CAPITOLO 12 (Parte 3)

Jennifer sentì la testa come appiattirsi, schiacciata da una forza immane. Temette per un attimo che il suo collo facesse crack. Una bomba tempestosa sferzò improvvisa, non verso di lei, ma nel verso opposto. Come un gigantesco risucchio, il muro infernale, oblio di miliardi di vite spezzate e maledette, la stava trascinando nella sua direzione. Jennifer, terrorizzata a morte, chiuse le palpebre fino a farsi male gli occhi e strinse forte i denti. Più che tesa, come una corda portata al limite, provava a districarsi con colpi (mentali) di schiena, cercando un appiglio che non c'era, provocando in lei uno sgomento senza precedenti. Non voleva arrendersi, ma fin da subito capì che la situazione era critica. Ancora una volta, il suo sentore non aveva fallito. Purtroppo. Forse era lui che era diventato più forte, forse era lei che si era indebolita. O addirittura tutte e due le cose. Il suo viso sprofondò in un delirio di resa e perdizione quando un volto (il Titano nel Nucleo della Stella Nera) affiorò titanico di una putrida e insana cattiveria dal muro di morte e spalancò delle fauci con denti grossi come montagne, slavati di un giallo orrido, macchiati di nero e di cremisi, emananti un tanfo di uova marce e carni inzuppate di stagno. Lei urlava disperata nella sua mente e si sentiva sola e abbandonata. Dalla profonda gola del mostro, pozzo infinito e senza contorni, migliaia di tentacoli sottili e cupi si fiondarono verso la ragazzina, afferrandola in ogni appiglio possibile del suo corpo. La strinsero come serpenti stritolatori e, con le lacrime che le bagnavano gli occhi e le guance e con un titano che le si avvicinava minaccioso e implacabile, invocò aiuto.

Qualcuno mi aiuti, vi prego! Cavaliere, dove sei!? Cavaliere dorato! Signora... Signora Gentile, dove sei, ho bisogno del tuo aiuto! Ti prego, aiutami! All'improvviso, mentre latrati famelici e demoniaci risuonavano nella sua testa, una risatina stridula e buffa, come una bambina a cui viene fatto un solletico insopportabile, offuscò e coprì del tutto i versi omicidi di quello là.

«Ciao piccola Jennifer, perché tu chiamare me?».

«Signora Gentile, la prego mi aiuti! − piagnucolò lei − Sta cercando di uccidermi e ci riuscirà di certo perché è troppo forte questa volta e la mia fiamma non brilla più! Non brilla più!».

Un'altra risatina isterica partì, coprendo di nuovo i lamenti di quello là. Jennifer avvertiva i poteri di quell'entità buona, così immenso era quell'oceano d'energia che il potere del demone sembrava solo una goccia lasciata cadere da una lacrima malinconica in un vasto mare.

«Cucciola, l'altra volta spinta dare a te, ma hai fatto tutto tu... Ma io non posso nulla, prima, durante e dopo, come potrei d'altronde se il tempo non esiste!? Le cose devono andare esattamente come devono andare, ricordati mia piccola e dolce creatura».

Mentre lei rideva stridula e atona, come se fosse più un riflesso caratteristico che non una vera gioia, Jennifer scoppiò a piangere a dirotto, mentre i tentacoli assassini laceravano e penetravano la sua pelle, trascinandola sempre di più verso l'abisso e centinaia di punture di calabroni la facevano ammattire dal dolore.

Sei cattiva! Perché non vuoi aiutarmi!? Te ne esci con questa scusa del "non posso", ma per me sei solo una pigrona! Ecco cosa sei! Pigrona!

«Jennifer, − si fece più seria e profonda la voce, non più burlesca ma (divina) materna − palese è che tu angelo di tuo mondo essere, ma tu troppo precipitosa sei stata l'altra volta. Ma tu non devi arrenderti. Tua fiamma spenta e inutile ormai, ma se tu guardare bene, altra fiamma esserci, che viva ancora essere... Basta, io troppi suggerimenti a te dare, così io essere sgridata! E io odiare litania! Ricorda, mia prediletta, anche angeli avere loro angelo. Come potere tu esserti dimenticato di lui? Se essere in due e tua fanciullezza avere perso, fare tu ragionamento facile devi... ricordare ancora... le cose devono andare ESATTAMENTE come devono andare. Nulla di più, nulla di meno».

