CAPITOLO 5 (Parte 1)
Quella domenica, Leonard Star aveva l'animo e il cuore in scacco. Primestone era ricoperta da uno strato di dieci centimetri di neve, poggiatasi con candore e delicatezza, come a voler mettere del trucco a una ragazza ancora troppo giovane. Natale era passato da un pezzo, ma in quella città era soltanto un giorno segnato di rosso sul calendario. Nessun Babbo Natale alla vigilia prendeva la slitta con le sue renne, caricava i regali e partiva solcando i cieli per portare i doni ai bambini e ai ragazzi della città fantasma, perché a Primestone non esistevano feste. Durante le festività natalizie e in estate la vita scorreva allo stesso modo, con la differenza che i giovani mutanti non dovevano andare scuola. Ma gli orari per mangiare e l'ora di coprifuoco non cambiavano, così come non cambiava il disgustoso cibo della mensa, assai peggiore del cibo nei distributori che Chris tanto adorava. A ogni modo, la domenica mattina in cui gli Sfigati avrebbero riportato la loro prima vittoria contro quello là, il cielo s'era coperto di una coltre di nuvole grigie e dense che lasciava presagire un'imminente temporale, ma a Primestone non pioveva molto. Quello era il suo tipico cielo triste, come a ricordare a chi vi abitava che quello era più o meno l'andazzo del mondo, una società triste e monotona, schiava dei suoi meccanismi perfettamente oleati nei secoli, come in un diabolico disegno premeditato.
I ragazzi protagonisti di questa storia erano ancora troppo giovani per porsi simili quesiti. Lo stesso Leonard aveva ben altri pensieri nella sua testa, intasata come una strada principale all'ora di punta in una grande metropoli. In realtà due cose lo preoccupavano particolarmente. La prima era che stava per andare ad affrontare la sua paura, quella macabra riproduzione della nonna, un'anziana nonnina con la sua bambola che lo aveva quasi ucciso di terrore il settembre precedente. Già questo pensiero poteva essere sufficiente per mandare in tilt le menti più fredde e insensibili del pianeta, ma Leonard doveva fare i conti anche con la nuova arrivata: Jennifer Pittsburgh. Quella timida ragazza mingherlina, arrivata in sordina poco più di un mese prima, nell'indifferenza generale, come un uomo che entra in giacca e cravatta in una banca e tutti pensano: ecco un altro cliente che entra. Perché lo sto fissando? Perché sono in banca, c'è una fila di cinquanta metri e non ho un cazzo da fare, quindi mi metto a osservare gli sconosciuti venuti a fare la stessa cosa che devo fare io. E invece si scopre che quell'uomo elegante è un criminale che ha intenzione di rapinare la banca.
Leonard provava sentimenti contrastanti nei confronti di Jennifer: da un lato, la vedeva come una minaccia, una mina pronta a esplodere in qualsiasi momento, senza che nessuno potesse conoscerne l'esatto momento, qualcosa d'indecifrabile, che nasconde oscuri pensieri e strani poteri, qualcuno che potesse soppiantare la sua leadership; d'altro canto, Leonard si sarebbe innamorato della ragazza, se non lo era già. Era insicuro, poco convinto che si trattasse d'amore. Se sei alla prima esperienza amorosa, ti accorgi di essere finito nella rete quando ormai non puoi più liberartene. Ti soffoca, ma ti piace e allora continui a lasciarti soffocare, come in un perverso gioco masochista. E Leonard si sentiva allo stesso modo. Guardava di sfuggita i suoi occhi verdi e profondi, irresistibili e abissali, e vi sprofondava con tutto lo spirito. Fingeva noncuranza, ma guardava di sottecchi i ciuffetti di capelli che le stavano ricrescendo sotto il cappellino sbiadito, le curve morbide del suo viso e quel nasino, un tocco di perfezione in un quadro perfetto. Esiste un quadro perfetto? E che significa che un quadro è perfetto? Leonard si rendeva conto che ciò a cui pensava non aveva un minimo di senso logico, ma che se esisteva un quadro perfetto e se esisteva la perfezione, allora Jennifer ne era la dimostrazione. Era perfetta. Non voleva ammettere che fosse amore, ma ormai era diventata un tarlo nella sua testa. Pensava a lei quando mangiava, quando giocava, quando era a lezione, quando chiacchierava con Ed e Chris, pensava a lei in qualsiasi momento, la notte era anche peggio. Lo lasciava senza fiato, con un costante peso sul petto, come se qualcuno gli volesse fermare il cuore a mani nude, e non gli permetteva di dormire. Alle volte giungeva l'alba e lui stava ancora tutto teso nel letto a fissare il soffitto. Maledetta, cosa mi stai facendo? Ho capito, sei una strega, ecco perché mi lasci in questa inquietudine. Sei una strega che mi ha stregato con il suo incantesimo, mi stai indebolendo con la tua bellezza e quando verrà il momento opportuno mi soppianterai, come una pianta morta che non ha più bisogno di essere annaffiata.
