CAPITOLO 12 (Parte 1)
Jennifer e Sam, 31 ottobre 2006, Primestone
I due viaggiatori solitari, gli unici a conoscenza del supremo male che si stava per liberare dal crogiolo in cui egli stesso aveva deciso di rifugiarsi per covare il suo potere, erano tornati sul luogo da cui due mesi e mezzo prima Sam aveva tratto in salvo gli Sfigati. Jennifer scrutava, infreddolita da un tremore di paura e ansia, una macchia di sangue sulla parete e una mantella imbrattata di carni putride e secche, limacciose come capelli arruffati la mattina. La Vecchia Signora. Le gambe in putrefazione del Lanciatore erano ancora lì a giacere, avvolte da calzoni unti di liquido vitale raggrumato. Altro sangue secco. Proseguendo, con il fiato corto nei polmoni, Jennifer passò accanto al mostro grottesco e aggrovigliato che era la gru. Giurò di aver visto una mano marcescente affiorare tra lamine di metallo. Sempre lì era rimasta l'enorme fossa rettangolare che aveva scavato con la forza della sua mente e dove aveva gettato la Vecchia Signora. Un cumulo di macerie, legno polverizzato e crepato giacevano sul fondo.
«Tutto ok?» disse Sam all'improvviso, cupo in volto, di una serietà così tesa che sembrava bloccare ogni altro sentimento, muscoli facciali tirati come corde sul punto di spezzarsi, poco prima della rottura. Jennifer invece sembrava quasi barcollare, come se le gambe le impedissero di trascinare il peso del suo corpo. Alle undici del mattino, quando in aperta campagna si diressero verso Primestone, la pioggerella cominciò ad aumentare e divenne vera pioggia. L'uomo si svestì del suo abito di pelle nera e lo diede alla ragazzina che si coprì il capo. Sembrava un enorme mantello addosso a lei. Ma quell'indumento nulla poté quando il vento, dapprima fastidioso, cominciò a sferzare impetuoso sulla città e sulla contea circostante. Sam, imponente del suo fisico sovrumano, abbatteva le pareti d'aria sbuffando, mentre Jennifer strisciava con le suole. Fu così che, saggiamente, decise di ripararsi dietro l'uomo, per poi arrampicarsi proprio sulla sua schiena, abbracciandolo come un koala sul suo albero.
La folata ormai sfiorava i cinquanta chilometri orari di velocità.
Il Servizio Meteorologico Nazionale di stanza alla base aerea regionale di Kintor diramò un'allerta meteo che fu trasmessa in tre stati. L'avviso riferiva di una violentissima perturbazione ciclonica che descriveva un movimento circolare localizzato esclusivamente alla contea di Primestone... qualcosa che non aveva precedenti. In quegli stessi attimi, lo sceriffo Marlock scrutò l'orizzonte verso ovest, dalla finestra del suo ufficio. Era stato avvisato della fortissima sacca di depressione in direzione di una contea vicina di cui dapprima si era dimenticato il nome. Ma vedendo quei cervelli fumosi e neri in lontananza luccicare di centinaia di fulmini, una scossa lo fece trasalire dal suo stato di vuota allucinazione: «PRIMESTONE!».
Un fulmine aveva colpito i trasformatori di una centrale elettrica in una vicina contea, Ludor, lasciando senza luce quasi mezzo milione di famiglie. Pochi minuti dopo, quando Sam e Jennifer ancora si muovevano verso il centro della cittadina fantasma, un fulmine colpì i resti della cupola del campanile, illuminando la piccola croce che per un attimo sembrò riflettersi nel cielo. Un boato tremendo accompagnò il crollo della parte superiore della torre, rimasta in bilico dopo l'attacco del Lanciatore mesi prima. Piombò al suolo, dilaniato come se a colpirlo fosse stata una bomba. La pioggia, pochi secondi dopo, divenne acquazzone, scrosciante, il cielo piangeva in tutta la sua buia tristezza. Altri fulmini colpivano le case della città, generando deboli fiamme che subito venivano sfiammate dall'acqua. Alcune strade già trasudavano dalle fogne e di tanto in tanto dei tombini esplodevano per la troppa pressione, trasformando l'asfalto crepato in piccoli letti di ruscelli spumeggianti. Alcuni cavi elettrici ancora alimentati cominciarono a frizzare di bagliori di schiuma dorata e scintille bluastre, mentre gli apparecchi elettrici sembravano squillare, accendendosi e spegnendosi come se dei fantasmi un po' burloni si stessero divertendo a fare un gran fracasso.
