CAPITOLO 4 (Parte 3)
«Stai bene?» chiese Sophia preoccupata. Goodman singhiozzava. La ragazza si sentì in colpa e imbarazzata per ciò che aveva detto e fatto. Abbassò lo sguardo e unì le mani. «Dai Bobby, aiutami a spostare quel lardoso» comandò John. I due si avvicinarono a Goodman e lo fecero rotolare come se fosse un pallone da calcio, facendo pressione su quella gelatina di lipidi che al passaggio sembrava incollarsi al pavimento come colla. Spinsero Goodman accanto a Clint, che si stava ancora riprendendo. Il ragazzo si rannicchiò e continuò a frignare come un neonato. All'improvviso John gli diede un calcio ben assestato alla testa. «Cinghiale di merda, sei proprio inutile! Ti sei fatto battere da capelli di fuoco! Col cazzo che entri nel nostro gruppo, anzi non ti far più vedere, perché se ti trovo che gironzoli vicino a noi, ti do tante di quelle sberle che ti faccio diventare la faccia da Merdaciccio a Mostromerdaciccio. Ti è chiaro!?». Johnny frignò ancora più forte ed emise un'incomprensibile serie di suoni gutturali e di risucchi nasali. Poi John, con gli occhi sparati fuori, afferrò Bobby per il colletto della felpa e lo spinse a sé, col naso che quasi sfiorava quello del compagno, anzi, del sottoposto. «Ascoltami bene – intimò John a voce bassa – ora tocca a te... non me ne fotte un cazzo che Sophia sia una donna e che vorresti sbaciucchiartela e sbattertela. Una volta che avremo vinto, potrai giocarci quanto ti pare, dopo di me ovviamente... ma ora devi pensare solo a vincere, guai a te si ti fai battere, giuro su Dio che sei morto Bobby, tu e tuo fratello siete morti, hai capito?».
Bobby sentiva l'alito marcio e di gomma alla menta scaduta del capo. Sentiva il suo respiro lambirgli il viso e vedeva i suoi occhi immersi nel sangue, tanti erano i capillari che aveva agli angoli della sclera, come affluenti di un fiume. Bobby notò che John aveva gli occhi privi di lucentezza, vuoti, profondi come una fossa di cui non si riesce a vedere il fondo. Non aveva alcun dubbio: se qualcuno gli avesse chiesto cosa fosse la pazzia, lui gli avrebbe indicato gli occhi di John Harris. Il capo lo lasciò andare con vigore e per poco Bobby non inciampò. Sollevò lo sguardo e deciso si avviò verso Sophia. Sentiva le meningi premergli, come se una morsa gli stesse stringendo il cranio. Da una parte Sophia, la ragazza di cui si era innamorato, dall'altra parte John Harris e suo fratello minore Clint tramortito proprio da uno del gruppo di cui faceva parte anche la ragazza. Da un paio di anni Bobby si era unito a John per cercare di proteggere il suo fratellino. Tutto ciò che faceva, lo faceva per Clint. Lui e suo fratello erano il mondo, non esisteva null'altro. Ma in quel momento si sentiva confuso. Per la prima volta avvertiva che i sentimenti per un'altra persona stessero prevaricando quelli nei confronti del suo stesso sangue, della sua famiglia: stava mettendo i suoi interessi davanti a quelli di Clint. E Bobby non sopportava questa cosa. I fratelli Brown erano cresciuti insieme a un padre violento e alcolizzato che li percuoteva più volte al giorno. Lo strumento di tortura preferito di Scott Brown era una cintura di cuoio spessa e larga. Disoccupato e pigro, passava le giornate bazzicando bar e centri scommesse. Godeva nel vedere i figli piangere e contorcersi nella pozza del loro stesso sangue. La madre dei due fratellini era morta anni prima per un'overdose di eroina, dopo essersi sbattuta un paio di clienti in un vicolo, vendendo il suo corpo per una dose. Quando Scott Brown aveva accumulato tanti debiti che lo strozzino lo era venuto a cercare in casa, per salvarsi la vita vendette i due figli. I criminali con cui aveva contratto i debiti erano anche nel commercio di minori. Lo strozzino ringraziò e annullò i debiti, mentre i fratelli Brown si persero nei meandri del traffico internazionale di esseri umani, come pezzi di carne surgelata da importazione.
