CAPITOLO 11 (Parte 3)

Un'orda di mutanti ostruì il centro del loro campo visivo, un'accozzaglia di corpi che si calpestavano gli uni con gli altri, famelici come bestie anoressiche. I presenti diedero grida di paura di quelle che liberano l'aria nei polmoni in un unico soffio. Cominciarono a correre come forsennati, spingendo con tutta la forza residua che avevano in corpo. I tre scienziati non impiegarono molto tempo per rendersi conto di chi fosse il più veloce. Mentre gli zombie si avvicinavano, gli Sfigati li stavano distanziando, senza in effetti sapere però dove stessero andando. Eppure, Jayden ebbe come l'intuito che qualcuno li stesse guidando. Quei mocciosi erano stati gli unici che più e più volte erano riusciti a sopravvivere a quello là. E lui ne era consapevole. Sapeva anche che non era un caso. Avevano qualcosa di speciale, che li guidava nella tempesta come esperti navigatori che non si lasciano intimorire neanche dalla più feroce delle burrasche. Gli altri due scienziati ebbero la stessa idea, nitida come la corona solare durante un'eclissi. Sacrificio. Non erano abbastanza veloci e forti per sopravvivere. Si voltarono con le canne delle loro armi scintillanti, puntandole verso l'orda satanica che si stava per infrangere contro di loro. Jayden diede un urlo. Lampi di fuoco e nubi di polvere da sparo incendiarono l'aria e grumi di sangue schizzarono sulle pareti, come polpa di pomodoro frullata. Crollavano e piombavano al suolo, crivellati dai proiettili, ma quasi subito si rialzavano, nonostante i fori e i fiotti di sangue che sembravano muco, per via della loro densità.

Gli Sfigati, nel sentire gli spari, arrestarono la loro corsa e si girarono. Non videro tre uomini cattivi artefici in parte dei loro mali, ma tre eroi. Le loro spalle sembravano straordinariamente larghe, molto di più di quanto non fossero in realtà. Jennifer avrebbe voluto gridare i loro nomi e dir loro che sarebbero dovuti fuggire insieme. Jayden, Tom! Io vi ho visti. Vi ho visti in un sogno, voi siete importanti. Non dovete morire, non deve finire così, pensò la ragazzina. In quello stesso momento, Jayden, che con una mano imbracciava il fucile, con l'altra si tolse lo zaino e lo lanciò via in direzione di Jennifer. Non lo lanciò a casaccio, ma lo direzionò proprio verso di lei. Mrs. Mind. «Dentro ci sono hard disk e CD!» urlò l'uomo nel frastuono dei latrati e degli scoppi. «C'è anche un badge, prendetelo e proseguite verso nord, in aperta campagna! Troverete un villaggio fatto di case di legno alle mura! Cercate e troverete una porta! Il codice è uno, cinque, nove, otto! Uno, cinque, nove, otto! Andate!». Non disse della porta d'emergenza che riportava in città. E mai di certo gli indicò la strada. Non ci pensò proprio. Nonostante ciò, era come se il suo inconscio sapesse che loro avrebbero trovato la strada. Da soli. Come elefanti che anni e anni dopo ritrovano la pozza dove si abbeveravano. Non una strada. Non un'indicazione. Memoria inconscia.

Jennifer, dopo aver raccolto lo zaino, rimase attonita a fissare quegli uomini e quella donna prodigarsi per la loro vita. Stavano forse espiando i loro peccati? Forse. Era come aveva sempre asserito John Harris, ossia che i debiti vanno sempre pagati? Stava immobile, ad aspettare che l'uomo dicesse un'ultima parola ancora, anzi una frase, la frase dell'addio. Sentiva che stava per arrivare. Non importava quanto Leonard la strattonasse per un braccio, urlandole parole fumose e incomprensibili per lei, di certo inerenti alla fuga però. Aveva bisogno di una conferma di ciò che le frullava in testa da quando nei pressi della centrale nucleare aveva fatto il nome di un uomo a lei sconosciuto e aveva invocato l'aiuto di un eroe fumettistico. Qual era il significato di un simile avvenimento? Non se lo sarebbe chiesto mai più, non perché non ce ne fosse occasione, ma perché la risposta sarebbe arrivata mesi dopo. E Jayden, a metà tra una barcollante consapevolezza e una solida incoscienza, urlò una frase come in un gesto inconsulto, priva di qualsiasi significato per lui. Ma sapeva che fosse importante per la ragazzina. «Quando sarai uscita, ritorna qui con Captain World! Lui è l'unico al mondo che può sconfiggere quello là! Ricordalo!». Un'illuminazione folgorante e fulgida, meravigliosa visione divina, abbagliò la sua mente, come un ultimo sussulto vitale, prima di perdere poi quella presa di coscienza. Uno sparo nella testa, rapido, sfuggevole, estemporaneo. Tanto bastò a farle riprendere la corsa con i suoi amici, convinta e determinata più che mai. Quella era la frase d'addio che si aspettava di sentire.

