CAPITOLO 11 (Parte 4)
Costeggiando la piazza, destreggiandosi all'interno dei vicoletti (per poco Sophia non pestò la coda a un grosso ratto, ma prima di poter urlare dallo schifo, Chris le tappò la bocca con la mano), risalirono il sentiero, lasciandosi alle spalle l'arido fumo nero, il puzzo cimiteriale e gli strilli di fulgida pazzia dei mutati. Ora i loro volti erano sbiancati e illuminati dalla luna, le schiene curve e gli sguardi attoniti ma concentrati. I loro ventri cominciarono a protestare per il malore precedente, che li aveva svuotati. La loro cena era ormai versata dietro a un vicolo di Primestone e trovare del cibo non poteva essere una priorità in quel momento. All'aperto credevano di essere però vulnerabili, per questo Leonard consigliò agli amici di zigzagare tra gli alberi spogli che sembravano piantati a caso nella brulla terra secca, non arata. Nel giro di pochi minuti, giunsero a un vecchio casale. Accanto a quella casetta di campagna, dal tetto rosso ruggine e con le assi di un bianco sporco, reso opaco dal tempo, circondata da fiori estivi, grossi girasoli i cui steli erano infestati da sciami di mosche fastidiose, poco distante c'era un capanno di legno squadrato, la cui porta scorrevole era spalancata. Fu proprio lì dentro che il Macellaio entrò, portando sempre con sé come un sacco di patate il piccolo Ed.
Poco dopo, un altro spettacolino poco raccomandabile a buona parte degli esseri umani si manifestò in tutta la sua durezza, crudeltà e nauseabonda viltà agli occhi dei ragazzi. Tanto fu l'orrore, che i loro cuori si fermarono per forse un secondo abbondante. Tutti i loro organi sembravano essere stati congelati. Non rimisero di nuovo solo perché non avevano più nulla da espellere. Appesi a dei ganci di opaco metallo, ragazzini scuoiati, spellati, senza arti o testa, penzolavano gocciolando in bacinelle il loro stesso sangue, disposti con maniacale ordine come in un'autentica macelleria. Erano ormai dei sacchi di ossa, privi di organi, tranci di filetti umani appesi come pesci pronti a essere imballati, infestati da mosche che, viziose e gelose del loro ciclo esistenziale, affondavano le zampette nel fetido sangue putrescente, banchettando e cagando le loro piccole uova, palline di vita scoppiettanti. Quell'orrore si impresse nelle loro retine, malgrado si rifiutassero di accettare quelle immagini. A salvarli da uno svenimento, che sembrava stesse per piombare grave sulle loro spalle, offuscando loro la vista, ci pensò un rantolo appena accennato di Ed.
Posto di lato su una spalla, giaceva (sembra morto, pensò Thomas) ansante e con occhi chiusi su un tavolo di legno da lavoro, liberato da ogni cianfrusaglia, ma macchiato di sangue. Le mosche friggevano contro una vecchia e accecante lampada appesa poco sopra il ragazzino. Ed aveva la bocca semiaperta, da cui sgorgava un rivoletto di saliva. Era pallido e il suo petto sembrava quello di un criceto che ha corso forte sulla sua ruota. Frattanto, il Macellaio era rivolto verso la parete opposta. Con la sua mannaia, picchiava, tagliava e maciullava probabilmente della carne. Di tanto in tanto, lo scavalcava uno schizzo di sangue, per poi cascare al suolo. Leonard era già in marcia sulla punta dei piedi verso Ed. Gli altri si misero le mani nei capelli, terrorizzati dall'idea che l'amico potesse essere scoperto. Scrutando ogni singolo movimento del nemico, Leonard in un lasso di tempo che gli sembrò non avere mai fine, arrivò al tavolo, poggiando il petto sul bordo. Diede una rapida occhiata al mutato, poi rivolse il suo sguardo al faccino contorto e stravolto del piccolo Ed. Dopodiché si voltò verso gli amici.