Bobby ringhiò scuotendo la testa e batté con vigore il piede per terra. Sophia sapeva che lui provava qualcosa per lei: lo aveva visto spiarla da un vicolo mentre prendeva le sigarette nella tabaccheria sulla Main. Bobby non aveva mai alzato un dito su di lei e aveva sempre dimostrato una certa accortezza. Notò l'ira negli occhi del ragazzo, un sentimento di disperazione. La ragazza intuì che questa volta sarebbe stato diverso, che il ragazzo non poteva fare a meno di combattere. Sophia alzò di scatto le braccia a coprirsi il volto e incendiò le sue mani. «Sophia, non ho intenzione di farti del male, arrenditi per favore!» supplicò Bobby. «E perché dovrei farlo? Perché sono una ragazza, è così!? Smettila di fare il gentiluomo e combatti per davvero, sono stufa della tua gentilezza, non sono tua amica o tua sorella, quindi datti una mossa, Mister Antenne in Testa!». Con quelle parole Sophia volle dare una scossa al ragazzo, perché lei odiava essere trattata con riverenza solo per il suo sesso. Frattanto le antenne poste sul capo di Bobby cominciarono a tremare e a produrre un suono simile a quello di un picchio che becca il tronco di un albero. Sollevò le maniche dell'abito scoprendo i polsi e poi scattò in avanti. In pochi secondi si trovò faccia a faccia con la ragazza, che fu colta di sorpresa. Sparò una fiammata dritto per dritto che venne con prontezza schivata. Provò a direzionare le fiamme verso Bobby, che correva in modo leggiadro, toccando appena il pavimento con la punta dei piedi. Sophia scagliò una nuova fiammata con più forza e vigore. Bobby fece un balzo di alcuni metri, come se si fosse dato una spinta con un trampolino elastico. Sentiva alle gambe il calore prodotto dalle fiammate della ragazza, ma non esitò. Sferrò un calcio al volo al volto di Sophia, che piombò a terra, stordita. Leonard sbarrò gli occhi, Jennifer urlò, Chris s'infuriò mostrando i denti, mentre Lucas, Ed e Taylor restarono in silenzio spaventati. I suoi colpi sono forti quasi quanto i miei, pensò Leonard.
Sophia provò a sollevarsi ma una fitta le colpì il fianco. Bobby l'aveva colpita con un calcio e sbalzata via. Urtò più volte con le spalle il pavimento, lanciando grida di dolore. Provò a sollevarsi, ma Bobby aveva già appoggiato il pugno sulla sua scapola sinistra. Sentiva come se qualcosa le avesse anestetizzato il punto in cui Bobby aveva poggiato il pugno a avvertiva qualcosa dall'interno. Sophia rimase paralizzata dalla paura, non capiva cosa le avesse fatto. Il polso e la mano di Bobby si erano gonfiate e qualcosa sembrava aver trapassato il vestito di Sophia. E la pelle. Quando il ragazzo allontanò il pugno, vide che da quella protuberanza arrotondata fuoriusciva un grosso pungiglione nero, come un cono gelato. Era ricoperto del sangue della ragazza e gocciolava come una stoviglia appena lavata. Sophia provò una sensazione di disgusto ed ebbe un conato di vomito. «Mi dispiace» sussurrò il ragazzo. Sophia all'improvviso diede un urlo spaventoso che tuonò nella palestra. Avvertiva un dolore straziante nel punto in cui era stata colpita e un bruciore penetrante. Allargò la stoffa e vide che c'era un grosso buco. Non usciva sangue, come se si fosse già condensato, ma vedeva in modo chiaro la carne all'interno. La vide ingiallirsi. Tutta la parte circostante si gonfiò a tal punto che il rigonfiamento era visibile anche se coperto dall'abito. Grosse bolle tendenti al giallo spuntarono in pochi secondi. Le sembrava che mille coltelli le stessero lacerando la pelle. Cominciò ad agitarsi per il dolore, emettendo urla strazianti. Gli Sfigati corsero verso di lei.