Jennifer provava per il ragazzo sensazioni simili, ma non erano minimamente comparabili per intensità, il ragazzo era già passato a un livello superiore, uno stato di estasi e confusione totale. E non è finita qui: anche Sophia s'era innamorata di Leonard, sospettava che a Jennifer piacesse, ma non aveva idea di ciò che provava Leonard per la sua amica. E non poteva immaginare che Chris le sbavava dietro come un segugio, sebbene il ragazzo avesse intuito che forse a Sophia piaceva Leonard. Ma cosa poteva farci? Quale ragazza non si innamorerebbe di Leonard? In pratica, tutti gli ingredienti per una telenovela spagnola di primo livello, un successo planetario per casalinghe e nonne. Nonne... ma questa è una storia di paura, non d'amore. Una storia in cui un essere, venuto chissà da dove, entra nei sogni e nelle menti e trasforma le paure in putrido e delizioso cibo, sostentamento per la sua natura metà spirito e metà corpo, o almeno Jennifer così credeva.
Incerottati di abiti pesanti, gli Sfigati erano sulla strada della casa maledetta. Nessuno aveva il coraggio di muovere un altro passo. Quegli gnomi da giardino che li fissavano con quei sorrisi di ceramica erano già sufficienti a gelare il sangue anche ad Arnold Schwarzenegger nel film Conan il Barbaro. Gli Sfigati, prima di raggiungere la destinazione della loro missione, si erano diretti a Violet Market in un negozio di biciclette e avevano fatto razzie. I cestini di plastica delle bici erano riempiti di cibo e bibite presi ai distributori (Leonard si era lamentato del fatto che Chris, l'incaricato al cibo, non avesse preso neanche una bottiglia d'acqua) e un arsenale di pistole e fucili ad aria compressa prese in un vecchio negozio di giocattoli. Malgrado la polvere, sembravano funzionare, anche se i grilletti emettevano dei deboli soffi che ricordavano, a detta di Thomas, uno che si siede su un cuscino di piume vecchio e malandato o il peto di un anziano che ha mangiato troppi fagioli, piuttosto che lo sparo di un'arma. L'obiettivo dei ragazzi era quello di giocarci quello stesso pomeriggio, sempre se fossero sopravvissuti alla Nonna Pervertita e alla marionetta che ricordava Chucky.
