CAPITOLO 7 (Parte 3)
Jennifer posò la sua piccola mano sulla fronte dell'uomo. Era freddissima, bagnata di sudore, ma fredda. Chiuse gli occhi. Intanto Sam era completamente avvolto da lunghe e putrefatte alghe nere. Si agitava, ma aveva la sensazione che più si muoveva, più la morsa si stringeva. La sua forza fisica era inutile in quel mondo, dove le leggi della fisica non hanno senso. Credeva ormai di essere spacciato e di finire in un limbo infinito, un incubo da cui non c'è via di fuga. L'unica soluzione era arrestare il ciclo, ma farlo avrebbe significato morte. Sam aveva la sensazione di poter spegnere il sistema. Sapeva che quella alternativa gli era stata lasciata apposta. O soffri per l'eternità oppure ti uccidi, a te la scelta. E Sam non aveva dubbi, preferiva di gran lunga morire.
In fondo al suo animo, significava arrendersi e lasciare Jennifer da sola. Perfino in quel momento estremo, i suoi ultimi pensieri erano rivolti a un'altra persona, a salvare la vita degli altri. Come uscire dal loop, senza resettare tutto? In alcuni computer esistono dei meccanismi che permettono di ristabilire la condizione di normalità, di risolvere lo stallo, eliminando la causa o le cause dello stallo stesso. Ma come fare? Chi avrebbe potuto aiutarlo a risolvere quel problema? Poi si ricordò di Jennifer, una ragazzina che trovava straordinaria per il suo potere e soprattutto per la sua forza di volontà. Quella gracile fanciulla era... divina. Aiutami... ti prego Jennifer, aiutami... soffitto. Il soffitto della camera.
Sam aveva riaperto gli occhi. Aveva la sensazione di affogare, ma capì di essere uscito da quella lunga apnea. Girò gli occhi di poco verso la sua destra e vide la preoccupazione negli occhi di Jennifer, una luce cupa in fondo nella sua retina. Gli stava accarezzando la fronte, lisciandolo con dolcezza e aggiustandogli il ciuffo, inzuppato di sudore. Tutto il suo corpo era fradicio, come di paura. Faceva fatica a respirare e il suo petto si gonfiava in modo vistoso. Jennifer l'aveva salvato. Aveva spezzato l'incubo e aveva ripristinato il sistema. L'uomo si sollevò di scatto e fissò Jennifer negli occhi. La ragazzina ostentò un sorriso, come quello di una (mamma) persona sollevata nel ritrovare qualcuno di caro. Sam, d'istinto, l'abbracciò e le baciò la testa. Tremava tutto, come un bambino spaventato. Jennifer si sentì forte, ma allo stesso tempo provava insicurezza. Aveva salvato il suo amico, ma non sapeva come comportarsi con un uomo adulto che l'abbracciava e la ringraziava, era la prima volta. Divenne rossa e affossò le sue guance nel petto scolpito di Sam, chiudendo gli occhi. «Non è ancora finita... alla fine, ballerete...» bisbigliò una voce sinistra. Sam e Jennifer sobbalzarono, rinsavendo da quel momento di calma apparente. «Sam avverto qualcosa fuori dalla stanza» disse con voce tremante. «Anch'io. Tu resta qui, io vado a controllare fuori». «No, aspetta!». Jennifer afferrò Sam per il pigiama e lo guardò con gli occhi lucidi. «Ti prego, ho paura, non ti allontanare da me» singhiozzò. Sam le diede un paio di carezze sulla fronte e disse sorridendo: «sai, avevi ragione, se avessi avuto diciotto anni forse sarei venuto a letto con te». Jennifer lo fissò negli occhi e, mentre se li asciugava con la manica, tirò fuori la lingua per un attimo e disse: «sei un'idiota».
