CAPITOLO 11 (Parte 8)

Nel mentre, il Lanciatore si sollevò dalla buca di un metro nella quale era stato scaraventato. Non aveva neppure un osso rotto e in una frazione di secondo percorse dieci metri, in direzione degli Sfigati, passando accanto al Centauro e poi a Leonard, ancora inerme sul terreno, ansimante e paralizzato dal dolore. Il mezzo uomo e mezzo cavallo, invece, nitrì, sputando limacciosi fili di saliva e si proiettò in avanti, strabuzzando gli occhi in una tremolante estasi d'odio. Cavalcò e calciò il terreno con le braccia aperte verso Jennifer, pronto a mandare le ossa di lei nella pattumiera, come cocci di vetro rotti. Sibilo. Il corpo della ragazzina era svanito, lasciando il punto dove era in precedenza. Il Centauro se ne accorse, ma i suoi nervi non potevano essere arrestati, mossi da un istinto extra-mentale. Batterono muscoli contro muscoli, pelle contro pelle, in un boato d'aria compressa. Guardò a destra e a manca indemoniato, poi... linee di luce sembravano provenire dall'alto. Il Centauro sollevò la testa e vide un punto luminoso sfidare il bagliore della luna.

Jennifer era sospesa a mezz'aria e osservava il mutato con disprezzo e rabbia. In quel momento che sembrò durare una vita intera, il Centauro provò per la prima volta in vita sua un brivido. Figlio di un mutato che aveva fecondato una giumenta, la sua mente, per metà bestiale, era capace di riconoscere un vago sentore di un sentimento più complesso rispetto allo sterile quanto vibrante senso di sopravvivenza: la paura. Non la paura naturale che la preda ha nei confronti del predatore, ma la paura generata da chi uccide oltre gli schemi naturali, forza che schiaccia le menti per sua personale convinzione, imprecando contro l'esistenza stessa. Tremò e indietreggiò, come se un (dio) mostro più mortale di lui lo stesse minacciando, occhi vividi di bianca fatalità. Tutta la sequenza successiva si svolse in soli dieci secondi: la Vecchia Signora fece piroettare la sua falce contro Jennifer, posta a una dozzina di metri d'altezza, ma la ragazzina con un braccio arrestò, piegò e proiettò come un boomerang indietro l'arma, mentre con l'altro braccio sollevò il Centauro e lo schiantò come un getto di una pompa di un camion dei vigili del fuoco contro la gru, che si lamentò con un cigolio metallico, curvandosi in avanti.

Mentre la Vecchia afferrava al volo la sua falce di ritorno, un grido di rabbia eroica sferzò nell'aria e un vento tempestoso le fece avvertire una fitta alla schiena. Si era spiaccicata contro la parete della casetta da cui Leonard e Jennifer erano fuggiti, fracassandosi sulle assi che si piegarono e si spezzarono in un secco scoppio. Jennifer, con le vene pulsanti alle tempie di una fiamma bianca come ferro fuso a temperature altissime, urlava come un'amazzone contro il Centauro che veniva schiacciato dal ferro del palo di metallo, dilaniandosi le carni, appallottolandosi. Mentre la gru crollava, schiantandosi al suolo in uno stridulo e assordante sferragliamento, con tanto di boato e polverone degno di un missile esploso, gli Sfigati si stavano apprestando a digitare il codice che serviva a sbloccare l'apertura automatica della porta.

«Presto, presto Chris, muoviti!» lo incitò Sophia. Frettoloso e tremante, il ragazzino ansimava. Con le mani che sembravano più tentacoli, tastava l'interno dello zainetto, tra CD e hard disk. Sentì sui polpastrelli una sottile striscia liscia. Il badge magnetico. Lo sfilò fuori facendolo vibrare all'aria come una coppa vinta in un gran torneo. «Dai, dai» sputacchiò Ed saltellando sulle gambe come un pugile sul ring. Chris si avvicinò al quadrante e notò una lunga fessura verticale nel piccolo box azzurrino, con tanto di tastierino numerico, i cui numeri sembravano sbiaditi. Vacillò con polso tremolante e al primo tentativo urtò con la card sulla plastica. Anche il secondo tentativo fallì. Non riusciva a imbeccare la fessura. Aveva le gocce di sudore che gli freddavano la fronte accaldata e i nervi del collo pizzicati come corde di violini. Ansimava, con polmoni che soffiavano come fischietti usurati. Con la lingua, si passò il labbro superiore, accarezzando l'acido sale della sua umidità con la punta. Sembrò arrestarsi per un attimo e fissare la linea nera con dilemma degno di un artificiere che si appresta a decidere quale filo tagliare. E poi calò il braccio teso. La scheda tintinnò, ma strisciò precisa nella fessura, verso il basso. La sottile striscia che era lo schermo della scatoletta s'illumino di verde e un cursore lampeggiante apparve sul lato destro. «Digita, digita!» lo supplicò Lucas.