E altri fulmini colpirono degli alberi, che rovinarono a terra con un frastuono che subito veniva attutito dalla pioggia. Gli scarichi delle abitazioni cominciarono a vomitare sangue, carni umane e capelli. Un tanfo di uova marce accompagnò l'aria satura di umidità ed elettricità, mentre Sam, aumentando il passo, si apprestava a raggiungere il centro cittadino, con alle spalle Jennifer, quasi assopita dalla paura. Avrebbe voluto gridare, ma i tuoni bloccavano le sue energie come strilli rabbiosi. Nel fragore e nel bagliore generato dai fulmini, Sam vide un riflesso argenteo abbagliante come un coccio di vetro all'alba, una lastra metallica. Gli bastò un'occhiata quasi istantanea per avere visione e constatare che si trattava del resto di un missile. Fu un sentore. Quel relitto militare riportava la sigla dell'esercito delle WesternLands.
Hanno provato a bombardare la città, ma non ci sono riusciti, pensò l'uomo. Qualcosa è stato abbastanza potente da resistere a un attacco aereo senza che nessun edificio venisse abbattuto.
Un tragitto che ore avevano impiegato nella notte di ferragosto gli Sfigati a percorrere, fu di quarantacinque minuti per Sam. Ormai era in una delle perpendicolari della Main, una strada che ormai era un canale, con le caviglie gelate dalla pioggia davvero troppo fredda, mentre il tanfo di zolfo bruciava le sue narici e quelle della ragazzina tremolante. All'improvviso, le finestre di alcune abitazioni circostanti esplosero. Sibilarono attorno a loro schegge di vetro. «Ah!» strillò Jennifer dalla paura, aggrappandosi con ancora più forza a Sam, affondando le dita nella schiena robusta dell'uomo. In quello stesso momento, una potente deflagrazione colpì la cisterna nei pressi nella vecchia cartiera. Tale fu la violenza dell'esplosione e il calore generatosi che i piloni di ferro che reggevano la base della struttura si fusero e, sotto il peso del serbatoio, riempito di acqua stagnante da quasi due decenni, crollarono nella parete ovest della fabbrica, disintegrando il muro in uno scroscio di mattoni polverizzati. Il serbatoio deflagrò in un sussulto, lamentoso scoppio d'acciaio, stridulo eco a cui seguì il rovesciamento del contenuto d'acqua, l'inondazione dei locali già semidistrutti e il crollo finale del tetto, squartando la cartiera come una busta di cracker sbranata da un cane randagio. Il cielo s'illuminò come le mattine di luglio in una spiaggia tropicale e il tuono che ne derivò fece sussultare Sam in uno sconnesso ansimare che fece agitare a sua volta Jennifer. Dieci secondi di contemplazione dopo, il vento cominciò ad acquietarsi, fino a ridursi quasi a una flebile e malinconica brezza.
«Sam, credo che ora puoi farmi scendere». La richiesta di Jennifer divenne chiara sulle ultime sillabe. Imbambolatosi per un paio di secondi, Sam chinò la schiena e fece scendere la compagna di viaggio. Voltò lo sguardo concitato, attento e perplesso. Aveva una città fantasma davanti ai suoi occhi e, incredulo, si chiedeva come fosse possibile che dei ragazzini fossero stati rinchiusi per mesi, alcuni addirittura per anni, in quelle quattro mura, soli in una triste città infestata da una presenza inquietante e assassina. Il racconto tanto rintronante nella sua mente divenne un'immagine fissa e reale, come il più potente dei déjà vu. «Quindi, questa è Primestone» annotò l'uomo come a voler dare una spiegazione a sé stesso. Jennifer annuì, scrollandosi le gocce d'acqua che le stavano penetrando nei vestiti. Il suo visino affondò nel giubbotto dell'uomo. Le scendeva fin oltre le ginocchia, mettendo in vista solo una parte di sottili gambe coperte da jeans strappati (alla moda), con le Converse immerse nell'acqua grigia. Ora il suo sguardo e quello dell'uomo erano rivolti verso Violet Market, lungo una leggera pendenza su cui scendeva la strada principale della città.
