CAPITOLO 2 (Parte 2)

Quello stesso giorno, qualche ora prima, il dodicenne Chris Light se ne stava a fissare l'orologio appeso alla parete, alle spalle della cattedra nell'aula dove sempre ascoltava la lezione, nella scuola per mutanti della città deserta di Primestone. Di tanto in tanto si volgeva verso destra, a contemplare quelle ampie vetrate dove si condensava l'umidità sui bordi e formava una sottile patina. Oltre i vetri poteva osservare la Piazza dei Caduti, con quell'enorme statua che in certi giorni gli sembrava si animasse. Certe volte invece, in modo sommesso gettava uno sguardo un paio di banchi più indietro, alla sua sinistra. Le sue attenzioni cadevano sempre sul volto candido e sullo sguardo perso di Sophia Williams. Trovava la ragazzetta carina, ma non come le altre, lei era assai più carina, "un diamante" gli piaceva definirla. Ammirava i suoi azzurri occhi come quei mari tropicali alla tv, nella vecchia biblioteca della scuola sulla Summer Street. E i suoi capelli rossi, unici, come delle pagliuzze infuocate. Spesso e volentieri pensava a lei, durante quelle noiose lezioni sulla geografia e sulla coltivazione della barbabietola da zucchero, le piaceva, ma mai nella vita si sarebbe sognato di dirglielo. E in quelle giornate uggiose nella città di Primestone, dove ci si infonde coraggio credendo di essere liberi, ma non si è altro che in prigione, una prigione enorme e senza celle, Chris sognava a occhi aperti di liberare le sue parole d'amore per lei, perché di amore si tratta, non può essere altro. A volte il solo pensiero gli faceva battere così forte il cuore che credeva che prima o poi gli sarebbe schizzato fuori e che gli inservienti, in quel caso, sarebbero dovuti arrivare con acqua e straccio per pulire il pavimento. Arrossiva e aveva le farfalle allo stomaco. Ma la questione che più lo preoccupava erano le sue intemperanze inguinali. Già prima che si chiudesse l'anno scolastico aveva notato alcuni cambiamenti e sempre più spesso, quando gli capitava di sfuggita di guardare Sophia, sentiva un torpore nelle parti basse. "Durello", lo chiamava il suo amico Leonard Star. «Stai crescendo – gli diceva – è tutto normale, anche a me succede». Dio mio, cosa mai penserebbe lei se mi vedesse in una simile situazione? Dio che vergogna!

Ma tanto Chris era convinto che lei non lo degnasse neanche di uno sguardo. E in quel turbinio di pensieri di quel ragazzetto snello e dal ciuffo all'insù, il tempo passava inesorabile, insensibile ai dilemmi di un giovane che si appresta a vivere la sua prima adolescenza.

Il tempo non aspetta nessuno, continua a correre e non può essere fermato, si crede di avere tempo infinito quando si è giovani, ma il tempo non la pensa allo stesso modo, è insensibile e non mostra pietà, senza eccezione. E così vennero le tre e la campanella appena fuori nel corridoio vibrò forte, facendo scattare in piedi tutti gli studenti, pronti a catapultarsi fuori.

«Signori, un attimo di attenzione prego!» tuonò l'insegnante, una certa signora Gruwell. «Farò l'appello e verrete a prendere la verifica di scienze corretta». A uno a uno l'insegnate chiamò gli studenti della classe, fino a quando non fu il turno di Chris. Si sollevò di scatto dalla sedia e si diresse verso la cattedra. Aveva un'andatura in parte claudicante, la schiena curva e una grossa felpa arancione di un paio di taglie più grandi. Indossava quelle misure perché si vergognava del suo fisico troppo snello e di quella pietra al centro del petto. L'estate precedente, l'ultimo giorno di scuola, prima di entrare in classe, un certo John Harris (il prototipo del bullo) gli aveva tolto la maglietta e senza saperlo aveva mostrato al mondo intero il suo "difetto" fisico, di cui si vergognava tantissimo. Fortuna che quel giorno Sophia non lo aveva visto, perché se così fosse stato, avrebbe preferito scalare a mani nude il monte Sik per poi gettarsi, oppure si sarebbe lasciato annegare nel fiume Pinnot.

