CAPITOLO 12 (Parte 4)

Mentre Jennifer correva in suo soccorso, l'uomo aveva la pelle già quasi del tutto ricomposta, ma la fatica ora cominciava a farsi sentire. Le ossa protestavano anche al più piccolo movimento e i muscoli dolevano come infiammati. Il sudore scorreva lungo tutte le linee del suo corpo e il suo volto era paonazzo. Lentamente si sollevò dal terreno, barcollando, tornando poi a fissare il Titano che indugiava verso la città, scrutando il piccolo uomo che aveva osato combattere contro di lui. Sam drizzò la schiena e un click gli si fermò in gola. Pretendeva di gonfiare il petto verso il nemico, ma affranto si ritirava e sospirava rantolando. Maledizione, cosa cazzo mi invento? Quel coso mi terrorizza... D'accordo, ultimo tentativo, o la va o la spacca... vediamo fin dove si può spingere il mio corpo...

Un bagliore accese il suo corpo dall'interno, il quale divenne traslucido. Occhi, tempie, busto, gambe, fulgide di fucsia fluorescente e da contrasto s'intravedevano le ossa e il cuore, macchie nere sotto la superficie della pelle. Un suo battito, lento e riposato, echeggiò oltre il suo corpo, udibile dall'esterno anche a dozzine di metri di distanza tintinnare nel vento di tempesta che mai si era placato. Overpowered: trecento percento.

L'uomo piegò le gambe poggiando il suo peso sulle ginocchia come un centometrista. La sua schiena s'inarcò, lasciando intravedere le spine delle vertebre luminose e pulsanti di fluorescenze. Poi... un boato. Grazie ai riflessi accelerati al limite delle sue possibilità fisiche, si lanciò a pugno chiuso verso il Titano, come un missile. Quando il demone parò il proiettile umano con la lancia, rispendendolo indietro, Sam atterrò di suole, sprofondò nel terreno che strepitò e sbuffò di detriti, e poi si slanciò di nuovo. Ogni volta che il Titano parava un attacco con un braccio, o con un ginocchio o con la lancia, Sam si rialzava e lo attaccava nuovamente. Forse a tre o quattro volte la velocità del suono, rimbalzando come contro un muro invalicabile, si schiantava sul terreno producendo un microfungo e ripartiva. Ma il Titano non vacillò. Così rapidi erano i suoi arti, che sembrava guardare il battito d'ali di un colibrì. Indescrivibile mandrie di tornado si formavano, irrequiete, sbattendo e dissipandosi in tutte le direzioni. Nel raggio di tre chilometri, anche un tir sarebbe finito sollevato e inghiottito. Con occhi sfavillanti, una lucciola nel pallore nero della notte satanica, Sam irrefrenabile continuava a colpire, invano, ma continuava.

«RIDICOLO!».

Al rombo vocalico del demone, come un insetto schiacciato da una moschiera, venne spiaccicato al suolo, colpito da un palmo aperto del nemico. Il vento si placò e il boato della deflagrazione si dissipò. Inutile. Era come schiaffeggiare una cassaforte pretendendo che si rompesse. Alla fine, la luce nel suo corpo si spense e tornò alla normalità, disteso a terra e stremato. Aveva dato tutto e, se avesse attaccato ancora, questa volta neanche il suo fattore rigenerativo lo avrebbe salvato. Il cuore gli fremeva, come i battiti cardiaci di un topolino, mentre i suoi polmoni strillavano dolore a ogni sospiro pesante. E quando i suoi occhi stavano per chiudersi, abbandonandosi a un destino crudele, provando più un senso di rammarico e delusione che non di timore, delle fredde punte morbide affondarono nelle sue guance tese. Quando riaprì gli occhi vide il volto spensierato e fanciullesco di Jennifer. La ragazzina strizzava le guance dell'uomo ed era seduta accovacciata sul suo petto. Il cuore sembrò placarsi e quella docile visione sembrò (scioglierlo) rincuorarlo. Seppur titubante, imitò una falsa rabbia. «Caccola... perché sei tornata indietro?» riuscì a biascicare l'uomo. «Sam, la fiamma! Tu hai ancora la fiamma! È assurdo, ma ce l'hai ancora!». Sam, incapace anche di fare una semplice addizione, si sentiva confuso a quelle parole che gli apparivano così prive di significato. «Fiamma? Di che fiamma stai parlando, caccola?». «La fiamma, Sam! Non capisci!? Forse puoi vincere! Forse possiamo vincere! Lasciami fare!». «Ma cosa...».

