Sopravvivere


(Lo so, capitolo lunghissimo, ma sinceramente, STOCAZZO! Mi rifiuto di dividerlo, MI RIFIUTO, la storia di Anna non merita di essere spezzata)

*

Non riuscivo a capire cosa stava succedendo.

Non riuscivo proprio a capirlo.

Per un secondo, ebbi paura di star soffrendo di allucinazioni, ma era strano, perché mamma – proprio come quella sconosciuta mi aveva appena detto – era stata attenta a non picchiarmi in testa per assicurarsi che rimanessi lucida ad ogni colpo e patissi appieno la sofferenza di quei calci e pugni in tutto il corpo.

Ero morta?

Non sapevo come altro spiegarmi la presenza della madre del ragazzo che amavo lì, davanti a me, nel capannone in cui ero stata portata dopo che mi avevano rapita. Lo stupore era talmente grande ed elevato che smisi persino di sentire il dolore che mi tormentava ad ogni parte: che fossero le gambe, le braccia, la schiena, lo stomaco, il bacino e tutto il resto.

Lei mi scrutò con espressione severa, le sopracciglia aggrottate in un cipiglio a me fin troppo familiare.

«Ragazzina» mi chiamò di nuovo. Aveva una voce femminile, ma al contempo durissima, fredda e marcata, che ti stupiva più di quanto già non lo facesse la sua bellezza innata. «Sono onorata di sapere che conosci il mio nome, ma se continui così, fra poco ti cadrà la mascella a terra e per quanto la cosa mi diverta un mondo, come ti ho ripetuto per settantamila volte, non abbiamo tempo. Dobbiamo muoverci, perciò ora alza subito quel culo devastato che ti ritrovi. Quella cagna non te l'ha ancora sfondato, perciò stringi le chiappe e tirati su.»

Uno scoppio improvviso, proveniente da fuori il capannone, da oltre la porta in cui due dei miei sequestratori se n'erano andati via, lasciandomi da sola con mia madre, esplose nell'aria. Sussultai, fissando quella stessa porta a occhi sgranati. «Cosa sta-»

«Niente domande, bamboccia, avrai tempo dopo per farle. Al momento, muoviti

Un latrato vero e proprio, il suo, che mi spaventò persino più di quello scoppio. Le sopracciglia erano così aggrottate, adesso, che sulla radice del naso le si era formata una ruga a forma di V.

Inghiottii quel poco di saliva che mi era rimasta dopo che la mamma me l'aveva fatta sputare per ore, e mi costrinsi con una forza disumana a risollevarmi in piedi. Lei mi diede la sua mano per agevolarmi, e io la strinsi in modo quasi automatico, senza nemmeno chiedermi troppo il perché.

Non appena fui in equilibrio sulle mie gambe, migliaia di fitte mi investirono subito, ovunque, in particolar modo la pancia, il punto che la mamma aveva colpito di più, continuando a dirmi che era quello che avrebbe dovuto fare a sé stessa quando aveva scoperto di esser rimasta incinta di me, pur di abortirmi.

Mi piegai senza accorgermene per il dolore, sibilante e senza fiato, ma Anna mi impedì di cadere a terra, bloccandomi il torso già in procinto di precipitare in avanti con le mani a serrarmi le spalle.

Era... strano. Quella donna rasentava l'anoressia, ormai, eppure la sua stretta era spaventosa, durissima. Era una ragazza mingherlina, dall'aspetto più emaciato del mio, ma in viso sembrava più sicura e determinata che mai, come se non avesse un solo dubbio su quel che stava facendo, come se era sicura che ce l'avrebbe fatta ad ogni costo.

«Sono i peggiori, quelli allo stomaco» la sentii commentare, mentre mi ricostringeva a rimettermi in posizione eretta. «Ma ho dato un'occhiata, mentre eri svenuta, ragazzina, non sembra ci sia niente di particolarmente rotto, forse qualche leggera frattura. Per sfortuna di quella zoccola che ti ha generato, non è così forte fisicamente come crede e non se ne intende per niente di violenza fisica. Avrebbe dovuto rimanere alle torture, se proprio voleva farti del male, quelle funzionano bene.»

Ero... confusa, non capivo bene se stava insultando mia madre o complimentando le sevizie che invece mi aveva fatto per anni da che ero solo una bambina. Non ebbi modo di chiederle niente, d'improvviso mi sollevò il braccio, quello che mamma non aveva colpito con quel calcio all'inizio della nostra discussione, quello ancora sano, e se lo avvolse attorno alla spalla per reggermi.

Sgranai gli occhi, ero sempre più smarrita.

I rumori e gli scoppi e le urla da fuori non la smettevano, sembrava che oltre quel capannone si fosse creato un vero e proprio inferno, che oltre quel muro di cemento distrutto fosse nata una guerra.

«C-Come faremo ad uscire?» mi ritrovai a balbettare. «L'unica porta è-»

«Ragazzina, ma allora sei davvero stupida» mi fermò lei, gli occhi carichi di giudizio infernale. «Sei stata rapita e non ti sei neanche preoccupata di controllare quante uscite ci fossero nel luogo in cui ti avevano portata?» Con la mano libera che non usava per sorreggermi, indicò la parete alla nostra destra, quella a cui fino a quel momento avevo dato le spalle. Aveva ragione: c'era un'altra porta, identica alla sua compagna in tutto e per tutto. «È la prima cosa che si fa, quando si viene rapiti: perlustrare con gli occhi tutta la zona, per ideare subito un piano con cui fuggire. Sul serio non ci hai neanche provato? Hai davvero segatura in quella testolina che ti ritrovi, eh?»

Ero... sempre più confusa.

Nella mia testa, mi ero fatta varie idee su come Anna avrebbe potuto essere caratterialmente. Dato che con Ruben non parlava mai, mi ero immaginata una donna molto introversa, una di quelle che preferiva il silenzio alla chiacchierata, e invece non solo aveva una parlantina niente male, ma anche l'innata capacità di insultarmi che il figlio, era evidente, aveva ereditato. Come ci fosse riuscito ancora non sapevo spiegarmelo, visto che non comunicavano tra loro.

E non era affatto fragile come appariva da fuori e come me l'ero sempre concepita nella mente, sapendo della sua dipendenza: mi aiutava a camminare veloce, nonostante tutti i miei dolori, verso quella porta che non avevo visto e per cui mi aveva insultata, lo sguardo fisso davanti a sé, l'espressione in perenne stato di acciglio.

«E oltre quella porta...» domandai con agonia, tra una fitta e l'altra, mentre camminavamo. «Non ci sono i-» Fui interrotta da un altro scoppio, proveniente dalle nostre spalle, e poi un urlo agonizzante. Trasalii.

«Abbiamo liberato quella zona, non ti preoccupare» rispose subito lei, senza scomporsi un istante. «Abbiamo attirato tutte le attenzioni dei tuoi sequestratori e di tua madre sulla facciata del capannone, liberando così la zona posteriore. Di solito questo trucco non funziona mai, ma hai avuto un gran culo, ragazzina. Incapace com'è tua madre mentalmente e fisicamente, si è ritrovata ad assumere una gang appena nata che non sa neanche dov'è di casa il crimine vero.»

«Abbiamo? Mia madre?»

Allungò la mano sulla maniglia nera della porta di metallo. «Certo, io, Rick e i suoi uomini. Non mi dirai che credevi davvero avessi fatto tutto da sola. La segatura nel tuo cervello non è ancora così marcia, lo spero per te.» Inarcò un sopracciglio. «Per quanto riguarda tua madre, dopo ti spiegheremo meglio, nemmeno io so che cosa accadrà.»

Rick?

Spalancò l'uscio della porta, e come se fosse stato evocato dalle sue parole, eccolo davanti a noi: Rick. L'uomo gigante che sforava i due metri e che avevo incontrato mesi e mesi prima: il capo completamente calvo, gli occhi rotondi a palla, e tutti i suoi cento e passa chili addosso ricoperti da una felpa gigantesca rossa e un paio di pantaloni neri.

Aveva le braccia giganti incrociate al petto, l'aria tronfia, e sorrideva con malizia a entrambe. Passò i suoi occhi neri prima su Anna, malevolo, e poi su di me, e quando lo fece, le sue labbra si arcuarono ancor più. «Ciao, dolce Giulietta, era da un po' che non ci beccavamo, eh?» mi salutò, la voce intinta in un'ironia densa come il miele.

Sbarrai lo sguardo e, nel vederlo, lui scoppiò in una fragorosa risata. Così profonda da surclassare persino il rumore delle urla e degli schioppi dall'altra parte del capannone. «Sorpresa, Giulietta? Avresti preferito rivedere il tuo Romeo? Mi dispiace, principessa, ma ci siamo solo io e miei uomini qua, sii grata per questo.»

Di nuovo, lo stupore fu talmente tanto che persi di nuovo il senso del dolore. Guardai Anna, sconvolta, senza più capirci nulla. Avevo supposto che lei e Rick avessero qualche sorta di patto per garantire una protezione a Ruben, ma non vedevo come fosse possibile che lei avesse potuto convincerlo addirittura a salvare me, e perché mai Anna avrebbe dovuto farlo, visto che non mi conosceva affatto.

Lei mi ignorò, guardò dritta di fronte a sé. «La macchina è pronta?» chiese soltanto al suo compagno. Non sembrava provare alcuna sorta di rancore nei suoi confronti, ma nemmeno alcuna forma di affetto. Lo guardava e basta col suo viso burbero, senza lasciarsi travolgere da alcun sentimento.

«Sì, Sal vi accompagnerà al punto d'incontro» rispose Rick, senza smettere di sorridere. «Avrei voluto darti qualche uomo in più, ma anche se quello è un gruppo di deficienti, sa il fatto suo in quanto a scontri. Alcuni sono scappati e adesso i miei uomini li stanno inseguendo.»

Scontri?

Era quello che stava succedendo dall'altro lato del capannone? Si stavano scontrando? Con cosa? Solo pugni? O pistole vere e proprie? Sentii il viso farsi pallido, Rick lo notò e scoppiò di nuovo a ridere. «Sei davvero una principessa delicata, Giulietta» commentò. «C'è da chiedersi come tu abbia conquistato il cuore da bestia del tuo Romeo.»

«Non perdiamo tempo in chiacchiere, Rick, facci spazio così che possiamo salire in macchina.»