Chris stava per schiacciare sul tastierino, ma ebbe un vuoto: non ricordava la combinazione. Quando gli altri videro la sua esitazione, gli altri si spremettero le meningi, sfogliando le pagine dei ricordi. Un secondo dopo, Ed ricordò: «Uno, due, nove, ofto!». «Giusto!» rinsavì Chris, scioltosi negli organi. Ma solo il primo numero riuscì a digitare. «ATTENTI!» strillò Taylor con volto che sembrò incavarsi all'interno, terrorizzato. Si voltarono di scatto verso il Lanciatore che stava in equilibrio su una gamba, lasciando scoperto un fianco, pronto a lanciare una sfera di ferro presa da un sacco che aveva trascinato fin lì in precedenza. L'ampia ferita sulla spalla si era già raggrumata in una grossa crosta nera, cicatrizzata in modo quasi istantaneo, come cauterizzata.

«Merda» riuscì a biascicare Bobby. Quando furono a terra distesi a pancia in giù, la palla ferrosa tranciò l'aria come fatta di burro e rimbombò contro la parete. Non la trapassò, ma il fragore esplose nei timpani dei ragazzini e mandò in frantumi il box elettronico. La porta era bloccata. La loro unica via di fuga era stata negata. La loro speranza si spense come una candela, quando il polverone si dileguò lasciando il posto alla sfera che sembrava un meteorite incastonato nella fossa generata dal suo urto. Fu Chris a mantenerli uniti mentre il possente mutato in tuta blu da lavoro con tanto di bretelle precipitava dondolando lentamente verso di loro, trascinando il sacco che conteneva le sue tanto adorate sfere mortali. Lucas strillò come un bimbo, strabuzzando gli occhi nocciola e piantandosi le dita nelle guance paonazze. Bobby avrebbe voluto invece sollevare le braccia e posizionarsi in posa di combattimento, ma sentiva le braccia pesanti come massi di piombo e inerme e terrorizzato scrutava le due sfere fucsia fluorescenti ondeggiare verso di lui e i suoi amici. Taylor e Sophia erano abbracciate come due sorelline innanzi all'orco cattivo che le vuole mangiare, mentre Thomas ed Ed avevano lo sguardo fisso sulla palla che il mutato stava facendo saltellare sul suo palmo, dopo averla raccolta dal sacco. Chris contemplò per un attimo i suoi amici. Cosa farebbero Leonard e Jennifer in questa situazione? Combatterebbero, ovvio!

Magro, schiena curva e un po' cadente sul lato destro, con le guance infossate, lurido di sudore e sangue dei quali erano indistinguibili i colori originari. I capelli umidi e schiacciati, i pantaloni strappati e le scarpe logore completavano il quadro. L'impeto del coraggio arse improvvisamente nei suoi occhi. Con muscoli contratti, si sfilò la maglietta con fare meccanico, come se i suoi legamenti fossero di ferro arrugginito, come le sfere del Lanciatore. Scintillante, la gemma al centro del suo corpo sembrava lampeggiare, come se stesse urlando di essere stanca. Ma non importava. «Maledetto assassino, vediamo se riesci a parare questo!». Un raggio bianco-arancio balenò nell'aria, dritto per dritto, come una lancia che lascia una scia dietro di sé. D'istinto, colto dallo stupore, il Lanciatore lasciò cadere la presa della sfera e, proiettando il braccio all'altezza della sua faccia, parò il colpo, un intenso calore e un'invisibile forza premente che gli fece solcare il terreno con le suole. Quando il raggio svanì, il suo braccio era mezzo carbonizzato, con il tessuto dell'abito cicatrizzato sulla sua pelle fumante, come pollo cotto allo spiedo. Quell'atto di coraggio fu come una reazione a catena, vulcano che risveglia altro vulcano in uno stesso sistema di bocche laviche sotterranee. «Alla carica, miei prodi!» inneggiò Thomas al cielo con dito indice conficcato nel pallore della notte, imitando la voce del Generale. Un'altra battaglia ancora stava per risolversi.

