche Ed e Thomas si erano svegliati e scrutavano Jennifer con occhietti vispi ma tremanti. L'idea che Sophia potesse sbucare da un momento all'altro, li terrorizzava quasi quanto quello là. «Che ne pensate?» domandò Leonard. «Fe penfi che fia una buona cofa, allora va bene» rispose Ed annuendo. Thomas frattanto, saltò dal divano col petto in fuori, la schiena dritta e con sguardo fiero esclamò con la voce del Sergente, facendo il saluto militare: «fino alla morte la seguiremo capitano!». Batté il tallone del piede destro contro quello sinistro. Una sottile esclamazione di dolore gli uscì dalla bocca. «Tanto ormai viviamo sul filo del rasoio, che vuoi che succeda se scaliamo un campanile» pronunciò Lucas. Per un attimo, tutti furono colti da un presagio di sventura. Stettero per qualche secondo a fissarsi l'uno con l'altro. Era mai possibile che tutti, nello stesso momento, avessero avuto la stessa sensazione? Quello stato di apparente catarsi fu interrotto dalle grida di furore di Sophia. «Jennifer, ma è modo di presentarsi!? Sei mezza nuda! Maniaci, voltatevi!» tuonò la ragazza correndo dal corridoio come un toro inferocito. Si era vestita con pantaloncini di jeans e t-shirt e aveva raccolto la sua chioma in due spesse spine di pesce che le scendevano ai lati della testa. Ha il reggiseno, notò Chris, preso da una lieve fiammata alle guance. Sophia prese in braccio Jennifer e la portò nella stanza da letto. «Sophia piantala! Non ero mezza nuda, non fare l'esagerata!» si lamentò Jennifer, ma non ci fu verso. L'amica richiuse la porta alle sue spalle sbattendola con una tale foga che i ragazzi la sentirono scricchiolare, come se i cardini stessero per cedere.

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