Erano più di ventiquattro ore che i ragazzi stavano digiunando. Leonard aveva stabilito, tra lo sbigottimento generale, che non ingerire del cibo avrebbe permesso loro di smaltire l'arsenico accumulato in precedenza e che ciò avrebbe permesso loro di avere maggiore controllo e potenza sulle loro abilità mutanti. Chris aveva obiettato che essere affamati non era un buon modo per affrontare un combattimento, ma Leonard aveva replicato che i vantaggi sarebbero stati superiori agli svantaggi. Gli occhi di Leonard erano come duri come marmi, spietati, implacabili. Thomas invece, continuava a credere che forse un po' tutti si sbagliavano e che stare rinchiusi da tempo immemore in quella città li avesse fatti sbarellare tutti. «Dite sul serio, ragazzi?» domandò. Era eccitato, ma anche allibito. Taylor mostrava solo entusiasmo, saltellando ovunque con il suo peluche, mentre Sophia provava sentimenti più simili a quelli di Thomas. Lei credeva a ciò che dicevano gli amici, ma faceva comunque fatica a realizzare il tutto. «Thomas, ormai è deciso. Andremo a Garden Street a sconfiggere la nonnina». «Nonna Pervertita!» lo corresse l'amico, accendendo una smorfia di avvilimento sul volto di Leonard che non poté far altro che aggiustare il tiro. «Nonna Pervertita... sì, Thomas». Chris alzò la mano destra: «Thomas, ne abbiamo già discusso, anche a me fa paura l'idea, ma bisogna farlo, giusto Leonard?». Leonard annuì. Thomas mostrava segni di disagio e in quel momento ricordava i tre tagli nella porta della casa di Chris, Ed e Leonard, casa dove ora abitavano anche lui con il suo amico Lucas, ma insistette. «Per me, hai visto una nonnina che è rimasta a vivere qui, tu Ed hai visto solo un cagnaccio randagio, magari di qualche guardia di sicurezza che lo ha lasciato lì e che gli porta il cibo di tanto in tanto, tu Chris...». I circuiti mentali di Thomas andarono in crisi. In effetti, cercare di dare una spiegazione a ciò che aveva visto Chris era più difficile. «Jennifer invece è sonnambula!» esclamò il ragazzo per togliersi da quel momento di impasse. «Non sono sonnambula!» sbottò Jennifer che gli diede la schiena, con le guance gonfie e le braccia conserte.
«Thomas, pensa ai tre tagli» disse Lucas con tono calante. «Lo so Lucas, lo so, già ci ho pensato» rispose stizzito l'amico. «E allora Thomas? Pensa anche a tutti i bambini e ai ragazzi scomparsi in questi mesi, non credi che meritino anche loro giustizia?». «Ah, è così Leo, ci giochiamo la carta della compassione? Complimenti!». Leonard sollevò le punte e sorrise mostrando l'arcata superiore dei denti, mentre Sophia continuava a mostrare segni di preoccupazione, con lo sguardo basso, girando i pollici e mordendosi il labbro inferiore. «E poi non è detto che siano stati i mostri!». «Il mostro, Thomas; gli altri sono solo suoi riflessi» mormorò Jennifer. Thomas sembrò non reagire, mentre il volto degli altri divenne ancora più cupo e perplesso. «D'accordo, il mostro... quindi che facciamo Leonard, catturiamo la Nonna Pervertita e la interroghiamo? Ci facciamo dire dove sono gli altri mostri? O gli amici del mostro o quel che cazzo sia!?» ironizzò Thomas. «Semplice, Thomas: la uccidiamo». Leonard lo disse con una freddezza e una determinazione tale che fece raggrumare il sangue nelle vene agli altri. «Gesù Cristo» bisbigliò Sophia. «Aspetta Leonard, quando parlavi di "sconfiggere", intendevi "uccidere"?» chiese con timore Chris. «Certo, cosa credevate!?» rispose Leonard quasi innervosito e con guance vermiglie. «E come vorresti farlo?» chiese Lucas. «Ragazzi, vorrei ricordarvi che siamo mutanti, abbiamo dei poteri... usiamoli!» rispose Leonard con ardore, come se stesse per andare al luna park. «Afpetta Leonard... un conto è un uomo o un mutante, ma... fe è un potenfiato, un fuper mutante, o un vero moftro, proprio come quelli nei film?» chiese Ed sputacchiando qua e là, ma gli altri non ci fecero caso. «Ha ragione!» strillò Sophia. «Oh, qualcuno che ragiona alla fine c'è!» esultò Thomas. «Cioè... e se somiglia troppo a una nonnina? Anche se è pervertita, io non potrei mai far del male a una signora anziana, se le do la scossa la faccio morire d'infarto, non è così facile... e mettiamo che sia davvero il mostro: che succede se lo attacchiamo con i nostri poteri e non hanno effetto?».
