Scommessa

Apologia di Callisto.

Il miracolo realizzato da mio fratello quando era già morto.

Non solo per la velocità con cui quel video si diffuse in tutto il mondo, passando di telefono in telefono, di computer in computer, di mano in mano a milioni e milioni di sconosciuti che prima di allora neanche sapevano della nostra esistenza.

Non solo per la capacità con cui fu in grado di sconvolgere i media, anche negli anni a venire, di accendere il senso di giustizia nell'opinione pubblica, di portare alle lacrime e a un sentimento di solidarietà nei miei confronti anche i cuori più freddi e indifferenti.

Il vero miracolo, per me, quello che mai e poi mai avrei pensato si sarebbe realizzato, fu il fatto che, dopo averlo visto, dopo aver accettato le parole di mio fratello, dopo averle accolte nel mio cuore, permesso loro di timbrarmi l'anima un'ultima volta con il suo nome e la sua voce, riuscii finalmente a rialzarmi.

A ritrovare quel coraggio che non credevo potesse più appartenermi dopo la sua morte.

A sollevarmi da terra, da quel pavimento su cui ero caduta alla conclusione del video, a inspirare a fondo, chiudere gli occhi, e dirmi: "Posso farcela."

Nonostante non fossero passati che tre giorni da quando se n'era andato. Nonostante non fossero passati che tre giorni da quando avevo perso per sempre il mio unico cuore.

Ma l'apologia di Callisto, quel video che aveva sconvolto e avrebbe continuato a sconvolgere il mondo per tanti e tanti anni ancora, era riuscito a farmi ricordare una cosa fondamentale, che io già sapevo, che mi ero sempre ripetuta in testa, ma il cui vero e reale significato compresi solo ascoltando la voce di Jesse e vedendo con i miei occhi gli effetti del suo regalo.

Che noi eravamo fratelli, e anche di più.

Eravamo sempre stati insieme e insieme eravamo uno.

Un unico io.

E niente, niente al mondo, nemmeno la morte che me l'aveva appena portato via, avrebbe cambiato quella verità.

La sola che mai avessimo negato, la sola che sempre ci eravamo dati, in mezzo a quella trama intrinseca di menzogne che aveva intessuto il nostro rapporto.

Fratelli bugiardi, fratelli codardi, sì.

Ma fratelli che si erano amati proprio così.

Che si erano protetti a vicenda proprio così.

Che avevano reso quella verità imprescindibile il nucleo, il cuore vero e proprio del loro amore, le bugie il sangue con cui farlo pompare; ma ciascuno dei suoi battiti, per quanto prodotto da quelle falsità, era sincero e puro, vivo anche ora che ci eravamo separati.

E non seppi dirmi come, non seppi spiegarmi in che modo, ma tanto era bastato per ridarmi la forza, tanto era bastato per farmi credere che avrei potuto farcela ancora una volta.

Che Jesse non mi aveva abbandonata.

Mai lo avrebbe fatto.

E lo sentivo, lo sentivo dentro, a scivolarmi in gola col respiro, lo sentivo tra le ciglia, nell'aria che espiravo, lo sentivo nei muscoli che si contraevano per aiutarmi a rialzarmi, per guardare i miei amici negli occhi, dopo aver finito di vedere quel video, e pronunciare, dire ad alta voce, quel segreto che sin da bambina mi aveva imprigionata.

Dire che sì, era successo davvero.

E ogni lacrima che mi cadeva dagli occhi custodiva l'anima di mio fratello, ogni stilla che mi bagnava il volto battezzava quella verità che mai avrei creduto avrei avuto il coraggio di annunciare al mondo.

L'oscurità di quell'armadio, l'asfissia di quella fetta di torta alle nocciole, il vomito del cibo avariato in una ciotola per cani ai piedi del termosifone, il sangue sulle mie ginocchia nude contro un tappeto di gusci di noci, i lividi e le cicatrici ad ammanettarmi i polsi.

Il terrore di essere davvero un mostro, colei che aveva condannato la persona che più amava al mondo a una malattia incurabile.

Aprii la bocca e parlai. Parlai. Parlai.

Dissi tutto, ogni cosa.

Senza esitare, senza tremare, senza sorridere.

Solo quelle lacrime che per sei anni – sei lunghi, strazianti anni – mi ero negata.

E mentre raccontavo, sentivo Jesse affiancarmi, lo sentivo stringermi la mano, ripetermi all'orecchio, ancora e ancora: "So quanto sei forte, so quanto sei coraggiosa."

Mentre guardavo i volti dei miei due amici che si deturpavano dall'orrore e la sofferenza nel sentire la mia storia, quella tragedia che avevo celato nel cuore, lo sentivo che mi diceva di nuovo: "Lo vedi, Callisto? Lo vedi? Non sei tu il mostro. Tu sei solo la mia amata, coraggiosa, fantastica sorellina."

E parlavo e parlavo e parlavo, non riuscivo più a frenarmi, ogni dettaglio di quel segreto sgorgava dalle mie labbra come un fiume in piena, strabordava dai margini della paura, una vera e propria esondazione di verità.

E vidi James sbiancare, i suoi occhi agonizzarsi per l'incubo delle mie parole, ed Eve piangere così tante lacrime da affogarle il volto.

E sentii Ruben sussurrarmi di nuovo: «Se non sei forte tu, nessuno in questa terra lo sarà mai.»

E aveva ragione.

Aveva ragione.

Il vero miracolo che Jesse compì quel giorno, il vero regalo che mi diede per il mio compleanno, fu farmi capire, una volta per tutte, chi ero davvero in quel mondo.

Sua sorella, sì, e anche di più.

Ma non solo.

Una vittima di violenza domestica, una bambina innocente seviziata per anni da due bestie crudeli indegne della più piccola briciola di affetto e compassione da parte mia e dell'umanità intera.

Una semplice e comune ragazza che meritava anche lei di esser salvata.

Coraggiosa, forte abbastanza da poter affrontare quel lutto che l'aveva appena devastata.

Coraggiosa, forte abbastanza da poter ammettere a sé stessa di volersi amare, di volersi amare così a fondo — fino alla fine del mondo — da affrontare un'ultima volta quegli aguzzini che l'avevano torturata.

Stavolta non per farsi sbranare da loro, ma per ingabbiarli nell'unico luogo dove erano degni di stare: in una prigione.

La stessa a cui mi avevano incatenata per anni.

Coraggiosa, forte abbastanza da dire davanti ai suoi amici, davanti al ragazzo che prima di allora era stato l'unico a conoscere il suo segreto: «Voglio denunciarli.»

Il vero miracolo che compì Jesse al mio compleanno fu ricordarmi, una volta per tutte, stavolta per sempre, chi ero davvero.

Callisto Murray.

Solo e soltanto Callisto Murray.

E non so come ci fosse riuscito, non so proprio spiegarmelo. Erano passati tre giorni da quando era morto, solo tre giorni. Per tutta la vita, ero stata sicura che dopo la sua scomparsa avrei passato l'eternità a soffrire e odiarmi e disperarmi e annegare nella stessa oscurità di quell'armadio in soggiorno.

Ma vedevo la luce, adesso, la vedevo.

Vedevo quelle ante davanti a me che si schiudevano, finalmente, e il bagliore che filtrava dalle sue fessure, a scacciar via quelle tenebre che mi avevano ingoiata.

Eve mi strinse a sé, mi abbracciò con così tanta forza che mi parve di soffocare, ma in un modo così bello, così stupendo, che mi ritrovai a pensare che soffocare così era un'altra salvezza.

Vedevo nei visi distrutti dei miei amici la consapevolezza che non ero io quella sbagliata, non ero io quella che meritava di soffrire.

E capivo, capivo, capivo tutto.

Risollevai lo sguardo, incrociai gli occhi di Ruben.