In quei precisi attimi, gli occhi di Jennifer erano di nuovo inchiodati in quelli della Vecchia Signora, trasfigurato pupazzo di quello là, messaggera corporea della sua novella di odio e morte. Il mutato si erse dalla sua tomba di assi rotte e digrignò il ghigno malefico, vecchio e raggrinzito, verso la ragazzina. Negli occhi assassini e senza tempo della bestia, Jennifer vide una buia ombra dissennata, sagoma di un essere mitologico che ombreggiava sulla sua essenza. Ora la sfida non poteva essere fisica. Doveva essere mentale. E così fu. Lei dall'alto. Quello là dal basso. Dominio della mente. Chiuse lentamente gli occhi e, quando li riaprì, il mondo era nero. Vuoto. Il nulla più totale. Era nella mente del demone e ora non ne poteva più uscire. Consapevole del rischio, sapeva che quella era un'azione dovuta e assolutamente necessaria. La battaglia di fluttuanti pensieri era appena cominciata.

«Maledetta puttanella!» strillò quello là con voce non più tremante e strisciante, vero era il suo suono, robotico come sempre, ma allo stesso tempo stridulo e roco. Alieno.

«Ti avevo già detto che non avrei tollerato più la tua schifosa e misera esistenza nella MIA testa! Che vuoi!?»

«Ucciderti, mi sembra ovvio!»

«Ah! La puttanella vuole uccidere ME!? Jennifer Pittsburgh, ricorda, gli uomini resteranno sempre uomini e gli dèi resteranno sempre DÈI!»

«Dimmi il tuo nome!»

«Cosa!? Ti permetti di ignorare me!? Sul serio!? Vuoi davvero sfidare un'essenza figlia del Caos!? Ascoltami mocciosa, pensi davvero di poter eguagliare il tuo potere con il mio? Sei così incosciente da sfidarmi? E allora assaggia questo, un frammento infinitesimo, proiezione dell'Extra, sussulto del Tutto, vero potere! Afferralo... imbriglialo... resisti... se ne sei capace... Spirito delle Parole: Tecnica Divina della Proiezione del Cosmo sulla Mente!».

E come un dente legato a uno spago sottile e sparato fuori dalla gengiva, Jennifer si sentì scaraventata, proiettata nel vuoto ancora più vuoto. Non vedeva nulla, ma sentiva lo spazio passare sotto le sue membra, in un volo infinito, forse anche nel tempo, veloce, ma non veloce come un'auto da corsa, non veloce come la luce che irradia i pianeti, di più... assai di più. Ma forse il tempo non esiste, sussultò la sua mente, leggera e illuminata da un'ebrezza di (conoscenza) consapevolezza superiore. Nell'assenza assordante di sensazioni olfattive, visive e uditive, ebbe il sentore di esser stata trascinata a cavallo di un limite, come un bimbo che in un supermercato si allontana troppo dai suoi genitori. Un muro nero immerso nel nero. Toccò terra, terra invisibile. I suoi occhi ora erano come fari, illuminavano la punta delle sue scarpe. Vedeva le sue scarpe. La parete innanzi a lei era ricoperta di nero titanico, ora schiarito dalla luce dei suoi occhi. Ruvido e grondante di liquame nero, seppelliva tetre e grottesche figure. Teschi. Jennifer sussultò, prima sensazione in un Mondo assente. Erano teschi e ossa, non solo umane, ma di esseri mai visti prima in vita sua. Retaggi di corpi vecchi, ammassati, forse a formare l'intero muro come intonaco vecchio. Migliaia, milioni, miliardi e trilioni di anni. Ma forse il tempo non esiste.