«Dove si va?» chiese Sam. «Dobbiamo proseguire in quella direzione, verso la centrale nucleare. È lì che lo sento». Jennifer puntò in direzione del Derrick, luogo di mille battaglie giocose con gli Sfigati, oscuri segreti bisbigliati alle orecchie e amorosi sussulti giovanili. «D'accordo, allora approfittiamo della quiete». Sam fece il primo passo e al suo seguì quello di Jennifer, ma all'improvviso... si arrestarono. Lei si fermò perché aveva sentito un formicolio nella testa, come una formichina che calpesta con le sue zampette l'umida pelle estiva. Sam perché il suo super senso gli aveva fatto raffreddare il tempo. Immobili, stavano con lo sguardo basso, a fissarsi i piedi. Alla loro sinistra, in direzione della Piazza dei Caduti, qualcosa li stava osservando ed era a pochi metri da loro. Lentamente, videro le sottili linee tracciate dalle loro ombre ingrigirsi sempre di più fino a scomparire del tutto. Qualcosa le aveva oscurate.
«Allucinazione?» chiese Sam borbottando in un sibilo sommesso. «No», rispose svelta Jennifer con voce quasi soffocata. «È più... reale... Sam?». «Dimmi». «Ho paura a voltarmi». «Anche io».
In quel preciso momento, l'alito pestilenziale di marciume che infestava l'aria divenne cadaverico di migliaia di putridi corpi ammassati. Un mugolio sordo, come canne metalliche rese vibranti da un sottile vento, echeggiò nell'aria e poi... un battito, ticchettio di qualcosa come ferroso. Denti. I nervi di lei e di lui erano così tesi che bruciavano come infiammati da fatiche estreme. I muscoli si tendevano come cavi pronti a sollevare immensi massi, mentre il sangue negli organi ribolliva a temperature febbrili e ben oltre. Con una lentezza degna del più lento degli eventi cosmici, fotogramma per fotogramma, i lori colli si torsero, dirigendo lo sguardo in direzione della presenza, che ora pesante soffiava fredda rabbia. Respiro.
Una pozza nera colava e si riempiva ai piedi di enormi zampe artigliate di argenteo acciaio. Appena oltre i tetti delle case della Main, una folta criniera polverosa e arruffata sventolava facendo capolino. Fauci e zanne enormi, così grandi che non sarebbe bastato l'abitacolo di una berlina per contenerne in lunghezza una sola. Sei occhi vacui, disposti in due file da tre, non uno di più, non uno di meno. Un lupo. Una titanica creatura aliena lunga forse tre o quattro pullman turistici disposti in fila, con zampe grosse quanto armadi, troneggiava con il suo enorme peso sull'asfalto. Antico mostro di un mondo sconosciuto, a cavallo tra le peggiori fantasie umane e il massimo della bestialità che natura possa creare, svolazzava la sua lunga coda muscolosa e sottile, priva di peluria, terminante con una palla ossea biancastra sulla punta che sibilava a ogni schiocco. Un pelo folto e di un nero cupo ricopriva il suo corpo, mentre gola e occhi scintillavano di una fetida luminescenza fucsia.
L'aria che si condensava intorno alla sua bocca a ogni suo respiro assumeva la stessa colorazione. Jennifer avrebbe preferito sprofondare sotto un cuscino come una bimba spaventata dagli incubi notturni, mentre Sam sembrava stesse trattenendo il respiro. Il Lupo li fissava con intenti minacciosi, gocciolando liquame nero dai lati della bocca e tra gli spazi delle lance che erano i denti. Jennifer, con il cuore impietrito e incapace di battere con regolarità, bisbigliò parole frastornate all'uomo: «Sam... secondo te, quanto è forte? Non riesco a capire quanto sia profondo il fondo della sua energia».
Sam, con occhi sputati verso l'esterno, socchiuse le palpebre in una rapida sequenza frenetica, per poi mormorare: «è forte Jennifer... esageratamente forte. Ascoltami, caccola... lentamente, molto lentamente, allontanati da qui. Proverò a tenerlo a bada. Capito?».