Lui mi contornò il volto con le sue mani, mi guardò sicuro, deciso, e pronunciò quelle uniche parole che da tanto, tanto, troppo tempo desideravo ascoltare.

«Mai più sarai un'inguaribile bugiarda.»

E io sorrisi.

Il mio primo, vero sorriso.

*

«Luridi, schifosi, figli di puttana. Bestie lerce e viscidi bastardi. Devo prendere il fucile di papà, gli sparerò così tante volte che gli esploderanno le interiora. Mamma, qual è il codice di sblocco per l'armadio di sicurezza dove papà ha messo quell'arma?»

«Purtroppo non lo so, tesoro, se no lo avrei già tirato fuori. Ma, ora che ci penso, abbiamo una motosega in garage, quella andrà bene.»

«C-Calmatevi, vi-vi prego, asp-aspettiamo l'a-arrivo di Ke-Kevin. Ve-Venir arre-arrestate per omi-omicidio non ai-aiuterà.»

«Forse non aiuterà, James, ma almeno faranno la fine che meritano. Non ci posso credere! In quel parcheggio avrei dovuto capirlo subito! Come ho fatto a non arrivarci? Avevo compreso che erano dei pezzi di merda, ma mai mi sarei aspettata una cosa del genere! Mamma, chiama subito papà, fatti dare il codice di sblocco per quel fucile.»

«E-Eve, ca-calmati. A-Aspettiamo Kevin.»

«Al momento tuo padre sta lavorando, non credo guarderà il telefono. Gli lascio un messaggio?»

«C-Cindy, la-la prego.»

«E hanno addirittura avuto il coraggio di dirmi che Callisto era l'unica cosa che gli era rimasta di Jesse! Schifosi bastardi! Come osano anche solo definirsi genitori? Come osano anche solo pronunciare i nomi di Jesse e Callisto con le loro putrefatte bocche? Bestie, ecco cosa sono: bestie! E le bestie meritano di essere torturate!»

«So-Sono assolutamente d'accordo con te, E-Eve, ma a-al momento è me-meglio a-aspettare che arrivi Kevin.»

«Ahimè, James ha ragione, tesoro, per quanto detesti ammetterlo. Callisto qui è al sicuro, per fortuna. Hai fatto bene a portarla a casa nostra. Dubito che quei due vermi sappiano dove abitiamo.»

«Ah! Ci devono solo provare a bussare alla porta, mamma! Solo provare! L'ergastolo sarà un onore per averli ammazzati!»

«Pe-Pensi che loro a-abbiano visto gi-già il video?»

«Ne sono sicura, James. Da quel che ho capito e quel che ha detto Jesse, sono ossessionati dall'immagine che danno al pubblico. E poi guarda: siamo già a undici milioni di visualizzazioni! E il numero continua a crescere a velocità folle! Tutti i social stanno impazzendo! È praticamente impossibile che non lo abbiano visto. Dio, quanto vorrei vedere le loro facce terrorizzate adesso, gli piscerei in bocca, se avessi il cazzo, e poi gli cagherei in testa.»

«Non sarebbe abbastanza, bambina, non sarebbe abbastanza.»

«Ke-Kevin mi ha scritto.»

«Sul serio? Che ha detto?»

«Sarà qu-qui tra poco.»

«Molto bene, molto bene. Però... un po' ci spero che quei due bastardi si presentino davanti alla nostra porta. Dopo un video del genere, se dicessimo che ci hanno aggredito e noi li abbiamo uccisi per legittima difesa, qualunque giuria ci crederebbe.»

«Verissimo, mamma, verissimo. E poi abbiamo Ruben. Ehi, Ruben, se quei due figli di puttana venissero qui, usa tutte le tue capacità apprese al Dump per distruggerli.»

«Se venissero qui, non ne rimarrebbero neanche i corpi. Nessuno saprebbe mai più che fine hanno fatto. Finirebbero per sempre nella lista di persone scomparse»

«Ottimo, Ruben, ottimo. Sei degno di stare con la mia amica.»

«O-Oddio, sc-scrivo a Ke-Kevin e-e gli di-dico di muoversi il pi-più in fre-fretta possibile.»

«Callisto, cara, ti hanno per caso contattata?»

Erano le nove del mattino. Eravamo in soggiorno di casa Macks. Un soggiorno molto grande, dal parquet lucido color cognac, le pareti bianche e i mobili più eleganti che avessi mai visto. Ero seduta sul divano più scomodo del pianeta, un sofà all'apparenza bellissimo, gigantesco e lungo quanto una limousine, dal tessuto grigio e uno schienale alto, ma che aveva la stessa morbidezza di una tavola di pietra. Cindy mi aveva preparato una tazza di tè, e io la stavo sorseggiando. Aveva un sapore stranissimo, quella bevanda, ma non mi dispiaceva poi così tanto.

Accanto a me Ruben, le gambe accavallate, lo sguardo rivolto davanti a sé, a osservare anche lui la scena che ci si presentava davanti: Eve e Cindy che progettavano l'omicidio e la tortura dei miei genitori e James che, disperato, tentava di calmare entrambe.

«Non ho voluto controllare il cellulare, non ancora» ammisi, stringendo la tazza tra le mani. «Ma sono sicura che l'abbiano fatto, li conosco. Tuttavia, proprio perché li conosco, so anche che adesso la loro preoccupazione maggiore è tentare di arginare il più possibile il danno recato alla loro immagine. Probabilmente avranno chiamato il loro avvocato e staranno cercando in tutti i modi di chiedere alle piattaforme di eliminare il video.»

Ruben si scrocchiò le dita delle mani. Avevo il sospetto che si stesse preparando fisicamente a uno scontro.

«Che schifose bestie» commentò Cindy, sconvolta, sistemandosi una lunga ciocca corvina dietro l'orecchio. «Se avessero anche solo un briciolo di umanità, anche minuscolo, si sarebbero direttamente consegnati alla polizia, dopo aver visto quel video.»

«Pe-Persone ca-capaci di attu-attuare si-simili torture no-non possono e-essere de-definite umane» fu il commento di James, ed Eve annuì con furia. «Se-Se si fo-fossero da-davvero co-consegnati, la no-notizia sa-sarebbe già uscita ovunque.»

«Forse ci sarà un altro miracolo» disse Ruben, «e la folla indemoniata di persone che hanno visto quel video li squarterà vivi non appena usciranno di casa.»

«No-Non cre-credo che un'esecuzione pu-pubblica po-possa esser co-considerata un "miracolo".»

Ruben sorrise appena, l'empietà sulle labbra. «Da dove provengo io, lo è.»

James lo guardò torvo.

«Non sarebbe un miracolo, sarebbe proprio una giustizia divina» dichiarò Eve, serissima, le braccia serrate al petto. «Potrei tornare a credere in Dio, se davvero accadesse.»

Era strana, quella situazione, quella scena che stavo vivendo in prima persona. Mi confondeva, in parte, e al tempo stesso mi rincuorava. Mi resi conto dell'ennesimo miracolo che mio fratello era stato in grado di fare con il suo sacrificio di accettare la terapia sperimentale: permettermi di conoscere persone disposte ad affiancarmi, a stare con me, a difendermi.

A difendere me, la ragazza che per tutta la vita non aveva avuto che suo fratello.

Mai lo avrei creduto possibile, sin da piccola l'avevo considerato un sogno irrealizzabile.

E Jesse era riuscito a fare anche questo.

Guardai il liquido ambrato nella mia tazza, mi ritrovai a pensare a quella volta, nella sua stanza d'ospedale, in cui mi aveva detto: «Un giorno tutto il mondo saprà quanto sei coraggiosa

Non l'aveva detto come uno dei suoi soliti mille complimenti che mi faceva per farmi sorridere. Lo pensava sul serio. Sapeva che sarebbe successo davvero, pubblicando quel video.