«Prego, puttanella del mio cuore» rispose lui, indietreggiando. Anna si issò meglio il mio braccio sulla sua spalla, e mi costrinse ad avanzare fuori dalla porta, ignorando il mio sguardo sempre più sbigottito.

Finalmente, uscii dal capannone. Mi resi conto che era davvero in una zona isolata del Dump, circondato solo da terreno polveroso e qualche casa diroccata e abbandonata qua e là, smarrita nell'orizzonte. Non c'era neanche una strana vera e propria, solo un suolo infertile che non poteva neanche far crescere le erbacce.

Una macchina, una Fiat Panda nera, ci aspettava a pochi metri da là, con un uomo mai visto già sul sedile del guidatore. Le portiere dell'auto erano tutte rovinate da graffi e quelli che erano inconfondibilmente buchi da proiettile. Deglutii ancora a fatica.

«Puttanella, fermati un attimo» ci bloccò Rick, mentre eravamo a metà strada per raggiungere il veicolo. Avanzò verso di noi, ci si pose davanti, mi fissò con i suoi occhi a palla inquietanti, li fissò sul mio petto, sulla mia felpa nera di Crystal Ballerina, ancora sporca del caffè con cui lo pseudo prete/sequestratore mi aveva intrappolata nei suoi schemi.

«Mia dolce Giulietta, hai qualcosa sotto quella felpa?»

Non potei farne a meno: lo fissai disgustata. Lui scoppiò a ridere di nuovo. «No, Giulietta, non in quel senso» si affrettò a precisare, sbellicandosi. «Non voglio che ti spogli, mi dispiace, non sei il mio tipo. Troppe giovane, per me. Ti sto chiedendo se sotto quella felpa hai qualche altro abito addosso proprio perché non voglio che resti nuda. Rimarrai sorpresa, ma anche io ho un certo rispetto verso le donne e il loro pudore. Tuttavia, ho bisogno di quella felpa a tutti i costi, e credimi, non per i motivi che pensi tu.»

Anna, accanto a me, inspirò con furia.

Non ci capivo più niente.

«Ho... ho una maglietta leggera a maniche lunghe, sì» bisbigliai con un sussurro. «Ma... perché?»

«Perché, Giulietta bella, il tuo amato Romeo sta scatenando l'apocalisse qua al Dump.» Sia io che Anna sussultammo insieme. «Sta perlustrando di persona ogni singolo edificio abbandonato del Dump - e fidati, sono tantissimi - uno ad uno, e, inevitabilmente, così si scontra con i gruppi criminali che li usano. Dato che c'è già, finisce per pestarli a sangue e chiedere informazioni su dove trovarti. Sta compiendo una vera e propria strage, è un miracolo che ancora non sia morto nessuno. Ma a quanto pare, persino nella sua pazzia da innamorato devastato, non è ancora così scemo da uccidere veramente qualcuno. Nessuno più potrebbe salvarlo, se così fosse, nemmeno io con la mia protezione.»

Sentii un dolore atroce, superiore a qualsiasi colpo mamma mi avesse inferto, agonizzarmi il petto.

Ruben... Ruben era lì.

Era venuto a cercarmi.

Stava rischiando la sua vita... devastando tutto... per trovarmi.

Deglutii a fatica, travolta da un miscuglio di sentimenti che neanche io sapevo analizzare uno ad uno.

«E a cosa... A cosa ti serve la mia felpa?» sussurrai con un sibilo di voce.

«Perché il tuo Romeo non mi crederebbe mai, se gli dicessi che ti ho salvata» rispose. «Ho bisogno di qualcosa con cui provargli che sei con me e la mia puttanella preferita, qualcosa di tuo che gli faccia capire subito che non gli sto mentendo. Forse penserà che è una trappola, ma non gli importerà nulla, purché lo porti da te. Penso tu lo abbia intuito nel nostro primo, breve e intenso incontro, ma non sto molto simpatico a quello stronzetto. Il che è un grosso peccato, perché a me invece piace molto, specie ora. Se avessi saputo che gli bastava innamorarsi per trasformarsi in una belva simile, l'avrei assunto tra i miei uomini molto tempo fa.» Un altro sorriso spietato gli tranciò le labbra sottili. «Questo giorno finirà per sempre nella storia del Dump, me lo sento. Il giorno in cui un singolo adolescente in piena crisi ormonale è riuscito a mandar giù come birilli i peggiori criminali del Dump.»

«S-Si...» Mi sentii tremare. «Si è fatto male? Sta-»

«Non ti preoccupare, Giulietta, il tuo Romeo sta benissimo» m'interruppe subito, calcando ancor più il sorriso. «Forse qualche livido e taglio, ma nulla di più. La mia protezione impedisce loro di ammazzarlo e tirar fuori le pistole. Fidati, so il fatto mio qua dentro, ma credo che neanche ne abbia bisogno, in realtà. Te l'ho detto: una bestia vera e propria, persino più di tutti noi abitanti del Dump messi insieme. Terminator, in confronto, è un poppante. Un miracolo, oserei dire, disumano, sì, ma comunque un miracolo. Ho mandato persino alcuni dei miei uomini a calmarlo e spiegargli che ci stavamo occupando noi del tuo recupero, ma, come ti ho detto, non mi ha creduto, e così ha pestato a sangue pure loro.»

C'erano così tante informazioni da digerire in una singola volta che non sapevo neanche da dove cominciare. Ruben era impazzito perché mi avevano rapita, Anna mi aveva salvata, Cristo, Rick mi aveva salvata, e avevo avuto conferma del fatto che tra quei due ci fosse qualche patto dietro per proteggere Ruben, e poi ero stata rapita, mia madre mi aveva picchiata per ore e-

«Puttanella mia» la chiamò Rick. «Hai la più pallida idea di tutti i soldi e gli uomini che dovrò usare per sistemare il casino che sta combinando quello stronzetto di tuo figlio e continuare a proteggerlo, sia qui nel Dump che fuori? Pensi davvero che tutto quello che mi stai già offrendo basterà per compensare a ciò?»

Anna, in silenzio, serrò la mascella. Sollevò gli occhi corrucciati su Rick, e poi, tutto d'un tratto, sputò fuori: «Trenta pompini, come li vuoi tu, dove li vuoi tu, per quanto li vuoi tu.»

Sbarrai gli occhi, stupefatta, per poco la mascella non mi cadde a terra.

E Rick... Non ci potevo credere, Rick stava prendendo seriamente in considerazione quell'offerta! Si stava grattando il mento, in posa di riflessione! Non era così che mi ero immaginata dei boss della criminalità del peggior quartiere dell'intera California! Per niente!

Ruben mi aveva detto che la gente del Dump spesso poteva essere considerata come animali selvaggi che agivano sulla base dei loro istinti, ma non mi aspettavo certo fino a questo punto!

«Trenta pompini, dieci spagnole» dichiarò alla fine, col suo sorriso malevolo. «E poi penseremo a cos'altro potrai offrirmi.»

«Affare fatto» sibilò lei. Si voltò a guardarmi, vide il mio viso totalmente costernato, e corrucciò ancor più la fronte. «Ragazzina, quella zoccola di tua madre non te l'ha mai insegnato? Nulla al mondo è più forte delle due bocche che abbiamo a disposizione noi donne.»

«Verissimo» confermò Rick, con voce svergognatamente seria. Annuì persino! Davanti al mio stupore, si preoccupò addirittura di giustificarsi: «Ehi, Giulietta, i pompini che fa questa puttanella sono stratosferici, i migliori dell'universo. E non li concede quasi mai, nemmeno a me che sono il suo compagno. Sono la sua arma segreta, d'altronde. Nessun uomo sano di mente rifiuterebbe una simile offerta.»

Forse mamma mi aveva davvero ammazzata, solo che non me n'ero ancora resa conto.

«Allora, Giulietta, vuoi darmi la tua felpa?»

Deglutii di nuovo. Sogno o no, non vedevo alternativa. Mi scostai per qualche istante da Anna, tirai giù la zip della mia felpa di Crystal, me la tolsi, rimanendo con la mia maglietta nera a maniche lunghe, e la porsi a Rick, che la prese con un sorrisetto, poi rivolse di nuovo le sue attenzioni ad Anna: «Non me ne intendo molto dei rapporti genitori-figli, come ben sai, puttanella del mio cuore, ma se avessi detto a quello stronzetto la verità sin dall'inizio, invece che nascondergliela per tutto il tempo, non saremmo finiti in questa situazione, lo sai, vero?»

Anna lo ignorò, lo sguardo rigido, mi issò di nuovo sulla sua spalla. «Levati dai coglioni, Rick» dichiarò con tono duro. «E facci entrare in macchina.»

«Come desideri, madame.» Si scostò di nuovo per farci spazio, lo sguardo borioso. Anna mi costrinse ad avanzare di nuovo verso la Panda. Aprì la portiera e, senza aggiungere altro, mi aiutò a mettermi sui sedili posteriori.

La conversazione assurda che avevo appena sentito e avuto mi aveva talmente trafelata che non ero più riuscita a sentire i colpi degli scontri dall'altro lato del capannone, e questi risalirono di nuovo d'improvviso, mentre Anna entrava a sua volta e richiudeva la portiera dietro di sé. Sobbalzai.

Lei si sporse in avanti, verso il sedile del guidatore, dove si trovava un uomo di mezz'età, forse della stessa età di Rick, con i capelli ingrigiti e la barba folta. «Muoviti, Sal» gli ordinò. «Non farti seguire.»

Lui non se lo fece ripetere due volte: avviò il motore della macchina e sfrecciò subito nel terreno incolto con così tanta forza che il mio corpo finì schiacciato contro gli schienali rovinati dei sedili.

«C-Cosa sta succedendo?» balbettai a quel punto. «Non ci sto capendo nulla.»

«Sì, l'avevo intuito, ragazzina» rispose lei, fredda. «Non sei molto intelligente, e dubito che sia a causa dei colpi che ti ha dato quella troia che ti ha sgravata. Adesso, però, non è il momento. Non siamo ancora completamente al sicuro. Appena arriveremo al punto di incontro, potrai farmi tutte le domande che vuoi.»

«Ma-»

«Ragazzina, sei davvero fastidiosa, lo sai? Ti colpirei in testa, se non l'avessero già fatto i tuoi sequestratori. Però posso sempre buttarti da un grattacielo.»

Cristo, erano davvero madre e figlio.