Jennifer non rispose. Con un movimento lentissimo si spostò muovendosi su un fianco, passando davanti a Sam. Lo scuotere improvviso della testa del Lupo la fecero sprofondare in un fiume di terrore. Quando cessò lo svolazzare di peli tanto spessi da sembrare fruste, lei riprese a ondeggiare passo dopo passo, di traverso, avviandosi verso la stradina accanto. E nella sua mente l'uomo pensava: brava, così, caccola. Allontanati. Lentamente... Ma un latrato improvviso della potenza di venti tuoni fece serrare le mascelle a Sam, mentre Jennifer crollò in un grido di terrore disperato, chiudendo gli occhi con tale forza da avere le pupille arrossate. «Merda!» esclamò Sam.
I suoi muscoli, scomposti, si accingevano a posizionarsi nella tensione necessaria per poter scattare. Vide le zampe del Lupo piegarsi a una velocità sbalorditiva. Stava per scattare anche lui. E l'uomo sarebbe morto sul colpo, se non avesse portato il suo potere a una misura adeguata per poter contrastare quella bestia demoniaca. L'aria esplose in una deflagrazione semplicemente esagerata, tanto da far piegare le pareti dei palazzi circostanti verso l'interno delle abitazioni. I vetri non si frantumarono, divennero addirittura polvere. Cinquanta per cento. Una nuova battaglia era appena cominciata, preludio di quella finale, ultimo atto di una mastodontica guerra silenziosa e sconosciuta, ma che decisiva sarebbe stata per le sorti del mondo.
Jennifer Pittsburgh saliva lungo la Yellow Street, mentre alle sue spalle Sam provava a tenere testa alla sconosciuta creatura materializzatasi dal nulla. Per un attimo, scrutò le finestre delle camere delle abitazioni dove per mesi aveva vissuto con gli altri Sfigati, dopo che lei e le sue amiche erano state costrette a lasciare il dormitorio. Un senso di profonda rabbia attanagliò il suo animo, lasciandole un retrogusto di amaro in bocca. Distolse lo sguardo e con il cuore a tremila si precipitò più lontano possibile dalla battaglia.
Frattanto, con le sue enormi fauci, il Lupo stava trascinando Sam lungo la Main, solcando l'asfalto come un trattore solcherebbe il terreno con il suo aratro. L'uomo con la mano sinistra frenava un dente e con il piede destro si reggeva su un altro, mentre la gamba sinistra provava a fare da paracadute a quell'assurda accelerazione negativa, ma la suola della sua scarpa fumava a causa dell'attrito con il manto stradale sommerso da uno stagno di fetida acqua di scarico. Con uno scatto, il mostro sollevò la testa e l'uomo venne sbalzato in aria come una pallina da baseball. Con il vento tra i capelli, sgranò lo sguardo alla sensazione di vuoto che pervase il suo corpo. Volteggiava in aria, quando il riflesso degli occhi senz'anima del Lupo lo accecò, ma allo stesso tempo gli permise di avere chiaro che stesse spalancando le fauci, titanico pozzo nero. Lisce erano le pareti della gola, lucenti, come fossero di metallo. Vuole forse mangiarmi?
Mentre il suo corpo scivolava verso il basso, avvertì distinti due fruscii. Uno era quello del suo corpo in caduta libera verso la bocca del nemico, l'altro invece somigliava a quello di una ventola la cui velocità di rotazione aumenta sempre di più. Quando il punto grigio nel punto più lontano della gola del mostro s'illuminò di fucsia fluo, Sam, colto da un lancinante sentore di pericolo (morte), distese un braccio a una velocità superiore al battito d'ali di un colibrì, generando una violenta onda d'urto che lo fece schiantare contro un palazzo. Se non l'avesse fatto, sarebbe morto incenerito da fiamme nere slavate di fucsia fluorescente, un getto di calore così potente e incandescente da sciogliere il ferro come fogli di carta in un forno elettrico.