Sam si divincolò e dopo essersi assicurato che non ci fosse niente di anomalo nella stanza (a parte le misteriose macchie nere apparse sulla coperta della ragazza dal nulla), lento come un bradipo, si mise dapprima le scarpe e poi il lungo cappotto di pelle nera. Si avviò verso la porta e l'aprì con calma snervante. Il tempo gli sembrò rallentare. Pericolo. Fuori la pioggia continuava a cadere, ma era piuttosto debole. Quando ebbe spalancato la porta, diede una rapida occhiata lungo tutto il corridoio, osservando le porte delle altre camere. Non c'era nessuno. Poi scrutò il parcheggio interno del motel, una distesa di cemento crepato, intervallato da qualche auto di tanto in tanto. La luce della luna era oscurata dalle nuvole e solo un paio di proiettori arancio posti sopra ad altrettanti pali della luce illuminavano quello spazio inquietante. Le goccioline d'acqua sembravano danzare nella luce artificiale, ondeggiare i fianchi come una ballerina di danza classica. Odore di bagnato si avvertiva e... qualcos'altro... ancora zolfo.
Sam sollevò lo sguardo con una tale flemma che impiegò quasi quindici secondi a puntare il suo sguardo verso il lampione, che emanava una luce flebile bianca. Spostò gli occhi verso destra. Vide una sagoma nera a circa sei metri d'altezza, una forma curva e dei lunghi aghi. Sembrano peli. Mi sarò di sicuro sbagliato, cosa può esserci a sei metri d'altezza? Come a voler fare l'indifferente, portò il suo sguardo alla sinistra del lampione. Non c'era nulla. Perfetto, ora guarderò di nuovo verso destra e non troverò niente. Dev'essere stato un gioco di ombre. Mosse con ancora più flemma lo sguardo nella direzione precedente. La sagoma c'era ancora e un rantolo, come un miagolio, solcò l'aria, come a cavalcare l'umidità, oscurando il suono della pioggia che batteva sui tetti, sulle auto e sull'asfalto. Otto piccole sfere fucsia fosforescenti, disposte in due file, quattro per ciascuna, sospese a circa sei metri d'altezza. Sentì uno sbuffo, come un sospiro violento. Dio, fa' che non sia un ragno, fa' che non sia un ragno. Avvertì il terreno vibrare, come se una punta metallica stesse sfregando sulla pavimentazione. Poi avvertì più volte quel suono, più battiti (più zampe). Qualcosa si stava avvicinando.
Quando il cono di luce proiettato dal faro investì quell'essere, quest'ultimo si palesò in tutta la sua forma. Era una tarantola, un gigantesco aracnide con otto occhi, otto zampe terminanti con punte metalliche, placche di lucente materiale color carbonio e tenaglie all'altezza della bocca, quattro enormi pinze come chele di granchio, ma molto più grosse. Il corpo era nerissimo, avvolto da una peluria ispida e polverosa, impregnata di fango e marciume, liquami di fogna e spazzatura. Sbavava un liquido denso e cupo, come olio di motore usato e sembrava ruggire come un grosso felino. Un ragno gigante che ruggisce come un leone, ah, ah, ah. Sam si sentiva come intrappolato nelle sabbie mobili. Se c'era qualcosa che lo terrorizzasse, quelli erano gli insetti, in particolar modo gli aracnidi. Sapeva che più si fosse agitato, più sarebbe sprofondato. Rimanere fermo non era una soluzione, ma neanche attaccare. Sapeva di poterlo combattere, ma non ne aveva il coraggio. Il terrore aveva preso la meglio. Una vocina sembrò in parte distrarlo. «Oh mio Dio».