La Panda prese una curva in maniera troppa stretta, per poco non le caddi addosso, lei mi sostenne con la mano sulla mia spalla. «Ti dirò solo questo» disse all'improvviso. «Le informazioni più importanti, visto che ho la sensazione che continuerai a tediarmi con la tua vocetta irritante finché non le avrai ottenute.»

Sgranai ancora gli occhi, Anna continuava a guardare dritto davanti a sé.

«La notizia del tuo rapimento è dilagata ovunque, quattro ore dopo che è avvenuto, più di quanto non lo abbia già fatto il video del tuo fratello stecchito. La polizia ha provato a non farla diffondere subito, per evitare che si scatenasse l'indignazione pubblica, ma non c'è riuscita. Beh, i tuoi sequestratori non sono stati molto discreti, deficienti e incapaci come sono. Di nuovo, hai avuto una gran botta di culo. Hanno messo a soqquadro l'intera clinica e ferito due agenti per portarti via. Era inevitabile che tutti lo venissero a sapere. Ma le autorità – come suppongo tu sappia già, mi rifiuto di credere che tu sia così stupida – hanno davvero difficoltà a entrare e intervenire in questo quartiere; quindi, le possibilità che ti tirassero fuori sana e salva erano molto basse. In più, a rapirti era stata una gang appena nata, di cui si sa ancora poco o niente persino qui; perciò era ancor più difficile scoprire dove ti avessero nascosta. A meno che tu non abbia ottimi contatti, tanti uomini e tanti soldi. Come Rick.»

Parlava decisa, diretta e concisa, ma comunque ebbi molte difficoltà a digerire tutte quelle informazioni insieme.

«Quante... Quante ore sono passate dal mio rapimento?» Guardai fuori dal finestrino, era pomeriggio, il cielo aveva assunto tonalità diverse di arancione.

«Sette ore, più o meno» rispose subito. «Rick ce ne ha impiegate due per scoprire dove ti avevano nascosta, dal momento in cui la notizia del tuo rapimento è stata rivelata.»

Solo sette ore? Non ci potevo credere, mi sembrava passata un'eternità intera.

«E... E Ruben?» bisbigliai, e lei sussultò, senza mai voltarsi a guardarmi. «Quando... Quando è arrivato?»

«Un'ora fa» rispose. «Avrei potuto andare a parlargli io, forse mi avrebbe ascoltato, ma il patto con Rick prevedeva che fossi io ad occuparmi personalmente del tuo recupero. Lui mi ha dato l'opportunità, ma dovevo comunque mettermi in gioco a mia volta, visto che era mio il desiderio di salvarti, non suo.»

Serrai la mascella, ero ancora più confusa di prima. Una parte di me, la parte sicuramente afflitta dalla sindrome della crocerossina, era quasi emozionata all'idea che Ruben fosse ammattito così per il mio sequestro, forse si era persino innamorata ancor più di lui.

Ruben mi aveva detto, in effetti, che se mi fosse successo qualcosa avrebbe commesso un genocidio, ma non immaginavo lo intendesse letteralmente, pensavo fosse una frase uscitagli fuori sull'onda del sentimento e, soprattutto, dell'eccitazione, e certo non immaginavo neanche intendesse un genocidio di criminali

L'altra parte, invece, era terribilmente divorata dall'angoscia e dalla paura. Crudele da dire, ma non me ne fregava granché delle vite di quei criminali, mi preoccupava molto più le conseguenze che Ruben avrebbe potuto avere dopo da parte del Dump, quando tutto fosse finito, per quel gesto così folle.

«Non finirà nei guai, sta' tranquilla» disse all'improvviso lei, stupendomi. «Rick, strano a credersi, è un uomo di parola. Quando fa una promessa o stringe un patto, li mantiene, persino se la controparte muore e lui non è più in dovere di rispettare gli accordi. Sistemerà in fretta la situazione, in modo che lui non corra rischi, né con quelli del Dump, né con le autorità.»

La guardai di nuovo, stupefatta. Sembrava parlare di Ruben come di qualcuno che non la coinvolgeva affatto, un ragazzo che non aveva nulla a che fare con lei, eppure... il suo corpo, in parte, la tradiva. Ticchettava furiosamente l'indice sulla coscia, corrucciava con furia lo sguardo, arricciava il naso. Piccoli gesti che mi facevano intuire due cose: era legata in qualche modo bizzarro a lui e, soprattutto, in quel momento non era né fatta né in astinenza.

Ed era strano, molto strano, da che avevo capito, abusava dell'eroina da tempo, e i segni c'erano, sì, la pelle emaciata, i buchi calvi sulla testa, i denti caduti, il fisico quasi anoressico... ma in quel momento era più lucida che mai, ed ero sicura che il suo pessimo carattere non fosse dovuto all'abuso di sostanze, visto che era identico a quello del figlio che di sostanze non ne aveva mai toccate una.

Non me ne intendevo molto sulle dipendenze, non ne sapevo granché, ma qualcosa non mi quadrava proprio.

Sbattei le palpebre. Se non ricordavo male, Anna era andata in overdose a gennaio... un'idea folle balzò alla mia mente. «Anna, per caso... ti sei disintossicata?»

Lei sgranò lo sguardo, mi fissò stupita. «Allora non hai solo segatura nel cervello» commentò, tornando a fissare il sedile del guidatore. Si mise più comoda sul posto. «Sì, ragazzina, mi sono disintossicata. Non ho più toccato quella merda da quando sono andata in overdose. Anche se ormai sarò una tossica a vita, che lo voglia o no. Una volta che ti infili quell'ago in vena, sei destinato ad esserlo per sempre agli occhi di tutti. Un altro aggettivo da aggiungere alla mia carriera da puttana, poco male.»

Serrai ancora la mascella. Qualcosa non tornava... Ruben, se l'avesse saputo, me l'avrebbe detto. Ma era anche vero che lui, ogni volta che provava a cacciare Rick, non riusciva mai davvero a vedere sua madre sul serio o a parlarle abbastanza da intuire a sua volta la cosa.

Anche se... dubitavo che Ruben avrebbe smesso di tentare di cacciar via Rick di casa, visto che comunque aveva preso il totale controllo dell'appartamento e dei soldi di Anna. E forse anche lei lo immaginava, per questo non gli aveva rivelato della disintossicazione.

O forse c'era di più, ma non riuscivo a capirlo.

«Sei stata davvero forte e brava» mormorai. «So che non è facile... uscirne.»

Lei schioccò la lingua. Non sembrava importarle nulla di ciò: la sua salute, la sua dipendenza, la sua disintossicazione. Era come se non vedesse alcuna importanza in essi, positiva o negativa che fosse, come se non vedesse alcuna importanza nella sua vita. Accavallò le gambe, serrò le braccia al petto, guardò fuori dal finestrino. «Rick mi ha aiutata.» Non mi vide sbarrare lo sguardo, dato che era girata dall'altra parte, ma sembrò intuirlo perché aggiunse: «Dubito mi crederai, ma quell'uomo, a suo modo, tiene a me. Si può quasi dire che sia innamorato di me.»

Innamorato?

«Ma Ruben mi aveva detto... che quando sei andata in overdose, Rick non ha-»

«Certo che no, sarà pure innamorato, ma è pur sempre una bestia nata e cresciuta in questo posto, conosce le regole: mai contattare le autorità, per nessuna ragione al mondo, specie quando spacci droga in ogni dove.»

Deglutii di nuovo a fatica. Immaginai di non poter comprendere appieno quella situazione... perché io non ero nata là, non sarei mai stata in grado di ragionare come ragionavano quelli del Dump, di vedere il mondo con il loro stesso filtro. I semplici concetti di amore, protezione e amicizia erano alterati in maniera assurda, così assurda che agli occhi del mondo esterno poteva apparire folle, ma ai loro era invece naturale e quotidiano.

«Il piano iniziale prevedeva che ti recuperassimo, controllassimo che fossi ancora viva e, se lo eri, le condizioni in cui ti trovavi, e poi da lì decidere se portarti direttamente al punto di incontro in cui stiamo andando adesso o da qualche dottore dei nostri – sì, ragazzina, hai capito che genere di dottore intendo – per sistemarti. A seconda dei due casi, lo avremmo contattato per dirgli dove venirti a prendere, se in quel punto d'incontro o dal dottore.» Si passò una mano sul retro del collo, cominciò a massaggiarselo. «Noi non possiamo né vogliamo uscire dal Dump, lui sì. Certo, non mi aspettavo avrebbe reagito in questo modo, scoprendo la notizia del tuo rapimento. Se l'avessi saputo, lo avrei contattato prima ancora che agissimo, per dirgli quali erano le nostre intenzioni. Ma non volevo...»

Si fermò, ma riuscii comunque a concludere la frase nella mia testa.

Non volevo dargli false speranze.

Non ci avevo visto male, allora, non mi ero sbagliata.

Quella donna amava suo figlio.

Lo amava davvero.

«Anna-»

«Adesso basta con le chiacchiere, ragazzina» m'interruppe lei. «La tua voce è fastidiosissima, lo giuro, mi sta facendo esplodere il cervello. Aspetta di arrivare al punto d'incontro, per iniziare a devastarmi con le tue domande inutili.»

Chiusi la bocca.

*

Sal, così si chiamava l'uomo alla guida della Panda, ci portò in un altro edificio abbandonato del Dump. Una casetta diroccata che risultava evidente era stata vittima di un grosso incendio, tanti anni prima. L'intonaco delle pareti della facciata era completamente sciolto e annerito, tutte le finestre avevano perso i loro vetri, non c'era più la porta d'ingresso, il tetto era in gran parte crollato, le sue tegole spaccate, e quando io ed Anna entrammo al suo interno, mi accorsi che era completamente svuotata: solo le pareti ormai nere a causa delle fiamme che le avevano masticate una volta, il pavimento dal terriccio incolto e qualche erbaccia che sbucava qua e là tra le poche mattonelle rimaste.

Sal rimase in macchina, fuori dalla casa, a controllare la situazione.

C'era una panca, in quella casetta diroccata, proprio accostata al muro distrutto, bucato e annerito davanti a noi. Una panca che mi meravigliavo fosse ancora integra, di legno, anch'essa rovinata come quella struttura, e quando Anna mi fece sedere lì per poi farlo a sua volta, alla mia sinistra, mi sorpresi di non crollare a terra.