«Ottimo lavoro, signor Light. Se cerchi un contatore Geiger, puoi trovarlo alla vecchia scuola superiore sulla Summer Street». «Grazie, signora Gruwell». Dagli ultimi banchi, si levò una leggera pernacchia. Non poteva che essere John Harris. Di due anni più grande, era un ragazzo così alto e muscoloso che a confronto con gli altri della sua classe sembrava un adulto. Chris era preoccupato da lui. John e i fratelli Bobby e Clint Brown (di dodici e undici anni, che si trovavano in un'altra classe) facevano i gradassi di Primestone. Erano stati loro a far fuggire dal dormitorio tutti gli altri ragazzi l'anno precedente, costringendoli a vivere nelle case abbandonate sparse per la città e sempre loro erano stati in un primo momento a far prendere la decisione agli addetti della città che era il caso di separare maschi e femmine. Nonostante le punizioni delle Guardie di Sicurezza, niente sembrava placare la loro "insita malvagità", espressione che tanto piaceva a Chris. Harris era, come già detto, enorme, con dei capelli così pieni di gel raccattato per i negozi della città che a strizzarli si poteva riempire un intero barattolo ogni volta. Si vestiva come un autentico punk: cappotto di pelle con le borchie e i pantaloni neri cacciati dentro gli stivali neri, adornati da teschi argentati. Aveva ai polsi più bracciali di quanti un essere umano possa portare. Chris sapeva bene che John ce l'aveva con lui per non avergli fatto copiare la verifica di scienze la settimana prima. Quando tornò a sedersi, la signora Gruwell continuò l'appello saltando il suo nome. Pessimo segnale. Quando terminò, l'insegnante si incupì in volto. «Bene, potete uscire. Il signor Harris invece resterà qui, perché mi pare evidente che la lezione impartitagli dal dottor Brandt non è stata sufficiente». John divenne a sua volta cupo in volto, abbassò lo sguardo e digrignò i denti. Batté un leggero colpo sul suo banco con entrambi i pugni. Chris non ebbe invece più esitazione. Schizzò fuori dall'aula alla velocità di un aereo da combattimento e si precipitò per le scale rischiando di capitombolare. Già in passato il bulletto lo aveva sistemato per bene, rompendogli tre denti. Fortuna che sono un mutante e ricrescono.

Arrivato all'uscita, inciampò sull'ultimo gradino. Fece una capriola intera e finì col sedere sul terreno bagnato e umido. Sentì bruciore un po' in tutto il corpo e si rialzò dolorante. Si avvicinò a un albero più in là e appoggiò la schiena contro il tronco. Si fermò per qualche secondo, tutti gli altri ragazzi defluivano dalla porta principale della scuola, riversandosi come ciottoli portati da una piena sulla piazza. Le ragazze si dirigevano verso il loro dormitorio, mentre i maschi se ne andavano come mine impazzite un po' in tutte le direzioni. Mentre era immerso nei suoi infiniti calcoli, con una precisione degna di un orologio svizzero, per organizzare ogni passo successivo di quella giornata, una vocina lo interruppe. «Sei davvero bravo in chimica. A dire il vero sei bravo in tutto». Era Sophia Williams. Prese fuoco e pensò che il suo volto fosse più rosso dei capelli della fanciulla, una foresta in autunno, con le sue foglie scintillanti. Indossava un grosso maglione verde che gli sbucava dal giubbino nero. In quel momento si sentiva frastornato, a tal punto che gli sembrava di non sentire più nulla attorno a sé, solo quella meravigliosa visione. Non fare cose stupide e non dire cazzate, Chris. Ti ha rivolto la parola, oddio ti ha rivolto la parola, miracolo! Leonard morirà d'invidia! Per favore, fa che non mi viene duro, fa che non mi viene duro, perché altrimenti sì che salgo sul monte Sik, o sì cazzo puoi scommetterci che lo faccio e mi butto giù!

Un inebriante odore lo raggiunse e lo colpì con una violenza inaspettata. Provò un misto tra gioia e nausea. «Non esagerare, non sono poi così bravo sai, a volte è solo fortuna». Chris provò a fare il figo, incrociò le gambe e portò la mano destra tra i capelli. Mamma mia, sembrerò un idiota in questo momento, anzi il re dei coglioni! «Comunque, ho saputo che sei un amico di Leonard Star. Ha detto di vederci tutti giù al fiume più tardi, mi ha detto che ci sarai anche tu». «We are the champions, my friends. And we'll keep on fighting 'til the end». Quel gran pezzo di merda di Leonard non mi ha detto che conosce Sophia. Maledetto bugiardo, voleva tenersela tutta per sé? Gli darò tanti di quei pugni in testa che lo farò sprofondare fino allo strato carbonifero.