Quel silenzio fatale sembrava proiettare angoli di ombra luminosa, infiniti incroci che permettevano di scrutare una storia, un frammento di un evento. Ora di nuovo si sentì trasportata, lanciata, a milioni e milioni di chilometri al secondo, pile e pile di ossa accatastate e incastrate in quel muro infinito, alto in giù e in su, largo a destra e a sinistra di uno spazio che forse limite non ha. Proiettata come un missile, sentì un bagliore alle sue spalle. Nel nero che più tetro non si può, vide il riflesso di ciò che aveva alle spalle. Luci di tutti i colori possibili, di tutte le sfumature esistenti, sfavillavano alle sue spalle. Galassie, l'universo intero era dietro di lei ed era al limite, sulla soglia, una stanza oltre la quale il ballo frenetico, delirante e mortale sarebbe cominciato, senza sosta, fino a sfiancare l'anima, avvilirla, contorcerla, in un'orgia senza fine. Morte dell'anima, eterna dannazione, dissoluzione assoluta.

«Jennifer, mia cara, che ne pensi? Questa è la vera Realtà. Appena oltre l'Oscurità, vedrai la Stanza e vedrai il Giusto. Vedrai cos'è la Menzogna e cos'è la Verità. E ballerai... oh, sì che ballerai... sarà una danza senza fine. Qui è tutta un'orgia, Jennifer, è tutta un'orgia e la Stanza gira... qui gira e balla tutto Jennifer... non mi credi!? Sciocchina, io sono un dio e non mento. Ti va di entrare e vedere cosa c'è oltre la soglia?».

No Jennifer, pensò. Si sentì assopita. Una nera spinta la stava trascinando verso la morte. Gabbia mentale, perdizione e perdita senza eguali. Senza fine. Ben oltre la fine di ogni tempo. Ma forse il tempo non esiste. E sentì qualcos'altro. Udì, ma non con le orecchie, era sempre un fatto mentale. Un qualcosa vibrò sulla sua pelle (nella sua mente). Una graziosa risatina isterica sferzò, risuonando per tutto il cosmo, come se fosse in una bolla di vetro che faceva eco a quella voce. Era così buffa che Jennifer si mise a ridere.

«Cosa c'è da ridere!?».

Quello là non la sentiva quella risata che echeggiava ovunque, in tutto l'universo. Jennifer lacrimò di gioia e scoppiò a ridere di nuovo, divertita.

«Ma mi stai prendendo in giro per caso!? Perché ridi!? Perché RIDI!?».

Ora Jennifer avvertiva una presenza forte, una forma. In un attimo, le mancò l'appoggio sotto ai piedi e si trovò in caduta libera. Di nuovo si ritrovò proiettata come un dardo nella foresta. E non provò paura, ma suggestione, riverente e soverchiante. Il pallido buio morente e i riflessi galattici lasciarono il posto a pareti parallele che si perdevano in un punto bianchissimo, piastrelle di un fulgido grigio. Sentì un potere. E non era come il suo. Non era come il potere di quello là. Era grande. Immensamente, indefinitamente, illimitatamente più grande. La Signora Gentile. In quel punto lontano e vicino, pulsante come il sole all'alba dei tempi, una figura di donna (così parve a Jennifer) sedeva su un trono. Tutta la sagoma era bianca, il trono era bianco e tutto era immerso nel bianco. Ma Jennifer vedeva, percepiva appena nella sua mente le linee sottili dei contorni. Una luce così fulgida che aveva voglia di distogliere lo sguardo, ma allo stesso tempo di fissare come incantata. Non avvertiva bruciore agli occhi. Jennifer, per qualche motivo incomprensibile, credette di avvertire una flebile ammirazione di quella figura nei suoi confronti.

«Chi sei?»

«Noi non proferiamo nomi, ma se tu vuoi, puoi dare soprannome a me.»

«Ma siete tutti così altezzosi voi dèi!? Comunque ti chiamerò Signora Gentile!»

«(risatina)... se nome dire, sconfitta vuol dire, o al più che con simile stare a parlare noi. Hai capito?»

«Signora Gentile... per caso può aiutarmi?»

«No, mia cara, io non posso. Però ricordati... le cose devono andare esattamente come devono andare... il mio compito è solo quello di aspettare... quando momento sarà, il mio Amore Eterno brillerà e tutto al suo posto tornerà... Hai capito?»

«Insomma... e ora che faccio?»

«...Ahhhh... Io già sapere di pentirmene, ma lo farà lo stesso, tanto agisco sempre così... però solo spinta... piccola, piccola... poi basta, altrimenti dopo litania io sopportare, ok?»

«Sì!!!».

