CAPITOLO 10 (Parte 3)
«Dove fiamo?» chiese Ed con occhi tremanti e intontito. «Eccovi ragazzi» sussurrò Chris. «Perché parli a bassa voce?», «Shhhh...» Gli altri Sfigati portarono i loro indici alla bocca, consigliando a Leonard di fare silenzio. Il ragazzo cominciò a guardarsi intorno. Tutti notarono che si trovavano in un ambiente anormale. Una stanza immensa, cinquanta metri per trenta, fatta di enormi blocchi bianco avorio, incrostati di macchie a cui era meglio non rivolgere i pensieri. In fondo, sulla parete opposta, un piccolo batuffolo. Un silenzio spettrale animava l'atmosfera di quella stanza costeggiata da due file di colonne marmoree, lisce e macchiate della stessa sostanza che era sulle pareti. Jennifer indicò quell'ammasso in lontananza, ma gli altri Sfigati fecero mosse di diniego, incapaci di riconoscere quella cosa. «Io non mi avvicinerei, ragazzi» risuonò secca la voce di Lucas. Ma Leonard stava già avanzando, appoggiando appena le punte delle scarpe sul pavimento, reso scivoloso da tre o forse quattro dita di polvere. Gli altri Sfigati non poterono far altro che seguirlo.
Un flebile vento sollevava i loro vestiti, mentre alle loro orecchie giungeva un ritmico ronzio, come un motore diesel acceso che borbotta. Più si avvicinavano, più quel rumore cessava di essere meccanico e somigliava a qualcosa di vivo, come un ronfare. «Ragaffi, credo di fapere di cofa fi tratta» disse Ed. I suoi occhi erano carichi di un pallore mortale, ma allo stesso tempo brillavano di una forte emozione, forse dovuta all'adrenalina. Bobby si rivolse a Ed: «Intendi il barb...», «non dirlo!» strillò Ed con voce sommessa. In quel preciso momento, quelle ritmiche vibrazioni che percorrevano l'aria e lisciavano il pavimento, con un potere quasi ipnotico e che trasmettevano un senso d'impedimento, quasi di torpore, cessarono. La figura in lontananza, vibrò come un'illusione ottica, come un riflesso mentale che ci fa vedere volti familiari riflessi nelle nuvole. Da quel batuffolo, si sollevò un grumo ispido più piccolo. Una testa. Come scintille, videro gli occhi di quello là trasformarsi in nere perle, animate da un famelico riverbero di malvagità e appetito fatale. Ora il ronzio artificiale era diventato un sottile latrato... poi, un ululato. «Arriva!» strillò Taylor.
Il grosso ammasso polveroso divenne un gigantesco cane dal pelo ispido, un confuso vortice argenteo e spettrale che via via che calpestava il terreno diventava sempre più solido e conformato nella sua bestialità. Un barboncino grosso come un cavallo, con una bava nera che schizzava ai lati della bocca, stava correndo pesante verso di loro, pompando sui muscoli dopati e avanzando come un treno che prende velocità, con gli occhi neri come fondi di miniere abbandonate nel buio. Un'immagine che prima sembrava sfocata, ora poteva essere registrata in tutto il suo orrore. Ed cominciò a barcollare all'indietro con la faccia storpiata dal terrore, urlando come un invasato: «il barboncino! Il barboncino!!!». «Alla faccia del barboncino!» strillò Thomas di riflesso. La bestia ruggì come un leone.
In pochi secondi, mentre i muscoli degli Sfigati provavano ancora a risvegliarsi dal torpore, il muso arricciato del cagnaccio espose enormi zanne giallognole con pezzetti di fetida carne attaccati, brandelli di qualche povera vittima, mentre il nero degli occhi scintillava come cocci di vetro su una spiaggia in estate. Mandò un ringhio funesto che fece rinsavire i ragazzi, che cominciarono a correre, sparpagliandosi in tutte le direzioni. Jennifer pensò che fosse stata una pessima scelta, ma non aveva preparato un piano accurato, non l'avevano mai fatto. D'altronde com'era possibile il contrario?