Con i polmoni contratti e dolenti, cercando di aspirare quanta più aria possibile, come un vecchio motore arrivato alla fine del suo ciclo di vita, corsero insinuandosi tra i numerosi corridoi del laboratorio. Se in un primo momento era ancora possibile avvertire gli spari echeggiare da un punto che via via sembrava essere sempre più indefinito, ora si sentivano solo i loro stessi passi concitati. Giunti all'ennesimo corridoio, un profumo di libertà solleticò i pensieri degli Sfigati. Si sarebbero ritrovati a Primestone, ma con la differenza che adesso sapevano come uscire. Quasi si sentivano gioiosi a ritornare in quel rifugio quotidiano, come una persona che è stata troppo tempo in carcere e non riesce a scrollarsi di dosso la paura di affrontare di nuovo la società. Troppo stanca, piena di adrenalina e pensierosa era Jennifer per potersi rendere conto che il suo cervello le stesse mandando un tic di pericolo. Dietro l'angolo avrebbero trovato una nuova, malefica sorpresa. E così fu.

Appena svoltato l'angolo, la loro corsa si arrestò di colpo, facendoli franare l'uno addosso all'altro. Uno stridio di suole risuonò nell'aria, tagliente e fastidioso. I loro battiti si fecero irregolari. Quattro mutati si trovavano a pochi metri di distanza da loro, ostruendo il corridoio che conduceva alla porta d'emergenza. Mai si chiesero come l'avessero trovata, l'importante era stato riuscirci. Ma quello che più attirò la loro attenzione fu il mutato più grosso. Enorme, con un ventre così gonfio da poterci rimbalzare sopra, indossava una maschera di maiale che celava il volto, ma non il claustrofobico colore fucsia fluorescente degli occhi. Portava un grembiule bianco. Anche se di bianco era rimasto ben poco. Sbiadito, macchiato, inchiostrato di ruggine, rosso vermiglio e un pallido giallore, solo Dio sapeva quali misteriose sostanze chimiche ci fossero su quell'indumento. Solo il sangue era facile da indovinare. E quella grossa mannaia pendeva scintillante come un'estensione del suo braccio, imbrattata di cremisi, gocce che a ogni loro tuffo sul pavimento tintinnavano nella testa come a voler perforare il cranio, nauseanti, fastidiose, folli grumi di piastrine a ogni rintocco portavano sempre di più l'ascoltatore sul filo sottile che separa la sanità mentale dalla pazzia.

Gli altri tre mutati, più piccoli (ma era il Macellaio che era troppo grande), sporgevano le loro bocche fatali e impastate di saliva e liquido vitale, mischiandosi in un intruglio di putrida marcescenza. Latravano come cani e con occhi vitrei e splendenti, immersi nel chiarore cadaverico dei loro volti macilenti, minacciavano con grida funeste gli Sfigati, ora resi pallidi in volto da quell'assembramento di spiriti maligni, pronti a divorarli. Uno dei mutati, frattanto, ciondolava con una robusta catena di ferro, avvitata intorno alla vita e la strisciava sul pavimento, come una lima, producendo piccoli sbuffi scintillanti gialli.