E in qualche modo, realizzarlo, mi rese felice e fece soffrire allo stesso tempo.

Come se la malattia del mio segreto ancora mi stesse infettando, ma il suo regalo, quel suo speciale regalo, le impedisse di avanzare, di proseguire il suo percorso di distruzione e disperazione.

«Sai» mi chiamò Ruben, mentre Eve, Cindy e James riprendevano a bisticciare. «Una volta me l'ha detto.»

Lo guardai confusa.

«Un giorno che ti ho accompagnato alla clinica, mentre tu eri in bagno, mi ha dato un indizio. Ci sono arrivato solo ora.»

Aggrottai la fronte. «Che intendi?»

«Mi ha detto: "Mr Bad Boy, dopo che sono morto, stalle accanto fino al compleanno. Non perderla mai di vista. Una volta che Callisto avrà compiuto diciannove anni, potrete tirare un sospiro di sollievo."»

Sbarrai gli occhi, l'angolo delle sue labbra si sollevò. «Pensavo si riferisse al fatto che, diventata maggiorenne, avresti potuto fare le valigie e andartene via. In fondo, lui non sapeva che conoscevo già il tuo segreto, e io non sapevo che lui lo conosceva a sua volta. Dalla mia prospettiva, Jesse era solo consapevole del fatto che i vostri genitori non ti volevano bene e ti dicevano sempre parole crudeli. Ho supposto che non volesse che ti insultassero durante il lutto» ammise. «Invece si riferiva al video. Voleva assicurarsi che nel lasso di tempo passato tra la sua morte e il tuo compleanno ti proteggessi dagli abusi dei tuoi genitori.»

La tazza iniziò a tremare.

«Immagino che se non ci fossi stato io, lo avrebbe chiesto a Kevin» proseguì. «Ma ha preferito chiedere a me, dato che sono Mr Bad Boy» gli sfuggì un risolino, a stento udibile. «Ho la sensazione che questo appellativo mi perseguiterà fino alla morte, per colpa di voi fratelli Murray.»

«Possibile» confessai. Chiusi gli occhi, e sentii la sua mano spingere delicatamente il mio capo contro il suo petto. Inspirai a fondo, lasciandomi scaldare dal conforto del suo corpo.

«Ti ricordi quando ti ho detto che ci sono alcune persone capaci di trasformare alcune bugie in verità assolute?» mi domandò.

«Sì.»

«Tu e tuo fratello ne siete la prova vivente. Con le bugie che vi siete detti a vicenda, avete confermato l'unica e indissolubile verità assoluta: il vostro affetto.»

Le sue dita scivolarono lente tra i miei capelli, mentre io annuivo.

«Temo davvero di dover dar ragione a Pop, questa volta» commentò. «Forse la più intelligente tra tutti era proprio quella ragazza che lo salvò, siamo noi altri i veri idioti.»

Il sorriso mi sfiorò le labbra.

«Quindi smetterai di insultarmi, d'ora in poi?» gli chiesi.

«Impossibile. Non sarai un'idiota, ma rimani comunque scema.»

E per la prima volta da quando avevo compiuto diciannove anni, mi ritrovai a sghignazzare.

Avvertii il tocco delle sue labbra contro il mio capo.

In quel momento, il campanello di casa squillò. James, Eve e Cindy smisero di bisticciare e fissarono la porta con occhi truci.

«Sa-Sarà Ke-Kevin» commentò James.

«Controlla lo spioncino, mamma» disse subito Eve, mentre Cindy si avviava verso l'ingresso. «Se sono quei luridi schifosi, corro in garage a prendere la motosega.»

James sospirò, massaggiandosi la fronte.

Cindy si fermò davanti alla porta, controllò lo spioncino e sorrise. «È il nostro signor avvocato» ci garantì, prima di aprire l'uscio.

Jesse aveva detto a Kevin di passare a parlarmi per mezzogiorno, ma il video era diventato talmente virale che l'incontro era stato anticipato.

Lui entrò a passo deciso, non salutò neanche Cindy, voltò subito lo sguardo verso il soggiorno, verso di noi, come nella scena de L'Esorcista.

E la prima cosa che pensai, quando lo vidi, la prima cosa che mi ritrovai a immaginare non appena lo guardai, fu a quanto avrebbe riso Jesse se fosse stato lì, se l'avesse scorto in quel momento.

La sua faccia era... qualcosa di incredibile. Aveva perso completamente la sua cordialità innata, quel sorriso professionale che tanto lo caratterizzava, la sicurezza e maturità con cui sembrava capace di poter affrontare tutto, qualunque problema e persona.

Aveva gli occhi sbarrati, un'espressione talmente trafelata che per poco non mi strozzai con il tè. Si era dimenticato di pettinarsi i capelli, i ciuffi castani sembravano esplodergli in testa, e anche la barba folta era stata lasciata incurata. Gli occhiali continuavano a ricadergli sul naso, ancora e ancora, e doveva risistemarseli ad ogni secondo.

Indossava di nuovo la giacca e la cravatta, ma non era riuscito ad annodarsi bene quest'ultima, che pendeva dal suo collo come una fascia tutta storta e spiegazzata.

Mi guardò sconvolto, e il suo sbigottimento aumentò ancor più quando notò quant'ero tranquilla.

Le prime parole che mi disse furono: «Voi fratelli Murray mi terrorizzate.»

Non riuscii più a contenermi, scoppiai in una fragorosa risata. La prima fragorosa risata da quando il mio unico cuore era morto, tre giorni prima. E sapevo che era sempre per merito di quel mio unico cuore se ero riuscita a produrla così presto. Sapevo che era stato lui, quel video, la sua apologia di Callisto, il suo amore, il suo regalo, a permettermi di sopportare quel dolore atroce che mi aveva lasciato andandosene.

«Non ci posso credere! Ha vinto! Ha vinto sul serio!» esplose Kevin all'improvviso, sempre più incredulo, e tutti noi quanti lo guardammo confusi. Ruben si accigliò, ma lui non se ne accorse neanche. Prese a fare avanti e indietro nel soggiorno, il girotondo, evitando James, Eve e Cindy come in uno slalom. «Non ci posso credere! Sono passate solo...» Controllò l'orologio da polso. «Nove ore e trentasei minuti da quando quel video è uscito, e adesso è a undici milioni di visualizzazioni!»

«Siamo quasi a dodici milioni!» lo corresse Eve, improvvisamente felice.

«Dodici milioni!» ripeté Kevin, passandosi ripetutamente le mani tra i capelli, sistemandosi in continuazione gli occhiali che cadevano, senza mai smettere di camminare in tondo. La sua voce, quella voce che era sempre stata signorile e delicata, era così incredula, adesso, così sbigottita, che persino Ruben cominciò a tremare per trattenere le risate. «Dodici fottute milioni di visualizzazioni! In solo nove ore e trentasei-»

«Trentasette!» lo corresse James.

«Nove ore e trentasette minuti!» ripeté ancora, il tono sempre più acuto, e le spalle di Ruben presero a vibrare con così tanta forza che mi sorpresi non se le fosse lussate. Anche Cindy ed Eve si gustavano la scena con divertimento, mentre James lo fissava smarrito.

«Come diavolo è possibile?! Non ci posso credere! Non ci posso credere! Avete una specie di super potere della fratellanza? Qualche magia mistica che Dio vi ha donato per suggellare il vostro amore fraterno? Il mio cellulare sta esplodendo più di Nagasaki e Hiroshima messe insieme a causa delle chiamate continue! Nemmeno Oppenheimer era arrivato a tanto!»

Con quella battuta, capii subito perché quell'uomo era amico di Jesse. Avevano lo stesso umorismo nero.

Si risistemò ancora una volta gli occhiali, continuò a camminare in tondo, guardando chissà cosa davanti a sé, senza neanche preoccuparsi di noi e di come lo fissavamo.