«Ora dobbiamo solo aspettare» disse lei. «Ci vorrà un po'. Non dovrebbero averci seguite.»

Tornai a guardarla stupefatta. Non riuscivo ancora a credere davvero quello che era appena successo: che lei e Rick e gli uomini di quest'ultimo fossero venuti a soccorrermi, che lei, con quel fisico anoressico e traballante, fosse stata abbastanza forte da sorreggermi e trascinarmi via da quel capannone e portarmi lì, che quello che stava succedendo fosse vero e non un'allucinazione indotta dai colpi.

La guardai infilarsi una mano nella tasca del piumino blu distrutto che indossava e dentro cui navigava, tirò fuori un pacchetto di sigarette, se ne accese una, prese un lungo tiro. Mi accorsi, senza neanche volerlo, che i gesti con cui fumava erano identici a quelli del figlio: il filtro tra indice e medio, sulla seconda falange, il modo lento con cui se lo portava alle labbra, il ticchettio accennato con cui faceva ballare la sigaretta, per passare il tempo, espiravano persino il fumo alla stessa maniera.

La osservai meglio: anche se era uscita dalla tossicodipendenza, se ne portava ancora gli strascichi e non sapevo dire se era perché fisicamente quella droga l'aveva devastata o perché era la vita che conduceva tuttora, seppur pulita, a impedirle di riprendersi. Aveva gli occhi infossati, pieni di occhiaie, la pelle del viso scavata e pallidissima, le labbra carnose e traballanti avevano perso colore.

Anche così, però, anche in quello stato devastato, la sua bellezza era innegabile: conservava i tratti del figlio, quei tratti che se visti singolarmente non catturavano l'attenzione, ma guardati insieme ti colpivano per la loro meraviglia con la stessa forza di un pugno.

«Adesso...» mi sforzai di parlare. «Mi puoi spiegare meglio cosa sta succedendo?»

Lei inarcò un sopracciglio, continuando a guardare dritto davanti a sé, all'ingresso senza porta della casa.

«Beh, ragazzina, te l'ho già detto» mormorò. «Ti ho salvato il culo.»

Ero così sconvolta da tutto quello che stava succedendo che neanche riuscivo a sentire il dolore provocato dai calci e i pugni di mia madre. L'adrenalina dello sbigottimento anestetizzava la sofferenza provocata da quelle ferite.

«Sì, cioè...» La fissai a occhi sgranati. «È solo che... Perché l'hai fatto? Ci siamo viste una volta soltanto e anche di sfuggita, non ci siamo nemmeno mai parlate, non mi spiego neanche come tu mi abbia riconosciuta subito» le feci notare, e lei prese un altro tiro. «Non vedo perché avresti dovuto aiutarmi in questo modo.»

Non rispose, continuò a fumare, in viso la stessa espressione crucciata, dura e severa del figlio. Era incredibile, ad osservarla, quanto quei due si somigliassero non solo per l'aspetto ma anche nei modi di fare, in tutte quelle piccolezze a cui di solito non si badava poi molto.

Ma io me ne accorsi, me ne accorsi subito. Era troppo evidente ai miei occhi, ed era sufficiente per farmi capire una delle mille sfaccettature del loro rapporto così anomalo: pur non conversando e comunicando tra di loro, quei due si erano guardati a vicenda, studiati l'un l'altra, al punto da poter assumere gli stessi atteggiamenti e aspetti. Non era con le parole che si erano legati.

«Lui ti ha protetta

Pronunciò quella frase con voce arrochita, il mento affilato che tremolava leggermente, le ciglia folte a decorarle lo splendore degli occhi azzurri.

«Come?»

«Quella notte, mentre Rick lo stava picchiando» precisò, prendendo un altro tiro. «Lui ti ha protetta.»

Mi umettai le labbra, capendo finalmente a cosa si riferiva: a quella volta in cui Ruben si era frapposto tra me e Rick.

«E tu hai protetto lui» continuò, sbuffando una nuvola di fumo. Continuava a guardare dritta davanti a sé, gli occhi puntati sull'ingresso senza porta, ma da come erano persi era ovvio che stesse pensando ad altro, che stesse osservando altro. «Ti ho vista, dalla finestra del mio appartamento, quella notte. Appena lo hai riconosciuto, appena ti sei accorta che era lui il ragazzo che Rick stava pestando, non hai esitato un istante: sei corsa da loro e l'hai protetto.»

I miei muscoli si irrigidirono con lentezza straziante. Non seppi dire cosa stavo provando, sapevo solo che nel suo sguardo così fascinoso c'era una sofferenza quasi dolce ad adombrarle le iridi chiare.

Il pensiero che sorse alla mia mente fu che Anna stava guardando tutto dalla finestra, quella notte, e probabilmente lo faceva tutte le notti: non era così indifferente al pestaggio del figlio, non nel modo in cui lo intendevamo noi nel mondo di fuori.

E forse... il motivo per cui era uscita di casa, a quel punto, non era tanto per parlare con Rick, ma per osservare meglio la scena, capire cosa stava succedendo, chi ero io, quella sconosciuta al fianco del figlio.

Prese un altro tiro. «Erano anni che non lo vedevo così.» La voce femminile era divorata da una tribolazione di cui non sembrava neanche rendersi conto, perché manteneva l'austerità del viso come se ciò che diceva la lasciasse totalmente indifferente. «Da quando quel tossico a cui si era affezionato è morto, si era isolato da tutto e tutti, si era rifiutato di avvicinarsi a qualcuno, aveva guardato i suoi coetanei e i suoi conoscenti crepare, marcire, drogarsi, ammazzarsi a vicenda, senza battere ciglio, senza provare a intervenire, neanche una volta.» Aspirò ancora dalla sigaretta. «Ma per te si è mosso. Non appena ti ha vista, ti ha difesa e protetta subito.»

Mi strinsi le mani tra loro, con i polsi che ancora dolevano a causa delle fascette, ma non ci badai, presa com'ero da quello che mi stava dicendo.

L'aveva osservato.

Per tutti quegli anni, per tutto quel tempo, lei l'aveva davvero osservato e studiato. Pur non dicendogli una sola parola, pur non dandogli un solo gesto d'affetto, l'aveva continuato a tenere d'occhio, e non dubitavo del fatto che si fosse informata sulla situazione del figlio e i suoi comportamenti tramite la bocca di altri.

Glieli aveva messi davvero, quei tappi di sughero in più nel barattolo di vetro. Un regalo di compleanno di cui non voleva lui venisse a conoscenza. E probabilmente non l'aveva fatto solo quella volta, probabilmente l'aveva fatto per anni.

Non era stata un'impressione errata di Ruben.

Finì la sigaretta, gettò il mozzicone a terra, lo spense con la pianta delle scarpe da ginnastica distrutte e rovinate, per poi accendersene subito dopo un'altra.

«Con tossico... ti riferisci a Pop?»

Sussultò, si voltò a guardarmi. Per la prima volta perse la sua espressione rigida, la sorpresa andò a scavarle gli occhi, un sorriso accennato a romperle le labbra carnose. «Ti ha parlato di Pop?» domandò e quando io annuii, lei ridacchiò. Una risata sottilissima, a malapena udibile, quasi imbarazzata di esistere. «Allora ci ho visto giusto» mormorò a sé stessa, riprendendo a fumare e a guardare di fronte a sé.

Strinsi la mascella, costrinsi l'aria a entrare dalle narici. D'improvviso, tutte le preoccupazioni per quello che avevo appena vissuto, il dolore, la paura, il sogno con Jesse, svanirono, annientati dalla realtà che avevo davanti, la verità del rapporto tra il ragazzo che amavo e sua madre.

«Io...» balbettai, non ero sicura su ciò che dire. «Hai voluto aiutarmi per questo? Perché lui mi ha protetta?»

Chiuse la bocca attorno al filtro, prese un altro tiro. «Non farti strane idee, ragazzina» disse. «Io sono solo una puttana tossica, non diversa da quella zoccola di tua madre.»

Mi umettai le labbra. «Ma-»

«Non l'ho mai considerato mio figlio» m'interruppe. «E non gli ho mai voluto bene, neanche una volta, neanche un secondo.» Esalò una treccia di fumo dalla bocca schiusa.

«Però ti sei messa con Rick per proteggerlo, non è così? Quello che vi siete detti, davanti al capannone, ne è la prova. E non lo hai fatto solo stavolta, lo fai da tanto tempo» notai a quel punto, con un pigolio di voce. Cercò di camuffarlo, ma le sue spalle ebbero un leggero sobbalzo. «Altrimenti, Rick non si sarebbe limitato a pestarlo un po', quando lui cercava di cacciarlo via. E ti sei messa con Rick un mese dopo la sua ultima rissa, una delle più atroci, da allora non ne ha più avute. Anche il fatto che quelli del Dump non si vendicano in modo estremo con Ruben, pur avendo lui chiamato le autorità... Anche quello è dovuto alla protezione di Rick. Avevate stretto un patto già da allora, vero?»

Restò ferma per un paio di minuti, con la sigaretta che si consumava da sola tra le sue dita, a scandire quel tempo interminabile. Le sopracciglia folte si corrugarono con più forza, gli occhi totalmente smarriti. 

Proseguii, presa da un coraggio innato: «L'ultima rissa che Ruben ha avuto... deve essere stata tremenda, vero? La peggiore di tutte, l'ha devastato. Ti sei spaventata molto, non volevi più finisse in quelle condizioni terribili, per questo hai stretto un patto con Rick, un mese dopo che è avvenuta. Tu stai con lui, lo lasci vivere da te, spacci la sua droga ai tuoi clienti così da aumentare i suoi, gli dai tutti i tuoi soldi, e in cambio lui garantisce una protezione su Ruben.»

Strinse con furia la mascella, ma non sembrò arrabbiata. Era come se... non capisse appieno quello che stavo dicendo, come se neanche lei avesse realizzato tutto ciò, come se stessi parlando di un'altra persona che le era totalmente sconosciuta.

Compresi, allora, di averci preso anche su un altro punto della mia ipotesi: come il figlio, anche Anna aveva difficoltà a concepire la natura delle sue emozioni, le viveva e basta e agiva di conseguenza, seguendo la loro indole.

Una tsundere anche lei, a suo modo.

«Non parlare di me come se fossi chissà quale santa, ragazzina» replicò alla fine, dopo qualche altro secondo di silenzio, steccando la cenere per terra, la voce quasi sprezzante. «Te l'ho detto, io sono solo una puttana tossica identica a tua madre.»