«Cazzo, che facciamo!?» esclamò Bobby con i palpiti che a momenti erano così risoluti da poter essere avvertiti anche all'esterno, mentre Lucas dichiarò: «non mi dite che dobbiamo combattere contro quei cosi?». «No, li possiamo anche guardare se vuoi!» protestò ironico Chris, nascondendosi però dietro le spalle di Leonard. Il volto di quest'ultimo sembrava ormai un riflesso ristagnante in acqua fangosa, mentre Jennifer tremava dalle caviglie ai polsi e lo stomaco le sembrava rigirarsi, come a non voler vedere la scena. Taylor protestava aggrappandosi alla maglietta di Sophia, con gli occhi lucidi e le labbra tremanti, mentre quelli dell'amica erano di fuori, anche se forse avrebbero preferito rivolgersi all'indietro. Ed e Thomas invece si erano abbracciati senza neanche rendersene conto. In altre circostanza, Thomas avrebbe fatto una delle sue solite battute di pessimo gusto, ma non questa volta. Provò a biascicare qualche parola, ma il fiato gli si bloccava sulla punta della lingua per poi restare intrappolato.

Il Macellaio, all'improvviso, sollevò la mannaia e con un verso roco e animalesco incitò gli altri mutati alla carica: «prendete... peccatori!». La sua voce sembrava volesse schiacciare le pareti, come una slavina che non si cura di chi o cosa sta per travolgere. Come grossi felini nella savana più profonda, nel livore del mattino, quando il cielo non sa ancora se illuminarsi di buio o d'azzurro, striscia all'orizzonte sottile, traballante e in bilico tra il giorno e la notte, che scattano per arraffare le loro prede, allo stesso modo i mutati dimezzarono la distanza tra loro e gli Sfigati in meno di un secondo. Così rapidi furono i movimenti e così esigui furono i tempi di risposta, che l'unica soluzione possibile fu contrattaccare d'istinto. I mutati provarono a eludere gli attacchi multipli, ma troppo stretto era il corridoio per poter evitare un attacco multiplo di vento, fuoco, acqua, energia mentale, turbinio, fulmine e raggio laser. I loro lamenti di dolore scalfirono il fumo denso che si era sollevato. «State pronti!» urlò Leonard, incitando i suoi compagni a non indietreggiare, mentre il suo braccio tornava a caricarsi di nuova aria, ruttando come un piccolo sfiatatoio.

Fulmineo, un grigiore scintillante infranse la parete fumosa e si dileguò alle spalle del ragazzo. Non fu capace di evitarlo, ma il bersaglio non era lui. Mentre ancora la catena frustava l'aria, il suo sguardo accompagnò il movimento della frusta metallica. In una frazione di secondo, notò che il collo di Ed veniva stretto. «Cazzo, lo hanno preso!» urlò Chris. Taylor diede uno strillo stridulo e sommesso, saltando sulla punta delle scarpe. Uno strattone subitaneo fece inciampare Ed in avanti. Subito fu costretto ad afferrare la catena e a far leva sulla suola delle scarpe per non essere trascinato via. Troppo stretta era la presa per poter salivare con il suo acido in modo da scioglierla. Troppo grande era la forza trascinante per poterla contrastare con il suo fisico smilzo. Aveva bisogno di aiuto. Gli Sfigati, in un macabro e fatale tiro alla fune, si addensarono nei pressi di Ed sulla catena e cominciarono a tirare. Quando il fumo si diradò, uno dei mutanti sbraitava convulsamente suoni gutturali, immotivati e incomprensibili. Spingeva verso di sé la catena, al fine di trascinare Ed. Gli Sfigati provarono a contrastarlo, ma la sua forza non era quella di un sollevatore di coriandoli.

In un primo momento sembrò che i ragazzini ce la potessero fare. Poi, dalla nebbia grigiastra, due ombre nere si fecero avanti. Sfrecciarono come pesci sulla superficie dello stagno verso gli Sfigati con occhi omicidi. Nonostante i loro corpi fossero stati feriti e alcuni organi penzolassero di fuori, un denso fumo biancastro vi si raggrumava intorno e le ferite divennero subito cicatrici e poi linee bianche, piccoli cordoncini sbiaditi e poi impercettibili alla vista. Erano ormai giunti a pochi passi, facendo trasalire i ragazzini. I maschi ebbero la sensazione di avere i testicoli in gola, mentre le ragazzine avevano la vescica pronta a esplodere nei pantaloni. Un attimo di lucidità fu sufficiente per permettere a Jennifer di lasciare la presa della catena, strillare come se avesse voluto far saltare in aria i suoi polmoni, stringere gli occhi così forte da far sbiancare le palpebre e allargare le braccia. Quel movimento fu sufficiente per scaraventare i due mutati con la schiena contro il muro, un crack di ossa fratturate in più punti.