Quando Jennifer avvertì la presenza della Signora Gentile scomparire all'improvviso, annullando la sua pressione cosmica che invadeva ogni cosa, il latrato di quello là tornò. Imbrigliata in spire che la volevano trascinare in un varco tra l'essere e l'assenza, riuscì a volgere lo sguardo all'indietro, un dietro che non esisteva in realtà, e non vide nessuna goccia, stella o galassia, ma qualcos'altro. Nel denso buio, scoppiettava un fuocherello come in un campeggio, piccolo, ma vivace e allegro. E pensò: quella fiamma... è come la mia, quella che ora non c'è più... ma di chi è? Nessuno è venuto con me. È lontana, eppure è familiare, la conosco e... la posso afferrare... ma certo! È lui!

Mai nella vita si chiese come fece a disincagliare un suo braccio da quella stretta vecchia di miliardi e miliardi di anni, tempo ammuffito (che non esiste) in uno spazio inconsistente. E mai neanche si chiese come un fuoco distante divenne vicino quando lo afferrò con il palmo. E mai nella vita avrebbe detto che una fiamma non brucia se viene toccata. Era calda, ma non scottava. Anzi, era piacevole, come una coperta di pile nelle fredde e piovose giornate invernali. Per lei era come un'ancora.

«Maledetta puttanella, dove pensi di andare!? Cos'è quella fiamma, di chi è quella giovinezza ferrea che prima era seppellita? La tua è morta e sei l'unica mocciosa rimasta! No... impossibile...».

Un grido di collera smosse l'intero sistema cosmico, come una cristalliera nel pieno di una scossa d'assestamento, ma Jennifer mai vacillò. Sentì il suo corpo riempirsi di nuova forza, una carica esplosiva che la faceva sentire invincibile. Mai un'estasi simile aveva provato, più grande di qualsiasi emozione benevola e piacevole che umano possa accogliere dentro di sé.

«Portami via!!!» gridò Jennifer, esplodendo e saettando di milioni di fulmini che bruciarono in infuocati bagliori i tentacoli del demone e seppellirono il suo cupo volto nel Caos, come un orso che fugge dal cacciatore. Il buio divenne bianco fulgido e, come un pesce issato da un amo, sguizzò via proiettata a una velocità incomprensibile per la mente umana, allontanandosi dal muro nero. Per sempre. Con il palmo immerso nella fiamma stridente, come una cometa nella notte d'estate, sfrecciò nel pallido cosmo che si dissolveva al suo passaggio, sbiancando di lacrime, come una parete scura che viene tinteggiata da una pistola di vernice. E l'ennesimo terrificante, mostruoso, sbalorditivo e semplicemente senza confine verso d'odio disintegrò le pareti di quella realtà fittizia, a cavallo tra il vero e il falso, in una morsa gelante d'odio profondo, mentre la ragazzina vedeva con la mente un tunnel arcobaleno che si restringeva, accogliendola al suo interno, con sempre quella fiamma a tirarla via.

«LURIDA PUTTANELLA, ASCOLTAMI! SE IL TUO NOME ESSERE JENNIFER PITTSBURGH, IL MIO APPELLATIVO ESSERE NOT-CHU, DIO MINORE DEGLI INCUBI E DEL NERO INCONSCIO, SEME DEL DIO MAGGIORE MOTHMA, ESSENZA DELL'UNICO DIO-CREATORE DI QUESTO UNIVERSO, IL SIGNORE SUPREMO DEL CAOS, L'INNOMINABILE! TREMA, MALEDETTA, PERCHÉ SE CHANCE AVESSI POTUTO DARTI, VITA LUNGHISSIMA TI AVREI DONATO, ORA INVECE CATENE HAI SPEZZATO! CHE AFFRONTO! VUOI DAVVERO COMBATTERMI!? PENSI DAVVERO DI POTER UCCIDERE UN DIO!? E COSÌ SIA, MA RICORDATI! ALLA FINE, BALLERAI, TUTTI BALLERETE! E SARÀ UN'ORGIA SENZA FINEEE!!!».

Sull'ultima parola, così carica di tensione, Jennifer si sentì gli organi aggrovigliati, ma quando fu immersa nella luce, nulla più tintinnò nelle sue orecchie.

Pioggia. Vento. Rumore di pioggia e vento. E qualcosa di vigoroso avverto, un abbraccio? Sono in braccio a qualcuno di muscoloso, forte.