Sembrava crederlo davvero, e non so spiegarmi perché – in fondo, non la conoscevo proprio, non le avevo mai parlato prima di allora – ma nel vederla così, sentii un atroce strazio nel cuore, come se me lo stessero smembrando a mani nude.

Esitò qualche altro istante, lo sguardo chino e perso. Era evidente che si stava domandando se parlare o meno, se raccontarmi tutto. Il dubbio le scavava l'azzurro delle iridi, la mascella continuava a tremarle e così la mano con cui stringeva la sigaretta ormai spenta e consumata. Deglutì, il collo sottile si gonfiò per quello sforzo.

«Lui ti ha mai detto chi è suo padre?» chiese all'improvviso, sorprendendomi.

«Mi ha detto... che non lo sa. E che non lo sai neanche tu.»

«Ho mentito» dichiarò, la voce di nuovo roca. Gettò il mozzicone lontano da sé, lo guardò rimbalzare sul terreno sporco, le erbacce che s'infiltravano tra le mattonelle rotte del pavimento. Sfilò un'altra sigaretta, se la accese. «Gli ho parlato di suo padre solo una volta, quando era piccolissimo e non era ancora così bravo a riconoscere le bugie. So benissimo chi è, l'ho sempre saputo. Non ero ancora una puttana, da giovane.»

Sbattei le palpebre, stupita. Conosceva persino la capacità di Ruben di saper individuare quasi sempre le menzogne.

«Suo padre era il compagno di mia madre» enunciò dura, ed io sussultai, sentii uno squarcio dilaniarmi le viscere. «Era un pezzo grosso del Dump, una lurida bestia di oltre sessant'anni, il cui unico lato positivo era il suo bell'aspetto anche a quell'età. Veniva da me, nella mia stanza, ogni notte, da quando avevo tredici anni. Puoi immaginare da sola perché, come puoi immaginare da sola il motivo per cui non potessi scappare o ribellarmi.» 

Immagini orrende mi invasero la mente, ed ero certa che quelle che stavano invadendo la sua - quelle dei suoi ricordi - fossero molto più abominevoli.

«Mia madre lo sapeva» aggiunse poi, con la stessa noncuranza con cui il figlio parlava di tutte le violenze con cui era cresciuto, come se fosse una storia qualsiasi e non l'agonia di un'intera vita. Ebbi l'impulso di piangere, sentii le lacrime dilatarmi la gola. «Ma non interveniva, sia perché lui era un pezzo grosso, sia perché diceva che ero io che lo provocavo.» Soffiò fuori un'altra nuvola di fumo. «Quando scoprii di essere incinta, a sedici anni, non feci in tempo a nasconderlo. Mia madre mi accusò di non aver usato le protezioni, di essere davvero una puttana, e insieme lei e il suo compagno mi cacciarono di casa. Per lui, tanto, ormai ero già troppo cresciuta, troppe curve, diceva, non gli interessavo più molto e di un figlio non se ne faceva niente. Non so perché stesse con mia madre, forse anche loro avevano qualche sorta di patto, chissà, lui dichiarava sempre che era perché faceva i pompini migliori del mondo, così stratosferici che non riusciva a preoccuparsi delle troppe curve. Beh, dato che sono sua figlia, è possibile.»

Mi sembrò di avere lo stomaco annodato, avevo quasi la sensazione di dover vomitare.

«Cacciata di casa, avrei potuto scegliere tante strade diverse.» Inspirò avidamente dalla sigaretta. «Avrei potuto abortire illegalmente, darlo in adozione, affidarlo a qualcun altro, sgravarlo per terra in un posto abbandonato e lasciarlo lì a crepare di stenti, ma non l'ho fatto. Mi sono rifiutata. Volevo tenerlo a tutti i costi. E no, non per quello che credi tu. Te l'ho detto, io sono solo una puttana tossica.» Socchiuse appena gli occhi, lo sguardo ancora dritto davanti a sé, una smorfia appena accennata a rovinarle le labbra. «Volevo vederlo marcire coi miei occhi

Un velo di sudore cominciò a coprire il mio corpo.

«Per me, quella creatura là, quell'essere, non era mio figlio, ma solo il frutto di quell'uomo e della puttanaggine di mia madre. Dato che non potevo vendicarmi direttamente su di loro, ho deciso di farlo su quell'orrore che mi avevano lasciato, il loro regalo d'addio.» Sbatté le palpebre, steccò di nuovo la cenere. «Ho scelto di tenerlo con me perché marcisse al mio fianco, si agonizzasse e disperasse in questo cimitero di vivi e io potessi godermi lo spettacolo in prima fila. In fondo, nascere e crescere al Dump è una condanna grande quanto quella di nascere e crescere all'inferno, forse addirittura peggiore, figurarsi poi con una puttana che lo odiava a tirarlo su. Avrebbe sofferto atrocemente, quanto o più di me. Sarebbe diventato come tutti noi pezzi di merda che affolliamo questo cesso, una bestia disgustosa, e io non vedevo l'ora di gustarmi le sue lacrime. Una ad una.» Un sorriso sadico le calcò la bocca, lo stesso del figlio.

Mi morsi il labbro, non sapevo davvero che dire e nemmeno che pensare.

Anna continuò a fumare.

«Quando è nato, però, ho capito qualcosa» disse all'improvviso, dopo un altro minuto di silenzio. «Che quella creatura era diversa dalla gente di questo posto, e anche dall'essere immondo di cui era figlio.»

Un'altra fitta mi lacerò il cuore, ma la lasciai parlare: «Era troppo buono. Troppo, troppo buono.» Aggrottò con più forza la fronte. «Sapeva che non gli volevo bene, sapeva che non lo amavo e mai l'avrei fatto, sapeva che lo evitavo apposta e non volevo parlare con lui in alcun modo, sapeva che lo odiavo. Non sapeva chi era suo padre, ma non ho dubbi sul fatto che sapeva anche il vero motivo per cui avevo deciso di tenerlo con me.»

Il volto le si contrasse per qualche istante, come se si stesse violentando pur di mantenere la sua espressione crucciata. «Eppure, lo stesso, mi difendeva sempre, cercava sempre di proteggermi. Quando qualche cliente mi faceva del male, io non glielo dicevo mai, glielo nascondevo ogni volta, ma lui trovava lo stesso il modo per scoprirlo e dargli una lezione, da che era ragazzino. Stava persino attento a non calpestare le formiche, quand'era bambino, ci credi? Davvero, non riuscivo a spiegarmi come facesse ad essere il figlio di quella bestia. E nessuno gliel'aveva mai insegnato, ad essere così, men che meno io.» Serrò di nuovo la mascella, gettò la sigaretta per terra, la spense con la scarpa. «Il semplice fatto che si fosse affezionato a quel tossico decrepito pronto a schiattare da un momento all'altro, ne era la prova vivente. Credo lo considerasse come il padre che non ha mai avuto, chi lo sa.»

Strinsi le mani sulle cosce in due pugni, lei sbatté le palpebre.

«Ma in questo posto, non si va da nessuna parte con la bontà. Così, sin da piccolissimo, ha dovuto ricorrere alla violenza e a rinunciare a tutti i suoi sogni ingenui, seppur non gli piacesse. È riuscito a conservare il suo animo generoso, però, almeno fino a quando quel tossico non è morto.» Inspirò a fondo, l'aria le gonfiò il petto tremante. «Quando quel tossico è morto, lui è cambiato.»

Annuii a stento, Anna iniziò a torturarsi le mani, la fronte ancora contratta.

«Ha ammazzato quel lato buono di sé» disse. «L'ultimo rimasuglio che gli era rimasto, l'ha usato per rifiutarsi di diventare a sua volta un criminale e darsi ad attività illegali come gli altri, ma solo questo. Ha ucciso quell'umanità che lo differenziava così tanto da tutti noi pezzi di merda che viviamo in questo posto, ha dedicato la sua vita alla violenza. Non gli è più interessato aiutare, avvicinarsi a qualcuno, si è rinchiuso in sé stesso, ha iniziato a vivere pestando e facendosi pestare, pur di tirare avanti un giorno di più.»

Deglutii ancora, e così fece Anna.

«Una scelta logica, se devo essere sincera, e anche saggia. Rischiosa, sì, perché rifiutarsi di diventare un criminale vero e proprio, qua, è praticamente impossibile. Ma era comunque meglio che fare il buon samaritano. In 'sto cesso di posto, la crudeltà è l'unica opzione che ti può far sopravvivere. La bontà al Dump è un cappio: più la usi, più quel cappio ti si stringe intorno alla gola, per poi finire inevitabilmente con lo strozzarti e ucciderti. Quindi sì, un'ottima decisione per lui» commentò. «In fondo, qua dentro la gente ci sguazza nella violenza, trova la sua ragione di vita in essa, non potendo mai essere felice. E sapevo anche che lui l'aveva accettata, quella violenza, che l'aveva resa parte integrante di sé, così a fondo che neanche adesso riuscirebbe più a liberarsene. Il casino che sta combinando ora, una volta scoperto che ti avevano rapita, lo dimostra.»

Si bloccò tutto d'un tratto, chinò il capo verso terra, verso tutti i mozziconi che aveva lasciato cadere sul pavimento. Le sue sopracciglia si aggrottarono di nuovo, ma stavolta non per il solito cruccio, bensì per tentare di nascondere il tormento che la stava straziando.

«E io lo vedevo...» sussurrò, con voce così bassa che a stento la udii. «Glielo leggevo negli occhi, cercava di nasconderlo, di celarlo a tutti, ma io l'avevo capito: era infelice.» Bisbigliò quella parola con agonia. «Profondamente, terribilmente infelice. Anche quando riusciva a sconfiggere i suoi nemici, quando vinceva in una rissa per non farsi sottomettere, quando riusciva a sopravvivere, era comunque infelice.»

Il labbro inferiore le tremò, inghiottii una palla di fuoco che mi stava bruciando la gola.

«Era quello che volevo» proseguì. «Era tutto quello che desideravo, il solo e unico motivo per cui l'avevo voluto con me, per cui avevo deciso di tenermelo accanto: che marcisse. Ma...» Si grattò il collo. «Ma poi guardavo i suoi occhi, vedevo quella sofferenza che li dilaniava... e mi accorgevo... di non essere felice affatto, anzi...» Si bloccò ancora, le palpebre iniziarono a tremarle con furia. «Guardavo i suoi occhi... e mi accorgevo... di star soffrendo anch'io, solo perché stava soffrendo lui.»