«E anche se le piattaforme cercano di eliminarlo e bloccarlo, gli utenti continuano a scaricarlo e ripubblicarlo e ricondividerlo e ricondividerlo e ricondividerlo! Ovunque! Non mi stupirei se fosse stato postato persino sul sito ufficiale della Disney o il canale YouTube di Peppa Pig! Sapevo che una volta pubblicato qualcosa su internet non se ne va mai più via da lì, ma non mi immaginavo una cosa del genere! Ha superato il record del video porno della Kardashian!»

Sollevò le braccia in aria, proprio davanti a me e Ruben seduti, in mezzo al trio, in un gesto di puro esaurimento, forse addirittura di preghiera. Cindy soffocò una risata, Eve gongolò, James inarcò le sopracciglia.

A quel punto, mi ritrovai a ridere. Era così buffo vederlo così. Un uomo di trentasette anni, un avvocato che si vedeva benissimo quanto sapesse il fatto suo, l'uomo che era riuscito con una faccia così cordiale a liberarsi più di una volta dei miei genitori, davanti al regalo di mio fratello e ai suoi effetti nel mondo si comportava come un bambino.

«Si sta diffondendo persino all'estero! Lo stanno sottotitolando! Gli youtuber più famosi ci stanno facendo le fottute discussioni! Su Twitch non parlano d'altro! Cristo, hanno già fatto una pagina su Wikipedia! Wikipedia, cazzo!»

Nemmeno Ruben riuscì più a controllarsi: scoppiò a ridere così forte che quel suono risuonò per tutto il soggiorno. E tutti noi altri ridemmo con lui.

Ma Kevin non ci udì, preso com'era dallo stravolgimento.

«Mi ha pure sfottuto in quel video! Sapeva già che avrebbe vinto! Come diavolo è possibile?» Si passò un'altra volta le mani tra i capelli. «Come diavolo faceva ad essere così sicuro che sarebbe andata in questo modo? Magari non mi ha mentito, quella volta, quando mi ha detto che la leucemia gli aveva dato il potere della preveggenza!»

Risi ancora.

«Non ci posso credere! Non ci posso credere!» ripeté di nuovo. «Ha vinto sul serio! Ha vinto sul serio!»

Mi domandai se quei suoi "Ha vinto" continui si riferissero alla scommessa a cui Jesse aveva accennato nel video.

Sollevai lo sguardo alla mia destra, osservando il volto di Ruben divertito quanto il mio. «Ora che ci penso, tu non ne sembri così stupito» gli mormorai.

«Lo sono stato all'inizio» rispose. «Ma è tuo fratello» aggiunse poi, e gli angoli delle labbra gli si arricciarono. «Riflettendoci, non è poi così sorprendente.»

Senza volerlo, mi ritrovai a sorridere anch'io. E quando lui se ne accorse, chinò le sue labbra per carezzare le mie, solo un secondo.

Si allontanò, mi diede una leggera pacca sul capo.

«E guardati!» ci interruppe Kevin. Si era finalmente fermato, tra Eve e James, mi fissava stupito, le braccia protese a indicarmi, gli occhi così spalancati dall'incredulità che quasi sembravano uscirgli dalle orbite. «Stai sorridendo! Stai sorridendo davvero! E so che non stai mentendo! Ovviamente ne sono contentissimo, sia chiaro! Più che felice! Sai cosa mi spaventa di ciò? Che lui aveva predetto anche questo! Aveva detto che ti avrei ritrovata così, dopo che avessi visto quel video! Sapeva anche questo! Che razza di fratelli siete? Un OGM?»

Ero travolta dalle risate. Eve praticamente stava soffocando, Cindy gli aveva fatto persino una foto.

Dio, Jesse.

Dio.

Quanto ti amo.

«Ok.» Si fermò all'improvviso, proprio davanti a me e Ruben, dietro di sé il televisore a parete spento. «Ok. Ok. Ok. Ora mi calmo. Sono un trentasettenne maturo e un fantastico avvocato di successo. Non posso permettermi di farmi sconvolgere così da un ragazzino di quattordici anni più giovane di me. Ne va della mia dignità e reputazione.»

Mi facevano male le costole, a furia di vederlo così. Era così strano, sul serio. Lo conoscevo da pochissimo, ma mai mi sarei aspettata di ritrovarmelo in condizioni simili.

Un altro miracolo da parte di Jesse.

Si sistemò di nuovo gli occhiali sul naso, prese un grosso respiro, si schiarì la gola.

Tornò a guardarmi, più sereno. «Dobbiamo sbrigarci, Callisto» mi disse. «Sono piuttosto certo che la polizia fra poco – sempre che non l'abbia già fatto – manderà una pattuglia a prenderti per parlarti. E per quanto io sia un grande sostenitore delle nostre amate forze dell'ordine, vorrei prima avere una conversazione con te.» Si fermò un istante. «Solo noi due.»

Mi irrigidii per qualche secondo, guardai i suoi occhi brillanti, adesso gentili come sempre, quegli occhiali a tartaruga che erano il suo segno distintivo.

E anche se lo conoscevo da così poco tempo, pochissimo, anche se il nostro primo incontro non era stato dei migliori, in me percepii subito la volontà di credergli.

Perché vedevo in lui Jesse, il suo sorriso.

Vedevo la fiducia che mio fratello gli aveva riposto, a cuore aperto. Proprio lui, che da quando si era ammalato aveva deciso di portarsi addosso quella croce in solitudine, per non far soffrire gli altri, per non dare il peso di quel supplizio ad altre persone.

Ma di Kevin si era fidato.

Si era fidato dall'inizio alla fine.

Ruben mi guardò, e io guardai lui.

Mi diede un'altra pacca sulla testa.

Tanto bastò per darmi quell'ultima goccia di coraggio di cui avevo bisogno.

Inspirai in silenzio, chiusi gli occhi, contai per tre secondi. «Va bene» dissi alla fine. «Parliamo.»

*

Kevin mi fece salire nella sua macchina, un maggiolino rosso che mai mi sarei aspettata per un tipo come lui. Guidò fino a un parcheggio di un supermercato là vicino, a pochi isolati da casa di Eve, e lì si fermo.

«Parleremo qui» mi disse. Era finalmente riuscito a riassumere il suo tono professionale, pacato e signorile di sempre, il sorriso di ogni giorno. «Non credo che la polizia ci troverà subito, in questo posto.»

Annuii in silenzio, sistemandomi meglio sul sedile in pelle bianca, particolarmente comodo.

«So che hai tante domande da farmi, Callisto» cominciò a quel punto, guardandomi serafico. «Da dove vuoi cominciare?»

Presi aria dalla bocca schiusa. «Come hai conosciuto Jesse?»

Una fossetta gli si creò all'angolo destro della bocca. «Su un forum, come ti dissi la prima volta che ci incontrammo» rispose. «È un forum un po' particolare, creato per i sopravvissuti oncologici della città di Littburg. Una sorta di rifugio alla "alcolisti anonimi", solo che, in questo caso, eravamo "incancreniti anonimi". Così, per lo meno, lo chiamava Jesse.»

Sì, era proprio da lui un termine simile.

«Come ti spiegai, a quattordici anni anche io contrassi la leucemia. Ne ho sofferto per quattro anni.» Un'ombra d'amarezza gli raffinò il sorriso. «Grazie al cielo, ne sono uscito. Ma...» Esitò per qualche secondo. «Ma quell'esperienza mi ha devastato completamente, per sempre.»