L'aria fu infestata dall'odore pungente del barboncino, feci, uova marce, puzza calda e mortale. La creatura, fulminea, si diresse in direzione di Sophia, che strillò nel vederlo avvicinare. Chris istintivo, balzò verso di lei e quasi la placcò, facendola ricadere al suolo con violenza. Una zampa artigliata fendette l'aria nel punto in cui una frazione di secondo prima si trovava Sophia. Mentre i due ragazzi erano a terra, le fauci del cane si spalancarono proprio sopra di loro. Una scintilla scosse i peli del cagnaccio che cominciò a brancolare come un uomo ubriaco. Era stato colpito da una delle scosse di Thomas.
«Ehi, stronzo, ti piace mangiucchiare le ossa? Vieni a prendermi se ci riesci!». La voce di Thomas fu calma, tranquilla e serena. Il barboncino ruggì e il suo verso assordante rintoccò sul soffitto per poi ripiombare sul terreno, scuotendo i grossi pon-pon che aveva per orecchie, e facendo accapponare la pelle ai ragazzi. Con un balzo, la bestia colpì Thomas al fianco, che volò come una biglia lanciata da una fionda verso una colonna, lussandosi la spalla. Imprecò disperato per il dolore. Era convinto che una costola gli si fosse incrinata e avesse perforato un polmone, tanto era caldo e lancinante il dolore al fianco. «Maledetto!» gridò Leonard. In un attimo, otto piccoli guerrieri furono addosso alla creatura, costringendola a dimenarsi. Fu colpita da fiammate violente, raggi d'energia, boati d'aria, forze schiaccianti invisibili, grossi pungiglioni, ossa seghettate e violenti getti d'acqua. Il barboncino barcollò e scosse la testa, ma era ancora cosciente. La testa della bestia si voltò di scatto e i suoi occhi nero lucido e assassini, lacrimanti di putrido liquame, si fissarono su Ed, un minuscolo ragazzino con le ginocchia fragili come ramoscelli che tentano di tenere sollevato un tir. Senza perder tempo a pensare, Leonard corse verso l'amico e gli si parò davanti. Il barboncino assalì Leonard, che faceva da scudo al piccolo Ed. Il cane allungò le fameliche fauci, mentre Leonard protese le braccia in avanti e le gonfiò più che poté. Non era terrorizzato, quanto adirato, sgomento, aveva perso la cognizione del tempo, che sembrava rallentare sempre di più. Serrò gli occhi e le sue braccia produssero un forte boato, ma non servì a nulla: per quanto fosse potente il suo attacco, tanto che perfino il povero Ed fu sbalzato via, Leonard si ritrovò schiacciato al suolo, con la zampa del barboncino che gli premeva sul petto, un masso artigliato pesantissimo, come se sopra di lui si fossero seduti dieci uomini. Provò a dimenarsi con tutte le forze.
Allungò le braccia, ma un ringhio terrificante seguito da un possente vento e un tanfo di fogna, erbe selvatiche e feci, fecero crollare gli arti di Leonard al suolo, piantandoli come chiodi su una parete. Ora la bestia ringhiava a ogni respiro e se non fosse stato per l'intervento di Chris, le sue fauci si sarebbero serrate sulla testa del ragazzo, tranciandola. Un raggio bianco-arancio si diresse verso la creatura, che con un possente fendente, fece cambiare direzione all'attacco, andandosi a schiantare contro una colonna che si frantumò, scoppiando in una costellazione di frammenti di marmo che scintillarono e zampillarono sul terreno, provocando un tetro tintinnio, che accompagnò il rimbombo dell'impatto. La bestia ringhiò ancora, stavolta verso il volto impietrito di Chris. Ora Ed sembrava estraneo alla scena, per lui il tempo s'era come fermato. Il suo amico Leonard schiacciato sotto la zampa del barboncino, Thomas con una spalla lussata, gli altri suoi amici spaventati che urlavano parole incomprensibili. Tocca a te Ed. È arrivato il momento di crescere...
Aveva visto nella sua mente una possibilità di vittoria, come un flebile squarcio che fa filtrare la luce da una tapparella in una stanza del tutto buia. Ora, il suo cieco terrore era svanito. Non era più intimorito: era più deciso che mai a sconfiggere il barboncino. «Io voglio essere come Calvin "Big Belly" Jackson! Non voglio più tremare ogni volta di paura! Io sono grosso e coraggioso!». A quelle parole del ragazzino, seguì un ululato, poi un lancinante latrato sferzò nell'aria. E poi... «maledetto, devi avere paura! Devi avere paura!!!». Il barboncino strepitò con una voce iniettata di collera, un mix vocale tra un uomo e un cane. Ed, abbandonato dalla paura, acquisì una nitida visione dell'ambiente circostante, come se si fosse impossessato della vista di un falco. Colori, dimensioni e prospettiva si fondevano insieme in un'unica e pura immagine: la realtà comune a confronto sembrava una fotografia sfocata.