Buio. Una scarica elettrica come di un elettroshock scosse il suo cervello e poi... silenzio. Non un'emozione. Solo una flebile sensazione di abbandono, un dolce lasciarsi andare. Un viaggio nello spazio e nel tempo (che non esiste) cominciò per Sam, nei meandri della sua mente, celati ricordi ora resi visibili. Realistici. Reali.

Buio, solo buio c'è intorno a me. Dove sono? Cosa sento? Sento... odore di waffle, come... come quelli che preparava mia madre. Il letto, morbido letto, lenzuola pulite, ammorbidente... sto... sto forse dormendo? Vedo... vedo buio... anzi no! Una striscia di luce bianca, il paradiso? No... mi sento tranquillo, sereno, come quando era a casa... casa...

Sam aprì gli occhi. Sotto un lenzuolo bianco, affondava la testa in un morbido cuscino. Lento, come se tutto fosse al suo posto, si destò con il busto e si tolse il manto di cotone di dosso. Sulla parete opposta, risplendeva un poster di Captain World. Fumetti e manga erano ammassati sulla scrivania. Un pupazzo di Hulk e uno di Iron Man affioravano tra due peluche posti su una poltroncina beige. Lego e costruzioni inondavano il pavimento. Eroi di ogni sorta e dimensione, personaggi di mondi immaginari grondavano da un contenitore trasparente. Ma... questa è la mia cameretta, quando abitavo con i miei in Gazzellesia, nel Grande Sud. Come...

Il piccolo Sam, un bimbetto di nove anni, poggiò i piedini a terra. «Ahi!» esclamò quando un braccio di Spider-Man, dieci centimetri di resistente plastica delle WesternLands, si conficcò sotto la pianta. Sollevò la gamba, tenendosi il piede. Una puntina di rossore era apparsa, circondata da un bordo più pallido. Lasciata andare la gamba, si stropicciò gli occhi e dalla bocca fuoriuscì un profondo sbadiglio. I suoi capelli erano arruffati e il pigiamino azzurro gli scendeva su una spalla. Sgranò gli occhi e scosse la testa. Si diede un paio di schiaffetti sulle guance, prima di scendere dal letto, questa volta facendo attenzione a non calpestare qualche altro giocattolo. Con piedi striscianti, si trascinò fin dentro il bagno.

Dio mio, ma questa è casa mia, quella della mia infanzia! Ma come ci sono finito qui? Ho sognato per anni!? No, no, c'è qualcosa di strano... non sto muovendo io il mio corpo, si sta... muovendo da solo...

Per qualche illogico e incomprensibile atto magico, Sam si sentiva uno spettatore, anzi lo era. La sua mente adulta osservava con gli occhi del bambino che era stato e si chiedeva quale stregoneria fosse mai quella. Non aveva alcuna forma di controllo su quel corpicino, gli sembrava esterno, eppure guardava ciò che aveva davanti a sé come se fosse il bambino a osservare.

Splash.

Un fiotto d'acqua finì sul suo viso. Sam bambino si stava lavando la faccia e, come un cagnolino, schizzò liquido trasparente ovunque quando agitò la testa. Si strofinò con un'asciugamani e, scalzo, si catapultò fuori dal bagno, verso le scale che portavano al pianterreno. Dio, è davvero casa mia! Quando varcò la soglia della cucina, raggiante, Sam esclamò: «buongiorno mamma! Buongiorno papà!». Mamma... papà... siete... vivi...