Era Jennifer che si era alzata dal letto, incuriosita dal fatto che Sam si fosse immobilizzato poco oltre l'uscio della porta, nonostante gli avesse ordinato di restare all'interno della camera. Ha paura dei ragni come Chris? «Sam, hai paura dei ragni per caso?» chiese con esitazione. «E se anche fosse?» rispose lui innervosito. «Sarebbe un problema Sam, perché solo tu puoi batterlo; se hai paura, sappi che non ne usciamo vivi». Jennifer lo disse accompagnando il tutto con una risatina forzata e biliosa. Sam non rivolse mai lo sguardo a Jennifer, intento a fissare ogni singolo movimento del ragno. Non aveva scelta. Doveva dar fondo alla sua spaventosa forza fisica e doveva combattere contro quell'immonda creatura uscita chissà da quale tubatura o canale di scolo. I polsi e le caviglie gli tremavano e il respiro era diventato pungente, quasi fastidioso, come se fosse un impedimento. «Sam ascoltami, è solo un ragno, ok?». «Certo, certo, un ragno di sei metri» ironizzò l'uomo. «Puoi batterlo, Sam. Ok? Devi batterlo». L'uomo stette per qualche secondo in silenzio, come a contemplare il momento. Frattanto notava che, appena sotto il ventre del ragno, colavano dei bozzoli, grossi quanto un uomo. Ci saranno delle persone lì dentro? «D'accordo, Jennifer. Ora torna dentro, chiudi la porta e non uscire per nessuna ragione al mondo. Nel bagno c'è una finestra. Se qualcosa dovesse andare storto, tu scappa da lì» raccomandò lui. «Sam, forse non hai capito. Il nostro viaggio non finirà fino a quando non avremo vinto. Io non scapperò dalla finestra, perché tu vincerai». Vincerai.
Quella parola risuonò in contemporanea a un fulmine che illuminò il cielo come il più grande dei fuochi d'artificio. Fece risaltare ancora di più quel grosso doppio ovale mostruoso, ma allo stesso tempo suonò la carica inaspettata per Sam. Gli sembrò che il timore fosse svanito via in un attimo, come un neonato che, preso in braccio dalla madre, ritrova la gioia. Il ragno gigante, come in un riflesso condizionato, sembrò emettere un lamento lacerante. Fece alcuni passi indietro. «Vai, Sam!». Jennifer, dopo l'esclamazione, chiuse la porta. Sam avvertì la serratura girare. «A noi due, bestiaccia. Non ho mai combattuto contro un mostro, ma come si dice... c'è sempre una prima volta». L'uomo scrocchiò le dita chiudendole a pugno. La paura era diventata determinazione, il timore coraggio. Aveva già capito di aver vinto.
La creatura lanciò un verso, un ruggito, come un cavaliere del medioevo pronto all'attacco sul suo destriero. Ma non ebbe il tempo nemmeno di spalancare la bocca e di tendere le fibre del suo possente corpo. Fu scagliato al suolo, lasciando un solco profondo nel cemento. Nel suo strisciare aveva travolto un paio di auto, rottamandole come vecchia ferraglia. Sam lo aveva colpito con tale forza e velocità, che il mostro aveva il lato sinistro della testa spappolato. Pezzi di carne appesa, disgustoso sangue nero e fucsia colavano come ferro liquefatto, così freddo da produrre vapore. La mascella era separata dalla mandibola penzolante. Il ragno si alzò a tentoni, e osservò Sam che provava a intimidirlo lanciando un altro ruggito, questa volta più sfiatato, come una bottiglia di gassosa aperta per troppo tempo. Sam si ergeva a una trentina di metri di distanza dal ragno. I pugni, gli occhi e le tempie gli si erano illuminati di una luce fucsia fosforescente, uguale a quella degli occhi del ragno. Il pugno destro gli fumava, come uno pneumatico che ha sfregato troppo sull'asfalto. Appariva serio, con le sopracciglia a punta rivolte verso il basso e le labbra strette. Delle rughe poco profonde si erano formate al lato degli occhi.
In una frazione di secondo, il ragno diede una possente spinta con le sue otto zampe. Sembravano dei trampoli, ma più grossi e rinforzati, di metallo elfico, che lasciavano dei segni come cicatrici nel terreno. Con una zampa provò a infilzare Sam a metà busto. Quando la zampa era arrivata a mezzo metro da lui, per Sam il tempo s'era come fermato. Osservava ogni singolo dettaglio del mostro, in particolare risaltarono alla sua vista, con esattezza, i dodici bozzoli sotto la sua pancia. Quelle spesse corde nere in putrefazione, lasciavano libera della carne rosa. Dei volti. La maggior parte non erano familiari a Sam, ma altri tre lo erano eccome. C'era il titolare del motel, la donna con i bigodini in testa che leggeva il vecchio quotidiano sulla panchina e l'uomo di colore che fumava la sigaretta sulle scale. Tutti avevano il volto corrugato e la bocca spalancata, come storpiati da un terrore pernicioso. Li ha catturati. Spero che siano vivi. La zampa si trovava ancora a circa quaranta centimetri da Sam. L'uomo poteva notare le fibre muscolari del ragno che fuoriuscivano dal lato della bocca sfigurato, putrida carne infetta di pustole, lunghe linee di proteine e orrore. Quando l'arto arrivò a trenta centimetri da lui, Sam si era già abbastanza annoiato. In un certo senso, provava ancora un ribrezzo nauseante per quel ragno versione extralarge ma, come aveva detto Jennifer, alla fine era solo un ragno, bastava solo... schiacciarlo!