Quando aprì gli occhi, nello stesso momento il suo naso fu invaso da un flebile odore acido di sudore, ma non le diede fastidio, un po' come il sudore di Leonard. Per qualche ragione, le era gradevole. Vide un petto liscio e sudato e i suoi capelli farle da cuscino. Era abbracciata a Sam, e lui la teneva stretta a sé. Quando sollevò lo sguardo, vide gli occhi dell'uomo luccicare di lacrime. Pallido, sembrava essere angosciato ma felice. «Caccola, come stai?» chiese l'uomo con voce pacata e calma. «Stanca, ma tutto ok» rispose con un filo di voce, stravolta, con il cuore che le sembrava appena palpitare nel petto. «Ora è tutto tuo». Oh cazzo, pensò Sam.

E quando distolse lo sguardo per osservare quella gola cavernosa di assoluto buio, non poté fare a meno di fissare quelle possenti sfere luminose fucsia fluorescenti. Un latrato sommesso ma grave (titanico) fece svolazzare i loro capelli, come se ogni nota fosse una piccola miccia che esplodeva. Quando i nervi dell'uomo raggiunsero un livello di tensione che avrebbe spaccato i legamenti anche al più forte degli atleti, il suo sesto senso gli urlò a squarciagola di fuggire lontano, ma davvero lontano. Overpowered: centocinquanta percento*.

Come una saetta, fendette l'aria con immensa forza propulsiva, descrivendo una traiettoria parabolica che sembrò sfiorare le nuvole piangenti di gocce velenose e amare. Avrebbe voluto accelerare ancor di più, ma se l'impulso fosse stato troppo violento, Jennifer al minimo sarebbe svenuta. E in effetti ci mancò poco. Si sentì compressa da una pressione istantanea e invisibile e per una frazione di secondo sentì l'addome così sospinto da credere che i polmoni e il cuore le sarebbero esplosi. Quando riaprì gli occhi, vide in un angolino del suo campo visivo dapprima un pettorale di Sam, poi le nuvole vicine. Molto vicine. E non ci volle molto per comprendere che stesse volando in braccio all'uomo. D'istinto, si aggrappò con una presa ancora più salda. E mentre Sam sorvolava il cielo sopra Primestone, calando pian piano verso una palazzina ancora intatta, il suo sguardo inorridito dalla nefasta premonizione puntava verso la centrale nucleare. Qualcosa di abominevole le fece mancare il respiro. Una nuova battaglia stava per cominciare, quella che avrebbe posto fine alla guerra. Bene contro Male, qualsiasi cosa vogliano dire queste parole. Eroe contro Demone. Luce contro Oscurità. Ora il tempo era scaduto (se mai sia esistito un tempo) e la soglia era lì a Primestone, pronta a essere varcata, in un senso o nell'altro.

Nel firmamento bagnato dalla pioggia e reso cupo dalle nuvole asfissianti, Sam appariva come una cometa fucsia fluorescente che si allontanava. Nello stesso momento, l'intero terreno sottostante alla centrale nucleare cominciò a tremare. Dapprincipio furono lievi scosse che, in pochi secondi, divennero pesanti sussulti e fragori. I camini della centrale sembravano piegarsi come se fossero gomme da masticare. Ondeggiavano e si contorcevano, si gonfiavano e si contraevano, per poi gonfiarsi di nuovo e ritrarsi, sotto la spinta del terreno che sembrava diventato un liquido amorfo e avesse perso la sua solidità. Non ci volle molto affinché i palazzi del Dipartimento per l'Energia Atomica crollassero come carte spostate dal vento, che continuava a soffiare per chilometri e chilometri a velocità cicloniche. Le ciminiere, invece, prima sbuffarono in un tonfo assordante, poi esplosero. E dalle viscere, una massa di dimensioni anomale, cupa, si sollevò. Gli occhi di Sam sparirono nel suo volto bianco fulgido, incapace il suo cervello di elaborare in tempi standard ciò che gli impulsi nervosi inviavano. Il suo corpo divenne ghiaccio e i suoi tendini si ritirarono e, senza accorgersene, strinse un po' troppo forte a sé Jennifer. Lei sentiva l'orrore di Sam come un calore di un fornello trasmettersi nei suoi organi, ma non li scaldava, era come un fuoco freddo. Congelava.