Con ampi gesti delle mani gli stavano indicando di darsi una mossa. Leonard, adagiando i suoi occhi di nuovo sull'amico, scrutò la sua pelle liscia e sfibrata dalla fatica, chiara come i petali di un giglio. Gli diede dei piccoli colpetti sulla guancia. Bastarono una manciata di secondi per avere una reazione. Fessure via via sempre più dilatate si aprirono nel volto del ragazzino. Dapprima vide un bianco sfocato, poi una sagoma indistinta. Quando il volto di Leonard gli fu nitido, impiegò un paio di secondi per riconoscerlo, appesantito alla testa da un torpore grave. Stava per bisbigliare il suo nome, ma Leonard fu pronto a coprirgli la bocca. Con l'indice gli fece cenno di fare silenzio. Il ragazzino annuì, sgranando appena gli occhi, per poi socchiuderli. Era stravolto e non aveva la forza neanche per sollevare il busto. L'amico se n'era accorto, bastava osservare quanto i suoi muscoli fossero flaccidi, nonostante fosse ben conscio del pericolo in cui si trovava.
Con la forza delle sue braccia, lo trascinò lentamente verso di sé. Uno scatto improvviso delle spalle del nemico gli fece arrestare il moto e il respiro. Gonfiò le guance e osservò il Macellaio, il quale sembrava essersi pietrificato, terminare quel ticchettio macabro di ossa spezzate. Ecco, ora si volta e mi massacra, pensò il ragazzo. Ma per sua immensa gioia riprese a picchiare sulla carne, facendo vibrare perfino i piedi del tavolo sottostante, rimbombando nel capanno con lancinante impeto animalesco. Quando il corpo di Ed si staccò dalla superficie legnosa, il ragazzo lo prese in braccio, sentendo il debole sospiro dell'amico accarezzargli il collo, come un padre che mette a dormire il suo bebè. Gli Sfigati frattanto agitavano le braccia, facendogli cenno di sbrigarsi. Compì pochi passi sulle punte, tenendo salda la presa intorno al bacino sottile dell'amico, quando un'asse di legno del pavimento cigolò in un triste lamento. Gli sguardi degli altri Sfigati si bloccarono in smorfie inorridite. Solo gli occhi avrebbero potuto dire quanto orrore c'era in quei visi, quanta sofferenza e quanta paura iniettata nelle vene. Leonard morì per un attimo, un sussulto di morte che gli infreddolì la pelle e le viscere, per poi scongelarsi in una vampata di calore angosciante e terrorizzante.
«Piccoli peccatori... farò a pezzi anche voi» vibrò una voce cavernicola nel tanfo insopportabile di quel tetro capanno, accozzaglia di ferraglia arrugginita, pozze di sangue e cadaveri appesi. Leonard si voltò e i suoi occhi terrorizzati videro la maschera di maiale del Macellaio che lo fissava. I suoi calzoni erano sporchi di sangue, così come i suoi stivali e l'indumento facciale che portava. Con uno scatto sovrumano, la mannaia del mutato era già arrivata a un palmo di distanza dal naso di Leonard, come inchiodato alle assi del pavimento. Ancora una volta, fu Jennifer, con favolosa destrezza e grido degno di un'amazzone, a deviare la lama del nemico a pochi centimetri dal ragazzo, senza ferirlo. Il braccio del macellaio sembrò essersi arrestato in piena corsa, come se la mannaia gli si fosse conficcata in un tronco invisibile.
Jennifer, frattanto, poggiava su un ginocchio. Con le braccia rivolte verso il nemico, aveva le tempie pulsanti, come se il cuore avesse cambiato sede e si fosse messo al posto del cervello. Rosse erano le sue vene e si sforzava con il suo potere di trattenere il Macellaio. «Spostati, Leonard!» sembrò quasi inveire lei. Il ragazzo, che per poco non si bagnò i pantaloni, scattante indietreggiò, destatosi dal suo stato di paralisi. Appena fu a distanza di sicurezza, Jennifer mollò la presa e biascicò in un fiotto di saliva che quasi sembrò strozzarla.
«Vi farò a pezzi!» tuonò il mutato con voce sempre più distante da quella umana, distorta forse dall'ira, forse dalla sua stessa natura diversa, bestia la cui coscienza era stata profanata e portata via. «Voi siete i nemici numero uno di Cristo! Vi ammazzerò tutti!!!». Sguainò la sua arma, riflettendo la luce claustrofobica di quell'ambiente ovattato di morte e si lanciò contro Leonard. Con uno scatto, il ragazzo evitò la lama. Il Macellaio, infuocatosi alla vista della preda che gli stava sfuggendo via, non si rese conto che un lampo azzurro lo stava per fulminare. La sua schiena si raddrizzò e biascicò mormorii ingarbugliati, contorcendosi in una scoordinata danza. Frastornato, scosse la testa e sgranò gli occhi assassini verso quei ragazzini così impertinenti, così... peccatori. Fu privo di riluttanza Chris nel compiere il suo attacco.