E soffrii anch'io, in quel momento, nel rendermi conto della vita che quella donna aveva avuto, dell'agonia che l'aveva tormentata da che era solo una ragazzina, del contesto in cui aveva vissuto e la crudeltà che aveva ricevuto... Eppure, nonostante ciò, nonostante l'odio, la rabbia, il male dentro cui annegava dal giorno in cui era nata... in sé aveva ancora una bontà tale da indurla ad amare il figlio dell'uomo che l'aveva distrutta più di tutti, da sentirsi ferita quando ferito lo era lui.

Lo aveva amato sin da quando lui era bambino, sin da quando era minuscolo, forse addirittura da appena nato, seppur fosse partita con l'obiettivo di odiarlo e godere delle sue lacrime. Non gli avrebbe mai mentito, altrimenti, sull'identità di suo padre, non lo avrebbe osservato con così tanta attenzione, preoccupandosi per la sua gentilezza, se così non fosse stato. Non si sarebbe interessata così tanto alla relazione del figlio con Pop e al suo cambiamento drastico, dopo la morte di quest'ultimo.

Era l'esatto opposto di mia madre, l'antitesi di Jennifer Murray, che riteneva di amare il proprio figlio e invece l'aveva solo devastato. Anna, al contrario, era convinta di odiarlo, eppure l'aveva amato per tutto quel tempo.

E soffrii ancor più, quando realizzai, nel guardarla, che non era affatto cosciente di ciò. Non se ne rendeva minimamente conto. Come lei leggeva negli occhi di Ruben la sofferenza, io leggevo nei suoi la totale inconsapevolezza dei propri sentimenti. Erano confusi, smarriti, alla ricerca di una risposta che non sapevano trovare in alcun modo.

L'ambiente in cui era nata e cresciuta, il lavoro che faceva, l'età e il modo in cui era rimasta incinta, l'essere stata cacciata di casa dalla sua stessa madre e il suo aguzzino... Tutte quelle cose, tutti quei fattori abominevoli, avevano compromesso inevitabilmente la sua capacità di giudizio su sé stessa, la comprensione dei suoi pensieri e delle sue emozioni.

Non c'era da stupirsi se Ruben aveva le stesse difficoltà. La mente di Anna era stata amputata da quella abilità e per questo lei non era riuscita a rapportarsi col figlio, che di risposta aveva ereditato quel problema, era impossibile che non accadesse.

E ciò che faceva più male, forse, era realizzare che, a discapito di quell'amputazione in entrambi, quei due, senza neanche accorgersene, avevano continuato ad amarsi e proteggersi a vicenda.

Pur inconsapevoli dell'affetto che provavano l'uno per l'altra, pur incapaci di comprendere davvero la natura dei loro sentimenti... non avevano mai smesso di custodirsi. A loro modo, certo, nel modo che solo nel Dump poteva apparire sensato, ma non significava che non fosse vero, sincero.

Tutta la crudeltà e il male che li circondava e li investiva ogni giorno non erano bastati per uccidere il loro legame assurdo.

«Non lo so perché» enunciò Anna, la voce flebile. «Non me lo so spiegare, sinceramente. Come ti ho detto, non lo considero mio figlio. Forse una parte di me, quell'ultima goccia di umanità che mi è rimasta, si pente della mia decisione, ma ne dubito. Mi conosco, so di essere una bestia come tutti gli altri qua dentro. Definirmi umana sarebbe un insulto ai veri esseri umani.» Sfilò l'ennesima sigaretta e se la accese. «E in realtà, non mi importa neanche capire perché.»

Era tremendo sentirla parlare di sé stessa in quel modo. Non realizzava proprio nulla di tutte le sue migliaia di sfaccettature che la componevano, le infinite luci e tenebre che la riempivano e convivevano al suo interno in una pace quasi innaturale, così tanto da essere invece la più reale tra tutte.

«Rick era un mio cliente da un paio d'anni, penso lui te lo abbia già detto» continuò. «Mi andava dietro dal nostro primo incontro. Gli piacevo, sai, fisicamente e caratterialmente, ero proprio il suo tipo. Credo sia anche per questo che mi concede tutti questi favori, incluso questo per salvarti. Certo, chiede molte cose in cambio, ma fidati, non l'avrebbe fatto con chiunque, e le cose che mi ha chiesto, in confronto a quelle che chiede agli altri, sono nulla.» Stizzò la cenere per terra. «È un tipo molto bizzarro, Rick. Ama i soldi, ma non gli frega di usarli, adora solo accumularli. Non gli frega di vivere nel mio appartamento che è un buco di culo e fatiscente al massimo. Non gli frega di vestirsi bene, comprarsi orologi costosi, gli piace solo il potere, tutto qua, e gli piace avere tutto ciò che desidera. Io sono una di queste cose, per lui.»

Era... curioso. Non mi aspettavo Rick fosse una persona del genere, non era quella l'impressione che mi aveva dato al nostro primo incontro. Forse era vero che non bisognava mai fermarsi solo alle prime apparenze.

«A me non interessava granché.» Prese un altro tiro. «Non era certo il primo cliente che ci provava spudoratamente con me. Forse l'eccezione era il potere che aveva in questo posto, ma anche quello non m'interessava molto.»

«Fino a quando non c'è stata quella rissa» mormorai, e lei si fermò, la sigaretta sospesa vicino alle sue labbra. «Ti sei spaventata tanto, non è così?»

Le sopracciglia si abbatterono sui suoi occhi, feroci. «Sai perché ha avuto quella rissa?» mi domandò, e anche se non mi guardava, riuscì comunque a intuire avessi scosso la testa. «Il tizio che comandava il gruppo con cui si era scontrato era uno dei miei clienti, uno dei più giovani. Mi aveva pestata poche settimane prima, lasciandomi metà faccia gonfia dai lividi. Pretendeva uno sconto su una delle mie prestazioni, a tutti i costi, e quando mi sono rifiutata mi ha preso a calci.»

Trasalii ancora, Anna riprese a fumare.

«Io non gli avevo detto niente, ormai lo sai, gli avevo nascosto tutto. Non so come ha fatto a scoprire chi era stato. Fatto sta che, poco tempo dopo, è tornato a casa in quelle condizioni. Non mi ha detto perché, ma non mi ci è voluto molto per capirlo. Lo conosco, in fondo. Non parleremo tra di noi, ma so com'è fatto. Lui si faceva sempre i fatti suoi, qua dentro, evitava di entrare in scontri che non lo riguardavano e, soprattutto, di scatenarli di sua iniziativa, a meno che non ci fosse una ragione specifica per farlo. In questo caso, la ragione specifica ero io.» Una smorfia le storse la bocca. «A quel punto, non so perché, ho sentito che c'era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Così ho chiamato Rick e in poco tempo abbiamo stabilito i termini del nostro patto.»

Il petto mi faceva male, tanto i battiti del cuore pulsavano il dolore che lei non riusciva ad esprimere a parole.

Ed ero sicura che se quella situazione fosse avvenuta a qualcun altro, Ruben non avrebbe faticato a fare due più due per capire tutto ciò, per intuire quel patto. Ma dato che la questione riguardava il suo rapporto con sua madre, i sentimenti di tutti e due e di cui sempre tutti e due erano ignari, non ne era stato in grado.

«Perché non glielo hai detto?» le domandai.

«Se avesse saputo, come minimo avrebbe cercato di pestare a morte Rick per convincerlo a recidere il patto. Te l'ho detto, lo conosco. Non avrebbe mai accettato che mi sacrificassi in quel modo. Lui...» Si bloccò di nuovo.

«Lui ti vuole bene.»

Una sofferenza disumana le investì tutto il viso, così mostruosa che sentii gli occhi bruciarmi, al solo vederla in quelle condizioni. Che non se ne rendesse conto o meno, che non sapesse ammetterlo o meno... quella donna era una madre in tutto e per tutto.

«Anche diventare dipendente dall'eroina era incluso nel patto?» le chiesi, e lei, con uno sbuffo, annuì.

«Come ti ho detto, Rick è un tipo bizzarro, che ama a suo modo, un modo molto singolare, forse persino in questo posto.» Strizzò gli occhi con furia, prima di ripotarsi la sigaretta alle labbra. «Te l'ho già spiegato, Rick è uno che mantiene sempre i patti che stringe, anche dopo che la controparte è morta. Ma per farlo, vuole che tu gli dimostri di meritarti tale onore, che sei disposto a tutto pur di ottenerlo. E il fatto che io gli piacessi, che mi andasse indietro da così tanto tempo, non era sufficiente per saltare questo processo.»

Sbattei le palpebre, allucinata. «E la tua prova era diventare dipendente dall'eroina? Rischiare così la vita? Ma è-»

«Assurdo, lo so. Ma siamo al Dump, bamboccia, tutto qua è assurdo.» Prese un altro tiro. «I termini erano questi: avrei dovuto farmi, anche solo una volta, per dimostrargli quanto ci tenessi a quel patto e che lui lo mantenesse fino alla fine, anche in caso di un mio improvviso decesso o se la situazione fosse cambiata. Forse non ne sai niente di droghe, ma penso tu sappia che con l'eroina basta una sola iniezione per sfracellarti per sempre. Chiederti di schizzartela anche solo in un'occasione è come chiederti di buttarti da un ponte. E così è successo a me.» Sorrise con amarezza. «A me non fregava nulla di ciò, se devo essere sincera. Non mi interessa granché della mia vita, perciò l'ho trovata una clausola normale.»

Ero allibita, non sapevo neanche che pensare, era come cercare di guardare dentro un labirinto di follia e provare a capirci qualcosa. Non riuscivo neanche a concepire come Anna potesse affermare che Rick era innamorato di lei. Forse le altre condizioni avrebbero potuto esser considerate "accettabili" sotto certi punti di vista – e forse neanche quelle – ma una richiesta del genere era completamente da deviati.

Ed era così contraddittorio... le aveva fatto una pretesa del genere, e poi, adesso, si era "accontentato" di trenta pompini... Non riuscivo proprio a comprendere quell'uomo, forse non volevo neanche farlo. Mi stupivo che ci riuscisse lei.