La mamma di Sam, Vanessa, lavorava part-time come contabile in un ufficio in centro città, mentre il padre era un ferroviere. Lei stava preparando la colazione, indaffarata ai fornelli, indossando un grembiule rosso da cucina. Una lunga chioma castano chiara, come i capelli di Sam, scendeva sulla schiena, raccolta in una lunga coda di cavallo. L'aria era invasa dai profumi del mattino: uova strapazzate, marmellata di mirtilli, gli immancabili waffle, succo alla pesca, biscotti con gocce di cioccolato e salsicce con succo d'acero. Il padre di Sam, Conrad, leggeva un giornale, il Daily Today. Quando il figlio entrò in cucina, sollevò lo sguardo. Già dapprincipio aveva sentito il pargolo zampettare lungo le scale e avvicinarsi.

«Buongiorno, figliolo» rispose lui pacato, per poi tornare alla sua lettura. «Buongiorno, Sam» rispose soave Vanessa, schioccando un bacio con le sottili labbra lucidate a distanza al figlio. Sam rispose, afferrando il bacio immaginario, portandosi una mano sulla bocca e spedendone uno ancora più chiassoso verso la madre. Lei sorrise amorevole e riprese a cucinare. Sam si sedette allora sulla sedia. Con lievi sobbalzi, si avvicinò con la seduta al bordo del tavolo e, famelico, afferrò il suo piatto fumante. Sam si passò le labbra con la lingua, ma prima che infilzasse con la forchetta un boccone succulento, la madre lo fermò: «un minuto tesoro, che ti metto anche i waffle accanto». «Dai mamma, sbrigati, ho fame!». E da bravo bambino pazientò, scalciando sotto al tavolo e poi... un lampo gli trapassò la mente.

«Papà! − esclamò, facendo sobbalzare l'uomo− Oggi esce l'edizione speciale di Captain World, la Dark Series! È sabato, dai, andiamo a prenderlo giù in paese alla fumetteria!? Ti prego papà, è importante, devo aiutare Jennifer a sconfiggere il Titano!».

L'uomo, all'ultima frase, abbassò il giornale e scrutò il figlio. Con occhi brillanti, lo supplicava di dargli risposta affermativa. Sorrideva speranzoso e, come se non bastasse, giunse i palmi a mo' di preghiera. «Dai babbo, ti prego!». «Ma non hai già avuto troppi regali questo mese? E il poster di Captain World, e il pupazzo di Mazinga Z, e la Batmobile... Quando sarà il tuo compleanno cosa mi chiederai, una vera auto!?». Ma Sam non si arrendeva. Sapeva che i suoi genitori erano docili e lui sapeva essere assai convincente. Doveva solo lavorarseli. «Ti prego» disse facendo gli occhioni. «È proprio super-super-importantissimissimo che io prenda quel fumetto, dai papà!». «Se mi prometti di mantenere più in ordine la tua cameretta, allora potrai avere il tuo fumetto» disse la madre. «Lo farò!» giurò Sam baciandosi il polso.

La madre lo guardò consapevole del disordine cronico di cui soffrisse la cameretta del figlio, ma era troppo raggiante di gioia quella mattina. Ma qualcosa, un formicolio sospetto alla testa le destava una leggera preoccupazione. «Piuttosto... chi è Jennifer?». Alla richiesta incuriosita della madre, Sam piegò la testa verso sinistra e la guardò come se gli avesse rivolto una domanda sciocca. Svelto, chiuse il discorso con un semplice: «boh! Un'amica!». E affamato, si fiondò con la testa nel piatto, rimpinzandosi. «Piano, Sam» lo esortò Vanessa. Colta un po' di sorpresa dalla risposta del figlio, Vanessa si voltò in direzione del marito, che frattanto ridacchiava. La donna aveva capito che lo stesse facendo in riferimento a quel misterioso nome femminile invocato dal figlio. Bisbigliando, lanciò un'occhiataccia al marito e disse: «cos'hai da ridere!? Chi è questa Jennifer!?». L'uomo, con ancora un sorriso stampato sul volto, fece spallucce. Subito dopo, posò il giornale sul tavolo in uno spazio vuoto e cominciò la sua colazione. Pochi minuti passarono, quando Sam, precipitoso, scese dalla sedia e con la bocca ancora piena di cibo non masticato disse: «vado a vestirmi, papà! Sbrigati, che dobbiamo andare in fumetteria!». Mentre lo diceva, si allontanava, salendo le scale. «Lavati, Sam!» gli ordinò Vanessa. «Sì, mamma!» echeggiò la sua vocina fanciullesca, allontanandosi lungo le scale.