Un fascio di luce bianco-arancio fu scagliato contro il nemico, che con riflessi degni di un puma parò di nuovo il suo colpo con il braccio sinistro. Chris provò a spingere il suo attacco, stringendo gli occhi in uno sforzo prolungato e grave d'energie. Il mutato era appena indietreggiato di qualche centimetro, che Sophia, tonante di rabbia, sparò un getto fiammeggiante contro il bersaglio. Ma ancora una volta pronto, sollevò la mannaia che in un istante s'illuminò di rosso. Gli atomi di ferro riscaldati si liberarono dell'energia in eccesso sotto forma di fluido impulso brillante. Infervorato da tali affronti, il Macellaio diede un possente urlo e allargò le braccia con decisione, come a volersi liberare di un placcaggio. Il colpo di Chris fu deviato verso la parete alla sua destra, mentre la fiamma di Sophia svanì come un fuocherello al vento.
In quel momento, Leonard ne approfittò. Dopo aver poggiato Ed contro una parete, si fiondò a lato del mutato e lo percosse con una violenta scarica d'aria. Il nemico lanciò un grido di dolore e il suo bacino emise un disgustoso suono molliccio, di organi scossi e sballottolati. Un fiotto di sangue sgorgò dalla fessura della maschera. Ma era troppo presto per cantare vittoria. Scattò deciso, a una velocità non usuale per un uomo di centoventi chilogrammi. Caricò il pugno sinistro e violento, scaricò la sua forza contro il ragazzino. Come una mazzata, si abbatté sulla spalla del ragazzo. Un bruciore infernale e un dolore acuto scossero le viscere di Leonard. Come una saetta fu scaraventato contro la parete posta a quasi dieci metri, rovinando con la schiena. «Bastardo!» gridò Lucas.
Saettò con un getto d'acqua pressurizzata che inondò il corpo del Macellaio, seguita da una fulgida scarica elettrica. Troppa era l'ira del mutato per borbottare di nuovo all'ennesima scarica di tensione vibrante nell'aria. Con la mannaia ancora arroventata, con un manrovescio dilaniò l'aria. Solo la spinta di Bobby salvò il giovane dal fendente micidiale. Taylor provò ad aggirarlo, mentre Thomas rovinava a terra, sollevando una polverosa nuvoletta, disteso come un lenzuolo sul letto. Il palmo aperto del Macellaio calò pesante sul corpicino della biondina che ruzzolò urtando con il petto un pilastro che faceva da sostegno al tetto. Un acuto lamentò si librò in aria. Fu in quell'impeto d'eccitazione per il nuovo colpo andato a segno, che il Macellaio non si accorse della presenza di Bobby. Il ragazzo, portatosi a lato del nemico, lo trafisse con un fendente, iniettando il veleno nel suo corpo. Ma con una gomitata decisa, il duro osso del Macellaio si schiantò sullo sterno di Bobby. Sbiancò e per poco non rimise anche le viscere. Il ragazzo avanzò pesante, ciondolando sui fianchi, come un mostro delle paludi che, invischiato nel fango, ha difficoltà nella locomozione. Il mutato vibrò con la sua mannaia per terminarlo, ma Jennifer fu rapida a respingerlo.
L'urto lo fece scattare all'indietro, incurvandogli la schiena a gomito. Indietreggiò di qualche passo. Sembrava sul punto di bestemmiare. In preda a un assoluto delirio assassino, drogato dalla sua stessa malefica e cupa follia, ripiombò in avanti contro la ragazzina dagli occhi verdi. Ma una fitta alla caviglia sinistra lo incollò al terreno, tramortendolo nei muscoli come se fossero stati inchiodati all'improvviso. Il piccolo Ed, ripresosi nel frattempo, con un bolo denso di acido, aveva lanciato un attacco preciso verso il Macellaio. Ora la sostanza stava penetrando nella carne, insinuandosi fino all'osso e ai tendini, ora scoperti. La pelle degli stivali si era sciolta, cucendosi sui lembi di pelle aperti. La carne e il sangue friggevano come una frittata in padella, un disgustoso pastrocchio di grasso e proteine. Ma troppo rapido era il suo fattore di rigenerazione. Non faceva in tempo a bruciare, che la fessura nella caviglia già si chiudeva, come il sipario al termine di uno spettacolo teatrale. Ma tanto bastò a Chris per ricaricare le sue forze residue e lanciare il terzo colpo della giornata.