«Inoltre» aggiunse, «era la prova migliore con cui evitare di insospettirlo.» Intuii si riferisse di nuovo a Ruben. «Con prove di altro tipo, avrebbe subodorato subito che c'era qualcosa di più tra me e Rick che una semplice relazione, e questo proprio non lo volevo.»

Serrai la mascella, lei buttò fuori una scia di nicotina, a occhi chiusi. «Rick si era proposto di aiutarmi a disintossicarmi» aggiunse all'improvviso, e lo stupore mi paralizzò sul posto. «Per lui, in fondo, quella era solo una prova. Avevo dato dimostrazione di esser disposta a morire per quel patto, gli bastava. E poi gli piacevo, ci sarebbe rimasto male, se fossi morta. Ma io ho rifiutato, all'inizio» spiegò. «Sia perché ormai ero diventata dipendente, sia perché-» Si fermò ancora.

E senza volerlo, intuii subito, e di nuovo avvertii lo stomaco annodarsi, l'impulso di vomitare.

Perché pensavo lui sarebbe stato meglio senza di me.

Serrai con furia la mascella, sentii i denti rischiare di spaccarsi, mentre gli occhi riprendevano a bruciare con furia.

Lei si morse il labbro, steccò la cenere per terra.

«Poi sono andata in overdose, lui ha chiamato l'ambulanza e così sono sopraggiunte le autorità, data la presenza di un minorenne. Un altro dei tanti motivi per cui Rick non ha fatto quella telefonata. Gli assistenti sociali l'hanno portato via. È finito in una famiglia affidataria che pur di apparire la migliore di tutte, di dimostrare di essere filantropa - la famiglia che aveva redento uno del Dump e l'aveva reso un essere umano qualsiasi - l'ha mandato in un liceo fantastico, e ha avuto pure il culo che quella famiglia in realtà se ne sbattesse il cazzo di lui, lasciandolo stare ai dormitori per non badarci. Una famiglia stupida, se proprio devo essere sincera, ma non ne sono così sorpresa. Quelli là ci considerano solo spazzatura da usare per elevarsi sul piedistallo. E anche gli assistenti sociali, per gente come noi, se ne sbattono i coglioni della fine che fanno i nostri figli. Tragico, lo so, ma è così. In questo caso, però, è andato nettamente a suo vantaggio. Finire in un liceo del genere, uscire dal Dump una volta per tutte, era un vero e proprio miracolo

Si morse di nuovo il labbro, buttò la sigaretta spenta per terra.

Ebbi l'impressione che stesse sul punto di svenire per l'agonia, tanto le squassava lo sguardo, pur cercando di camuffarlo. «Ma quel cretino tornava ogni notte» sussurrò. «Anche adesso che aveva la possibilità di uscire fuori da questa merda, per sempre, di diventare una persona qualsiasi, e non essere più la spazzatura del Dump, di vedere il mondo di fuori, continuava a tornare qui per cercare di aiutarmi. Ho provato in ogni modo a fargli cambiare idea, mi sono nascosta per non farmi vedere da lui, l'ho ignorato ancor più di quanto già non avessi fatto, ho chiesto a Rick di pestarlo quel tanto che bastava per farlo desistere, ma, come te, anche quello lì ha la segatura al posto del cervello, non voleva proprio smuoversi, pur sapendo quanto fosse inutile. Mi sono pure chiesta se era meglio se mi provocassi un'altra overdose e mi ammazzassi per sempre, così non avrebbe più avuto motivo di ritornare qua, ma ho capito che sarebbe stato peggio. L'avrebbe devastato, senza che se ne rendesse conto. L'avrebbe riportato inevitabilmente in questa fogna. Così ho accettato l'aiuto di Rick di disintossicarmi.»

Per una persona qualsiasi, forse, ascoltare quella storia sarebbe sembrato ancora più assurdo di quanto già non fosse. Il modo in cui Anna aveva deciso di proteggere il figlio non poteva essere considerato normale in alcun modo. Era intricato, folle, quasi malvagio... eppure al tempo stesso, ai miei occhi, era anche il più buono che una donna come lei, vissuta in un contesto del genere e con un passato simile alle spalle, avrebbe mai potuto realizzare.

«Io davvero non capisco» commentò con una risata amara. «Non l'ho mai amato, l'ho sempre odiato, l'ho sempre evitato, e lui lo sa bene. Non aveva motivi per aiutarmi, non li ha mai avuti. Se fossi morta, qualsiasi altra persona al suo posto avrebbe stappato lo spumante e pisciato sulla mia lapide, ma lui no. Cocciuto, stupido e con la segatura nel cervello.»

Avrei voluto dire qualcosa, ma mi resi conto che non avrei potuto cambiare nulla. Quella donna era totalmente inconsapevole di sé stessa e dei suoi sentimenti, un'estranea come me non avrebbe mai potuto farglieli presente, non mi avrebbe creduto mai.

«Non sapevo più che fare, davvero, ero disperata» continuò Anna, tornando a grattarsi il collo. «E poi c'è stata quella notte, quella notte in cui tu sei comparsa.» Sobbalzai. «Quando vi ho visti, quella notte, quando ho visto come ti ha protetta, come ti ha guardata...» mormorò. «Ho capito quanto contassi per lui. Ha fatto rinascere la bontà verso gli altri a cui aveva rinunciato anni addietro, solo per difenderti. Ha riaccettato quella parte di sé che aveva ucciso tanto tempo prima, solo per te. Mi è bastata quell'unica occasione per capirlo: tu sei importante per lui, molto, molto importante. Più di Pop, più di me.» Un calore funesto mi divampò nel petto, ma non osai parlare. «Non appena ho saputo che ti avevano portata qui, che ti avevano rapita, ho capito subito che se ti fosse successo qualcosa, lui ne avrebbe sofferto immensamente, più di quanto avrebbe sofferto se fossi morta io. Sarebbe diventato una bestia vera e propria e non sarebbe più potuto tornare indietro. Avrebbe perso per sempre quell'umanità appena ritrovata. E non volevo questo. Non lo volevo proprio. Non so spiegarmi perché, davvero, e non mi interessa farlo, come già detto. Lo volevo fare, quindi l'ho fatto: ho chiesto aiuto a Rick, ed eccoci qui.»

Mi faceva male il cuore. Davanti a me c'era una donna che non si considerava madre, e che eppure mostrava negli occhi un affetto per il figlio di cui era del tutto inconsapevole. Immaginai che quello fosse il destino del loro rapporto, una tragica fatalità che li avrebbe portati a separarsi per sempre.

«Ragazzina» mi chiamò alla fine, «ho un solo favore da chiederti, uno soltanto, in cambio del tuo salvataggio.»

Si voltò verso di me, mi guardò dritta negli occhi, lo sguardo sicuro, determinato.

«Portalo via da qui.» 

Lo dichiarò con voce forte, imperiosa, la stessa che calcava il tono del figlio. «Fagli vedere il mondo, tutto quello che non ha mai osato anche solo sognare. Mostragli quel che c'è al di fuori di questa merda. Non farlo mai più ritornare sui suoi passi, non permettergli mai più di desiderare di rientrare qua dentro. Mai più

C'era solennità nelle sue parole, una preghiera e una supplica che mi fecero venir voglia di piangere. E forse anche lei avrebbe voluto farlo, perché le tremarono le palpebre, dovette sbatterle più volte.

«Quando vi siete protetti in quel modo, ho capito subito che tu sei la sua ultima possibilità. Il vostro legame è profondo, ve l'ho letto negli occhi. Tu sei l'unica che può trascinarlo via da quest'inferno, via da me

«E tu?» bisbigliai.

Anna si strinse nelle spalle. «Io sono un tumore per lui, ragazzina, dello stesso tipo che ha ammazzato tuo fratello. L'unico modo che ha per guarire è liberarsi di me una volta per tutte.»

Deglutii con furia. Sapevo che era sincera, che credeva davvero in tutto ciò che stava dicendo, e una parte di me ne soffriva atrocemente. Era una donna giovanissima, doveva avere poco più di trent'anni, ma aveva già rinunciato a sé stessa, alla felicità, all'amore per suo figlio.

Ruben me l'aveva detto, era così che si viveva al Dump, quella era l'unica regola per poter andare avanti e sopravvivere un giorno di più, eppure, nel vedere quella stessa regola incarnarsi nella figura di sua madre, non potei che amareggiarmene con tutta l'anima.

Quei due si volevano bene veramente. In un modo particolare, assurdo, contorto e forse anche sbagliato, ma si volevano bene.

E per quanto lei non lo ammettesse, lo amava come una madre.

E per quanto lui non lo ammettesse, la amava come un figlio.

La tragedia di tutto ciò era proprio il fatto che mai avrebbero potuto dirselo.

«Non te ne pentirai?» le chiesi con un pigolio. «Non ti pentirai di non poterlo mai più rivedere?»

Sbatté con furia le palpebre, tese i muscoli del collo. Fu sufficiente per dir tutto.

«La mia volontà non ha rilevanza» disse, chinò lo sguardo ai suoi piedi, sui mozziconi di sigaretta spenti. «Semplicemente, certe volte, alcune persone non possono essere salvate, non importa quanto ci si provi. Io sono una di queste.» Scosse la testa, un'altra risata amara. «Io non sono come lui, ragazzina, non lo sono mai stata» disse. «Io appartengo a questo posto, l'ho sempre fatto, da che sono nata. Non me ne frega un cazzo della vita e della morte degli altri, con la droga che spaccio per Rick, rovino l'esistenza a centinaia di persone e famiglie, e comunque me ne sbatto i coglioni. Ho sempre saputo che finirò all'inferno, una volta schiattata, non ne ho mai dubitato un istante.» Esitò, contrasse le sopracciglia. «Ma non voglio che anche lui ci finisca, tutto qui.»

Il silenzio tese l'aria che respiravamo, l'effluvio della sigaretta mi masticò i polmoni.

Mi morsi il labbro con forza.

«Sei davvero un'anima buona tu, eh?» domandò, non appena scorse le lacrime che già si accumulavano nei miei occhi. «Ti dispiaci persino per una puttana tossica come me. Non soffrirne troppo, ragazzina, non merito tanta compassione da parte tua. Come ti ho detto, non sono poi così diversa da quella zoccola di tua madre che ti ha torturata per anni, rapita e pestata. Io non l'avrò mai seviziato, ma l'ho condannato dalla nascita a un inferno altrettanto distruttivo.»