Alla domanda di Thomas, Leonard rimase in silenzio. Watt continuò nel suo ragionamento. «Che facciamo allora? Se quella non va giù e ci attacca con Chucky, le chiediamo il time out e le diciamo: "mi scusi gentile nonnina amante degli uccelli, non mi sembra molto leale come incontro, noi siamo dei ragazzi, mutanti ma ragazzi, lei invece è un fottuto mostro. Per favore, posso chiederle di rimandare l'incontro? Devo andare a casa a pensare a un modo per ucciderla, anzi, vorrei provare se le pistole delle Guardie di Sicurezza funzionano, anzi, ancora meglio... ci lasci scappare dalla città, così lei non ci vedrà più e potrà fare le seghe in pace a tutti gli altri ragazzi. Arrivederci e grazie". È così che le diremo Leonard?». Intanto Taylor tirò i pantaloni di Sophia e con vocina incuriosita chiese: «La nonnina costruisce le seghe?». Sophia sbarrò gli occhi, divenne rossa e si mise una mano in volto. Thomas intanto guardava il suo amico con il cuore che gli batteva forte, a tal punto da sentirlo rintoccare nelle tempie e rimbombare nella scatola cranica. Sperava che Leonard rinunciasse, ma l'idea di affrontare qualcosa d'ignoto e pericoloso lo galvanizzava. Thomas aveva creduto che tutte quelle storie raccontate dagli amici fossero ormai solo un lontano ricordo, invece le rammentava benissimo e tutta quella vicenda non aveva niente a che vedere con i film, i manga o i fumetti. In quelle pagine di carta, l'eroe con i superpoteri vince sempre e male che vada chi legge non si fa del male, al massimo ci rimane triste. Ma quello non era il caso degli Sfigati. Oltre qualsiasi logica, Leonard stava sorridendo.
«Dobbiamo provarci, per noi e per tutti i ragazzi di Primestone» disse Leonard. «Anche per John Harris?» chiese Chris in modo ironico, aggrottando un sorriso tanto grande quanto falso. «No... lui possiamo usarlo come esca, magari si spaventa la Nonna Pervertita vedendo l'unto dei suoi capelli!» sentenziò Leonard. Tutti i ragazzi scoppiarono a ridere. «Fermati, mostro! Questo olio di oliva è così potente da sciogliere i mostri, è più acido anche della saliva del mio amico Ed» sogghignò Thomas. Le risate si fecero ancora più forti. Edward si teneva lo stomaco, gli facevano male i nervi dietro le orecchie e rideva a crepapelle. «Io penso che... i poteri di Jennifer hanno funzionato, allora... funzioneranno anche i nostri! Tutti insieme possiamo batterlo» rifletté Sophia e si rivolse verso l'amica che sorrise. Quel sorriso fece sobbalzare Leonard all'interno, come se la sua anima volesse uscire dal corpo e abbracciare la ragazza.
«Siete pronti, ragazzi?» domandò Leonard. Erano le undici del mattino e gli Sfigati stavano spingendo le bici sulla Garden Street. La neve era ancora fresca e si faceva fatica a trascinare le ruote. Nel pomeriggio erano previste pesanti nevicate e quel cielo bianco sporco lasciava presagire qualcosa di macabro. La notte prima nessuno dei ragazzi aveva chiuso occhio. Tutti si guardarono di sfuggita e nessuno poté fare a meno di notare le spesse borse sotto gli occhi di tutti, gonfie e violacee, ma quello messo peggio era Leonard. Non tutti avevano le bici, solo i ragazzi. Sophia aveva protestato in modo concitato, asserendo che erano una manica d'idioti maschilisti (cosa che faceva in pratica sempre). Ma alla fine fu convinta da Leonard che i maschi erano più muscolosi e in caso di fuga le bici sarebbero state più veloci. Quando raggiunsero la fine della Garden Street, in quella piazzetta sinistra, a causa anche dello stato d'abbandono in cui versava, più accentuato rispetto ad altre zone della città, Leonard e Thomas decisero di sistemare le bici dietro a delle vecchie carcasse d'auto, che sembravano ormai antichi fossili di dinosauro, e si misero alla testa del gruppo. Un brivido di gelo, come un soffio, percorse la schiena dei ragazzi. Eppure, non c'era vento quella mattina. In quel momento i ragazzi presero atto dell'illogicità di ciò che stavano per fare. Stavano davvero andando a stanare uno di quei mostri che solo la fantasia di un pittore o di uno scrittore sa partorire? Gli Sfigati compresero che quello che stavano per fare era tanto terrificante quanto azzardato e che c'era il rischio