Scrosciante, un vortice energetico attraversò l'aria come un fiume in piena. Il mutato, d'istinto, lasciò cadere la mannaia a terra e a palmo aperto parò il colpo. Il guanto, a causa della temperatura, andò a fuoco e si cucì sulla pelle ustionandolo. Bolle di sangue e pus ribollivano sulla mano del mutato, ma troppo rapida si rigenerava la ferita per poterlo danneggiare seriamente. Nonostante il dolore, provò a rialzarsi, dopo aver in precedenza caricato il peso sul ginocchio sinistro, accasciato sul terreno. Un secondo dopo, mentre il raggio di Chris continuava a sferzare, del freddo ferro avvolse il collo del Macellaio. Sorpreso si agitò in uno scatto privo d'armonia, scuotendo le spalle come quando qualcuno vede un grosso insetto indefinito ronzargli troppo vicino alla faccia. Lo scintillio degli anelli divenne all'improvviso caldo. Il collo gli fu tappato in una morsa rovente, bruciandogli la pelle della gola. Sophia, infatti, era riuscita a prendere le catene con il quale aveva strattonato Ed al laboratorio e si era avventata sulla schiena del nemico. In piedi sul suo dorso, i capelli che svolazzavano fiammeggianti e due tizzoni al posto degli occhi, tirava le catene per strangolare il mutato.
D'istinto, il Macellaio provò ad allentare la presa nemica, ma si ustionò i polpastrelli. Fulgidi di una luce ora tendente al giallo, piccole fiamme gli stavano martoriando la gola. Sentiva il tanfo di brace inondargli l'olfatto e il sangue raggrumarsi in bocca. Fiotti a spruzzi schizzarono dalla bocca, imbrattando parte della maschera come vomito in una busta di plastica. Dolente e allucinato, provò allora ad afferrare Sophia, ma avvertì come un laccio afferrargli il polso e tenerlo saldo con il gomito verso l'esterno. Era Jennifer che ancora una volta provava a tenerlo fermo. Fu allora che, con un colpo di reni, il Macellaio provò a raddrizzare la schiena per scrollarsi di dosso la ragazzina. Ma Sophia, con le suole piantate nel grasso della schiena del nemico, non vacillò e strinse ancor di più la presa, aumentando la temperatura delle sue fiamme. Ora splendenti erano i suoi occhi e autentiche fiamme ardevano sulle mani, sulle braccia e sui capelli. I suoi capelli andavano a fuoco. Celestiale fu quella vista per Chris, proiettandolo in uno stato indefinito di congelamento temporale.
Ma quando il corpo gli ricordò che le forze stavano per terminare, vibrò ancora di un ultimo sussulto e scaricò nuova energia nel suo raggio che, martellante, si rompeva sulla mano nemica. Ora la situazione era in bilico. A metà strada tra una rovinosa sconfitta e una vittoria in extremis, era necessario un ultimo sforzo, un ultimo atto di coraggio. «AHHH!!!». La vocina di Taylor rimbombò per tutto il capanno. Con occhi sanguigni, distrutta dal dolore e dalla fatica, riuscì comunque a saltellare verso il nemico. Un osso seghettato le lacerò il palmo e saettò nell'aria, tranciando i tendini delle caviglie del mostro. Prima una, poi l'altra. Stretto dalla morsa di ferro fuso che colava nelle sue carni squartate, rovinò a terra, incapace di rimanere in piedi. Sbatté con le ginocchia e il suo corpo stava per schiantarsi al suolo. L'ultima cosa che vide fu una lama arrugginita dal sangue delle sue vittime, diretta contro la sua faccia. Fu sfocato, poi rosso. E alla fine buio.