Ticchettò con l'indice sul volante. «Da allora ho sempre avuto la paura folle che quel tumore tornasse, non sono mai più riuscito a levarmela di dosso. Ad ogni colpo di tosse, ad ogni sensazione di affaticamento, ad ogni livido che non ricordavo come mi fossi procurato, iniziavo a tremare dal terrore.» Serrò la mascella, sospirò. «Persino superata la soglia dei trent'anni, quando dovevo controllare dei banali risultati delle analisi del sangue, mi ritrovavo a vomitare per ore in bagno, tant'ero spaventato all'idea di leggerli. Ero in grado di affrontare i casi peggiori in tribunale, a portare avanti cause difficilissime, sempre mantenendo il sangue freddo, ma appena sentivo anche solo il più piccolo problema al mio corpo, andavo completamente nel panico.»

Non mi era mai capitato di pensare alla situazione di un ex malato oncologico, avendo sempre saputo che Jesse non sarebbe mai guarito dalla sua leucemia. E mentre parlava, mentre mi spiegava, seppur continuasse a mostrare in viso l'espressione da avvocato sicuro, la voce lo tradiva, vibrava per il dolore di quella confessione.

«Un anno fa, il mio psicologo mi ha proposto di provare a parlare con altre persone che avevano vissuto un'esperienza simile alla mia, io ero ormai disperato, tanto quella fissazione mi stava uccidendo dentro, così mi sono detto: "Proviamoci".» Sospirò. «Ma di certo non potevo entrare in un ospedale a casaccio e chiedere alla segreteria: "Buongiorno, c'è per caso qualche paziente oncologico disposto a condividere con me il suo vissuto e a intrecciare un sentimento di solidarietà?"» Ridacchiai e così fece lui. «Così ho scovato quel forum. Un po' imbarazzante per un uomo della mia età, non lo nego, ma ormai non avevo più niente da perdere.»

«E lì hai conosciuto Jesse?»

Annuì. «Come ho detto prima, voi fratelli Murray mi terrorizzate.» Il mio sorriso si smagliò. «Jesse... Jesse aveva una capacità assurda di comprenderti, Callisto. Un fascino tutto suo. Ti catturava con la sua ironia, ti incantava con i suoi discorsi, e senza volerlo ti ritrovavi preda di risate genuine anche per gli argomenti più dolorosi. Io ero in salute, ero un uomo che aveva già vissuto tanto, che aveva sofferto quella malattia solo per pochi anni; in confronto alla sua, la mia esperienza non era niente. Quasi mi vergognavo, quando gliene parlavo, quando gli spiegavo il mio problema. Avevo paura di offenderlo, che si arrabbiasse, che mi facesse notare quanto fossi ingrato per ciò che avevo. Ma Jesse capiva, invece, capiva eccome. Capiva il mio terrore, il mio incubo più grande. Non mi giudicava, comprendeva e basta. E mi faceva ridere, Dio, se non mi faceva ridere.» Un'altra fossetta. «Non riuscivo a spiegarmi come ci riuscisse. Era un ragazzino a cui la vita non aveva dato altro che schiaffi e ingiustizie, eppure lui aveva la forza di scherzare sulla sua situazione, di perculare la stessa malattia che lo stava uccidendo, la bontà di voler far ridere anche gli altri. Non ne esistono tanti, di tipi così, in questo mondo.»

Sospirò. «Mi parlava sempre di te, sai?» mi informò, e io ebbi un sussulto. «Così tanto che lo prendevo sempre in giro per questo, gli dicevo che aveva un fetish per sua sorella.» Sghignazzammo insieme. «Non faceva altro che elogiarti, dire che eri la ragazza più bella e coraggiosa del mondo. E soffriva molto, perché sapeva a quante cose avevi dovuto rinunciare per lui. Mi parlava anche dei vostri genitori, della differenza di trattamento che vi riservavano. Di quanto si sentisse impotente, perché per quanto ci provasse, proprio non riusciva a cambiare il loro atteggiamento. Ci discuteva, ci litigava, ma era come parlare con un muro. Mi confidò anche quanto lo facesse star male il fatto che loro continuavano a tentare di convincerlo che prima o poi sarebbe guarito. Perché, pur sapendo fosse impossibile, essendo comunque un semplice essere umano, una parte di lui non desiderava altro che credergli.»

Sentii gli occhi bruciarmi con furia, come se le pupille fossero diventate d'improvviso due bracieri, così sbattei le palpebre, mi costrinsi a dominare quell'incendio.

Era strano vedere Jesse attraverso lo sguardo di un'altra persona e non dal mio. Ero sempre stata abituata a vivere il nostro legame in assolutezza, mi confondeva osservarlo da un punto di vista esterno ad esso.

«Jesse aveva posto una sola condizione: che non ci incontrassimo mai di persona.» Sollevò l'angolo del labbro. «Non voleva che mi affezionassi troppo a lui, voleva mantenere quella distanza telematica perché non soffrissi, una volta che se ne fosse andato. Io non ero d'accordo. Gli ricordai che ero un adulto, un uomo fatto e finito, capace di tollerare un lutto, ma lui continuò a rifiutarsi. Diceva... diceva che non se la sentiva di dare quel dolore ad altre persone, che già lo devastava sapere quanto tu ne avresti sofferto.»

Deglutii a fatica un grumo di saliva che mi aveva otturato la gola.

«Poi, un bel po' di mesi fa, tutto d'un tratto cambiò idea e mi disse che gli sarebbe andato bene incontrarmi.» Si grattò la barba. «Mi scrisse: "Ho bisogno di un avvocato, Kevin, un avvocato disposto ad andare all'inferno con me, se necessario."»

Strinsi le mani sulle cosce in due pugni.

«Gli chiesi se fosse successo qualcosa, e lui mi rispose che avrebbe potuto dirmelo solo una volta che avessi accettato di diventare il suo rappresentante legale.» Inspirò con forza dal naso. «E io non ho esitato un istante: ho accettato.»

Non ci fu bisogno che me lo dicesse.

Sapevo già cos'era quel "qualcosa".

«Mi disse tutto quello che aveva scoperto su te e i tuoi genitori. Mi mostrò le registrazioni delle videocamere. Tutto quanto.» Resistetti all'impulso singhiozzare, la sua espressione rimase serena, ma cominciò a tamburellare con più velocità l'indice sul volante. «Mi confessò tutte quelle cose che ha detto anche nella tua apologia: che voleva salvarti, che sapeva che la scelta migliore sarebbe stata rivolgersi subito alle autorità, ma aveva paura, davvero troppa paura. Non ce la faceva a separarsi da te, ad affrontare la sua morte prossima da solo.»

Sentii le lacrime accumularsi negli occhi, le lasciai cadere in silenzio.

«Per legge...» gli domandai, «tu non sei obbligato a riportare queste cose, appena ne vieni a conoscenza?»

«Forse sì, forse no. Chissà.» Mi fece l'occhiolino, e anche tra le lacrime mi ritrovai a sorridere. «Forse si aspettava che lo giudicassi per quella sua confessione, ma non lo feci. Sapevo davvero quanto teneva a te, quanto forte era il vostro legame. Sapevo che sarebbe rimasto da solo fino alla sua fine, se ti avessero portato via. E il semplice fatto che tu avessi mentito per tutti quegli anni, da che eri solo una bambina, che avessi continuato a sorridergli, a mantenere quell'atroce segreto pur di non lasciarlo, era abbastanza per farmi capire che ne saresti stata altrettanto devastata.»

«Già...» bisbigliai, la saliva ad accumularsi sotto la mia lingua.

«Fu allora che escogitò il suo piano malefico.» Le labbra gli si arcuarono ancor più. «Accettare la terapia sperimentale, a condizione che tu ti trasferissi nei dormitori della Greenhawk Academy. Pensò che lì saresti stata al sicuro. Lo considerava anche un modo per ottenere due piccioni con una fava: ritornando a scuola, avresti potuto imparare ad avere una vita normale, come tutti gli altri adolescenti, in modo da prepararti al mondo di fuori, una volta che fosse morto. Era una cosa che pensava di fare da anni, in realtà, ma i vostri genitori...» Sospirò. «Beh, lo sai.»