Dopo aver tratto l'ultimo respiro profondo, quando i suoi polmoni ormai erano giunti al massimo della loro capienza, cominciò a correre verso la creatura pelosa. La creatura, accecata dall'ira mollò la sua presa su Leonard, che vomitò un fiotto di saliva. Ora era Ed contro il barboncino. In quel riflesso infinito, gli Sfigati ebbero la sensazione di ritornare al passato e di rivivere una sorta di Davide contro Golia, osservando quella limpida pozza d'acqua che proiettava immagini di leggende e miti passati, sempre attuali come l'odio e l'amore che provano gli uomini verso l'un l'altro. Sferzare di zampe possenti da un lato, piccole scarpette di un dodicenne dall'altra. La bestia ruotò la testa e spalancò le fauci, pronta a ingurgitare il marmocchio. Ma così non fu. Come un calciatore che tenta una scivolata, Ed passò a un pelo sotto il mento del barboncino. Quando sbucò da sotto la bestia, subito si voltò per verificare se il suo attacco fosse andato a segno. Quella bestiaccia infernale ancora una volta sembrò voler lanciare un latrato. In realtà, guaì. Sembrò dapprima essersi paralizzato, poi cominciò a rantolare e a tossire, come se avesse qualcosa in gola che gli ostruiva la respirazione. Provò a sputare fuori ciò che aveva, ma non ci fu nulla da fare. Il suo collo cominciò a fumare, mentre le perle nere che aveva al posto degli occhi gli uscirono fuori come se qualcuno le stesse spingendo dall'esterno.
«Ed, cosa gli hai fatto!?» chiese Jennifer. «Un gran bello sputo in bocca!» tonò trionfante il ragazzo, mimando il gesto del pugno. Dal pelo arruffato che aveva sul collo sbucarono macchie di sangue che poi riaffiorarono in violenti fiotti. L'urlo che ne seguì fu assordante, ma via via sembrava affievolirsi, come anidride carbonica che svanisce da una bottiglia gassata lasciata troppo tempo aperta. Stupore, dolore, paura e ira. Il getto sanguinolento inzuppò il pavimento, espulso dalle ferite multiple dovute allo scioglimento della parete della laringe, come un fiume in piena. La sua vita si spense. Quando cadde pesante a terra, si dimenò solo per pochi secondi, prima di scomparire via in una nuvola nera di polvere portata via da una brezza di provenienza ignota. Poi una voce tuonò, come se provenisse dalle viscere della terra. Il respiro si fermò nel petto dei ragazzi a quel tono cupo, selvaggio, disumano. Alieno.
«Bastardi figli di puttana, maledetti e schifosi umani infetti! Vi farò ballare tutti! Mi avete stufato, vi ammazzerò, vi ammazzerò, vi ammazzerò! Lo giuro sul nome dei miei Padri... VI FARÒ BALLARE TUTTI!!! Non solo voi, ma TUTTI!!!».
E, come un sogno che svanisce all'improvviso, si ritrovarono tutti nella camera padronale della villa. Un gigantesco letto matrimoniale impolverato e dei mobili antichi di legno scuro adornavano il locale. I loro occhi non erano stati in grado di vedere la vera forma dell'abitazione fino a quel momento. Improvvisamente non era altro che una vecchia villa lasciata incustodita per vent'anni, in una città fantasma. Puzzolente, umida e macilenta. Ma era solo una casa. Anche i volti dei quadri appesi alle pareti erano ritratti di persone comuni. Quello là se n'era andato. Tutto ciò che rimase fu un diabolico silenzio.