Quando i passi divennero sordi, la donna scattò verso il marito, si sedette, e gli lanciò una seconda occhiataccia, battendo un pugno chiuso sul tavolo. Un rivolo di succo d'arancia trasbordò dal bicchiere e colò sulla tovaglia, mentre il marito sobbalzò. «Conrad Peterson, io esigo che tu scopra chi è la sciacquetta di cui parla tuo figlio!». Conrad, a quel punto, sbuffò e alzò gli occhi al cielo come a voler imprecare. «Benedetto sia il Signore, Vanessa! Sarà un'amica di scuola, magari leggono i fumetti insieme qualche volta. Sono bimbi, fanno amicizia a quella età e poi, per diamine! Fra due mesi fa dieci anni, stai calma».

Ma la donna ora trasudava preoccupazione, incavando gli occhi all'interno dei bulbi. «E se è più grande di lui? E se non si limitasse ai fumetti, ma le mostrasse altro? Lo sai come sono i bimbi di oggi, sono precoci! Devi parlargli... da uomo!».

Ma Conrad aveva soffermato i suoi pensieri sulla parola "precoci". Abbozzando un sorrisetto da marpione, passò una mano sulla gamba della moglie e poi sotto la gonna. «Precoci come lo eravamo noi, bambolina? Ti ricordi le serate nella tua stanzetta, con tuo padre che russava giù nel soggiorno?». Ma con un movimento convulso, Vanessa afferrò la mano del marito e gliela strattonò appena. Poggiò la gamba destra sulla sinistra, si girò di fianco e, voltando lo sguardo in direzione opposta a quella del marito, con braccia conserte, sbuffò. «Dio, Conrad! Un po' di serietà. Non voglio che nostro figlio faccia qualcosa di cui si penta». Poi si voltò verso il marito, con occhietti da cerbiatta. «Tesoro, è importante, noi mamme siamo premurose. Parla con Sam, almeno prova a capire se ha fatto qualcosa di particolare».

Quando sentì la voce adulta della donna cadere in un tono più simile a una ragazzina spaventata, l'uomo tornò serio e disse: «d'accordo Vanessa, cercherò di capire se la testolina del nostro bambino non si è già traviata, prendendo la strada della perdizione. Considerato che ha preso la tua bellezza, è facile che qualche donzella si innamori di lui». A quelle parole, Vanessa ridacchiò. «Grazie amore». «Dovere» rispose lui.