Una grossa testa con una maschera di porco rotolò al suolo, arrestandosi in un frenetico e nauseante sbatacchio contro un asse di legno appoggiato a una parete. Un corpo, privo del capo, versava a terra, in una pozza di sangue. Un puzzo di morte infestava ora il già malsano ambiente. Thomas, raccogliendo la mannaia, era riuscito a mozzargli la testa, utilizzando la semplice inerzia della caduta del nemico. Privo di vita, quel corpo enorme giaceva stramazzato al suolo. Thomas, color porpora, era paralizzato. Ci vollero quasi una decina di secondi, prima di far scintillare e tintinnare la lama a terra, abbagliandosi per un attimo della luce gialla riflessa sulla mannaia. Frastornato, pesante in testa, assetato e affamato, ansimava appena, incapace di trarre altro ossigeno ancora. Sporchi e sudati erano anche gli altri, impolverati e inzuppati di marcio puzzo. Erano semplicemente sfiniti. Sophia, ancora eretta sulla schiena del mutato, sfiammò in un sibilo e tornò alla normalità. Grondava di umidità a profusione e i suoi polsi tremavano come bicchieri scossi da un terremoto. Quando toccò il terreno, le sembrò troppo duro per starci sopra. A stento riusciva a reggersi in piedi. Strepitanti di dolore, si guardarono negli occhi, a uno a uno. Non dissero nulla. Avevano vinto, ma troppo grande era stato lo sforzo. Sarebbero riusciti a scappare con la poca forza che gli era rimasta? Era come chiedere a un maratoneta di fare il percorso inverso. Solo la voce flebile e quasi farfugliante di Ed riuscì a rompere quel silenzio che sembrava stesse trascinando gli Sfigati verso la perdita di sensi: «grafie ragaffi... fiete i migliori».
Mentre Leonard si sedeva accanto a lui per abbracciarlo, in quel preciso momento, tutti scoppiarono in lacrime, singhiozzando come bimbi a cui viene sottratta la madre, in uno sfogo impetuoso di sfinimento, fisico e mentale. Ammuffiti di polvere e sangue in volto, impastavano i loro intorpiditi muscoli facciali con i dorsi delle mani, come a volersi lavare la faccia con le loro stesse lacrime. Se non fosse stato per gli inquietanti latrati che avvertirono in lontananza nel cupo cielo della notte di mattanza e delirante massacro, si sarebbe accasciati e addormentati su quel lurido pavimento legnoso, su cui erano stati ammassati cadaveri e cadaveri, imputriditi dal tempo e dalle larve. Come marionette le cui viti si erano arrugginite nelle giunture, si trascinarono fuori dal capanno e istintivamente si diressero verso nord, meta inconscia e conscia della loro salvezza. Sospinti ormai solo dall'inerziale desiderio di avere salva la vita, non avevano neanche più interesse alla libertà. Volevano essere lasciati in pace. Tutto qui.
Zoppicanti, si sostenevano gli uni con gli altri. Lucas, Ed, Taylor e Bobby sembravano quelli più malconci. Sotto quella debole luna, sembravano degli spiritelli che risalivano dalle loro bare a spaventare gli invasori del cimitero. I loro fiati, ora condensati davanti alle bocche per via del calo di temperatura, sembravano scintille riflesse nel bagliore. La luna illuminò il loro sentiero quel tanto che bastò per evitare la terra brulla delle campagne e i massi insidiosi che sbucavano appuntiti dal terreno. Campagna e ancora campagna, deserto assoluto, non un albero per ripararsi. Un manipolo di case apparve poi all'orizzonte, proprio come un miraggio. Entusiasti, si fiondarono in quell'assembramento di tetti, tegole e assi di legno, mentre all'improvviso i versi famelici dei mutati s'intensificavano alle loro spalle, come sirene d'ambulanze che si avvicinano. Affranti, pensarono che ripararsi in una delle abitazioni, casupole arroccate sul nudo terreno, sarebbe stata una valida soluzione per ricaricare almeno la tensione muscolare, come una breve pausa durante una lunga sessione di studio. Miracolo, urlò Jennifer, ma rimase un'eco nella sua testa, era incapace di esprimere a parole qualsiasi concetto.