La fiammata raggiunse il cielo, che sembrò imprecare, incupendosi di un nero spettrale, gettando verso il basso lunghe strisce di fumo grigio che inondarono quasi tutta Primestone. L'uomo, sotterrato da qualche quintale di mobili, calcestruzzo e cemento, si liberò con facilità, ma tossì per qualche secondo, rantolando e singhiozzando, prima di sollevare lo sguardo e ritrovarsi con una zampa dalle dimensioni abnormi che lo stava per disossare come un pollo. L'uomo conosceva da circa quattro anni i suoi nuovi poteri. Era conscio della sua forza, ma mai si era spinto così oltre. Come un missile, fendette l'aria con un braccio, spostandosi all'incirca al centro della città a quasi duecento metri d'altezza. Per pochi millesimi di secondo non fu travolto dalla zampata del Lupo, attacco che polverizzò tre palazzi in sequenza come castelli di sabbia abbattuti dal calcio di un bambino. La sua t-shirt era ormai un ammasso di brandelli tenuti insieme da strisce sfilacciate di cotone. In volo, si liberò della maglietta, ma i suoi occhi si dilatarono e furono immersi nel sangue alla vista delle fauci del Lupo a pochi metri da lui. Ma quanto cazzo è veloce? La bocca del demone si serrò con un boato a un pelo di distanza dal suo volto. Un fiato di escrementi di diarrea inondò i suoi polmoni, costringendolo a chiudersi le labbra con una mano per non vomitare. Istantaneo, calciò l'aria portandosi sopra lo schiena del Lupo e...
Sbam.
Un possente pugno chiuse l'aria a vortice per poi liberarsi in una deflagrazione che per un istante fece trapassare un raggio solare tra le nuvole mortuarie. Come il proiettile di una Magnum, il mostro fu spazzato a terra, piegando un intero isolato della città in due, come una piadina ripiegata su sé stessa. Un getto di cemento fu proiettato in aria come lo schizzo di una fontana, per poi disperdersi sul terreno come una risacca. Carcasse di auto e intere palazzine volteggiarono in aria, come briciole di cracker spazzate con una scopa. Ma mentre Sam precipitava verso la città, nel fumo radente che ricopriva parte della stessa, polvere grigiastra densa, un lampo di luce fluorescente si dipanò in quel panno di polvere. Cazzo!
Una fiammata nera infernale, seguita da un raggio fucsia, squartò l'aria e investì l'uomo che fece appena in tempo a parare il colpo. Le sue mani bruciavano come pezzetti di carta sotto la fiamma di un accendino. Lacrime di dolore incontenibili gli saltarono fuori dalle orbite come tuffatori olimpici. L'attacco, all'improvviso, virò verso il basso, trascinandolo con sé. Sam, colpito da tonnellate di terra, cemento, polvere negli occhi e lastre di ferro, rovinò solcando il terreno come un meteorite, inondato da una fiamma di pura essenza malvagia, fino a rovinare nel lato ovest della città, quello dove un tempo risiedevano i Giustizieri. Con la testa che gli sembrava un macigno, la schiena a pezzi e le mani che erano diventate amorfi tizzoni neri con tanto di bulbo osseo sporgente, un dolore soffocante lo faceva contorcere tra i detriti di un'abitazione disintegrata. Ma fortuna sua, gli ormoni modificati presenti all'interno del suo corpo lo fecero calmare in pochi secondi, appena in tempo per permettergli di visualizzare un punto nerissimo nel triste cielo tonante, che in un paio di secondi divenne un Lupo gigante alieno con sei occhi con le fauci spalancate. Settanta per cento.
I denti batterono con forza tra di loro fendendo l'aria, un fruscio seguito da un boato estremo da far tremare anche i grattacieli. Ancora una volta Sam aveva evitato l'attacco, ma nulla poté contro quello successivo. Una clavata gli diede il Lupo con la sua coda ossea, frantumandogli alcune costole come stuzzicadenti. Un lancio di un paio di chilometri verso est che si arrestò sull'ex municipio nella piazza alla fine della Main. Sentiva le ossa come friggere al suo interno, fare crack, ricomponendosi pezzo dopo pezzo come se una mano invisibile li calcificasse all'istante. E quando il dolore cominciò a scomparire, l'ennesimo raggio laser lo colpì in pieno, trascinandolo fino al monte Sik. Con i piedi ancorati al terreno, fumava risalendo la montagna, come il video di uno sciatore portato al contrario. Il Lupo, a tre chilometri di distanza, vomitava energia e fuoco cupo, mentre Sam reggeva il colpo con le sue braccia, prive di mani. L'aria deflagrava come percossa da miliardi di fendenti infuocati, cannonate invisibili che a flussi regolari spingevano l'uomo verso metà della montagna. «MALEDIZIONE!!!» tuonò l'uomo, che sembrò quasi con la sua voce assordare il cielo che lo guardava con malsano e disgustato odio. Ottanta per cento.