Trenta minuti dopo, Conrad sedeva al volante della sua automobile, diretto in paese con il figlio Sam. Vivevano in una casa di campagna e il centro abitato distava una decina di minuti in macchina. «Figliolo, devo chiederti una cosa, − disse Conrad − hai conosciuto qualche bimba a scuola?». «No!». Schietta fu la risposta, fin troppo, come se volesse nascondere qualcosa. Non trasmetteva una vera preoccupazione, ma era come se Sam dovesse fare qualcosa di fondamentale importanza. Come una missione. «Quindi... proprio non vuoi dirmi chi è Jennifer?». «Papà, te l'ho detto, è un'amica che ha bisogno d'aiuto. Dobbiamo sconfiggere il Titano, ci serve l'aiuto di Captain World!». A quella esclamazione, che sapeva quasi di liberazione, Conrad corrugò la fronte. Non era soddisfatto di quella risposta, ma la logica delle parole gli suggeriva che, forse, si trattava di giochi d'infanzia e di certo non c'era da preoccuparsi. Magari era una bimbetta di cui Sam non voleva parlare e decise di desistere, pur pensieroso. Una manciata di minuti dopo, l'auto fu parcheggiata nel posteggio della fumetteria. Quella mattina era vuota e Conrad osservava il figlio parlare con il negoziante, oltre i vetri del negozio. Quando lo vide uscire saltellando, sballottolava il giornaletto all'aria, con gli occhi luccicanti. Il figlio appariva davvero strano. Aprì la portiera, si sedette e poi la richiuse in un tonfo sordo. Sgambettava e rideva con vocina infantile. Fremeva dalla felicità. L'uomo ne fu sollevato. E pensò: incredibile, ai bimbi basta un semplice fumetto per farli sentire felici.

Posò il suo sguardo sulla copertina lucida, nuovissima, di quel fumetto. "Captain World" c'era scritto in lettere blu cubitali circondate da fiamme gialle. E il volto in copertina di quel personaggio, avvolto nel nero lucido, destò la sua curiosità. «Figliolo, fammi vedere» disse lui allungando la mano verso il figlio. «Guarda, papà!».

«Con il potere di dieci milioni di supernove... Dark Series... ah, ora ricordo! Questo fumetto lo leggevo anche io quando ero piccolo, però non si chiamava così. Si chiamava... "Heavy Man"!».

A Sam brillarono gli occhi ancor di più. «Davvero, papà!?». «Certamente! Devono avergli cambiato il nome. È quello che urla il nome delle tecniche prima di attaccare?». «Sì, papà, è proprio lui! È l'unico personaggio dei fumetti che quando attacca urla il nome delle mosse, proprio come gli eroi nei manga!». Conrad sapeva che fossero fumetti orientali, ma proprio non comprendeva la differenza. I suoi pensieri vennero interrotti quando il figlio gli scippò il fumetto dalle mani e, festante, cominciò a strillare: «Sì! Ora posso salvare il mondo! Jennifer aspettami sto arrivando, insieme sconfiggeremo il Titano!!!». Al giubilo incontrollabile e incomprensibile del figlio, l'uomo non poté far altro che sorridere. Da padre, tutto ciò che voleva era che il figlio gioisse e nulla più al mondo gli importava. Gli bastava quell'immagine di lui che sorrideva.

I pensieri di Sam seguivano l'automobile rosso sbiadita diretta alla lavanderia, poiché Vanessa aveva affidato Conrad e al piccolo Sam un'incombenza della massima importanza: lavare le lenzuola.

Dio... lo avevo rimosso dalla memoria quel giorno. Ma come... come facevo a sapere di Jennifer? L'ho incontrata decenni dopo... ora ricordo quel giorno, ero ansioso, non vedevo l'ora di prendere quel fumetto, però... sentivo che c'era dell'altro... e ora quelle sensazioni le ricordo tutte e ricordo anche che il giorno dopo, sentivo un gran vuoto alla testa... ne sono certo, non ricordavo più il suo nome. Sapevo che c'era qualcosa del giorno prima che mi era sfuggito. Desiderai quel fumetto più di ogni altra cosa. Nei mesi successivi, nessun regalo, di Natale, di compleanno, pareggiarono mai la gioia di quel giorno. E forse, ora... ne capisco il perché... ma adesso sono nel buio ed è ora di andare... addio mamma... addio papà... non vi dimenticherò mai. Il vostro amore sarà sempre nel mio cuore e i vostri volti impressi nella mia memoria. Grazie... per tutto.

Tremò.