Quando l'arto del mostro lo raggiunse, come un coltello in volo, l'uomo si era volatilizzato. Il mostro non aveva ancora ritrovato l'equilibrio, che la sua vista termica venne oscurata. Sam lo aveva colpito con un pugno in testa così tanto violento che le carni si sfaldarono come un pesce lesso tra le mani. Un boato violentissimo picchiò l'aria circostante, come se fosse caduto un missile dal cielo. In corrispondenza del terreno, appena sotto la testa del ragno gigante, si disegnò una circonferenza di quattro metri di diametro e profonda un quarto di metro. L'onda d'urto che ne derivò fece tremare i vetri delle camere del motel. Alcune andarono in frantumi. Sam piombò come un gatto sul manto stradale, a pochi metri dal cadavere esanime della creatura. Il corpo sembrava volersi contorcere, ma era solo una conseguenza della muscolatura ancora in tensione. Sam osservò quelle membra prive di vita adagiarsi al terreno. In quello stesso momento, Jennifer aprì la porta della sua camera, dando una sbirciata all'esterno. Vide il corpo del ragno senza testa e un fluido nero che gli colava dal taglio. Melma e carne erano schizzate nel parcheggio, come sugo che trasborda da una pentola in ebollizione. Poco oltre c'era Sam, sembrava arrabbiato. Incredibile, pensò. Lo ha sconfitto in pochi secondi! Quel ragno sembrava più forte anche del Barboncino Dopato di Ed o del pipistrello gigante di Thomas! La sua potenza non smetterà mai di sorprendermi. Sul serio un mutante può raggiungere un simile livello?
Notava del fumo salire dal suo braccio, ma non riusciva a comprendere da cosa fosse provocato. Ma, inattesa come una brutta notizia in una splendida giornata di sole, Jennifer ebbe una sensazione particolare. Le parve in maniera del tutto evidente di conoscere l'uomo da molto più tempo, eppure s'erano incontrati appena due mesi prima. Le sembrava un ricordo alieno, confuso e lontano, un volto amico conosciuto anni prima, ma di cui aveva perso le tracce negli infiniti schemi della memoria. Un tempo che ora non c'era più, di prima che lei nascesse. Ma come era possibile? Io già lo conoscevo, ma dove l'ho incontrato? Captain World... Frattanto Sam, in seguito al secondo pugno, si era spappolato la mano, ma l'uomo era dotato di un formidabile fattore di rigenerazione. L'osso del braccio gli spuntava fuori, una tozza protuberanza bianca. Del sangue rosso con striature fucsia gocciolava con costanza. Dalla ferita usciva del denso fumo grigio, come vapore di una caldaia, che via via diventava sempre più intenso. Circa dieci secondi dopo, una nuova mano era ricrescita al suo posto. Prima si erano formate le ossa, poi le fibre muscolari e i tendini e infine la pelle e le unghie, della stessa misura della mano precedente. Non sembrava provare il minimo dolore, come se fosse anestetizzato. Sam stava ancora fissando il ragno, quando cominciò a evaporare in una nuvola di gas nera che si diradò quasi subito. Al suo posto c'erano dodici bozzoli ricoperti di melma nera e immersi in una pozza di morte puzzolente. Sam si precipitò nel tentativo di estrarre i corpi da quelle trappole. Con le unghie provò a tagliare e strappare quelle robuste fibre. Ci riuscì con non poca fatica.