Una delle case non solo presentava una porta aperta, ma anche una debole luce che proiettava un'ombra luminosa sul terreno, che filtrava dalle opache finestre, così come dalla fessura all'ingresso. Così come Tina Pinkman, avvertita come da un sussurro nella mente, aveva deciso di aprire la porta di uno dei laboratori con fare quasi distratto e inconsapevole, come se fosse stato giusto farlo, un uomo faceva capolino con la testa oltre la soglia, un'armoniosa sfera priva di luminescenza fluorescente. Umano. Non si chiesero neanche per un istante cosa ci potesse fare un uomo in quella zona. Magari era un mutante, ma di certo non era un mutato. Illuminato in parte dalla luce dell'abitazione, la sua faccia rilassata non fece trasparire mai agli occhi degli Sfigati il sentore del pericolo. Sapevano che non avrebbe fatto loro del male. Come tuffatori in una piscina, sinuosi e ordinati corsero all'interno, con l'uomo che si spostò di fianco per farli entrare a uno a uno, bimbetti più che ragazzini, sporchi di nera fuliggine e con occhi lucidi, vitrei e arrossati. Angioletti persi in una miniera di carbone, pensò l'uomo. La porta, delicata, si richiuse, sospinta come da una brezza primaverile.
L'uomo studiava con occhi attenti quei ragazzini che sembravano essere sopravvissuti a una battaglia. Fradici di sudore, sporchi di terriccio e sangue. Gli Sfigati, al contrario, guardavano l'uomo con un filo di timore, ma non sembrava che avesse qualcosa da nascondere. Vestito di una semplice camicia blu e dei calzoni color crema, aveva dei capelli brizzolati, con delle sfumature di nero, retaggio di un'antica giovinezza andata persa sotto il peso degli eventi che scorrono inafferrabili. Durante quell'intervallo temporale in cui uno sguardo teneva testa ad altri diciotto piccoli occhietti, un po' spenti e smarriti, urla sommesse, minacciose come tuoni lanciati da nubi nere che si aggrottano nel cielo prima limpido, fecero scattare una luce cupa negli occhi dell'uomo.
«Fate silenzio» disse lui bisbigliando appena. Con la schiena poggiata alla porta, a tentoni schiacciò l'interruttore della luce, non prima di aver colpito un paio di volte la cornicetta di ottone, ormai macchiata di nero. Aria raggelata di paura si addensò nella stanza, ora schiarita dagli immancabili raggi lunari, di un bagliore troppo claustrofobico per chi già ha il cuore colmo d'ansia. Lesto, l'uomo chiuse le tendine gialle, prima alla sua destra, poi alla finestra alla sua sinistra. Frattanto, i suoni sommessi divennero sempre più vicini e opprimenti, fin quando un tonfo sordo sul vetro non gli fece congelare all'istante il sangue nelle vene. Trattenendo il fiato, Jennifer agguantò la mano di Leonard e la strinse forte. Non ci pensò due volte il ragazzo ad accomodare la fredda e frenetica manina della ragazza nel suo palmo. I loro occhi raggelati, vitrei e ribollenti di un pallore ansimante, come se i battiti concitati dei loro cuori pulsassero fin dentro i bulbi, si fissarono come in un'istantanea, l'immagine sfocata di un ovale, resa ovattata dalle tendine e dai vetri opachi.
Un alone di mistica rabbia e follia si abbatteva sul vetro per poi scomparire. Piccole sfere fucsia fluorescenti lampeggiavano appena in un macabro tintinnio cromatico, come se la loro luminosità dipendesse dal respiro del mutato che stava fissando verso l'interno dell'abitazione. Goccioline di bava si addensavano come gocce d'umidità sulla superficie vetrata. Della porpora sembrava sfumare quelle gocce e quelle tendine non facevano altro che far sembrare quel volto ancora più grottesco di quanto non fosse. Thomas deglutì. Più che saliva, sembrava che avesse ingurgitato un intero hamburger. Una goccia di sudore stava solcando la tempia destra di Ed, così pesante che al ragazzino sembrò che qualcuno gliela stesse premendo con forza con un dito, tanto la pelle era diventata sensibile, arrossata dalla fuga e dalla lotta. Le facce degli Sfigati sembravano logorarsi sempre di più a ogni possente respiro del mutato. Quando cazzo se ne va? Il pensiero di Jennifer fu presto risolto. Dopo altri due secondi infiniti, il volto del mutato lasciò la finestra, lanciando un grugnito famelico come d'insoddisfazione. Lo sfondo cimiteriale di anime perdute all'esterno, ora aveva lasciato il posto a frastornanti fremiti di cicale.
Spazio autore
Gli Sfigati sono riusciti a sconfiggere il Macellaio non senza difficoltà, ma è ancora lontana la fuga da Primestone. Riusciranno a sconfiggere il Centauro, il Lanciatore e la Vecchia Signora? E chi è il misterioso uomo che vive tra i mutati e che li ha aiutati?
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