Il cielo funerario di nuovo era sopra alla sua testa. Disteso, non avvertiva più torpore. Solo tre secondi erano passati nel mondo reale, mentre nella sua mente sembrò un viaggio di un giorno intero. Ora si trovavano all'interno di una sacca di depressione. Dentro di essa, la ventilazione era accettabile. Oltre, i cicloni sferzavano per aree vastissime. Jennifer, accoccolata su di lui, sembrava minuscola. Le sue mani affondavano ancora nel suo viso. L'uomo si accorse che delle lacrime di lei si mescolavano alla pioggia. La fissò negli occhi e più la guardava più lei singhiozzava. All'improvviso, lei lo abbracciò e scoppiò in lacrime. «S-sam... m-mi dispiace p-per i tuoi genitori... quei ribelli cattivi gli h-hanno fatto del m-male... m-mi dispiace!».

Sam ne fu sorpreso. Non sapeva come, ma ora la ragazzina sapeva della morte dei suoi, brutalmente uccisi. Sebbene gliene avesse parlato, era come se lei avesse vissuto con i suoi occhi quell'esperienza. Sam rimase tranquillo e l'abbracciò, proprio come un padre farebbe per rincuorare sua figlia. Le baciò la fronte. «Ehi caccola, va tutto bene, io sono a posto. Non sono triste, va bene così. Loro mi volevano un bene dell'anima e io ne volevo a loro. È questo che conta». Jennifer sollevò lo sguardo e indugiò sul suo volto. Una divina luce vide riflessa negli occhi di lui e poi... una fiamma! Fiamme! Gialle e blu!

Jennifer sorrise e fece un gesto di affermazione con il capo. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano. «Ora va', ci penso io». All'affermazione di Sam, Jennifer si alzò e si allontanò più veloce che poté. Sentiva il suo cuore leggero. Tutto quello che poteva fare l'aveva fatto. Come le aveva detto una Signora Gentile, le cose devono andare esattamente come devono andare. Raggiunse un'altura fatta di detriti, a circa duecento metri dall'uomo. E volgendo lo sguardo di poco alla sua destra, vedeva malvagio il Titano, respirare grave e lento, con il suo fiato di marcia e umida catacomba.

«UMANO INFETTO CON IL SANGUE DEGLI DÈI! IO PERCEPISCO IN TE UN POTERE A ME NOTO, DALL'EXTRA TU LO HAI PRESO! NON SO COME QUELLA PUTTANELLA ABBIA FATTO, MA PREOCCUPAZIONE TU NON MI DAI AFFATTO! MUOVITI A FARTI UCCIDERE, PERCHÉ UNICO SOVRANO DI QUESTO MONDO IO SARÒ INFINE! RICORDATI, BALLERAI! TUTTI BALLERETE! E SARÀ UN'ORGIA SENZA FINE!».

Sull'ultima parola, tutto ciò che di più nefasto esiste al mondo dilaniò l'aria in un lamentoso strillo. «Ma chiudi quella fogna!» sbraitò Sam, immerso in un calore avvolgente, con una forza nuova nel corpo, gettandosi nuovamente contro il Titano. «Sam, non così, stai sbagliando tutt...». Un boato arrestò la sua frase. Una nuvoletta di fumo si era formata a una manciata di metri da lei e la polvere la fece tossire secca. Sam aveva provato ad attaccare, ma era stato rispedito indietro da un colpo di braccio del demone. «Diamine, sei l'eroe più goffo del mondo! Non si combatte così!». Frastornato ma integro, mentre provava a liberarsi dalle macerie finitegli addosso, ribatté: «fanculo caccola, che ne so io come combatte un vero eroe!». «Ma è facile!» strillò lei. «Devi trasformarti nella Fenice Cosmica e poi urlare il nome della tecnica!». Sam, rivolgendo lo sguardo alla ragazzina, la guardò stranito, come se lo stesse prendendo in giro. «Urlare il nome della tecnica? Fenice Cosmica? Ma è ridicolo! E poi chi se li ricorda i nomi delle mosse di un fumetto che leggevo da bimbo!». «Ah!» imprecò lei al cielo. «Ora te le suggerisco io, ascoltami!». Sam fu scosso quando sentì la vocina bambinesca di Jennifer strillargli nella testa. Una nauseante incongruenza notava nel vedere le labbra di lei chiuse ma la sua voce risuonargli nelle orecchie come decine di campanelle. «Oddio caccola, è fastidiosissimo!». «Piantala e ascoltami!». Sam si ammutolì di colpo e, ripresosi dallo shock, ascoltò i suggerimenti di Jennifer. Pochi secondi dopo fu pronto. In realtà, non ne era molto convinto, ma non c'erano altre strade. Ormai, qualsiasi cosa gli dicesse Jennifer, per quanto assurda, alla fine funzionava sempre. E perché non darle retta in una simile situazione, con un gigante alieno pronto a fare a pezzi il pianeta?