Per primo liberò il titolare del motel, che purtroppo era morto. A uno a uno provò a liberare tutti i corpi, nel tentativo disperato di trovarne in vita almeno uno. Jennifer intanto, resasi conto che non c'era più alcun pericolo nelle vicinanze, uscì dalla stanza, percorse quella lunga balconata, scese le scale e corse verso Sam. Aiutò l'uomo a liberare i prigionieri, sporcandosi in quel putridume nauseante. Lo sporco arrivava fino ai gomiti e alle rotule dei due. Erano infreddoliti, inzuppati dalla pioggia e da una puzza di feci, fango e pesce morto. A Jennifer venne il nasino rosso e cominciò a starnutire. Sam gli mise addosso il cappotto. Quando terminarono di liberare tutti gli uomini, erano stremati per la stanchezza, la gola secca, i polmoni bruciati come da aghi di ghiaccio e la visione di morte. Dodici cadaveri, privati della vita dalla paura, tutti per arresto cardiaco, lasciati marcire in quella pozza di desolazione e terrore. Osservarono rattristiti e devastati, con occhi sgranati e fissi. Jennifer ebbe dei singhiozzi e scoppiò in lacrime. La collera per non averli potuti salvare e la paura della morte si risolsero in un gelido brivido. Si voltò verso Sam e proruppe in un pianto dirotto. Sam la portò a sé, reggendole la testa con una mano e la schiena con l'altra. Non proferì parole. Si limitò ad accarezzare lei e a contemplare quell'immagine funesta. Quella e altre immagini le avrebbe portate con sé, come fotografie, a ricordare contro cosa stesse combattendo, al fine di darsi la carica, per evitare ogni minimo dubbio o tentennamento. Se mai ne avesse avuto qualcuno, avrebbe saputo come convincersi a proseguire. Restava il fatto che tutti i residenti del motel fossero morti.
Jennifer e Sam decisero di seppellire quei corpi in un terreno spoglio accanto al motel. Avrebbero potuto fare lo stesso con l'uomo alla stazione di servizio, ma forse l'ansia del momento aveva impedito loro di ragionare in modo lucido. Forse era stato perché quell'uomo li aveva attaccati, pur essendo anche lui vittima di quello là. Quando tornarono nella loro stanza, decisero di buttar via i loro pigiami. Erano stati previdenti, per fortuna, e avevano altri cambi puliti. Quella sera si lavarono a turno. Questa volta Jennifer dormì ancora più ancorata a Sam, a tal punto da sentirne il calore (parecchio) che emanava dal suo corpo, ben superiore a quello di un uomo comune. «Sembri un termosifone». Sam non protestò. Proteggersi a vicenda era l'unica cosa che gli fosse rimasta. Quella notte realizzarono per la prima volta quanto fossero delle anime solitarie in una missione sempre più suicida, come terroristi il giorno prima di farsi saltare in aria. Fu una notte insonne, soprattutto per Jennifer, di pensieri, di tentennamenti, passata a rimuginare su quanto fosse anormale quella situazione, oltre qualsiasi immaginazione, oltre qualsiasi condizione naturale. Alle volte, si chiedevano, soprattutto Sam, se non fosse tutto un incubo, se da un momento all'altro non si sarebbero destati da quel sogno senza fine, che alla fin fine poteva non essere davvero così brutto, che poteva non esistere qualcosa di così strano. La mente razionale diceva: impossibile; i fatti empirici, la coscienza dicevano: è reale. Due entità astratte che si scontravano tra di loro, saette nella mente dei due viaggiatori solitari, soldati in avanscoperta, unici e ultimi baluardi di un mondo ignaro della mostruosità che sarebbe imperversata ovunque se avesse superato i confini di Primestone. Ma d'altronde, i veri eroi non stanno dietro a uno schermo, quelli veri sono silenziosi, ignorati dalle persone come formiche che calpestano il marciapiede e portano il cibo al formicaio.