«Bastardo, cosa le hai fatto!?» ringhiò Chris. «Sophia, Sophia, cos'hai?» chiese preoccupata Jennifer. Bobby aveva lo sguardo basso e le mani in tasca. Poi cominciò a spiegare: «il mio DNA ha delle somiglianze con quello della paraponera clavata. Io ne imito alcune abilità a misura d'uomo». Chris sbarrò gli occhi, mentre Leonard e gli altri sembravano confusi e frastornati. «Parapona cosa? Chris, che ha detto?» domandò Leonard. «Paraponera clavata, conosciuta anche come formica proiettile. Il suo morso provoca un dolore molto forte per ventiquattro ore. Ma un conto è una formica, un conto è un ragazzo formica...». Chris tremò tutto. «Maledizione!» sbottò Lucas. Lo sguardo di Jennifer divenne severo. «Sei un bravo ragazzo, perché devi stare con quello, tu e tuo fratello siete migliori di John!». Le parole di Jennifer provocarono un sussulto nell'animo di Bobby, mentre John sembrava sbellicarsi dalle risate, un riso isterico e malvagio, privo di compassione. «Bastardo, me la pagherai!». Chris piombò in piedi e si diresse verso Bobby che rimase impassibile. Stava per sferrargli un pugno, quando Leonard lo bloccò. «Che cazzo fai, Leonard? Guarda cosa ha combinato a Sophia!». Il ragazzo provò a divincolarsi, ma l'amico non lo lasciava andare, mentre Sophia continuava a lamentarsi e si mise a piangere. «Calmati, non è un avversario alla tua portata, rischi solo di farti male senza ottenere niente». Chris riuscì a liberarsi e, nello stupore generale, mollò un ceffone sulla guancia di Leonard. Piombò il silenzio, mitigato solo dal pianto di Sophia. Perfino John smise di ridere, incuriosito da quella scena. Chris respirava a fatica.
«Piantala di dare ordini a destra e a manca» disse ansimando Chris. Jennifer portò le mani alla bocca, mentre Lucas ed Ed restarono perplessi. Chris che colpiva Leonard, il capo, sulla guancia, sfidando la sua autorità e mettendo in discussione la loro amicizia. La piccola Taylor restò in silenzio. Leonard guardò Chris in modo severo. «Non rispondo allo schiaffo solo perché sei mio amico e sei arrabbiato, hai perso la testa... ora fatti da parte Chris, ci penso io a sistemare la faccenda qui». La rabbia sul volto di Chris svanì subito. Che cazzo ho fatto!? Ho davvero dato un ceffone a Leonard? Ma che mi è preso, è mio amico... Chris abbassò lo sguardo come a volersi scusare e si allontanò silenzioso, aiutando gli altri a portare Sophia accanto a Thomas che stava sonnecchiando e a dare alla ragazza degli antidolorifici. Leonard notò che Jennifer lo guardava con aria dispiaciuta, come a volerlo rimproverare con la telepatia. Perché mi guarda in quel modo? È stato lui a darmi uno schiaffo, lui dovrebbe chiedermi scusa. In realtà Jennifer lo guardava a quel modo anche perché non voleva che Leonard combattesse ancora. Non aveva più cambi e avrebbe dovuto affrontare prima Bobby e poi, se lo avesse battuto, Harris, senza contare che aveva già combattuto contro Goodman. Ma la ragazza sapeva che qualsiasi cosa avesse detto, niente avrebbe fatto cambiare idea al ragazzo. Leonard sbuffò, non riuscendo più a reggere lo sguardo di Jennifer e si voltò verso Bobby. Non avrebbe parlato a Chris per due settimane. Ci volle una concitata esortazione da parte di Sophia (che in pratica li costrinse) e un abbraccio con annesso pianto fanciullesco per farli riappacificare.