E un braccio affiorò dal terreno, colando tonnellate di terra che sembravano cascate di sabbia. Nero lucentissimo. Poi un altro braccio ancora, un'autostrada che fendeva l'aria con tale pesantezza tanto da sembrare che un'intera montagna stesse solcando i cieli. E lentamente, mentre Sam scendeva verso terra, un volto impolverato di terra millenaria si destò e poi una schiena e poi un corpo tutto d'un pezzo. Non c'erano parole sufficienti per descrivere ciò che l'uomo vedeva e che avrebbe visto poi Jennifer in tutta la sua angoscia, ma solo due parole semplici bastavano per comunicare la visione di quel tetro spettacolo: un gigantesco titano. Colossale.

Nel suo movimento di ascesa, sembrava che milioni di lame grosse come intere gru stessero fendendo l'aria. Un turbinio massacrante alimentò ancor di più il ventaccio che soffiava. Quando Sam piombò sul tetto di un palazzo, d'istinto avrebbe voluto rialzarsi e fuggire come una gazzella inseguita da un ghepardo. Ma quando vide Jennifer scattare con lo sguardo in direzione di quella creatura, credette che la ragazzina sarebbe morta d'infarto e si arrestò nel tentativo di contemplare la sua reazione. Il volto di lei sembrò rimpicciolirsi nel suo pallore, come la luna quando viene offuscata da nuvole cariche di pioggia. E quando lui tornò a fissare ciò che si trovava a poco più di due chilometri da loro, le sue labbra si piegarono verso il basso, come se avesse voluto scoppiare in lacrime, ma l'orgoglio nel suo animo lo fece desistere.

La creatura aliena troneggiava retta sulle sue possenti gambe, come un atleta prima di lanciare il giavellotto. Il Titano, pensò Jennifer. Superava i milleseicento metri d'altezza, roba da render penoso il più alto dei grattacieli. Superava almeno della metà il monte Sik che si trovava appena avanti alla sua destra. La sua pelle assumeva cupe e allo stesso tempo brillanti sfumature di nero, come se fosse cosparso di petrolio. Perfetto nella definizione di ogni suo muscolo, appariva umanoide in tutto e per tutto. Il volto, solcato da linee e tagli netti e precisi, era l'emblema dell'iracondia. Gloriosi e maestosi denti avorio erano incagliati nella sua bocca, grossi quanto palazzi e appuntiti come costole. Ai lati delle tempie, corni ricurvi e dalla punta rettangolare gli donavano un aspetto meno umano e ancor più minaccioso. Una criniera degna di un copricapo di un nativo indiano gli scendeva fino al fondoschiena, natiche nude e cosparse di nero, vaste piume che terminavano con sferette fucsia fluorescenti, come lampadine su una pista d'atterraggio. E dello stesso nauseante e diabolico colore erano i suoi occhi, pallidi e mortali, specchi traslucidi incastonati nel titanico volto.

Mentre il suo petto si gonfiava e sgonfiava, liberando un fiato così possente da far vibrare i vetri a chilometri di distanza, Sam, che era saltato dal palazzo con in braccio Jennifer, ora teneva ferme le sue mani sulle spalle di lei e, scuotendola, la esortava ad andare via. «No Sam, io non ti lascio solo!» sbraitò lei. Ma lui, disperato per non essere in grado di proteggerla, la sgridò, inveendo: «BASTA, JENNIFER!». La ragazzina si placò, con le lacrime che patinavano le sue sclere. «Non capisci!? È finita, ci abbiamo provato, ok?». «E quindi che dovremmo fare, arrenderci e lasciarci uccidere!?» cominciò a piagnucolare. «So io cosa faremo! Tu ora fuggirai lontano da qui, io ti darò il tempo di scappare, tutto chiaro!?». Il cuore di lei sembrò fermarsi per poi riprendere a battere irregolare, sfiatato come acqua che entra in una nave che sta per affondare. «No Sam, io non ti lascio morire!!!». Da lì iniziò un'assillante litania, che fece saltare i nervi all'uomo.

Sbam.