di uno spargimento di sangue. A Chris tremavano i polsi, mentre Leonard sembrava impassibile, malgrado il suo cuore e la sua mente fossero in subbuglio, come un oceano in tempesta. Avrebbe dovuto affrontare le sue più grandi paure, ma questa volta in modo definitivo e soprattutto con l'aiuto dei suoi amici. In quel frangente non si sentiva più un capitano, ma un semplice compagno d'armi che cerca un ultimo cenno d'intesa con gli altri commilitoni prima della battaglia finale. I ragazzi, presi dall'angoscia e dalle palpitazioni, fissarono ancora una volta Leonard, con l'intento di farlo desistere, senza sapere che in quel momento era lui il più spaventato di tutti. Nonostante ciò, tutto quello che videro fu la sua espressione enigmatica e solo dopo anni avrebbero capito che quella era l'espressione della speranza. Leonard sperava con tutte le sue forze che avrebbero vinto. Dovevano vincere, a tutti i costi. Non c'era altra soluzione e nessun'altra strada poteva essere percorsa. Tutto quello che disse fu: «Andiamo ragazzi!».
Leonard lasciò per primo il riparo dietro le auto devastate. Pompando sui polpacci come se volesse spaccare il terreno, si avvicinò al vialetto della casa incriminata, con gli gnomi che lo fissavano con aria di allegria e di morte. I ragazzi, che lo seguivano a ruota, guardavano la sua schiena, che era così larga e muscolosa per un ragazzo di dodici anni, un autentico blocco di granito scolpito, nonostante il pesante abito che portava. In quel momento i ragazzi si sentivano invincibili e immortali. Magari qualcuno di loro avrebbe fatto una brutta fine, ma Leonard non avrebbe mai vacillato, non sarebbe mai caduto e mai nessuno l'avrebbe sconfitto, almeno in quel frangente. Leonard non si rendeva conto dell'energia e della forza che emanavano in quel momento. Perfino Jennifer, che lo stesso Leonard considerava strabiliante, restò ammaliata e deliziata a quella vista e si sentì a sua volta ancora più forte. «Bene... ora che si fa?» domandò Chris, incerto. «Forse dobbiamo chiamarla» disse Lucas. «Magari se uno di noi si abbassa i pantaloni può essere che...». «Thomas, piantala!» lo rimproverò Sophia. «Jennifer, tu che ne pensi?» chiese Leonard con aria autorevole.
In quel momento il capitano stava chiedendo consiglio al suo vice e gli altri lo sapevano. La ragazza ci rifletté un attimo. Chiuse gli occhi e provò a concentrarsi, come quando si vuole ascoltare il rumore del mare dentro una conchiglia. Tutti i prati erano alti, a eccezione di quella casa, che invece lo aveva piatto come appena tagliato. A Leonard ciò balzò subito all'occhio, visto che l'ultima volta che c'era stato le sterpaglie erano alte come delle canne di bambù. Jennifer ascoltò la sua mente, il suo dominio. Era tempo che non lo faceva. Era un porto sicuro che usava quando voleva trovare la tranquillità, isolandosi dalle brutture del mondo esterno, ma era anche uno straordinario catalizzatore, una tecnica che le permetteva di amplificare a dismisura tutti i sensi. Sentì un'eco metallica nella testa e una risatina che prima si allontanava, poi spariva, poi si riaccendeva come un interruttore. Sembrava sempre più vicina e non prometteva nulla di buono. «Sta arrivando» sussultò Jennifer. Tutti si misero sull'attenti, uno a fianco all'altro, pronti a sparare con i loro fucili ad aria compressa. Di tanto in tanto si sentiva il brontolio dei loro stomaci affamati. Ci fu qualche istante d'imbarazzo. La cassetta della posta era di un blu scolorito e aveva dipinto in giallo il numero quarantaquattro. Era storta e sembrava vecchia di duemila anni. Il marciapiede aveva molte piastrelle e pietre rotte o sollevate e i vetri della casa erano così opachi che sembrava che qualcuno gli avesse alitato sopra con decisione. Forse, pensò Thomas, in questa casa ci vive ancora una vecchia, magari una vedova che è rimasta senza marito da almeno vent'anni. Sarà morto di qualche male incurabile, mentre i figli saranno in chissà quale parte delle WesternLands e magari non sanno neanche che fine abbia fatto la mamma. Si faranno vivi con una cartolina, due volte all'anno, per Natale e per il Giorno del Ringraziamento, mentre lei sta morendo di solitudine.