Chris cominciò a balbettare e a pronunciare strani e incomprensibili suoni e squittii. Si fermò un attimo e prese fiato. Il re dei coglioni, il re dei coglioni! «Wow... fantastico... allora... ci vediamo più tardi!» pronunciò Chris con una strana voce squillante, come se a parlare non fosse lui ma una sua caricatura, uscita da qualche fumetto. Sophia sorrise e voltandosi sollevò la mano e salutò, facendo l'occhiolino. «Allora a dopo Chris, ciao!». Chris si sentì svenire, le gambe gli tremavano e sembrava di dover sprofondare nel terreno da un momento all'alto. Mi ha fatto l'occhiolino! Non me lo sono sognato, non sto sognando, mi ha fatto davvero l'occhiolino! Sophia Williams mi ha fatto l'occhiolino... e mi ha pure sorriso! La ragazza si allontanò saltellando con la gonnellina della divisa, le scarpette grigie e le calze nere. La vista di quelle sottili gambe e lo svolazzare forse dell'indumento, forse di quei capelli rossi come la lava, lo faceva sudare. E alla fine niente poté frenare la situazione nelle parti basse. Ecco... fortuna che se ne sta andando. Stette immobile a osservarla, fino a quando non la vide entrare nel dormitorio femminile.

Rimase per qualche attimo in uno stato di assoluta contemplazione, poi si ricordò di John Harris e dei fratelli Brown. Scattò come una molla verso il lato destro della scuola che dava proprio sulla Main Street e si diresse lungo essa a passo svelto. La città gli appariva tetra come sempre e Chris, che pure era stato abbandonato in un orfanotrofio quand'era piccolissimo, in tre anni non si era ancora abituato a quell'atmosfera. Un pallore grigio aleggiava sulla città e le goccioline d'acqua si condensavano sui lampioni. C'erano ancora auto parcheggiate e arrugginite lungo tutte le strade che costringevano a procedere a zig zag.

Chris provò a raddrizzare la schiena e accelerare il passo. Le sue scarpette producevano un lieve ticchettio e di tanto in tanto slittavano sull'asfalto umido. Passò davanti a un meccanico ormai abbandonato da anni, cambiò lato della strada e si catapultò il più in fretta possibile su una nuova strada, la Run Street. Proseguì ancora per un centinaio di metri, passando davanti a un negozio di liquori che i bulli erano soliti saccheggiare. In quella città erano permesse cose che nel mondo "normale" non sarebbero state permesse, ma questa idea appariva al ragazzo sempre più come una leggenda che con il tempo sarebbe andata perduta per sempre. Ma d'altronde, cosa c'era di "normale" in una città abbandonata, circondata da mura, abitata da bambini e ragazzi mutanti e gestita da tizi misteriosi in camice bianco?

Chris proseguì la sua corsa soddisfatto fino a destinazione. Svoltò a sinistra e si ritrovò alla fine sulla Summer Street. Poco più avanti c'era un giardino ricoperto da sterpaglie ed erba alta e, appena oltre l'ex scuola superiore di Primestone, il luogo verso cui Chris si recava. In lontananza, una telecamera su un alto palo osservava silenziosa. Poco prima dell'entrata, un bambino girava intorno a una vecchia panchina con una bici color latta e un cappellino blu in testa. Chris lo conosceva di vista, era un certo Manuel Radimon, famoso per il fatto di essere un bambino-scimmia. Il suo disturbo genetico era quello di avere una folta peluria che gli ricopriva tutto il corpo e gli conferiva abilità tipiche delle scimmie, come la grande agilità. Quello sta senz'altro messo peggio di me. A me basta una maglia, per lui ci vorrebbe un intero lenzuolo. Non rimase lì a fissarlo più di tanto e si diresse subito oltre la porta d'entrata.

Chris adorava l'ex scuola superiore, una struttura squadrata in arenaria rossa e dal tetto bianco neve. In particolare, adorava la protezione che forniva dalla calura estiva, la biblioteca e il laboratorio di scienze. Gli piaceva sfogliare e leggere vecchi libri impolverati e ingialliti, quell'odore di carta mista al muschio che inesorabile si insinuava tra le mura della struttura. Ma ancor di più gli piaceva il laboratorio.