Sam, allora, stufo e amareggiato nel non riuscire a contrastare la creatura, strillò di rabbia, come a voler proiettare la sua anima nel mondo reale, quasi a volerla rendere solida. Con uno scatto delle sue braccia, dilatò il raggio muovendo gli arti in verso contrario l'uno con l'atro, come in una bracciata stile rana. Il bagliore energetico si diluì nell'aria fino a scomparire, come spinaci che diventano poltiglia e poi sbiadiscono dentro un frullatore. Il Lupo mandò un latrato di collera e disprezzo al cielo, sbavando sangue e liquame denso e buio. A quel verso seguì un guaito di dolore quando venne colpito da un pugno, ormai rigeneratosi, di Sam sul muso. I getti di sangue nero sfumato fucsia si addensarono quasi all'istante, ricomponendo la fisionomia originaria della bocca, ma nulla poté contro le decine di fendenti che si scagliarono lungo tutto il suo corpo, una pioggia di pugni, lampi fucsia luminosi. Il corpo di Sam sembrava una lampadina di Natale, aveva tutto il busto illuminato, le braccia che sembravano fruste fosforescenti. Più veloce di un colibrì, aveva scaricato la sua ira sul nemico, frantumandogli carni e ossa.
Ma, ancora scosso e carico di una quantità d'adrenalina che avrebbe infartuato un branco di elefanti, nonostante la vista periferica offuscata, scrutò i pezzi di membra del Lupo, in una finestra temporale rallentata dai suoi riflessi, ricomporsi in pezzi più grossi che si univano tra di loro starnutendo filamenti neri e collosi. E mentre trascinava nell'impeto della sua scarica la creatura, quest'ultima si era già ricomposta, più velocemente di quanto i suoi attacchi potessero decomporla. Un micidiale colpo di coda fracassò la gabbia toracica di Sam, stramazzandolo al suolo. Un'esplosione violenta generò un fossato nel terreno in cui Sam giaceva agonizzante, con i polmoni ridotti a sogliole e fiotti di sangue che schizzavano dal naso e dalla bocca come zampilli. Il calore invadeva tutto il suo corpo, la pelle era ustionata come se fosse stata esposta troppo ai raggi del sole. La sofferenza lo rendeva cieco, offuscando la sua vista di strisce luminose bianchissime, come stelle cadenti. Tramortito, pregò che le cellule mutanti del suo corpo facessero il loro lavoro, ma nel trambusto generale che rendeva le sue orecchie una stanza piena di fischi e ronzii, sentì una risata di iene far vibrare l'aria, seguita da un latrato sommesso.
Un segugio satanico si stava avvicinando e ormai l'uomo era consapevole di quanto forte e veloce fosse quella bestia. Ancora cieco per il dolore, protrasse le mani in avanti, puntandole al cielo, colto da un presentimento nefasto che gli fece accapponare la pelle dei testicoli e aggrovigliare la vescica e stringere l'ano. Fu la giusta reazione. Le articolazioni dei suoi arti furono abbastanza forti da parare una zampata che lo compresse al suolo. Con i palmi, l'uomo sentiva i cuscinetti della zampa del Lupo. In pochi secondi, la forza premente rese la schiena di Sam un concentrato di macchie d'indolenzimento, frecce che trapassano la pelle. Si sentiva appiccicaticcio. Era il suo sangue che fuoriusciva e stava generando una pozza, un letto di fluido cremisi che si raccoglieva sotto di lui. Fiottava sangue come un idrante. L'uomo era al limite fisico, le cellule staminali del suo midollo consumavano energia nel tentativo di produrre l'enzima super-rigenerasi. Sentiva le forze prosciugarsi, seccarsi come un ruscello a luglio. Un filo di coscienza e ragione gli era rimasto, nel frastuono mentale provocato dalle fitte di dolore che avrebbero fatto svenire anche una balena. Le sue terminazioni nervose si contorcevano, bruciavano e scintillavano di sofferenza e appena in tempo facevano a spegnersi sotto l'ingente afflusso di estrogeni, grazie alla presenza nel corpo di Sam di sostanze simili ai polifenoli che innalzavano la soglia del suo dolore a livelli inimmaginabili, consentendogli di restare vigile e vigoroso anche in un combattimento contro una bestia aliena. Ma nulla poté per evitare la rottura delle ossa, sebbene l'enzima per la rigenerazione rallentasse il processo.
L'uomo, adirato, diede una quantità d'imprecazioni e bestemmie degne di una scomunica e, prendendo un pesante respiro, gridò: «MI HAI FRACASSATO LE PALLE, MALEDETTO CAGNACCIO!!!». Cento per cento.