«Bobby, entro io in gioco». «Sei sicuro Leonard? Non hai più cambi». «Lo so». «Come vuoi allora». «Brown, cosa fai, Leonard è mio, levati di mezzo» gli intimò John alle spalle. Bobby non rispondeva. John insistette infastidito. «Bobby Brown, ti ho detto di farti da parte, Leonard lo devo affrontare io». «Per una volta non rompere le palle e stattene buono». Il ghigno malvagio di John cessò in quel momento. Mai uno dei fratelli Brown aveva provato a disobbedirgli o a rispondergli male. Quel giorno ci furono ben due ammutinamenti. Gli stessi Sfigati rimasero sorpresi. John provò un'ira incontenibile e avrebbe voluto uccidere Bobby. Ucciderlo per davvero. «Bobby, come cazzo ti permetti di rispondermi in quel modo!? Io sono il capo e se mi parli in quel modo spacco il culo a te e a tuo fratello». John aveva il volto sfigurato dalla rabbia ed era sicuro nel suo senso di onnipotenza che il maggiore dei Brown si sarebbe levato di torno, chiedendo scusa e frignando come un moccioso. «John... ho detto: non mi rompere le palle. E soprattutto... se tocchi mio fratello, a romperti il culo sarò io». John si sentì sprofondare. Quella sensazione di perdita del controllo lo lasciò senza fiato. Qualche giorno dopo avrebbe pestato in malo modo Bobby, ma quest'ultimo si sarebbe difeso con così tanta tenacia da lasciare John seriamente ferito. Da allora in poi, il capo dei bulli non avrebbe più provato ad alzare un dito contro i fratelli Brown. Sentì il suo potere su di loro via via affievolirsi, come una vita che abbandona questo mondo. Ciò non fece altro che far cadere ancor di più Harris nella disperazione e nella pazzia. L'unico elemento che lo teneva aggrappato al mondo, il controllo sugli altri, lo aveva abbandonato. Jennifer lo sentiva e sorrise. Intanto Bobby, convinto più che mai che rispondere a John fosse stata la miglior decisione che avesse mai preso in vita sua fino a quel momento, imitò la posizione da pugile assunta da Leonard, che nel frattempo aveva gonfiato i muscoli delle braccia a dismisura. Non sarà facile. Devo evitare a tutti i costi il pungiglione di Bobby. Sicuramente avrà consumato buona parte del veleno per Sophia, ma è comunque pericoloso. Devo centellinare le forze, anche perché dopo dovrò affrontare Harris.