La scuola era deserta, ma la sete di conoscenza del ragazzo gli faceva superare le paure ed egli si dimenticava di quanto quel luogo fosse tetro. Ora vado al laboratorio, prendo il contatore Geiger, faccio qualche misura e poi corro da Leonard giù al fiume Derrick, dove ci sarà pure Sophia. Ah, Sophia, amore mio! Percorse il lungo corridoio che portava al laboratorio di scienze al piano terra della scuola. Prima di svoltare a destra, gettò uno sguardo fuori e attaccato a un palo della luce vide un grosso manifesto con sopra scritto:

COPRIFUOCO ALLE 22:00.

NON TARDARE, LE LUCI SI SPEGNERANNO.

GUARDIE DI SICUREZZA DI PRIMESTONE.

Quei manifesti blu e arancione erano sparsi per tutta la città. Furono messi con l'inizio dell'anno nuovo, a seguito di un misterioso omicidio, preludio di una serie di molti altri. Donald Rosenthal, un bimbo di sette anni, fratello gemello di Taylor Rosenthal (Chris l'aveva vista qualche volta giocare con Sophia in un piccolo parco su un'altalena a due isolati da lì) fu trovato morto in un boschetto nei pressi poco prima del fiume Derrick. Da allora nuove telecamere furono installate nella città, la sicurezza fu aumentata ed era stato messo appunto il coprifuoco. Chris ricorda che la sera prima che ebbe a sapere della notizia (proprio la sera in cui fu ucciso il piccolo Donald, ripensò poi il ragazzo) ebbe uno strano sogno. Ricordava di essere dentro un bosco pieno di arbusti neri e spogli, di aver visto in lontananza una figura contorta con due piccoli occhi fucsia fosforescenti. Gli sembrò di vedere un sorriso inquietante in quell'oscuro volto privo di una forma definita («Ti Va Di Ballare Con Me?»). Il mattino seguente le lenzuola erano inzuppate di sudore, a tal punto che i suoi compagni di stanza Leonard Star e il piccolo Ed Kasparov lo presero in giro definendolo un pisciasotto. Nei mesi seguenti molte congetture furono fatte. I ragazzi erano spaventati, ma al laboratorio dissero che si trattava di un dipendente che era impazzito e che fosse già stato arrestato. Era senza ombra di dubbio una bugia.

Per qualche secondo, frastornato da questi terribili pensieri, si reso conto di essere entrato nel laboratorio senza quasi accorgersene. In un angolo c'era uno scheletro di plastica finto, con alcuni organi montati. Il pavimento del laboratorio era inclinato come la sala di un cinema e aveva delle fila di sedie beige, sei ciascuna, per un totale di dodici file. In alto c'erano armadietti di vetro zeppi di strumenti di ogni sorta, e alcune tavole periodiche erano attaccate alle pareti. Più in basso, c'era un enorme bancone bianco e una grossa lavagna verde. Chris in un primo momento si diresse verso il bancone e provò a rovistare dentro i grossi cassetti grigio topo, ma non trovò ciò che cercava. Provò ad andare nel cucinino dietro al muro della lavagna, ma non trovò niente d'interessante, a parte una quantità senza fine di provette quasi tutte rotte. Andò quindi agli armadietti sul lato opposto. Trovò delle padelle, un forno a microonde, pinze, altre provette, dei becher e ampolle di varie forme e dimensioni, e alla fine trovò quello che cercava. Un contatore Geiger, una piccola scatoletta nera con quattro manopole poste in basso, uno schermo con vetro trasparente con un indicatore su una scala numerata. Provò a premere il tasto di accensione ma non successe nulla. «Le batterie!» esclamò Chris, producendo un rimbombo per tutta la stanza e oltre. Si precipitò verso il bancone di nuovo e ricordò di aver visto delle pile in uno dei cassetti. Venti anni? Impossibile, si saranno scaricate. Provo lo stesso. Chris inserì le batterie nello strumento, ma non si accese neanche stavolta. «Ecco lo sapevo! Va beh, lo lascio qui e domani provo a chiedere a uno degli inservienti delle batterie nuove. Domani pomeriggio tornerò a prenderlo.»