Un colpo di reni fece sobbalzare il Lupo, costringendolo a diminuire la pressione per pochi centesimi di secondo. E tanto fu sufficiente a Sam per schizzare come uno space shuttle verso il cielo, trascinando con sé una striscia polverosa di pagliuzze sottilissime, terreno e detriti di cemento e arenaria. Il Lupo, inferocito, voltò il muso in aria e stridulo, lacerò il cielo con un latrato distorto, come alterato da un distorsore elettronico. Sam, invece, vedeva tutto microscopico attorno a sé e non per via dell'altezza di trecento metri raggiunta o per via dell'aria che, fluendo, sulla sua pelle sembrava infuocargli la stessa a causa dalla battaglia. Era rabbia, pura e semplice. Mentre tutto si rimpiccioliva, la bestia gli appariva vasta e definita, un bersaglio ingrandito. Mentre la vista periferica oscillava come le linee di frequenza di un oscilloscopio, la parte centrale del suo campo visivo ingrandiva e focalizzava il nemico fin nei dettagli, esaminando ogni filamento di pelo infradiciato di melma scura, goccioline velenifere che grondavano e schizzavano ovunque, descrivendo traiettorie fantasiose degne di un microverso che muove leggi tutte sue. Una scintilla illuminò la bocca spalancata della bestia, rivolta al cielo come a schernire la sua esistenza. I fulmini si protrassero in maniera circolare dalle sue fauci, solcando il terreno e disperdendosi verso l'esterno del flusso elettrico. La gola s'illuminò del nauseante e fastidioso fucsia e del vapore, cervelletti grigio-nero sbuffarono dalle viscere del suo corpo, risalendo la cavità orale come lava in un vulcano.
Dapprima si generò una bolla nerissima che intasò tutto il suo palato e creò una sfera sulla sua bocca. Un attimo dopo esplose come bucata da un ago e si disperse in un flusso sottile e frullante, concentratissimo di energia pura. Negli stessi istanti, Sam distese il pungo destro all'indietro che s'illuminò di fucsia fluo, come un lampione nei pressi di uno stadio. Una bomba d'aria partì velocissima quando l'uomo distese a velocità supersonica il suo braccio in avanti. Una colonna d'aria vorticosa si schiantò contro il raggio laser proveniente dalla direzione opposta, esplodendo in un urto che straziò l'aria. I due flussi rimasero a spingersi a vicenda per un paio di secondi, ma alla fine... quello dell'uomo ebbe il sopravvento.
L'attacco del Lupo svanì nel nulla e appena un fioco e sommesso guaito aleggiò nell'aria, prima che il frastuono del tornado sparato verso il terreno piombasse e dilaniasse tutto ciò che si trovava sotto di esso. Un piccolo fungo atomico si generò, fiammeggiando fumi infuocati e proiettando tonnellate di cemento e terra verso l'alto. Tale fu il fracasso, che il suono impiegò quasi un minuto a disperdersi. Sam era stramazzato al suolo, dolente e senza forze. Dal collo privo di testa del Lupo, mozzata e sprofondata nelle viscere del cratere generatosi in seguito all'impatto, colavano fiumi di sangue nerissimo. Impiegò un paio di minuti prima che le sue gambe pompassero energia sufficiente per rialzarsi e smettessero di tremare come se fossero state percosse da decine di mazzate. La sua pelle fumava, come a voler disperdere un enorme calore interno. La testa gli doleva come pressata alle tempie e, con occhi socchiusi e boccheggiando per via della gola secca e i polmoni sfiatati, cominciò a brancolare e barcollare, alla ricerca della sua amica. Durante la battaglia, mai si era dimenticato di lei e pregava tutti gli dèi che conosceva e anche quelli sconosciuti di ritrovarla sana e salva.
Passarono un paio di minuti prima che un senso di disperazione e viva preoccupazione alimentassero il tormento interiore. Cominciò a urlare il suo nome, chiamandola a sé come un uomo farebbe dopo una slavina: «Jennifer! Caccola, dove sei!? Rispondimi, caccola!». Continuò per quasi trenta secondi, prima di avvertire un ronzio distorto, come un segnale radio sotto una galleria, nella sua mente.
«Sam da questa parte. Segui la voce».
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