Jennifer saltellò trionfante e festante, così colma di felicità che, se fosse morta in quel momento, non avrebbe avuto rimpianti. E poi... tutto divenne chiaro. Jennifer aveva capito di essere sprofondata in una proiezione mentale ancora più remota, pensieri che si inabissano in un luogo ancora più lontano, dall'altra parte della soglia oltre la quale quello là voleva trascinarla. Jennifer avvertì il Caos da un lato indefinito (è la stanza dove vuole portarmi il demone) e l'Extra dall'altro. Il Caos era una bolla ai confini dell'universo, l'Extra era tutto il resto, contenitore del vero Tutto. La Signora Gentile parlava a lei nella mente, ai confini tra l'universo e l'Extra, in opposizione al Caos. Ed era in quella infinita e tetra stanza che viveva la mente di quella creatura, essenza reale che conduceva una vita tridimensionale sulla Terra, nucleo accecante e folle, microscopico a confronto di tutto il Nero del Caos.

Aveva conosciuto un potere eternamente e infinitamente più grande di tutto quel veleno cupo, oltre il quale c'era un'altra anima. E due sarebbero state le strade? Perdizione nell'abisso o annichilimento totale? Le cose devono andare esattamente come devono andare.

Fu scaraventata di nuovo via. Si trovava di nuovo davanti alla parete nera, imbrigliata da neri tentacoli che sbucavano e sui quali, minacciosi, si arrampicavano scheletri alieni, trascinandola con sé. Immobilizzata, la presa era possente.

«Che strano... per un attimo ti ho sentita assente... sarà...? No... è giunto il momento di ballare, Jennifer... vieni nell'orgia ETERNA!!!».

Jennifer si sentì strattonata e trascinata nell'abisso cupo ancor di più. Vibrò di paura in quel buio sconfinato e ululati di voci aliene si avvertivano, non provenivano dagli scheletri che si arrampicavano sulle corde, ma da oltre la parete caotica, dal Caos. Sillabe che mai umano sarebbe stato capace di comprendere, ammassi di urla disperate, dilaniati da altre voci che si contraevano e si amplificavano in una tetra armonia cosmica. L'intento del demone era chiaro. Polverizzarla, spazzarla via come aveva detto, inghiottirla nelle profondità. La sua mente avrebbe vinto e lei sarebbe morta, anche nello spirito, come dannata al rogo dell'inferno. Quello là rise d'ilarità folle e omicida e ricominciò a sferzare. Jennifer pensò: non vincerò mai, aveva ragione. È troppo potente per me, come potrei mai battere una divinità? Ti prego, aiutami Signora Gentile, aiutami!

«Jennifer, sei assai più forte di quanto pensi. Il potere è già dentro di te. Io proverò solo a tirartelo fuori, giusto un pochino... una spinta».

Gli occhi stretti della ragazzina divennero lampi di luce accecanti. Un botto tremendo, seguito da un'onda d'urto, spazzò via qualunque cosa.

Non sono io contro il Cosmo. Sono io contro quello là. Il mio Io interiore contro il suo. È un fottuto bluff, mi ha fatto credere che il suo potere fosse il Caos. Sai che ti dico? Vediamo se tu riesci a resistere a questo!

Sentì riverberare nella sua mente il grido disperato del demone, foga impietrita di stupore, incapace comprensione di una forza inaspettata. Un versaccio elettronico, distorto, quasi meccanico di frustrazione e collera... seguì poi un lamento di dolore e paura. E il nero divenne bianco, lampi improvvisi. Jennifer si sentì percorrere da un'energia nuova, vitale, irrefrenabile, fiumi nelle sue vene e nella sua testa. Tutto ciò che prima la circondava fu miseramente scaraventato via, dissolto come sabbia nel deserto, accompagnando il tutto col suo urlo trionfale, tonante e risonante all'infinito, in quell'indefinito spazio bianchissimo che ora prendeva posto nella sua mente. E all'improvviso si sentì risucchiata giù.

«Ehi, stronzo! Lo sai che io credo ai supereroi!? Oh, sì, io ci credo! E credo anche nell'amore, oh sì, io credo nell'amore! Credo negli eroi! Credo nell'amicizia! Per me e per tutti gli Sfigati! Beccati questo!!!».

Jennifer lanciò un altro urlo, in uno stridulo tripudio trionfale.