In quegli stessi momenti, i fratelli Brown e John Harris erano arrivati davanti all'ex scuola con delle bottiglie di vino in mano. Una telecamera scrutava le loro mosse. «Cazzo, John, è già la seconda bottiglia che ti scoli, noi invece non siamo neanche a metà della prima» disse Bobby con sguardo un po' perplesso. Il ragazzo vestiva un lungo cappotto marrone scuro che lo faceva sembrare una specie di Sherlock Holmes. Dalla chioma scompigliata, come di uno che si è appena svegliato, fuoriuscivano due antenne bluastre, molto simili a quelle degli insetti. L'altro fratello, Clint, barcollava in maniera vistosa e singhiozzava con lo stesso ritmo di un martello pneumatico. Aveva delle chiazze verdi sul volto, come le squame di un rettile, e i capelli quasi del tutto rasati.

«Cazzo Clint, sei già ubriaco, sei una femminuccia, non reggi un po' d'alcol!» urlò John, che con scatto felino tirò un manrovescio in faccia al povero ragazzo, che fece un paio di piroette prima di crollare al suolo come un rametto spazzato via dal vento. «John, lo sai che non lo regge bene, ha undici anni!». Bobby corse subito verso il fratello e lo aiutò a rialzarsi. Clint scuoteva la testa e aveva un sorrisetto stupido sul volto. «Non me ne frega niente se è il più piccolo! − proseguì John − Se vuole far parte di questo trio deve essere sempre al top!». Il giovane Harris, come un ubriacone in un bar di periferia, rovesciò il collo all'indietro e bevve fino all'ultima goccia. Fece un grosso respiro di gioia e diede un grido di estasi al cielo. Poi scaraventò la bottiglia a terra, frantumandola in mille pezzi. Si voltò verso il lampione dove era posizionata la telecamera e cominciò a urlargli contro. «Ehi, cazzoni, la volete vedere una cosa!? La volete vedere una bella cosa!?». Bobby, che nel frattempo era riuscito a far rialzare il fratello, allungò il braccio verso John e con voce un po' sommessa provò a farlo ragionare. «John... John! Dai smettila, che diamine fai?». A quel punto però, John si calò i pantaloni e le mutande. «Ecco a voi la bella cosa, sto cazzo!». Dopo quella esclamazione, John rovinò a terra e cominciò a rotolarsi e a sganasciarsi dalle risate. Ci vollero quasi due minuti affinché la sua isteria si placasse. «Porca miseria, domani il dottor Brandt gli fa un culo grosso quanto tutto il Grande Sud» sentenziò Bobby rassegnato, mentre Clint cominciò a sua volta a ridacchiare e quel suo ritmo era di tanto in tanto interrotto dal singhiozzo. John si ricompose e si diede dei piccoli schiaffetti in faccia. Poi il suo volto divenne all'improvviso cupo, come quando ti ricordi di un torto subito e l'unica cosa a cui pensi è vendicarti. «Quel maledetto figlio di puttana di Chris Light, per colpa sua questo semestre verrò rimandato in scienze. Ero riuscito a copiare tutti i compiti, lui era l'unico della classe, insieme a quella zoccola di Sophia Williams, che non ha mai pagato alcun debito. Tutti hanno debiti con me!». Poi John rivolse il suo sguardo minaccioso verso l'ex scuola superiore. «Quella racchia dell'insegnante ha detto a quel gobbo di venire a cercare uno strumento qui». Anche Bobby rivolse lo sguardo alla scuola e subito a ruota lo seguì Clint che, ripresosi dalla botta appena ricevuta, provò a proferire parola. «C-che facciamo John? Entriamo?». Il volto di John s'illuminò di un buio sorriso. «No, Clint, la città è disseminata di telecamere. Ci nasconderemo e aspetteremo che esca. Poi lo seguiremo. Andrà quasi per certo giù al fiume con gli altri coglioni dei suoi amici. Quando sarà fuori città e prima che arrivi lì, lo accopperemo... lo ammazzerò quel bastardo... oh sì, lo ammazzerò...» John, terminata la frase, cominciò a ridacchiare in modo isterico. I fratelli Brown, invece, si guardarono un po' perplessi.

Spazio autore

E così facciamo la conoscenza di un terzo nuovo protagonista dopo Sophia e Taylor, Chris Light, e dei tre "bulletti" di Primestone, ossia John, Bobby e Clint. Come vi sembrano questi nuovi personaggi? Fatemi sapere :) 

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