Anche quella notte Jennifer si dovette sorbire le urla, gli insulti e i lamenti delle continue visioni di quello là, ma ebbe sollievo e conforto da Sam. Si sentì, per la prima volta da mesi, anzi da sempre, davvero al sicuro, come in un guscio imperforabile, impenetrabile. Ebbe addirittura la sensazione di aver preso un paio di ore di sonno. Il mattino seguente, alle otto del mattino, erano già in viaggio da un pezzo. Si erano lasciati alle spalle una notte al limite della follia e proseguivano dritti verso un centro di gravità ancora più assurdo e più nero di una notte senza luna. L'enorme addensamento di nuvole su Primestone, sfoggiava in lontananza tutta la sua pericolosità, il suo orrore. Cumuli nerissimi, tizzoni di carbone su cui la luce rifiuta di posarsi, oscuravano il cielo, ormai solo un lontano ricordo. Erano tre giorni che la vastità dell'orizzonte era stata inghiottita da quel mare malvagio di pioggia, vapore ed elettricità, ma non erano fulmini comuni. Erano fucsia fosforescenti, come gli occhi del mostro e quelli di Sam quando combatteva. Come spade, lunghe scintille tagliavano quel fungo oscuro dall'alto verso il basso. Il vento continuava a tossire, violento e cattivo in direzione anomala, verso l'esterno di quella perturbazione, a voler spazzare via chiunque si fosse avvicinato. Sam doveva avere la presa ben salda sul volante per non far uscire fuori strada il mezzo. Jennifer, nel frattempo, stava fumando la sua solita sigaretta. Era concentrata in avanti, acuendo lo sguardo come a voler intravedere qualcosa di familiare in quella densità ingannevole. Di tanto in tanto, dava qualche colpo di tosse, più per via del raffreddamento della sera precedente che non per il fumo di tabacco.
«Ehi, caccola, ieri ti sei fermata a un certo punto. Mi piacerebbe che continuassi il racconto. Voglio conoscere tutta la storia a questo punto» disse Sam con tono alto. «Perché, che ti cambia? Solo perché oggi è Halloween, ti va di ascoltare altre storie dell'orrore?». «Non saprei, può essere... o magari potrebbe esserci qualcosa che mi permetterebbe di avere un vantaggio contro di lui in combattimento e poi... sono curioso». La risposta di Sam fu convincente. Ormai sapeva come controbattere alla testa calda di un'adolescente. Jennifer diede un paio di sospiri. Fece un altro tiro di sigaretta, bello profondo, ed espirò con lentezza, come a voler creare una piccola nuvoletta, una riproduzione più bonaria di quelle che si trovavano a chilometri da loro. Chiuse gli occhi.
Quel fumo sembrava assopirle la mente e aprire la stanza dei ricordi. Più si avvicinavano alla città, più tornavano vividi, come se dipendesse dalla distanza. Immagini prima sfocate o assenti, ora balzavano nel cervello di Jennifer come palline da tennis. Ah, se potessi addormentarmi! Mi ricordo ancora quando ci riuscivo... che strano, ecco di nuovo il passato che mi tira indietro e mi porta a eventi che sembrano così lontani, eppure sono accaduti solo pochi mesi fa. È come se fossero passati anni, perfino quei volti, a volte faccio fatica a ricordarli, sembrano così sfuggenti... sonno... ho tanto sonno... sto dormendo, ma sto per svegliarmi... sento... rintocco di campane... campane... campanile. È un ricordo sfocato, lontano... sento... sento qualcuno scalciare... qualcuno sta scalciando sulla mia faccia... è domenica... lei scalcia... scalcia...
Scalcia.
Spazio autore
Piccolo appunto personale: non ritengo sia il mio miglior capitolo di questo romanzo, ma credo comunque sia importante, in primo luogo per approfondire il rapporto che c'è tra Sam e Jennifer e che continua a svilupparsi mano a mano che si avvicinano a Primestone. Inoltre voglio di tanto in tanto spezzare il ritmo della narrazione.
Vi ricordo che dopo questo capitolo c'è una "Pillola di pseudo-scienza" dove parlerò delle abilità di Sam. Poi, l'ottavo capitolo sarà incentrato di nuovo sugli eventi narrati da Jennifer, avvenuti qualche mese prima. Questo capitolo sarà più "psicologico", tranne la parte finale... Occhio alla "setta" ;)
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