Un attimo dopo, Taylor e Bobby si separarono dal gruppo, lui da un lato e lei dall'altro. Bobby passò accanto a Jennifer come una moto in corsa, facendole svolazzare i capelli di cenere. Estrasse il suo lucente pungiglione, con un'agilità degna di un atleta olimpico, ed evitò che il fendente del mutato gli dilaniasse il volto, con le sue unghie sporche di terra e sangue, incarnite da funghi verdognoli. L'aria vibrò di morte, come di spada che saggia la tenera carne, ma il ragazzino fu svelto a infilzare la spina dorsale dello zombie. Un fiotto di sangue nerastro schizzò dal mutato, imbrattando la maglietta di Bobby. Quando estrasse il pungiglione, il suo lamento divenne uno strozzo ovattato, seguito poi da un tonfo di corpo che collassa al terreno. Tre secondi furono sufficienti affinché il nemico cessasse di dimenarsi. La stessa sorte toccò all'altro mutato, infilzato da un osso acuminato fuoriuscito dal palmo di Taylor. «Presto ragazzi, aiutateci!» li invitò Leonard. Taylor e Bobby ripresero il perverso gioco con la catena, mentre Jennifer, consapevole della sua inutilità in termini di forza fisica, si staccò dal gruppo e provò a tirare utilizzando il potere della sua mente.

Quando sembrava che il mutato non avesse più le forze necessarie per contrastare il moto avverso al suo, una mano enorme, adornata di un guanto giallognolo afferrò la frusta ferrata, stringendola con una tale presa che gli anelli di ferro sembrarono stridere dal dolore. Il Macellaio, dapprima invisibile ai loro pensieri, si era palesato innanzi al loro campo visivo in tutta la sua stazza. In una frazione di secondo, Thomas e Bobby rovinarono con la testa sul soffitto, per poi ripiombare sul duro pavimento, Taylor e Sophia rotearono a mezza altezza per poi schiantarsi di schiena, Lucas finì con il mento a terra schiacciandosi la lingua, mentre Chris e Leonard rovinarono pancia in giù strisciando con le ginocchia. In quegli stessi istanti, Ed fu strattonato verso il mutato con la maschera di maiale, con una tale forza che per qualche assurdo miracolo non si ruppe l'osso del collo, ma svenne sul colpo, strozzato da una forza spropositata. In un solo gesto sinuoso, il Macellaio afferrò il ragazzino per il collo, svenuto e disteso con gli arti rivolti verso il terreno e la testa pendente. Gli occhiali ora erano smossi e storti sul naso e il suo faccino era bianco con delle sfumature violacee, mentre il collo era ancora avvolto dagli anelli di ferro della catena.

«Ed!» strillarono quasi in coro gli Sfigati. Chris si sollevò in piedi e, senza neanche alzarsi la maglietta, sparò uno dei suoi raggi contro il nemico. Ma fu inutile. Al mutato bastò sollevare un braccio per far infrangere il raggio energetico del ragazzo come un fiotto inoffensivo d'acqua. Quando la luce si esaurì svanendo, Leonard corse verso il bersaglio e, con uno slancio, si proiettò in avanti caricando uno dei suoi colpi. Un boato s'infranse nell'aria, ma, parandosi con la mannaia, il Macellaio riuscì a evitare anche il secondo attacco. Se non fosse stato per la presa mentale di Jennifer, Leonard sarebbe stato decapitato. Con un movimento circolare del braccio, il nemico aveva fatto vibrare la lama della sua arma, ma era riuscito soltanto a sfiorare i capelli di Leonard, tranciandogli qualche millimetro di chioma.

Il ragazzo si sentì sospeso in aria come una ballerina che viene afferrata ai fianchi dal suo partner e, con uno strattone, finì con la schiena a terra, lanciando un lamento di dolore. Il Macellaio, forse innervosito o forse in qualche modo come richiamato, si voltò di scatto, mostrando la sua possente, rosata e pelosa schiena scoperta, spalancando la porta d'emergenza e scomparendo nella penombra di uno stretto sentiero fatto di fogliame bagnato e terriccio. L'altro mutato, rimasto quasi imbambolato, dapprima sgranò gli occhi, poi serrò la mascella e, indemoniato, piombò contro Leonard, il più vicino tra tutti i ragazzini. Un forte gettò d'acqua lo colpì con violenza, mentre una scossa lo fece saltellare a terra convulso. Quando provò a rialzarsi aiutandosi con le braccia, fu trafitto da Bobby e Taylor. Esanime, spirò.