Dal rigonfiamento sulla mano sinistra di Bobby spuntò un altro pungiglione. Ora era come se avesse due coltelli. «Leonard ftai attento!» esclamò Ed. «Tranquillo, Ed» rispose rilassato. I due combattenti partirono insieme. Bobby provò a colpirlo al volto per mettere subito fine all'incontro. Sapeva che a lui bastava un colpo, ma sapeva anche che il suo avversario era più forte di lui e che avrebbe provato a schivare i suoi colpi. Leonard evitò il pungiglione per pochissimo mentre il secondo stava già per perforargli il collo, quando si abbassò e colpì in pieno stomaco Bobby, che fu sbalzato via, pur rimanendo in piedi. Portò le mani nel punto in cui era stato colpito e vomitò saliva in quantità. L'aria aveva vibrato, come un tamburo percosso da una mazza pesante. Il colpo di Leonard era stato molto più forte di quanto si aspettasse. Quando si concentrava, riusciva a ricoprire la sua pelle di un sottile strato trasparente, simile alla cuticola degli insetti, ma più dura. Però con quel dolore e con tutta quell'adrenalina in corpo era impossibile concentrarsi. Leonard tirò un calcio che Bobby parò, afferrandogli la caviglia e assestando una gomitata. Leonard gridò dal dolore, ma non si scosse più di tanto, attaccando il nemico con un gancio al volto. Bobby fu colpito in pieno e questa volta sentì forte il pugno. Vide bianco e sentì come delle campane vibrargli nelle orecchie. Aveva mal di testa e non riusciva più a focalizzare il mondo circostante. Una seconda fitta alla testa gli rimbombò come un sonaglio. Cadde a terra disteso. Leonard ne approfittò per tirargli un altro pugno, ma d'istinto Bobby sferrò un calcio che lo colpì al mento. Leonard sentì battere i denti e si morse un labbro. Scosse il capo per qualche secondo. Bobby, ripresosi, sferrò un colpo al petto di Leonard. Il pungiglione fendette l'aria come un colpo di sciabola e si conficcò appena sopra il capezzolo sinistro di Star. Leonard urlò dal dolore. Sentiva il veleno e il calore spargersi all'interno del pettorale, come un male che si estende in fretta. Nonostante ciò, afferrò il braccio di Brown con la mano destra, caricò l'avambraccio gonfiandolo d'aria come una mongolfiera e gli scaricò una violenta pressione addosso.
«Vi restituisco il favore. Questo è per Thomas». Bobby sentì come un crack. L'omero gli si frantumò come se sopra gli si fosse schiantata una palla di cannone. Un tuono percosse l'aria, come una nota alta in un concerto rock sparata a tutto volume. Brown lacrimava dal dolore e ansimava. Non riusciva a smettere di gonfiare e sgonfiare il petto, in preda al panico. Leonard gli piombò sopra tenendogli bloccate le braccia con le suole delle scarpe. Caricò l'ennesimo colpo, puntandogli il pugno contro e intimandolo con fare minaccioso. «Bobby, arrenditi! Se non lo fai, giuro che ti fracasso il cranio!». Brown, ancora ululante, fissò negli occhi Leonard e vide la sua forza e la sua determinazione. Resosi conto di non avere più carte da giocare e di essere stato soverchiato dal suo avversario, decise di arrendersi. «Mi... mi arrendo». Leonard liberò le braccia di Bobby. Quest'ultimo si sollevò, poggiando la mano sana per terra e aiutandosi con le gambe, mentre il braccio sinistro penzolava come una piuma al vento. «Grande Leonard!» esultarono Ed e Lucas, mentre Chris sussurrò: «non avevo dubbi». Anche Sophia, acquietatosi il dolore, tirò col naso e fece un sorrisetto. Jennifer, al contrario, appariva preoccupata. Stringeva i pugni e borbottava come a voler urlare. Era agitata perché ora Leonard avrebbe dovuto affrontare John, il più forte dei bulli e la situazione era al limite. Il ragazzo aveva le gambe tremanti e il respiro affannoso. Non riusciva a sollevare le braccia, che già non riuscivano più a gonfiarsi come all'inizio del combattimento. Fumavano come un legno che sta per ardere ed erano arrossate. La sua canottiera era inzuppata di sudore e il ragazzo avvertiva una forte fitta al pettorale a causa del veleno di Bobby. John al contrario era fresco come un mazzolino di fiori a maggio ed eccitato come uno stallone nella stagione dell'accoppiamento.