Un ceffone calò sul visino di lei. Con la scocca rossa, calò lo sguardo umido su quello dell'uomo e un singhiozzo irrefrenabile rompeva il suo fiato corto. «Piantala, caccola» continuò lui, dispiaciuto e imbarazzato per quel gesto, ma sapeva che era l'unico modo per farla desistere. «Ho scelto io di aiutarti, è una mia scelta, ok? Tu hai fatto ben oltre quello che dovrebbe competere a qualsiasi ragazzina... dammi la possibilità di allungarti la vita, concedimelo, caccola!». Il volto di lei non cambiò mai espressione. Triste, sconsolata, affranta, attonita. In preda a un pianto isterico si voltò e cominciò a correre verso nord, tra detriti e acqua stagnante e un grido di rabbia fece eco fino alle orecchie dell'uomo: «ti odio, Sam! Ti odio!». «Mi dispiace piccola, ma ora tocca agli adulti» sussurrò lui. Quando si voltò per studiare ciò che era alle sue spalle, avrebbe preferito nascondersi sotto il letto, come farebbe un bimbo quando crede che un mostro risieda nel suo armadio. Il Titano guardava verso il basso, proprio nella sua direzione.

Non esistono possibilità che io possa vincere, pensò lui. Ma se esiste anche solo una possibilità su dieci o cento miliardi di salvare la vita almeno a Jennifer, allora vale la pena restare schiacciato come una mosca. Certo è che se fossi rimasto in qualche spiaggia tropicale a bere vodka al melone, non sarebbe stata poi un'idea così malvagia.

In quei momenti, mentre Jennifer affannosa correva controvoglia, con il cuore che le suggeriva di non ascoltare l'uomo e con la mente che l'obbligava a continuare, il Titano corruppe il suo volto atono e maligno in un ghigno assai più deplorevole, come un maniaco che sta per violentare la sua vittima. Un vibrante sghignazzo fece da preludio poi a una voce satanica, infernale, profonda come se provenisse direttamente da un megafono al centro del pianeta. Un alito fiammeggiante fluorescente fendeva calore gelido nell'aria. Un freddo assiderante calò sulla pelle di Sam, forse per la paura, forse per quelle parole che avrebbe proferito il nemico, forse perché davvero la temperatura stava crollando. E mentre Sam ascoltava quelle minacce con le orecchie che sembravano camere chiuse, spifferi entravano ma non una parola giungeva al cervello, i suoi pensieri erano costantemente rivolti a lei, quella piccola creatura che fatiche inimmaginabili aveva dovuto sopportare.

«UMANO! IO SONO NOT-CHU E QUESTA È LA MIA PRESENZA! QUESTO MONDO IO VOGLIO COME PARTE DELLA MIA ESSENZA! TU VUOI FERMARMI!? BENE... ALLORA VIENI A ME, ESSERE INFERIORE, MOSTRAMI IL TUO POTERE... COMBATTI!!!»

E ogni sillaba fu un boato, una deflagrazione come impulsi di vento tropicale, onde d'urto che s'infrangevano sulla città distrutta. Non c'era cellula del suo corpo che non gli dicesse di arrendersi e lasciarsi uccidere, ma quella punta di orgoglio lo fece scattare in un volo pretenzioso, illogico, incurante, senza strategia alcuna. Un vero suicidio. Più veloce di un caccia, il suo intento era colpirlo con un pugno in una parte casuale del corpo, perché a caso si era lanciato in avanti come un proiettile che segue leggi della fisica tutte sue. Partì a quarantacinque gradi per poi discendere lento, in direzione del petto del Titano.

«RIDICOLO!» urlò il mostro, saettando un manrovescio, con l'enorme braccio della misura di un grattacielo. Sam sembrava una mosca pronta a schiantarsi sul parabrezza di un'auto. Con un rimbalzo degno di una pallina da tennis, fu scaraventato via a una velocità ancora maggiore dello slancio e sprofondò nel terreno quasi nello stesso punto da cui era partito. Quando provò a sollevare il busto, inondato dal fumo sollevato in seguito all'impatto, un fiotto di sangue gli risalì per la gola, proiettandosi sul suo addome. Caldo, rancido, gli aveva bruciato l'esofago e un dolore lancinante sferzava nel suo corpo. Solo il fattore rigenerativo lo salvò dal collasso totale dei suoi organi. In assenza di quello, sarebbe morto sul colpo, nonostante il suo corpo sovrumano. Si accorse di non vedere da un occhio. Quando, preoccupato, provò a poggiarsi una mano in faccia, qualcosa di molliccio e disgustoso gli arrestò il respiro. Tastandolo, non ebbe più dubbi. Aveva un bulbo che gli penzolava dall'orbita. Mai nella vita avrebbe immaginato di fare una cosa simile. Afferrò il nervo ottico e lo strappò, gettandolo lontano. Ora poteva rigenerarsi. Cinque secondi dopo, la metà mancante del suo campo visivo, da cupo diventò chiaro. Sbatté quasi una decina di volte le palpebre e scosse il capo. Mentre la sua testa era ancora un groviglio di serpenti striscianti che serpeggiano con piccoli scatti, scosse nel suo cervello, un fragore gli azzerò l'udito, costringendolo a tapparsi i lobi. Il Titano stava urlando nella sua direzione, come a volerlo esortare a combattere, o forse... era qualcosa di ben peggiore?