Il tempo sembrò rallentare, fino ad arrestarsi. Sam era più deciso che mai a sconfiggere il Titano. E non aveva più paura. In quel momento, gli parve di possedere una vista pazzesca, ben superiore a quella che aveva mai provato nella sua breve esistenza da mutato. Tutto gli parve squisitamente nitido, chiaro, fermo, una percezione delle tre dimensioni perfetta. Colori, prospettive, suoni, odori, distanze gli apparivano con una precisione assoluta. E non vacillò. L'abisso di forza che ora c'era tra lui e il Titano non gli sembrava più così grande. Il suo cuore rallentò fino quasi ad arrendersi. Nelle sue orecchie cominciarono a sibilare suoni strani in quella circostanza: un rullo di tamburi accompagnava i suoi battiti. Trasse un respiro profondo e i suoi muscoli divennero un tutt'uno, un blocco solido ma malleabile di inimmaginabile tensione, energia potenziale pronta a essere rilasciata. Aguzzò lo sguardo e pensò che non avrebbe più rivisto il demone con tale esattezza. In quegli istanti senza tempo, il suo corpo si accese di blu e di giallo e i suoi occhi lampeggiarono di fucsia fluorescente. Un vento di tempesta si generò intorno al suo corpo e proruppe in tutte le direzioni in un'esplosione. Fiamme così intense da sembrare solide accompagnavano la brezza di furore eroico. Passarono accanto a Jennifer e la sfiorarono. Ma mai la colpirono. Un calore debole sentiva lei sulla pelle, mentre lui non si meravigliava di come il suo corpo coperto di sole scarpe logore e pantaloni strappati non avvertisse il calore.

Il Titano invece sembrò sollevare leggermente le spalle, come se un riflesso di stupore lo avesse colto. E Jennifer pensò: che potere! Non c'è dubbio, è lui... Captain World! Dopo aver divaricato le gambe, Sam si piegò sulle ginocchia, chiudendo i palmi a pugno. Un fragore come di dozzine di missili scoppiò nell'aria, tanto che Jennifer fu trascinata via. Fortuna che i suoi poteri erano tornati e la sua barriera mentale le permetteva di non ferirsi. Sam, invece, a metà strada tra il punto da cui era partito e il Titano, procedendo a trenta, trentacinque, quaranta volte la velocità del suono, si arrestò all'improvviso, trascinando un'enorme massa d'aria con sé, che s'infranse sul nemico, caricò un pugno che s'infuocò, due lance fiammeggianti sbucarono ai lati della sua schiena e subito dopo... ali. Ali (di fenice) dispiegate, per un paio di centinaia di metri da una parte e altrettanti dall'altra, lo tenevano sospeso. E il Titano, frattanto, posizionò la sua arma piazzandosi come un battitore di baseball pronto a ricevere la sfera. Silenzio assoluto. Poi un sibilo. E un rombo. Schioccante di mille fulmini, Sam picchiò l'aria in avanti con il suo pugno. In quello stesso momento, Jennifer da terra urlò al cielo: «VAI, CAPTAIN WORLD!».

Uno scoppio assordante fece seguito a un urlo trionfale di Sam: 

«HEAVY FIST!!!»


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