«Maledetta puttanella, da dove hai tirato fuori questa forza!? Maledetta! Io ti maledico! Ti priverò del SONNO ora e per Sempre! Un pezzo di me verrà con te e mai io ti lascerò! Maiii!!!».

Riaprì gli occhi.

Innanzi a lei, la Vecchia Signora ansimava, con le mani a terra e fiondata sulle ginocchia. Agonizzante e spenta nel corpo avvolto da liquame nero, vomitava sangue fucsia fluorescente e limacciose gemme gialle di boli. Poi, lentamente, sollevò il volto omicida verso Jennifer. Aveva perso lo scontro mentale, fatto assurdo e imperdonabile. Ora avrebbe lasciato che il corpo del mutato, potenziato della sua malefica energia e della sua ira, dilaniasse le carni della ragazzina. «Gne, gne, gne! Maledetta puttanella! Ti ammazzerò con la mia falce!». Con una traiettoria balistica, curvando il corpo come un elastico, un boato di aria spostata picchiò l'atmosfera e in un secondo era già in aria, a un passo da Jennifer. Ma non vi fu un attimo di timore o esitazione negli occhi della piccola mutante.

Un muro istantaneo e squadrato si materializzò davanti a Jennifer e respinse la falce, che rimbalzò contro la Vecchia Signora, che fu scagliata sul tetto della casetta dove Jennifer e Leonard aveva consumato il loro amore, echeggiando in un trionfale botto. «AHHH!!!» tuonò Jennifer, con le braccia protese in avanti, a palmi aperti. Brillò come una stella nel tetro quadro del cosmo e schiacciò di invisibile forza un quadrato trenta per trenta metri, pressandolo come cracker sotto un piede. Il terreno sibilò e ringhiò, per poi sprofondare per una decina di metri, squassando massi acuminati e sollevando intensi polveroni singhiozzanti. Ancora e ancora ripeté l'attacco. Quando i nervi delle sue braccia stavano per abbandonarla, si lasciò andare e atterrò leggera con le suole a terra. Grondava umidità a profusione e i vestiti erano appiccicaticci, incollati alla pelle. Sfinita, fiottava in sbuffi concitati e il bagliore negli occhi e sulle tempie si spense nel rossore del suo volto. Con una punta di compiacimento, osservava quella precisa ed enorme fossa che aveva formato.

In quegli stessi attimi, gli Sfigati stavano tenendo a bada il Lanciatore, impedendogli di caricare un altro dei suoi micidiali attacchi terra-terra. E non importa che a pochi metri da loro un mare di boati, scoppi e onde d'urto si susseguissero. Jennifer combatteva per tutti loro e loro combattevano per lei. E mentre il Lanciatore stava per massacrare il piccolo Ed sotto una delle sue meteore missilistiche, Leonard gli piombò alle spalle, tramortendolo quasi con uno dei suoi potenti soffi d'aria. Dondolò tenendosi grave con il peso sulle rotule. Scosse la testa e di scatto si voltò. Vide l'ardore negli occhi del ragazzino. «Peccatore!» latrò il mutato. Di nuovo stava per caricare la sfera, a distanza davvero ravvicinata. Pochi metri separavano lui da Leonard. Ma all'improvviso... un grido.

Quel lamento trascese il cielo e la terra, come se quelle onde sonore nulla incontrassero lungo il loro cammino. Antico, così primordiale che il furore dei tempi dei sauropodi e saurischi perduti sembrò sviscerare gli strati terrosi delle ere, trascinando con sé, rabbioso, un istinto animalesco. Non fu come il verso del T-rex di Bobby, distorto, quasi meccanico. Fu puro, umano. Mai all'udito tuonò qualcosa di così essenziale, come il cinguettio di un uccello o il miagolio di un gatto, ma in quel rumore che portò con sé tempesta, c'era il peso di una storia intera, un ecosistema che avvertiva il desiderio di rivalsa, affranto dall'essere stato infettato da un male esterno, estraneo, che nulla aveva a che fare con la sua naturalezza e il suo ordine. Quel grido divenne sottofondo quando l'atmosfera fu sferzata da un lamentoso cigolio metallico, ferraglia che si piega sotto il peso di una forza immane, come un SUV che schiaccia una piccola moto. Lo spostamento d'aria sembrava accompagnare quello stridio, sbottando a ogni sussulto. I presenti dovettero pararsi con le mani e le suole imprecavano alla pressione alla quale furono costrette per far in modo che i corpi non diventassero risme di fogli sparsi sotto l'effetto di un ventilatore impostato alla massima velocità. Il cielo bestemmiò in una cantilena irregolare e piovosa, quando avvertì l'impeto di bestia prenderlo a pugni come un sacco da boxe. Imperterriti, gli Sfigati osservarono quella scena surreale, come eventi passati che si fondono con il futuro, una distorsione spazio-temporale che la mente accetta passivamente senza mai afferrarne davvero il senso, la contiguità di una realtà che impossibile risulta alla logica schematica.