La casa ora appariva meno inquietante. Lo scivolo che prima era ribaltato e arrugginito, ora appariva lucidato alla perfezione, come se appena comprato. Le assi sulla porta non c'erano più. Una voce sinistra fu portata da una folata di vento improvvisa: «che bello, sono arrivati i ragazzi, ho messo la casa in ordine. Ora gli darò un biscottino. Un biscottino di carne umana». Seguì una risatina maligna. Tutti rabbrividirono. Taylor si mise dietro a Sophia, facendo capolino con il suo peluche alle spalle della ragazza, con occhi tremolanti e spaventati. I ragazzi continuarono a fissare la casa, come a volerla studiare. Erano convinti che da un momento all'altro si sarebbe spalancata e che all'improvviso sarebbe apparso il più spaventoso dei mostri. Ma, con loro grande stupore, i colori della casa si vivacizzarono, come se qualcuno stesse passando della vernice fresca sui muri. Tutti cominciarono a provare una sorta di familiarità con quella casa, come se fosse davvero l'abitazione di una simpatica nonnina, con le sue porcellane ultradecennali, pronta a servire tè e biscottini ai suoi nipoti. I ragazzi si sentirono attratti verso di essa, come posseduti da un incantesimo che non può essere sciolto, ma non Jennifer. Lei era lucida più che mai e si rendeva conto che qualcosa non andava. I ragazzi vedevano tavoli bianchissimi cosparsi di cesti di vimini con nastrini blu, infarciti con dolciumi e cornetti di ogni sorta e gusto, al cioccolato, alla crema pasticcera, all'amarena, all'albicocca, rollini alle fragole e al cacao, francesine con cioccolato alle nocciole, glasse variopinte cosparse su torte e tortini, crostate alla ciliegia e biscotti con pezzetti di cioccolato e alle mandorle. Gli Sfigati non mangiavano da più di ventiquattr'ore e quell'allucinazione gli sembrava così magnifica e reale. Avanzavano come attirati da fili invisibili, con gli occhi di fuori che luccicavano come diamanti.
«Ragazzi fermatevi, è una trappola!» urlò Jennifer, ma nessuno le diede retta. Continuarono ad avanzare con lentezza, muovendo le spalle a destra e a manca. Sembrava come se avessero dei tappi nelle orecchie e che nessun suono o rumore potesse distrarli da quella vista così spettacolare e dalla loro fame, amplificatasi nel giro di pochi secondi. Ma non c'era alcuna bontà in quella casa. Jennifer, resasi conto della situazione, decise di ricorrere di nuovo al dominio. Chiuse gli occhi e lo vide. Nella sua mente vedeva oltre la finestra che dava sulla cucina, la nonnina che muoveva i ragazzi verso di lei, come se avesse dei fili alle dita. Aveva i denti gialli, la bava biancastra agli angoli della bocca, unghie nere di fuliggine e la sclera opaca e densa di un liquido nero come il petrolio. Sparisci, vecchiaccia! La nonna diede un urlo tremendo che sembrò restare sospeso nella mente di Jennifer, come un incubo che non vuole andare via. Quando Jennifer riaprì gli occhi, i ragazzi sembravano tornati in sé. Si guardarono intorno perplessi, come se non ricordassero cosa ci facevano lì. Ma non era l'unica cosa che era cambiata. La casa ora appariva come un demone dormiente pronto a inghiottire chiunque avesse provato a entrare. L'erba era ricresciuta e aveva l'aspetto di una fetida sterpaglia. Gli gnomi a stento si vedevano e sembravano degli animaletti pelosi pronti a mordere le caviglie del malcapitato di turno. Lo scivolo era di nuovo rovesciato, il bianco immacolato del tetto era tornato grigio, mentre la porta era marcia e le assi delle pareti sembravano gonfie di miliardi di termiti. Il cielo si faceva sempre più smorto e quelle sterpaglie, al passaggio del vento, sembravano parlare. «Ballerete. Alla fine, ballerete tutti».