Il demone sollevò il braccio destro al cielo, con il palmo disteso. Appena sopra di lui, da quelle nuvole nere che contenevano bagliori fucsia fluorescenti sommessi, un tremito cominciò a condensarsi nell'aria, come rapide scariche elettriche che rilasciano la loro energia. Scintille. Oblunghi fulmini iniziarono a solcare all'improvviso la superficie visibile delle nubi, come delfini che giocano e saltano oltre il pelo dell'acqua. Tutte quelle scariche, lentamente, sembravano addensarsi in corrispondenza del palmo aperto del Titano. E poi...

Boom.

Un fulmine, poi due e poi tre, e quattro, cinque e sei e poi non si contarono più. Ogni scintilla produceva un rombo che s'irradiava per chilometri e Sam sussultava ogni volta, come un bimbo spaventato durante un temporale. Il vento sferzò con impeto ancora maggiore, fin quando un fulmine fluorescente gigantesco non investì il palmo del Titano, per poi aprirsi alla sua destra e alla sua sinistra in due saette più sottili, distendendosi fino a perdersi a distanze siderali. E poi... il concerto di lampi cessò. Denso fumo nero ora offuscava parte della vista del mostro ma, dopo una manciata di interminabili secondi, la scena fu più chiara. Il demone stringeva nel suo palmo una gigantesca lancia. Quando poggiò la parte piatta dell'arma sul terreno, producendo un sordo boato come di tuono lontano, Sam poté ammirare il suo bagliore di pericolosità che emanava. Sembrava un legionario romano con la sua lancia, che forse superava anche i duemila metri. Nera brillante, era un lungo e sottile cilindro che terminava con una doppia punta argentea, due artigli. Come fauci, le loro estremità si toccavano descrivendo delle curve in opposizione che lasciavano una fessura nel mezzo. Appena sotto le punte, un grosso bulbo metallico aveva nel mezzo una gemma fucsia fluo. Proprio in quel momento, anche Jennifer si voltò, ormai arrivata ai margini della città. Quando vide quello là ergersi in tutta la sua potenza, un senso di indeterminata debolezza e inadeguatezza la fece sentire molle. Scavò con le dita nelle guance, corrugò la fronte dalla paura e con le lacrime che ancora le grondavano, riprese a correre, piangendo e strillando al cielo.

Un altro sospiro diede il mostro, immenso, tanto da far strisciare con le suole Sam, che dovette per forza di cose appoggiare le mani al terreno freddo e sdrucciolevole. Con la pelle accapponata, provò dolorante a stabilizzare la sua mente, a non crollare in un oblio di disperazione. Mantenere il sangue freddo, più di quanto già non fosse. Ma annegò nel suo stesso respiro, quando un grido di battaglia dissipò l'aria in una bomba, un tornado che trasportò con sé parole che sapevano di vendetta: «UMANO, RESISTI A QUESTO SE NE SEI CAPACE!».

Immani scariche elettriche si condensarono sulle punte della lancia e intorno alla gemma. Sam indietreggiò di qualche passo, parandosi la faccia con le braccia, pronto a ricevere un nuovo attacco. Sapeva che questa volta sarebbe stato assai più devastante. Overpowered: duecento percento.