La porta di nudo acciaio rinforzato si piegò nel punto in cui le ante si uniscono, curvate da un'energia assolutamente straripante. Erano state costruite per resistere ai colpi di artiglieria navale e ai missili aria-terra e terra-terra, ma si sgretolarono secondo dopo secondo, istante dopo istante come bacchette di legno troppo umido. E mentre la pioggia batteva sui loro volti, meravigliati e urtati da tali sequenze di fotogrammi, l'unica che sembrava provare un crescente senso di vittoria, appagamento e traballante libertà, era Jennifer. Fine e inizio e di nuovo fine era. Fine della prigionia a Primestone, inizio di una vita fuori da quelle mura tristi e velenose, fine di un'amicizia e di un amore sbocciati e poi abbandonati, offuscati e dimenticati da un influsso che era arrivato fin dentro le anime, marchiandoli per sempre come fuggiaschi dell'inferno. Quando l'apertura toccò quasi il metro, quando ormai grido, strillo di metallo e ticchettio di pioggia erano arrivati al punto di stressare i timpani come tasti di pianola troppo battuti, ecco che nella foschia ombrosa di quell'aria satura e infetta, luminosi come gemme solari incastonate nella volta celeste nelle sere d'estate, due raggi fucsia fluorescenti tagliarono il male come spade che filettano anche le armature più dure e resistenti. Un volto per metà umano si manifestò, impietrendo gli Sfigati come ghiaccioli. Solo Jennifer provò una sensazione di disgelo, una docile margherita infreddolita che, toccata dai raggi solari, rinvigorisce e ritrova la sua gioia floreale. E poi...

Boom.

Cenere, metallo fuso e vento caldo, reso tutto fumante di flebile grigio dalle lacrime di cielo slavato di nuvole funeree, ora soffiavano fastidiosi sulle pelli rese isteriche dalla fatica e dal movimento turbato di sfiancanti combattimenti. L'uomo dal volto grottesco, umano e antico, dagli occhi fluorescenti, fece un passo avanti e poi il secondo, lento ma deciso, varcando la soglia come (un eroe) un uomo che affronta il suo destino incurante delle conseguenze, perché non c'è turbamento o timore nel cuore di chi fa la cosa giusta. Nessun rimpianto e nessuno scompiglio. L'uomo dapprima guardò quegli otto bimbetti i cui volti sembravano in bilico tra lo svenimento e la voglia di vivere. Poi intuì che fosse stata la ragazzina a chiamarlo, mentre lui girovagava a migliaia di chilometri di distanza alla ricerca dell'uomo in nero. Chiaro, nel suo cervello, come un'insegna luminosa nella sera uggiosa di noia, nella grande metropoli scintillante di flussi di corrente continua, il suo nome: Jennifer. E fulgido nella mente della ragazzina apparve il nome dell'uomo che, possente e fiero, gonfiava e comprimeva i suoi polmoni come se dovesse contenere l'energia di tutto il mondo: Sam.

Sono arrivato, non hai più nulla da temere, né tu e né i tuoi amici. E appena quella surreale realtà sembrò assestarsi come una messa a fuoco durata per troppo tempo, gli Sfigati ebbero un sussulto, un sentore che era arrivato il momento di farsi da parte. Questo valeva anche per Jennifer.

Spazio autore

Jennifer è riuscita a sconfiggere il demone mentalmente, ma... è solo il primo round! Nel mentre, quando ormai sembrava tutto perduto per i poveri Sfigati, finalmente, Sam ha raggiunto Primestone ed è pronto a combattere contro i due rimanenti Cavalieri dell'Apocalisse: il Lanciatore e la Vecchia Signora. 

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