«Oddio, ha catturato Ed, ha catturato Ed!» strillò Taylor portandosi le mani alla bocca e battendo i piedi. I suoi occhi stavano scoppiando di lacrime. «Merda, dobbiamo raggiungerlo!» ringhiò Leonard. In un attimo gli Sfigati erano sul sentiero, tra tanfo di erba inzuppata di fango, piccole zanzare ronzanti e umidità che a profusione sgorgava dai pori della loro pelle. Quando furono investiti dalla luce riflessa della luna, distolsero dapprima lo sguardo e subito dopo si resero conto di essere tornati alla Piazza dei Caduti. Agitarono gli occhi a destra e a manca, alla ricerca disperata del loro amico. Una lieve nebbiolina ingrigiva l'aria, sentore di una pioggia che sarebbe scrosciata di lì a poco. «Guardate!» indicò Jennifer con il fiato corto e i polmoni ridotti come vecchi stracci. Era esausta. Lungo la Main, un omone che rifletteva una luce metallica (la catena) si stava allontanando dalla piazza. «Ragazzi, dobbiamo salvarlo!» piagnucolò Taylor. Delle strisce di lacrime già le solcavano le morbide guance arrossate. «Andiamo!» tuonò Leonard. Il ragazzo si mise a correre. A ruota si mossero tutti gli altri Sfigati, senza tentennamento alcuno.

Parandosi tra le lamiere delle carcasse d'auto, proseguirono lungo la strada principale. Non incrociarono nessun mutato. In lontananza, un puntino brillante indicava che il nemico si stesse allontanando, ma era ancora visibile. Affrettarono il passo per non perderlo di vista, senza mai abbassare la guardia, aguzzando la vista come topini sospettosi di un pezzo di formaggio lasciato troppo in bella vista. Muovendosi in punta di piedi, di tanto in tanto approfittavano di qualche arrugginito riparo per riprendere fiato e ricaricare le forze. Avrebbero preferito evitare una battaglia contro il Macellaio, se non altro a livello strategico, oltre che d'incolumità. Ma il rischio era alto, quindi meglio farsi trovare pronti. Disposti tutti dietro le vecchie lamiere di un grosso monovolume, un tempo verde, ora macchiata di chiazze che sembravano muschio, fecero capolino oltre il cofano, spostando la testa lentamente, millimetro dopo millimetro. Erano arrivati alle mura interne e innanzi a loro un grosso squarcio mostrava la luna. Era come se fosse (esploso) stato scalpellato tutto in una notte. Cumuli di macerie, detriti di cemento che emanavano una flebile luminescenza fucsia fluorescente, ingrigiti ancor di più dal pallore della notte, formavano delle aspre ma lievi montagne, su cui era possibile arrampicarsi. Il Macellaio, con i suoi enormi scarponi, tirava via grossi ciottoli, calpestando quel cumulo con foga, come irritato da quel terreno accidentato. Portava Ed sulla spalla destra, la testa rivolta con la chioma arruffata verso gli amici, che guardavano attoniti ma allo stesso tempo speranzosi.

«È Ed!» esclamò soffocata Taylor. «Fa' silenzio» la rimproverò Sophia, bisbigliando. In quell'istante, se non fossero stati abbastanza scattanti da far rientrare le loro teste dietro la linea delle lamiere, il Macellaio, voltandosi, li avrebbe visti. Restò a fissare l'auto per qualche secondo. Poi si voltò e proseguì verso la sua destinazione. «C'è mancato poco» bisbigliò Bobby. «Andiamo» incitò Leonard e gli Sfigati, con calma, ripresero la loro marcia. Appena superata la montagnetta, non senza difficoltà (Jennifer stava per prendere una storta se non fosse stato per Leonard, che l'aveva afferrata per la maglietta), si ritrovarono in una tetra replica della Main. Con il cuore pulsante in gola, studiavano con fare attento l'altra parte della strada principale. Solite carcasse di mezzi, ma i palazzi sembravano ancora più malmessi, con tegole penzolanti dai tetti, finestre rotte e altre sbarrate, asfalto bucato in centinaia di punti. Un tanfo di carne alla brace alitava nell'aria. Alla vista improvvisa di un paio di mutati di spalle, con le bocche impastate di (carne cruda) boli indigesti, si fiondarono verso uno stretto vicolo, maleodorante di fogna. Furono costretti a coprirsi i nasi per evitare un rigurgito altrettanto acido dai loro stomaci.