Il Titano caricò la sua lancia dietro alla schiena, ponendola parallela al terreno. Poi, con un movimento semicircolare, la scagliò. Un muro d'aria condensata e fulmini inondò la città all'istante. «Oh merda» sibilò Sam. I palazzi vennero spazzati via come briciole di pane date in pasto ai piccioni. Metà della città non esisteva più, solo qualche edificio restava ancora in piedi nell'area devastata. Il resto era solo un ammasso di colline detritiche. Quando Jennifer avvertì un risucchio d'aria alle sue spalle si voltò e tutto quello che poté fare fu dilatare le pupille e gridare dal terrore. L'onda d'urto colpì anche lei. Un fracasso degno del più potente dei terremoti echeggiò per quasi un minuto, estendendosi per chilometri. I vetri delle case entro un migliaio di chilometri tintinnarono come colpiti da posate d'argento. Quando la colossale nube si dissipò, tre minuti dopo, Sam si trovava adagiato e sfiancato su un cumulo di macerie. Solo un lembo di calzoni bruciacchiati copriva il suo corpo. Buona parte della sua pelle era ustionata, carbonizzata. In certi punti, affioravano dalle carni vermiglie strisce d'ossa bianche e legamenti. Sam era del tutto intorpidito e solo l'adrenalina sparata a fiumi nel cuore gli impediva di svenire, così come i polifenoli modificati nel suo corpo alleviavano quel dolore che avrebbe steso una mandria di rinoceronti. Immobilizzato, imprecava e bestemmiava nella sua mente. Ogni preghiera nera si concludeva con una richiesta attonita di non morire. Nonostante tutto, non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Ormai era diventata una cosa personale. Il suo orgoglio, alimentato da uno stato di illogica alienazione che contrastava il comune spirito di sopravvivenza, bramava ferire il mostro almeno una volta. Fatto ciò, sarebbe anche potuto morire. E sebbene si rendesse conto di quanto fosse stupido quel pensiero, non desiderava altro.

Frattanto, Jennifer credeva di essere morta. Nelle sue orecchie un ronzio di stordimento le strideva la mente, come un fischio di un treno sparato diretto sui timpani. Il cervello le pulsava come se un coltello lo stesse trapassando. Avvertiva i polmoni pieni di polvere, ma quando constatò di essere ancora viva, un senso di gioia e di meraviglia le fece sbarrare gli occhi, seppur le bruciavano come se fossero stati esposti alla fiamma vicina di un fiammifero. Attorno a lei, polvere e fumi marroncini densi e un'eco di rombo che si placava, come un rumore di marmitta che si allontana. Tossì frenetica e stizzosa quattro o forse cinque volte, gocciolando del sangue. Nulla di grave. Stropicciò gli occhi, pentendosene in seguito, ma appena il vapore polveroso cominciò a dissiparsi, tutto le sembrò più chiaro. 

Attorno a lei, si erano accatastati tonnellate di detriti, spazzati via dalla città per chilometri. Ma un cerchio libero, quasi perfetto, del raggio di un metro aveva come centro lei. Una scintilla scoccò nel suo cervello, come un interruttore che viene premuto e accende una lampada. «Sono tornati... i miei poteri sono tornati... evviva!» esclamò festante lei, saltellando ripiegando le gambe a ogni concitato balzo. E poi... una nuova scintilla tintinnò nella sua mente. Fiamma... la sua fiamma ancora non si è spenta, pensò. «La sua fiamma ancora non si è spenta! Forse lo posso salvare, forse... possiamo vincere! Sam... Sam, sto arrivando, resisti!» strillò con fare ansioso e felice allo stesso tempo. Senza indugiare, nonostante il Titano, decise di ritornare sui suoi passi. Tutti abbiamo un angelo. E io non abbandonerò il mio, anzi l'angelo del mondo! Rapida, saltellò sulle macerie e, traendo un profondo respiro, prese a correre in direzione della città, ignorando il fatto che Sam l'avesse sgridata.

*Overpowered: letteralmente "sovraccarico", è un'abilità inconscia di Sam. Consiste nell'utilizzare una quantità d'energia per istante di tempo superiore a quella fornita dal sangue prodotto dalle cellule staminali del midollo osseo, sfruttando al massimo il fattore di rigenerazione (per approfondimenti vedasi la "pillola di pseudoscienza" relativa alle abilità mutanti di Sam). Ha il difetto di essere estremamente pericolosa perché sfibra completamente il fisico, "consuma" il midollo osseo e ossida le cellule fino a distruggere tessuti e organi. Può essere utilizzata in maniera "sicura" solo per un lasso di tempo relativamente breve, ma Sam non ne è consapevole.

Spazio autore

Ormai ci siamo, la battaglia finale sta per entrare nel vivo. Sam non sembra avere possibilità contro il demone, ma forse Jennifer ha trovato il modo per vincere? Lo scopriremo nelle prossime puntate ;)  


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