Mi morsi il labbro, altre lacrime mi scheggiarono il viso.

«Quella terapia sperimentale era l'unico modo con cui costringerli a mandarti a quella scuola. Sapeva quanto erano disperati perché la facesse, decise di sfruttare la cosa a suo vantaggio, cosciente di quali effetti collaterali gli avrebbe provocato. Ma non gli interessava, non ci pensava neanche.»

Chiusi gli occhi per tre secondi, li riaprii.

«Penso che tu lo sappia già, ma Jesse aveva iniziato a mettere da parte i soldi che gli davano i vostri genitori.» Annuii. «Quello che forse non sai è che, appena ricevuta la diagnosi, lui – in un modo particolarmente sopraffino e infame, da avvocato mancato, se proprio devo dirlo – di volta in volta, li manipolava senza che se ne accorgessero, così che gliene dessero sempre, sempre di più.»

Sbattei le ciglia, sorpresa.

«E diciamocelo, i vostri genitori non sono dei particolari campioni di intelligenza. O forse, più che poco intelligenti, sono troppo presi ad amare sé stessi, a pensare a sé stessi, ai loro progetti futuri, da non poter comprendere l'affetto che lega voi due fratelli. Erano più che felici di aumentargli quella paghetta, fino ad arrivare a cifre esorbitanti, credevano che così lui avrebbe iniziato ad accettarli. Immagino che questo dimostri quanto materialisti siano: pensavano di poter comprare l'amore del figlio con una mazzetta di banconote. Cristo, che deficienti.» Sbuffò divertito. «Aveva iniziato ad approfittarsene in quel modo con un solo obiettivo in testa: mettere da parte i soldi per te.»

Sbarrai lo sguardo.

«Già. Hai un conto corrente, Callisto. È diventato ufficialmente tuo oggi che hai compiuto diciott'anni. Più tardi ti darò tutti i documenti.»

«Ma-»

«Ancor prima che si ammalasse, sapeva che difficilmente i vostri genitori ti avrebbero sostenuto economicamente per inseguire i tuoi sogni. All'epoca pensava che avrebbe potuto farlo lui al loro posto, una volta diventato adulto. Ma poi ci fu la diagnosi, comprese che in quel tuo futuro lui non ci sarebbe mai stato, e decise di agire di conseguenza. Iniziò a raccogliere i soldi necessari per garantirtelo.» Una risatina lo attraversò, si massaggiò la tempia. «Davvero, continuo a chiedermi come sia possibile che tu e Jesse, due ragazzi così intelligenti e buoni sin da bambini, siate potuti uscire da esseri così immondi e stupidi come i vostri genitori. Non riesco proprio a spiegarmelo. Ho seriamente preso in considerazione la possibilità che vi abbiano adottato in segreto.»

Cristo, Jesse.

«Ed è un sacco di denaro, Callisto» mi assicurò, con un sorrisetto malizioso. «Non ti renderà milionaria, certo, ma è più che sufficiente perché tu possa fare qualunque cosa desideri.»

Il labbro riprese a tremarmi, ogni mia più minuscola cellula si gonfiò di quel calore che dopo quel 3 dicembre mai avrei creduto avrei potuto di nuovo sentire.

Come se Jesse fosse proprio lì, come se mi stesse stringendo di nuovo la mano.

«La questione della tua indipendenza economica era risolta e ai dormitori eri protetta, il problema principale era quello che ti avrebbero fatto i tuoi genitori quando Jesse sarebbe morto» proseguì Kevin. «Una volta che se ne fosse andato, loro ti avrebbero sicuramente costretta a ritirarti di nuovo dalla scuola, e Jesse aveva il terrore di ciò.» Inspirò. «Era certo che non li avresti mai denunciati. Ti conosceva fin troppo bene. Sapeva che una volta che fosse morto, saresti stata troppo distrutta, forse non ti sarebbe nemmeno interessato se ti avessero ucciso, e loro ne avrebbero approfittato per rovinarti per sempre.»

Serrai la mascella, inghiottii un fiotto di carta vetrata.

«A quel punto gli chiesi: "Vuoi che parli con lei, Jesse? Che provi io a convincerla a denunciarli, dopo che sarai morto?" Ma Jesse scosse la testa, mi disse che non avresti mai ascoltato uno sconosciuto come me, che non ti saresti mai fidata. E poi, tutto d'un tratto, si illuminò. Esclamò: "C'è una sola persona che potrebbe convincerla a parlare, a smettere di mentire e sorridere, Kevin, dopo che sarò morto. Una sola."»

Strizzai gli occhi con furia, col pianto a dilaniarmi le guance.

«Disse: "Sono io.

Il respiro spezzato mi dilaniava le costole, altre lacrime si rovesciarono dai miei occhi, andando a bagnarmi i jeans.

«E lì ha avuto l'idea del video. Dell'apologia di Callisto.» Sorrise. «Gli dissi che era una follia assurda. In quel video c'erano scene di violenza, le possibilità che venisse rimosso subito erano altissime, a meno che non diventasse così virale, non appena pubblicato, che neanche le piattaforme avrebbero più potuto fermarlo. E sai cosa mi rispose Jesse, Callisto?»

Scossi la testa, singhiozzante.

«"Nella mia breve vita ho sempre avuto solo e soltanto tre certezze assolute: che morirò presto, che la gente adora alla follia le tragedie e che se il mondo conoscesse mia sorella, tutti quanti l'amerebbero.

Strinsi con forza le mascelle, fino a quando le gengive non iniziarono a bruciarmi.

«Un bellissimo pensiero, non lo nego, ma come puoi immaginare non mi convinse molto. Gli dissi che la soluzione migliore, in questo caso, era che mandasse direttamente le prove alla polizia e ti facesse un video privato o ti scrivesse una lettera per convincerti a parlare. Ma tuo fratello non era d'accordo per due motivi che riteneva fondamentali.»

Iniziò ad elencarli con le dita: «Numero uno: voleva a tutti i costi che i vostri genitori soffrissero atrocemente. Sapeva benissimo quanto sono ossessionati con le apparenze, quanto amano essere invidiati dalle persone. Venir odiati dall'intera popolazione, vedere il loro figlio preferito che dichiarava al mondo quanto li odiava, sarebbe stata una vera e propria agonia al pari della tortura di Prometeo. Loro vivono del loro ego, è il loro cuore pulsante, rovinarglielo per sempre era la punizione più crudele di tutte, forse persino più del carcere. Numero due: Jesse non voleva semplicemente convincerti a parlare e denunciarli, Callisto, voleva provarti a tutti i costi, in qualunque modo, quanto fossi importante, quanto valessi. Una semplice lettera o video privato, secondo lui, non sarebbero bastati per fartelo capire. Voleva che vedessi con i tuoi stessi occhi quel che la tua storia, il tuo coraggio, la tua forza avrebbero provocato nel mondo, una volta rivelati a tutti.»

Le lacrime erano ormai così tante che a stento potevo vederlo, non riuscivo neanche a parlare, tutto in me crollava e si ricostruiva.

«Io mi dissi comunque contrario, continuai a ripetergli che la scelta migliore sarebbe stata semplicemente mandare le prove alla centrale e farti una lettera o un video privato. E allora Jesse, quel maledetto marpione, mi ha proposto una scommessa.»

Schiusi le labbra, stupita.

«Già.» Scoppiò a ridere. «E mi ha fregato alla grande, quel bastardo, alla grande.» Si risistemò gli occhiali. «Disse: "Facciamo così, Kevin. Io pubblicherò quel video, se entro le dodici di mattina dello stesso giorno in cui verrà postato non diventerà virale o sarà già stato cancellato, allora farai quello che hai appena suggerito, manderai le prove alla centrale di polizia e darai a Callisto la mia lettera."» Un'altra risata da parte sua, e tra le lacrime vidi che il suo volto stava tornando a farsi sbigottito. «"Se vinco io e il video diventerà virale come credo, ridarai a Callisto tutti i soldi con cui ti ho pagato fino ad ora e non le farai tirare fuori un solo centesimo perché tu la rappresenti in futuro. Se vinci tu, potrai avere la mia copia autografata de "Il vecchio e il mare" di Ernest Hemingway.