Quando Bobby Brown passò accanto al bullo, lo minacciò: «dovrete pagare un debito molto salato per avermi risposto a quel modo, sia tu, sia tuo fratello». Ma John notò che lo sguardo di Bobby, deciso e fiero, era rivolto al fratello che dormiva in beatitudine con la schiena al muro. La risposta fu pronta: «Fino a prova contraria, sei tu che sei in debito con noi, visto che io e mio fratello ti facciamo sempre compagnia». Quel giorno Harris capì che aveva perso il comando di quel gruppo, da sempre unito dal terrore che lui provava a trasmettere. Ma quando la colla non fa più effetto, il foglio si stacca. John restò in silenzio e lasciò che Bobby scivolasse via da lui, andando a sedersi accanto all'unica cosa che al ragazzo importasse per davvero: suo fratello Clint. Il capo dei bulli si rincuorava pensando che avrebbe massacrato di botte Leonard Star, il ragazzo che meno sopportava di tutta Primestone, con quel suo fare da eroe, con quella spocchia e quel suo senso di giustizia. Stupido coglione, al mondo non c'è giustizia o amicizia! Come puoi provare simili sentimenti qui dentro e con il mondo che c'è là fuori!? Sei solo un moccioso che finge di essere un adulto. L'unica cosa certa è che tutti hanno dei debiti da pagare e prima o poi vanno saldati. John diede un urlo bestiale e si scagliò come un cannibale che non vede carne umana da tre settimane. Le sue braccia divennero ramate come dei fili elettrici e lucenti come un'argenteria appena lucidata. Sembrò partire un missile, tanto il colpo era intenso. Leonard provò a parare il colpo, sferrando a sua volta un pugno. Caricò al massimo che poteva per respingere l'attacco del nemico, ma i muscoli erano indolenziti e gli facevano male. I due pugni si scontrarono. Leonard sentì le falangi come ammaccarsi e gli parve di sentire un preoccupante suono di accartocciamento, come lamiere che vengono pressate da un rullo. Un'onda d'urto si propagò nella stanza, facendo vibrare i timpani e le pareti. Leonard subito si ritrasse e agitò la mano in segno di dolore. Aveva perso la sensibilità e il suo pugno era inutilizzabile. Ora gli restava solo il braccio destro. Devo usare il colpo finale, lo devo mettere al tappeto ora! Che stupido che sono stato, come posso affrontarlo in queste condizioni! Non ho dato ascolto al mio corpo e ora sono nei guai!
John lanciò una seconda pesante mazzata, un proiettile di carrarmato. Ma Leonard questa volta lo parò con il gomito sinistro. Strisciò con le suole a terra per un paio di metri, come spinto da una folata di vento di tramontana. Purtroppo, anche il gomito fece una brutta fine. Solo l'adrenalina limitò il senso di dolore che provava in quel momento. Intanto stava per arrivare la terza mazzata. L'aria vibrò ancora, questa volta con più ferocia, come le fauci spalancate di uno squalo che taglia l'acqua. Con destrezza degna del miglior pugile, Leonard schivò il colpo e poggiò il palmo a mano aperta sul petto di John che restò di stucco. Leonard non gli diede tempo. Il suo braccio era già carico come un fucile pronto a sparare la sua ultima cartuccia, un colpo per elefanti. Si sentì l'aria passare tra le fibre muscolari, come un plettro che strofina le corde di una chitarra. «Air Burst!». Quello era il nome che Leonard aveva dato alla sua tecnica finale, prendendo spunto dai suoi fumetti preferiti. Leonard voleva essere un eroe, voleva che nessuno dovesse più soffrire per i soprusi dei più forti. E in quel momento il ragazzo si sentiva come Rufy, il protagonista di One Piece, quando sconfigge Ener sull'isola nel cielo di Skypiea. Quando l'attacco di Leonard partì, tutti i presenti videro l'aria attorno ai ragazzi formare un turbine. Qualche secondo dopo, il fenomeno cessò. John sbavava, come se stesse provando a trattenersi. Leonard era convinto di averlo sopraffatto, ma non era così. Con stupore, il ragazzo si accorse che il bullo stava sghignazzando. La mano di Leonard fumava come una vecchia ciminiera, ma il suo colpo non aveva avuto effetto sul corpo di John. «Sei fottuto, Star!». John mollò un gancio sinistro alla pancia di Leonard. Il ragazzo fece un volo di alcuni metri, strisciando come una pezza sul pavimento e terminando la sua corsa ai piedi di Chris, Ed e Lucas. Si teneva la pancia con la mano. Aveva gli occhi di fuori e sputava sangue fino quasi a strozzarsi. Era appena stato sconfitto.