Ebbi la sensazione di star affogando, sbattei le palpebre, nel tentativo di trattenere il pianto. Non volevo ferirla ulteriormente, non volevo devastarla più di quanto già non fosse.

Avrei solo voluto poter far qualcosa per cambiare il loro destino, quel tragico fato che li aveva condannati da che erano venuti al mondo, solo per essere figli di quel quartiere.

Ma non potevo, non potevo fare nulla.

Solo una cosa mi era permessa.

«Anna...» la chiamai con un soffio, lei mi guardò, l'espressione severa. «Grazie

Il suo volto si deturpò ancora. Lo capii subito: quella, per lei, era la prima volta, la prima volta che qualcuno mostrava gratitudine nei suoi confronti, la prima volta che veniva trattata come un essere umano.

«Mantieni la promessa, ragazzina» dichiarò con voce roca, soffocata dalle lacrime che si rifiutava di versare. «È tutto quello che ti chiedo.»

Aprii la bocca per parlare, quando un urlo, al di fuori della casa in cui ci trovavamo, ci bloccò. Un urlo straziante, disumano. Sia io che Anna sobbalzammo, e mi ritrovai a tremare e a venir divorata dalla paura quando, dall'ingresso senza porta della casa, scorsi la figura dello pseudo prete avvicinarsi. Il suo volto era completamente tumefatto dai colpi, irriconoscibile quasi, perdeva copiosamente sangue dalle narici, zoppicava tantissimo, ma negli occhi c'era un'ira omicida che mi fece gelare il sangue.

«Anna...» tuonò lui, la voce sibilante, in mano reggeva un piede di porco trovato da chissà dove. «Lurida puttana, avresti dovuto continuare a fare la zoccola solo col corpo.»

Anna non esitò un istante, non ebbe neanche un briciolo di paura, si sollevò in piedi e coprì il mio corpo, ancora seduto e paralizzato dalla paura, col suo.

Trasalii di nuovo, quando mi accorsi che quell'uomo stringeva in mano quello che a tutti gli effetti era un piede di porco. Doveva aver usato quello per picchiare Sal, e non avevo idea di come fosse riuscito a trovarci, in parte non volevo neanche saperlo.

Lui spostò gli occhi adirati su di me, e seppur il volto fosse completamente gonfio dai colpi, riuscì comunque a sorridere. «Ma guardala, la figlia amata» commentò, «un'altra lurida troia, pure tu. Se devo proprio morire, trascinerò anche te nella tomba.»

Inspirai a forza, Anna non si mosse, continuò a restare ferma davanti a me in piedi, senza dire una sola parola.

Lui avanzò di qualche passo, col sangue che gli gocciolava a terra, ed io sentii il cuore rischiare di esplodermi per il terrore.

«Mi divertirò molto con te, sarà divertente. Puttana come sei, urlerai così tanto che-»

Un'ombra improvvisa sbucò alle sue spalle. Un'ombra gigantesca che riconobbi subito e al tempo stesso non riconobbi affatto; ma ciò che identificai in un istante, quel che mai avrei potuto confondere con qualcos'altro, fu l'arma con cui quell'ombra colpì dritto sul torace il mio sequestratore e lo fece cadere a terra con uno strillo acuto, facendolo agonizzare sul pavimento lercio e perdere la presa sul piede di porco, toccarsi il punto appena colpito per cercare di lenire il dolore di quelle che erano le sue nuove ossa rotte.

Un'arma già sporca in parte di sangue che con quel singolo, preciso e violentissimo, disumano, colpo si spezzò inevitabilmente in due, producendo un suono simile a quello che dovevano aver fatto le ossa appena spaccate del finto prete.

La mazza da baseball di Eve.

Stretta nelle mani da Ruben, ora in piedi davanti a lui, in viso la collera più bestiale che gli avessi mai visto: l'abisso di una rabbia che non aveva fine a scavargli gli occhi fissi sull'uomo e che lo indusse, con quell'arma spezzata, a continuare a colpire il mio sequestratore ancora e ancora e ancora, come un vero e proprio animale, ignorando le lacrime, i lamenti, le suppliche di smettere.

Non si fermò un solo secondo, proseguì a percuoterlo ovunque - in faccia, sulle gambe, sul torace, sulla pancia, sul bacino - di nuovo e di nuovo, l'espressione mostruosa di chi non aveva più nulla da perdere, il sangue che gli schizzava sugli abiti e di cui neanche si accorgeva.

«L'inferno che vedrai da morto» sibilò senza smettere mai di picchiarlo, la voce spietata, da belva, «sarà una sauna in confronto a quello che ti farò vivere adesso per averla sfiorata.»




Nota autrice

Ahhhhhhhhhhhhhhhhhh

Godo.

QUANTO cazzo sto godendo.

Più di Trump quando ha battuto la Clinton.

Più di Scar quando ha buttato giù Mufasa dalla rupe.

Più di mia nonna quando frigge.

Per tanti, tantissimi, motivi.

Prima di tutto, per chi ha letto la mia primissima storia - La custode di cuori.

Sì, muffins, sì.

ABBIAMO UNA SASHA PORTER 2.0

UNA FOTTUTA SASHA PORTER CON LA SPADA LASER INVECE CHE LA PATATA

G. O. D. O. Quanto cazzo mi era mancata.

* si schiarisce la gola per riprendere un po' di contegno e non diventare una scolaretta arrapata*

Poi, ANNA.

SI, CAZZO, QUANTO ATTENDEVO QUESTO MOMENTO.

Anna, per me, è il best personaggio Evah, seconda forse solo a Jesse.

La amo, la amo alla follia. Amo la trama intrugliatissima di luce ed ombre che la caratterizzano, amo il modo in cui, nei suoi modi contorti, intricati e anche sbagliati, violenti, ha cercato di proteggere a suo modo Ruben, senza neanche rendersene conto.

Amo la sua storia, il modo in cui ha cercato di sopravvivere, nonostante tutto, e che nonostante tutto, sia finita per amare il figlio.

Amo il fatto che, come dice Callisto, lei è l'esatto OPPOSTO di Jennifer.

E non è un caso, muffins, non è un caso.

Anna e Jennifer sono nate nello stesso momento, come due facce della stessa medaglia, per dimostrare la complicatezza di un sentimento in apparenza così semplice come l'amore materno.

Jennifer: che ritiene Jesse il suo miracolo, di amarlo alla follia, e invece l'ha solo distrutto psicologicamente.

Anna: che ritiene di odiare Ruben, di non poterlo amare, e che invece ha cercato di proteggerlo, a suo modo.

Come dice Jesse: ci sono persone crudeli che fanno cose buone, e persone buone che fanno cose crudeli.

Pensate anche a questo: Jennifer è ossessionata dall'idea che la gente la consideri una puttana, dovuto al trauma del padre. Ne ha proprio il terrore, odia profondamente Callisto per questo. Si vergogna da morire perché viene additata in questo modo (pur non "essendolo" da un punto di vista puramente lavorativo)

Anna, che LETTERALMENTE è una puttana, lo fa proprio di mestiere, non si vergogna a farsi chiamare o chiamarsi da sola così, non lo nasconde, lo riconosce sin dal principio, lo dichiara a Callisto e a se stessa senza alcuna esitazione, e non si riferisce neanche soltanto al suo lavoro.

E sapete una cosa? Per me, tra quelle due, c'è sì una puttana.

Ma sicuramente non è Anna.

Non c'è un vero confine fra bene e male, specie in questi casi come quelli di Anna, non c'è un modo per capire cos'è giusto e sbagliato, se guardi il quadro nel suo insieme.

Perché questo è il Dump, questa è la sua follia - provata anche dall'assurdità delle richieste di Rick (e il suo carattere) e di Anna. Un mondo fatto di violenza, di criminalità, in cui non esiste felicità, ma solo SOPRAVVIVENZA. In cui i concetti stessi di amore, innamoramento, protezione, si distorcono fino a renderli quasi folli. Folli PER NOI, però, che viviamo nel mondo esterno, non per chi vive là.

E che eppure, nonostante ciò, non sempre riesce a cancellare la bontà di alcune persone, come quella di Anna (e anche quella di Ruben, che lo so, adesso non si vede così tanto, ma capiamoci: è un bad boy, gli hanno rapito la "ragazza" - non stanno ancora ufficialmente insieme, vi ricordo - che vi aspettavate? Che andasse a dire alla polizia: Oh prego, mie stimate forze dell'ordine, aspetterò qui che voi salviate la mia donzella, senza fare assolutamente nulla). La devia, semmai, la rende sbagliata a tratti, violenta, la contorce in un modo folle che neanche capisci più come funziona, ma quella bontà rimane e così la sua sincerità.

Come vi dissi qualche capitolo fa: qua il concetto di bene e male si fondono insieme, al punto che verrà difficile distinguerli, se non proprio impossibile.

Volevo davvero tanto mostrarvi Anna, ci tenevo tantissimo, è uno dei personaggi che più mi sta a cuore, sul serio. Come Callisto, anche io ho pianto tantissimo per lei. Sarà folle il modo che ha scelto di vivere e custodire suo figlio, ma la sofferenza che l'ha calcata per tutta la vita non poteva che renderla così. Anzi, direi che è un vero e proprio MIRACOLO che non abbia fatto di peggio, che non l'abbia annientata e resa come Jennifer.

Non so se lo avete notato, ma per tutto il capitolo Anna non pronuncia MAI il nome di Ruben, sono sempre gli altri a farlo. Penso possiate immaginare da soli perché.

Ci tengo a ricordarvi che Anna, per il bene di Ruben, si è DISINTOSSICATA. E fidatevi, muffins, disintossicarsi è quasi impossibile. E a lei, farlo per sé stessa, non fregava niente, ma capendo che così il figlio ne sarebbe uscito devastato, l'ha fatto lo stesso. Uno sforzo DISUMANO.

Quanto. Cazzo. La. Amo.

Anche Rick, come vi ho detto, è un personaggio molto contorto. Folle, sì. Follissimissimo. Però, oh, che ve posso dì?

A me piasce.

Assurdo, lo so, ma ho sempre saputo di aver gusti di merda.

E niente, direi che basta così, fatemi sapere che ne pensate, Muffins. SUL SERIO, VOGLIO SAPERE, PORCO KNORR, CI TENGO TANTISSIMO.

Sciau!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top