Seguendo le viuzze ai lati della Main, di tanto in tanto si affacciavano sulla strada principale, adocchiando il Macellaio, che continuava la sua passeggiata in quella folle notte di fine estate. La nebbia continuava a scendere, ora più insistente, con l'umidità che lambiva la loro pelle come panni umidi strofinati sopra. A un tratto, molleggiando sulle loro stanche gambe, disposti in fila indiana in una marcia ansiosa e concitata, scorsero in fondo alla strada un bagliore arancio, come un falò in lontananza. Quella loro impressione fu confermata. Arrivati all'ennesimo vicolo, si trovarono in un'ampia piazza circolare, piastrellata con gonfi ciottoli levigati grigio scuro. Si nascosero dietro a delle vecchie campane verdi per la raccolta del vetro. Dei mutati, ululanti di latrati di macabra e inquietante gioia, come corde di pianoforte sfibrate, erano radunati attorno a un alto fuoco, reso vigoroso da assi di legno tirate fuori dalle case, mobili e cianfrusaglie di vario genere. Una densa e acre fuliggine nera si alzava in cielo, sbiadendosi come nuvole di passaggio spazzate via dal vento imperterrito. L'aria era resa pesante e irrespirabile da quel mix di materiali, che davano la nausea e facevano girare la testa. Gli Sfigati avvertirono un formicolio alle palpebre e i loro occhi cominciarono a bruciare e tremare, come in un principio di pianto. Sentivano il vento caldo del fuoco ardente picchiare sul vitreo specchio delle loro iridi. Non ci volle molto affinché cominciassero a lacrimare. Per fortuna, le urla dei mutati erano più che sufficienti a coprire i loro colpi di tosse. Non si capacitavano di come quegli esseri riuscissero a resistere. Ma non ebbero tempo per pensarci su.

Alcuni mutati avanzarono con un sacco di iuta marrone verso il fuoco. E quello che tirarono fuori fece protestare l'apparato digerente dei ragazzini. Il rigurgito dell'uno faceva da fanfara d'accompagnamento al rigurgito dell'altro. Non c'era modo di rimettere con eleganza appena dietro a dei bidoni scintillanti dell'immondizia, evitando ciascuno di guardare il volto catatonico e arrossato dell'altro. Mentre le loro fronti gocciolavano di sudore miscelato, si sentivano ancora più nauseati dalla carne che veniva bruciata, come legna da ardere che alimenta la viva presenza di un caminetto. Resti di uomini, bambini e ragazzini venivano dati in pasto alla lingua di fuoco, inghiottendoli in una morsa avvolgente e asfissiante, calore che bruciacchiava la pelle, la carne e il sangue in un orrido tanfo di crosticina nera, soave per i palati dei mutati, raccapricciante per gli Sfigati. La paura assalì i loro organi come tanti pizzichi interiori, tremori sottocutanei di vibrante terrore. Il vento ora si rifiutava di soffiare. Mentre i loro sguardi sfocati per via dello sforzo del vomito provavano con sforzo a guardare la piazza (ma non il falò!), una figura tetra e familiare risalì un piccolo sentiero non asfaltato alla sinistra di una palazzina rosa, su per una collinetta che con la sua lieve curva sembrava voler solleticare la luna. Con la gola ustionata e secca, Thomas disse: «è il Macellaio... Il Macellaio!».

Spazio autore

Ed purtroppo è stato rapito! Riusciranno gli Sfigati a liberarlo dalle grinfie del Macellaio? E come faranno a fuggire da Primestone, evitando gli altri tre Cavalieri dell'Apocalisse? Lo scopriremo nelle prossime puntate! 

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