In quel momento la porta si spalancò, battendo con tanta violenza contro la parete che si scardinò e venne giù. I ragazzi gridarono all'unisono. Non un filo di luce trapelava dall'interno dell'abitazione, come uno sfondo nero. Sentirono ringhiare e poi una risatina. Dall'ombra uscirono in fila prima una bambola e poi una signora. La bambola era un maschio (Chucky, pensò Leonard), ma vestito come una femmina. Aveva delle scarpette di pelle nera, un vestitino rosa con violette disegnate con tanto di gonnellina, una parrucca bionda (una parrucca, pensò Sophia) con delle treccine tenute su con dei nastri rosa. Le sue guance erano cerchiate, come colorate con del rossetto bordeaux, e ghignava maligna. Aveva in mano un pugnale scintillante. La Nonna, invece, aveva un pesante trucco bianco che colava come se fosse stata innaffiata e i capelli erano così diradati che si poteva vedere il cuoio capelluto, un campo di pustole, pus e animaletti con zampette disgustosi, simili a scarafaggi. Portava sulle spalle un grosso barile di legno, di quelli che si usano per la fermentazione del vino. Lo posò a terra e lo ruotò, mostrando ai ragazzi una specie di cerniera di grossi chiodi. La bambola cominciò a ridacchiare in modo isterico. «Benvenuti ragazzi, che ne dite, vi va di giocare? Quale gioco preferite? Ballo? Ingozzamento di biscotti di carne umana? Magari il ballo? O già l'ho detto? Oh, certo, la masturbazione anche è un bel gioco, che ne dite? O preferite un'orgia? Abbiamo tante bambole, magari possiamo prestarvene qualcuna!». La bambola fece un sorriso sadico, mentre i ragazzi rabbrividirono ed ebbero una leggera nausea. L'aria cominciò a essere invasa da puzza di uova marce.
«Schifoso bastardo, ti ucciderò, non farai del male più a nessuno!!!» tuonò Leonard, con occhi carichi di ira. Per un momento, la bambola diede l'impressione di ridere e di dire qualcosa: sembrò abbaiare parole confuse, come in preda a una cieca pazzia e i ragazzi credettero di udire quell'essere rispondere: «vi ucciderò tutti, bastardi. Alla fine, ballerete anche voi». La Nonna Pervertita ringhiò come un lupo. I ragazzi riempirono i polmoni di aria fresca, come se da lì in poi non avrebbero più respirato, fino alla fine di quello scontro mortale. I lunghi steli d'erba cominciarono ad agitarsi, come a voler farfugliare qualcosa al vento. Si avvertì un sinistro rumore, come di maracas che si agitano, ma più cupo. Delle piccole ombre si muovevano frenetiche tra quelle erbacce sgradevoli. Nonostante quella scena fosse del tutto sbagliata, nessuno degli Sfigati dubitò per un solo istante della propria sanità mentale. «Signori miei... apriamo le danze! Nonna tocca a te!» gridò la bambola. La Nonna Pervertita diede un secondo ringhio, assai più potente e penetrante. I ragazzi sentirono i vetri delle case circostanti vibrare e il fetore pestilenziale del suo alito, acre che bruciava le narici. Poi la signora-mostro urlò come in preda a una possessione, a pieni polmoni: «Spirito delle Parole: Tecnica... delle Cento Marionette della Morte!!!».
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