«Leonard!» strillò Taylor. Ai ragazzi si accapponò la pelle. Leonard era stato messo fuorigioco e ora bisognava affrontare John, che ringhiava come un leone nella giungla, convinto a riaffermare il proprio dominio sul suo regno. «Mi dispiace coglioncelli, ma vi conviene prostrarvi a me e supplicare pietà. Arrendetevi e consegnatevi a me come schiavi. Ridurremo questa merda di posto in cenere e voi mi seguirete come miei sudditi... mi pulirete i piedi... mi imboccherete... mi farete da tappeto... mi farete da trastullo anche...». Chris sbottò: «col cazzo Harris, non ci siamo ancora arresi!». «Oh, davvero? E chi di voi mi farà fuori? Tu, pietra preziosa? Il moccioso sputacchione? Riccioli d'oro? La bimbetta con il suo peluche? Occhioni verdi con il cappellino?». John fissò Jennifer negli occhi. In lei non scorgeva alcun timore, alcuna paura, anzi aveva capito che sarebbe stata lei ad affrontarlo. Ma come può una ragazzina del genere credere di farmi fuori? Sul serio? John provò un senso di paura di fronte alla determinazione della ragazza, quegli occhi impavidi non avevano paura di lui, ma allo stesso tempo fu pervaso da un calore intenso, un sentimento di contrasto che gli fece contorcere le budella, un senso di soddisfazione nell'incontrare quella ragazza, che non mostrava riverenza o orrore alcuno, qualcuno che a lui non si sarebbe mai sottomesso, mai, non importava quanto forte o spietato fosse diventato, lei era troppo... troppo... superiore. Un termine che John non conosceva, o non voleva comprendere. Lui era il migliore e nessuno poteva sovrastarlo. Ma sapeva che per Jennifer non era così. Un senso d'impotenza lo fece sospirare, ma non gli sottrasse il respiro questa volta, anzi. Si eccitò ancor di più e gli venne duro.
«Perché mi guardi in quel modo, dolcezza? Vuoi farmi un pompino per caso?». John sorrise in modo sadico. Jennifer divenne ancora più seria. Sollevò con lentezza il braccio verso il bullo, a palmo disteso e disse: «fattelo da solo». John si ritrovò spiaccicato sul muro alla destra della porta d'emergenza della palestra. La pelle del suo viso si ritrasse come quella di un cane affacciato al finestrino di un'auto. Sentiva premere contro il corpo, come se delle travi gli stessero schiacciando gli organi interni. L'intonaco sotto il suo corpo cominciò a sgretolarsi, come la sabbia levigata dalla brezza marina. Jennifer cacciò un urlo degno di un'amazzone. Gli occhi gli s'illuminarono di un bianco intenso, così come le vene sulle tempie. I ragazzi, Sophia e Taylor restarono sbigottiti come in preda a un'allucinazione, mentre Bobby restò a bocca aperta nel vedere John schiacciato al muro, sospeso in aria a circa tre metri dal suolo. Ma l'arsenico cominciò subito a fare effetto sul corpo di Jennifer. Mollò la presa esausta, come se lo avesse sollevato con i propri muscoli. John rovinò a terra e cominciò a vomitare. Lui è cattivo, è come mio padre. Lui non dovrebbe stare a questo mondo... dovrebbe... morire! Jennifer non era mai stata dominata da una forza simile, se non quando aveva cercato di uccidere il padre. Uccidilo Jennifer, uccidilo, così potrai finalmente ballare. Jennifer ascoltò quella vocina demoniaca come fosse posseduta. Cominciò a ridere in modo isterico, come una gattara matta sotto l'effetto di droghe. Imitò con la mano il gesto di voler schiacciare qualcosa e John si ritrovò tramortito a terra come se fosse stato investito da un'auto. Non riusciva a respirare. In un attimo si ritrovò faccia a faccia con Jennifer che teneva la mano chiusa a pugno. Lui era in ginocchio e guardava quegli occhi splendenti, un bianco di paradiso e d'inferno. Tutto attorno a sé si fece nero e la ragazza gli parve alta come un palazzo. Per la prima volta nella sua vita provò un sentimento nuovo. Gli sembrò come se alle spalle di Jennifer ci fosse inciso con il sangue su una parete scura una scritta funesta che non lasciava dubbi: MORTE.