«Ragazzi» chiamò Lucas. «Aiutiamo Thomas!». Bobby lo raggiunse, poi vennero in soccorso tutti i ragazzi, tranne Ed. Il povero ferito fremeva con la schiena contro un comò e lanciava acuti di dolore. Ed invece piombò con il sedere per terra, esausto e ansimante. Jennifer si avvicinò a lui. Si rese conto di quanto in realtà fossero stati vicini tra di loro fino a quel momento. O forse non era così? La ragazza mise un braccio intorno al collo dell'amico. «Sei stato fantastico Ed, hai vinto!». Ed gettò gli occhiali a terra in un gesto di stizza, si portò le mani agli occhi e scoppiò a piangere. I quattro ragazzi frattanto, riuscirono a sollevare Thomas, mentre Sophia e Taylor andarono prima da Thomas e poi da Ed per sincerarsi delle loro condizioni. «Ehi, Tom Hanks, non ti è andata poi così male» commentò Leonard fissando rincuorato gli occhi Thomas. «Oh no, per niente buon uomo!» rispose l'amico. I ragazzi avevano espressioni serie, ma dopo poco si lasciarono andare a risa isteriche. «Ehi, per la miseria, oggi Ed è sembrato un vero supereroe!» commentò Chris, saltellando dalla gioia frenetica. «Il mio uomo!» esclamò Taylor che gli schioccò un tenero bacio sulla guancia. I loro visi divennero subito paonazzi. Ed calò lo sguardo dietro i grossi occhiali che si era rimesso, mentre Taylor si strinse le mani e si mise a fissare la punta delle scarpe. «Oggi gli abbiamo fatto il culo a strisce!» dichiarò Bobby trionfante. «Ma non abbiamo ancora vinto» chiosò di rimbalzo Jennifer con un tono pieno d'amarezza. Per una frazione quasi impercettibile di secondo il suo sguardo si posò su Thomas. Ma fu subito richiamata dalla voce di Leonard. «Ma come? Se avessimo battuto tutte le nostre paure, in teoria avremmo dovuto sconfiggerlo...». «Forse non basta» dichiarò Sophia perplessa e allo stesso tempo un po' spaventata. Jennifer abbassò lo sguardo e aggrottò la fronte, come a volersi spremere le meningi, spingendo i circuiti alla massima potenza. Cos'è che ci sfugge? Cosa manca per vincere? Perché sento che ancora non è finita? Perché ancora non è finita...
Quello stesso pomeriggio, ore più tardi, si ritrovarono tutti alla Piazza dei Caduti, davanti al monumento che troneggiava in mezzo allo spiazzale. Chris aveva avuto l'idea di firmare la placca dorata della scultura con i loro nomi. Taylor aveva manifestato preoccupazione, perché credeva che le Guardie di Sicurezza li avrebbero puniti. Ma quella evenienza non si sarebbe mai potuta verificare, visto ciò che poi sarebbe successo quella stessa notte, la notte di San Silvestro.
«Ok, chi firma per primo?» domandò Chris carico d'emozione, come se stesse per fare il suo primo autografo. «Levatevi, il primo autografo è mio!». Thomas si fece avanti, con la spalla ancora un po' dolorante, ma messa apposto dai medici poco meno di un paio di ore prima. A uno a uno, firmarono tutti gli Sfigati. Il penultimo a farlo fu Leonard, mentre l'ultimo membro del club fu Jennifer. Quando il filo d'inchiostro finale del pennarello indelebile lasciò la sua brillante traccia, Jennifer sollevò lo sguardo e incrociò quello di Leonard, arrossendo in modo furioso. A lei stessa sembrò eccessiva quella reazione, ma non poté fare niente per trattenersi.
In quel momento, Leonard la guardò meglio e il sangue gli affluì alla faccia in un unico colpo, uno scoppio. Distolse precipitosamente il volto, ma tra di loro una vibrante tensione s'era già creata. In quel breve secondo, Leonard era tornato a provare le stesse sensazioni che aveva avuto quel giorno sul pianerottolo davanti all'appartamento delle ragazze. Aveva una voglia disperata di baciarla. E lo stesso si poteva dire di Jennifer. Sophia, che aveva assistito alla scenetta, la sola insieme a Chris, si sentì vibrare da una sferzata improvvisa di gelosia. Distolse lo sguardo e, forse per senso del decoro, si allontanò, incapace di guardare le scariche amorose dei due ragazzi. Chris, affranto, vide inerme allontanarsi Sophia con occhi tristi. Se solo potessi fare qualcosa per consolarla, pensò lui. Perché non mi ami come io amo te? Sophia invece pensò: se è proprio così che deve andare, allora va benissimo, Leonard è tutto tuo. Ma io lo amo davvero, Jennifer. Lo amo davvero.