Lo stupore fu così tanto da bloccarmi per qualche secondo il pianto. «E tu hai accettato? Hai deciso di rischiare di perdere tutti i tuoi soldi guadagnati e quelli che ti avrei dovuto dare in futuro, solo per una copia-»

«Non una copia, Callisto, la copia» mi corresse subito lui, serissimo. «Di Ernest Hemingway, non di Pinco Pallino, Ernest Hemingway, cazzo! Il vecchio e il mare! È il mio sogno proibito da quando avevo sedici anni. Sono pochissime le cose che non farei per averla. Non voglio esagerare, ma forse potrei persino uccidere per ottenerla.»

Non potei trattenermi, scoppiai a ridere così forte che altre lacrime mi gocciolarono dagli occhi, una dopo l'altra, a battezzare quel sorriso così tanto atteso, così sincero.

«Come diavolo faceva ad esserne così sicuro?» domandò, più a sé stesso che a me, sulle labbra un broncio quasi bambinesco. «Giuro, non me lo spiego. Non riesco a trovare una risposta logica e razionale. Era così certo che avrebbe vinto che mi ha persino preso in giro in quel maledetto video.»

E risi e risi e risi.

«Jesse è-» Mi fermai. Sentii il cuore sanguinare. Presi fiato. «Jesse era un egocentrico pazzesco, non mi stupisce poi così tanto.»

«Altamente probabile, ma non credo sia solo quello.» Sospirò ancora. «La mia è solo una teoria, sia chiaro, non sapremo mai la verità, forse neanche lui, in realtà, la conosceva. Penso che Jesse credesse nel vostro legame con tutto sé stesso, più di quanto il cristiano più devoto del mondo crede in Dio. Quel vincolo che vi legava e che vi lega tuttora era la sua certezza più grande, il suo caposaldo, l'unico comandamento della sua intera esistenza. Una sicurezza tale da apparirgli quasi scontata, una vera e propria ovvietà, come dire che il fuoco brucia e l'acqua bagna.»

Ed era così.

Era davvero così.

E forse, in realtà, neanche quella sua spiegazione sarebbe mai bastata per spiegare il rapporto che legava me e Jesse, quella stretta di mani che ci aveva tenuti insieme per tutta la vita.

Perché forse non c'era modo di spiegarlo a parole, forse non esisteva proprio un metodo per mostrare e concretizzare quel sentimento viscerale d'affetto che provavamo l'uno per l'altra.

«Guardati» mormorò poi, osservandomi, «prima di vedere quel video, eri distrutta. Ti è bastato solo questo suo gesto perché riuscissi a recuperare le forze.»

«Neanche io lo capisco, sai?» gli confessai alla fine. «Non riesco proprio a capirlo.»

«Ripeto: voi fratelli Murray mi terrorizzate.»

Scoppiai a ridere ancora, intrecciai le mani sopra le mie cosce, guardai le dita giocherellare tra loro, e altre lacrime zampillarono dai miei occhi gonfi.

«Il piano di Jesse...» mormorai, «cosa prevedeva succedesse ai nostri genitori esattamente?»

«Gli obiettivi erano tanti: umiliarli pubblicamente, rovinare per sempre la loro reputazione, distruggerli emotivamente con la sua dichiarazione di odio al mondo intero, far sì che tu li denunciassi, mandarli in cella e strappar via tutti i loro soldi in modo tale che poi finissero a te.»

Jesse... Dio mio.

«E... E pensi che sia possibile?»

«Altamente probabile» dichiarò subito, un sorrisetto impertinente a scavargli le labbra. «Se anche la difesa dovesse richiedere di non ammettere quel video in aula, la giuria ne sarà per forza influenzata, che lo voglia o meno, e la tua testimonianza li devasterebbe. Inoltre, abbiamo una valanga di prove.» Davanti al mio sguardo confuso, spiegò: «I video degli abusi che Jesse ha mostrato nella tua apologia erano solo alcuni di quelli che aveva a disposizione.»

Serrai la mascella.

«Le videocamere che mise nel vostro appartamento, quel giorno, erano di quei modelli piccolissimi che si possono nascondere ovunque, in modo che nessuno le noti. L'unico problema è che non puoi vedere in diretta quello che sta succedendo, in via telematica. Devi per forza andarle a recuperare fisicamente più tardi, inserire la loro scheda memoria nel computer, e vedere cosa hanno registrato. Un difetto dovuto alla loro dimensione, suppongo, ma non saprei, non me ne intendo granché di queste tecnologie» Sbatté le palpebre. «Così come non se ne intendeva Jesse. Sono sicurissimo che se avesse visto tutto in diretta, non avrebbe saputo trattenersi dall'intervenire. Lui le comprò in fretta e furia, era disperato e tanto, tanto confuso. Non sapeva cosa credere, non sapeva come comportarsi, non aveva idea di quel che fare. Era così smarrito che prese le prime che gli sembrarono più adatte, non riuscì a pensarci su troppo.»

Inspirai con forza, altre stille a ingioiellarmi le ciglia.

«Inoltre, per quanto li detestasse, quelli erano comunque i suoi genitori» proseguì Kevin. «E purtroppo — almeno in questo caso –— un figlio tende sempre a voler bene e a giustificare i propri genitori in maniera inconscia, quasi innata, come se fosse un comando trascritto nel DNA. Forse una parte di lui, pur avendo visto le cicatrici e i lividi sui tuoi polsi, voleva disperatamente credere che ci fosse un'altra spiegazione dietro, che loro non potessero mai arrivare a tanto. Forse il motivo per cui decise di installare quelle telecamere fu perché voleva credere nella loro innocenza, che fosse stato qualcun altro a farti del male. Non era una spiegazione razionale, non ci sono dubbi su questo, ma le emozioni non sono mai razionali. I sentimenti che scaturiscono dai legami, specie quelli che riguardano la propria famiglia, i più importanti della nostra vita, spesso ti frenano dall'usare la logica, senza che tu te ne renda conto.»

Un profondo e dilaniante sibilo mi stracciò i pensieri, a fatica riuscii a sentire cos'altro mi stava dicendo: «Come lui ha detto nel video, non era perfetto, ha sbagliato in tanti modi. Lo sapeva bene, questo.»

Strizzai gli occhi, strinsi con furia le mani tra loro, mentre un singhiozzo mi squassava il petto.

«Stiamo anche parlando di un ragazzo che si è ammalato a tredici anni e ha passato praticamente tutta la sua esistenza in ospedale, che non ha avuto nessuno accanto a parte te. Nessun adulto affidabile che potesse guidarlo, solo medici e infermieri sconosciuti e i vostri genitori che, beh, lo sai, non possono certo vantare il primato di "affidabilità". Un ragazzo che non ha potuto vedere il mondo esterno come gli altri e che non ha potuto viverlo come gli altri.»

Mi faceva male il cuore, così tanto che mi sembrò fosse sul punto di scoppiare.

«Per quel che mi riguarda, è un miracolo che sia cresciuto così. Con genitori del genere e un contesto simile, non so davvero spiegarmi come sia uscito con quel carattere, con quella maturità – che certo non era perfetta – con cui ha affrontato prima la sua malattia e poi la scoperta degli abusi.»

Annuii ancora.