John sentì stringersi alla gola, come se Jennifer lo stesse davvero soffocando, ma il suo pugno chiuso era a un metro di distanza. Bobby si alzò in preda al panico, convinto che l'avrebbe ucciso. John scalciava con i piedi e provava a liberarsi senza riuscirci. Come sottrarsi dalla morsa di braccia che non ci sono? Jennifer provò un senso di gioia che non riusciva a spiegarsi. Aveva tra le mani la vita di un altro essere umano e poteva farne quello che voleva, si sentiva... potente. Strinse ancor di più la morsa, quando un lampo nella mente la fece trasalire. Forse era stata la sua coscienza o forse le grida dei suoi amici, che la supplicavano di fermarsi. Jennifer, che fai? Uccidilo! Lui è come tuo padre, vuole scoparti, fai un favore all'umanità! Balla Jennifer, balla! «Sta' zitto!!!» gridò la ragazza. John piombò a terra a faccia in giù, svenuto, mentre il silenzio calava sulla palestra. Quel pomeriggio Jennifer stava davvero per uccidere una persona. E quello stesso pomeriggio, le Guardie di Sicurezza irruppero nella palestra, portando i ragazzi al laboratorio d'analisi. La punizione che i gestori diedero loro fu esemplare. Ciascuno dei ragazzi fu messo in una cella d'isolamento per settantadue ore, con un grosso riflettore puntato sulla faccia. Furono sottoposti a estenuanti sedute di trenta minuti di elettroshock, tre volte al giorno per tre giorni (tranne Thomas, a cui fu iniettata una sostanza che amplificava il dolore e che fu percosso con veemenza con delle spranghe). Quando terminò la punizione, piansero per giorni, scossi come agnellini impauriti e per una settimana non s'incontrarono. La domenica sarebbero dovuti andare nella casa alla fine di Garden Street, ma erano rinchiusi in una stanza due per due. Decisero di far passare un mese, per dar tempo agli arti di Thomas e Leonard di guarire, a Sophia di riprendersi dalla ferita e a Jennifer di tornare in sé. Quest'ultima rimase per giorni senza parlare. Quando confessò agli amici che era stato quello là a comandarla, tutti furono ancora più convinti che sconfiggerlo fosse una priorità. E fu così che sul finire di gennaio, quando le prime nevicate avevano ricoperto i tetti e le strade della città di morbida neve, si diressero verso la casa della Nonna Pervertita (così l'aveva soprannominata Thomas, lui doveva dare un nome a ogni cosa e poi non aveva assistito ai combattimenti di Leonard, Sophia e Jennifer e quindi gli dovevano l'onore di nominarlo Assegnatore Ufficiale dei Nomi dei Demoni di Primestone).
Spazio autore
Il quarto capitolo è stato di transizione, ma mi è servito per sviluppare meglio i personaggi e sopratutto vi invito a ricordarvi di Captain World ;)
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