Frattanto, lo sguardo di Leonard provava con sforzo immane a posarsi di nuovo su quello di Jennifer. La vide in tutta la sua bellezza e il suo splendore, risplendente di una luce che dava suggestione solo a guardarla appena. Fu in quel fugace momento di eterna contemplazione che il ragazzo vide la ragazza mordersi il sottile e delizioso labbro e dichiarare: «ragazzi, vi devo dare queste». Gli Sfigati si voltarono tutti, incuriositi dal tono insolitamente alto della ragazza. «Di che si tratta?» chiese Leonard. Al braccio destro, Jennifer portava il braccialetto di perline rosse donatogli dalla defunta madre anni prima. Lo sfilò e con la forza delle sue deboli braccia, la ruppe, senza però far scivolare vie le sferette. «Jennifer, ma cosa fai?» chiese Sophia stupita, dopo essersi destata dal suo stato di gelosia. Lei era stata la prima, mesi addietro, a notare l'oggetto. Sapeva che l'amica adorava quel braccialetto da cui non si separava mai.
«Una per ciascuno» pronunciò sorridente la ragazza. «Così vi ricorderete di me quando saremo usciti e le nostre strade si divideranno». Come un colpo al cuore, un'immane visione della realtà trafisse l'animo degli altri Sfigati, frastornando i loro pensieri che divennero flebili, quasi assenti. Tutto ciò che avevano vissuto fino a quel momento non era stato un semplice film dell'orrore. Avevano avuto più e più volte conferma dell'autenticità di quelle creature soprannaturali, più reali, quasi, della realtà stessa. Sogni, incubi e paure trasformati in realtà e sparati nelle loro teste. Quelle realtà, finalmente, erano diventate consistenti, non erano più come sogni sfuggiti al controllo del sognatore. Tutto ciò che avevano trascorso era vero. E ora percepivano per davvero che non sarebbero rimasti per sempre lì e che prima o poi se ne sarebbero andati. Ognuno per la sua strada. Una tristezza assoluta incupì i loro volti. Paura. Paura dell'ignoto. Gioia. Gioia irrefrenabile.
Quella stessa notte, quando le luci della città furono spente, osservando e studiando nei loro letti le vivide perline rosse che Jennifer aveva donato loro, tutti cominciarono a interrogarsi su cose del tipo: quanto tempo resteremo qui? E una volta usciti, cosa faremo? Dove andremo? Ormai non si chiedevano neanche più se fossero usciti. Erano però ignari che sarebbero fuggiti quella stessa notte. Jennifer, al contrario, meditava su un altro aspetto: il potere. Quale potere era necessario per poter sconfiggere definitivamente una creatura del genere? Essenza del potere. Da dove arriva? Come si imbriglia? Chi ha il potere? Gli uomini? Le donne? I ricchi? I politici? I soldati? E quella stessa sera, mentre era nel letto a riflettere su quelle questioni essenziali, come se una risposta l'avrebbe aiutata a distruggere il male intrinseco nel mondo, con la pioggia che tamburellava incessante e imperterrita sulle finestre dell'appartamento e sul tetto marcescente, un pensiero le entrò in testa, un faro che avverte i navigatori sulla rotta da seguire. Qualcosa di... esterno.
Il potere è ovunque e in nessun luogo. Il potere è nel bacio che vorresti dare a Leonard. Il potere è in un raggio di sole o in un pianeta che gira intorno alla sua stella. Il potere è in un pugno. Il potere è nel pianto di un bambino. Il potere è in un'esplosione atomica. Il potere è nelle pagine di un fumetto... Attenta, mia cara... I quattro Cavalieri dell'Apocalisse stanno arrivando...
Un boato improvviso. Jennifer spalancò gli occhi.
FINE TERZA PARTE
Spazio autore
E siamo giunti così alla fine del decimo capitolo. Anche Ed è riuscito a sconfiggere la sua paura, ma sembra ancora non essere finita, è come se agli Sfigati sfuggisse qualcosa. "Quello là" non sembra essere stato sconfitto. Avrà forse ancora un asso nella manica? Vi aspetto al prossimo capitolo, il quale sarà un intermezzo (l'ultimo) la cui protagonista sarà Jennifer! Ciao!
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