«Callisto, penso che tu lo abbia già intuito, ma al di fuori del contesto lavorativo, a parte alcune eccezioni, tendo ad essere una persona particolarmente schietta.» Mi sorrise, mentre io mi asciugavo il volto con la manica della felpa. «Con quel video, Jesse ha scatenato il finimondo. Sarai messa sotto la lente d'ingrandimento da tutti: sconosciuti, giornalisti, avvocati, magistrati, poliziotti e tanti altri ancora. Dovrai ripetere la tua storia centinaia e centinaia di volte a persone che mai hai visto prima d'ora. Dovrai spiegare ogni minimo dettaglio, ogni più crudele passaggio. E verrai giudicata, Callisto, da persone che non ne sanno niente e che ti criticheranno comunque, e che criticheranno anche Jesse.»

Vidi le mani riprendere a tremarmi.

«Tuo fratello era sicuro che avresti potuto affrontarlo» proseguì Kevin. «Non ne ha mai dubitato, neanche un istante. Era certissimo che, una volta aver visto quel video e gli effetti che avrebbe provocato, avresti ritrovato la stessa forza e il coraggio che per tutti questi anni hai usato per mentirgli e stargli accanto, ma stavolta li avresti usati per te stessa, per proteggere il tuo, di cuore, e non più il suo.»

So quanto sei forte, Callisto, so quanto sei coraggiosa.

Sentii la sua mano sul capo, a carezzarmi, mentre altri singhiozzi mi scuotevano tutto il corpo, le lacrime che non la smettevano di cadere.

«Sfortunatamente, non poteva far passare troppo tempo dal giorno della sua morte per pubblicarlo. Non ha potuto darti modo di digerire il lutto. Avrebbe voluto, ma sapeva che se avesse aspettato anche solo due settimane, i vostri genitori avrebbero potuto farti qualsiasi cosa in quel lasso di tempo.»

E aveva ragione.

Era questo il dolore più grande.

Che aveva ragione.

«Ma...» mormorai a quel punto, «aveva programmato il video per il mio compleanno.»

«Cristo, sì!» Sbuffò ancora. «Un'altra sua scommessa. Stavolta con sé stesso, grazie al cielo, o avrei finito per diventare un senzatetto e andare a vivere sotto un ponte.» Si accigliò. «Mi disse che avrebbe dato il massimo perché il giorno in cui sarebbe morto fosse il più possibile vicino al tuo compleanno. Era una sua ossessione. Voleva che l'apologia fosse il tuo regalo. Così, ha scommesso con sé stesso.» Sbatté le palpebre più volte, allucinato. «Spaventoso, davvero, davvero spaventoso.»

Ridacchiai ancora.

«Perciò sarò chiaro e diretto, Callisto.» Mi guardò negli occhi, deciso, il sorriso gli era scomparso. «Sei pronta?»

Il labbro inferiore cominciò a vibrarmi.

«Prima che tu risponda, però» aggiunse, «voglio anche ricordarti una cosa, una cosa fondamentale, che tu non devi mai e poi mai dare per scontata.» Tornò a carezzarmi il capo. «Il tuo mondo una volta era solo Jesse, ma tante cose sono cambiate da allora. Anche se lui non c'è più, non sei da sola. Hai i tuoi amici, ora, persone disposte a starti accanto e proteggerti. E, soprattutto, hai me.» Si indicò col pollice, l'angolo destro delle labbra si curvò in alto. «Un adulto vero e proprio, responsabile, forse un po' malizioso e ipocondriaco, ma con – perdonami il termine – decisamente più coglioni e cervello dei tuoi genitori messi insieme. Un avvocato che, modestie a parte, è più che brillante nel suo lavoro. Casi come i tuoi vengono sempre gestiti dal viceprocuratore, ma questo non significa che tu non possa avere altri avvocati a rappresentarti e, soprattutto, sostenerti durante tutto il percorso, sia da un punto di vista legislativo che emotivo.»

Senza volerlo, mi ritrovai a sghignazzare.

«Per tutta la tua vita, hai dovuto sopportare il tuo segreto e il tuo dolore da sola. Hai potuto contare solo su te stessa, per salvare tuo fratello. E questo ti fa molto onore, Callisto, ti rende una delle persone o forse addirittura la persona più forte mai esistita in questo mondo. Ma non è più così, adesso.» Mi asciugò le lacrime col pollice. «Non dovrà mai più esser così. Non sei da sola, Callisto. Adesso puoi condividere con chi ti ama e chi ami l'agonia che ti ha imprigionata da quando eri una bambina. E anche se fisicamente tuo fratello non c'è più, questo non vuol dire che non puoi più contare su di lui. Il suo amore per te è immenso, è un amore che va oltre la morte e oltre la malattia che lo ha ucciso. Tutto quello che ha fatto per te ne è la prova vivente. Persino ora che è scomparso, ti sta proteggendo, guarda come con uno solo dei suoi gesti ha sconvolto il mondo intero. Puoi smettere di mentirgli, adesso, Callisto, e contare su di lui come avresti voluto fare quando era in vita. E lui ti starà accanto, sempre, non ti abbandonerà un solo istante. Anche quando ti ritroverai a dover affrontare i tuoi aguzzini in tribunale, anche quando dovrai raccontare ogni più piccolo e cruento dettaglio della tua sofferenza a una giuria di sconosciuti, anche quando la difesa proverà a smontarti, a farti passare per una bugiarda, lui sarà sempre con te. E non solo lui, ma anche tutte le altre persone che ti vogliono bene, che hanno già dato prova di volerti custodire.»

Il mio volto, adesso, era tumefatto dal tormento. Ma non quello che ero solita conoscere, quello di un armadio in cui nessuno mi avrebbe mai trovata. Un tormento di sollievo, di pace. Doloroso ma al tempo stesso una vera e propria consolazione.

Callisto, hai mentito e sorriso per tutta la tua vita pur di salvarmi, adesso è giunta l'ora che tu pianga e dica la verità per amarti.

«Non devi dimenticarlo mai, Callisto, mai e poi mai. Mi hai capito?»

Assentii ancora col capo, lui sorrise.

E nel vedergli quel sorriso, compresi, capii.

Nel vedergli quel sorriso, le parole sgorgarono da sole, come se avessero atteso proprio quell'attimo, proprio quel sorriso, proprio quell'avvocato sconosciuto, per liberarsi dalla gabbia della mia bocca:

«Sono pronta

Le sue labbra si sollevarono ancora di più. «Mi terrorizzate davvero, fratelli Murray, più di qualsiasi film horror abbia mai visto in tutta la mia vita. Avete una forza e un coraggio che non possono neanche essere considerati umani.»

Sospirò, infilò le chiavi nel quadrante della macchina e avviò il motore: «Sono sollevato che tu lo abbia detto» mormorò. «Perché ho la sensazione che se non ci muoviamo subito, il tuo ragazzo finirà presto in carcere per duplice omicidio e forse anche tortura aggravata. E per quanto aver più clienti non può che esser un piacere per il mio portafogli – soprattutto ora che tuo fratello me lo ha completamente svuotato –, dubito che occupandomi del tuo caso avrò modo e tempo di gestire anche il suo.»

«Ruben?»

«Tu non l'hai visto, ragazza mia, quando al parcheggio della clinica ha guardato i tuoi genitori» commentò, e nella sua voce c'era sia una punta di paura che di profonda ammirazione. «Se non fossi intervenuto, avrebbe fatto il bagno nel loro sangue, per poi usare le loro budella per appendere le teste sul palazzo più alto della città.»

Mi asciugai ancora il volto coperto dalle lacrime con la manica, mentre sghignazzavo. Kevin condusse la macchina in strada.

«Non nego che una parte di me ne sarebbe stata più che felice, forse gli avrebbe addirittura fatto una standing ovation, e probabilmente Jesse dal paradiso gli avrebbe dato pure la sua aureola» aggiunse, strappandomi un'altra risata. «Ma purtroppo Dio non mi ha dato ancora in dono la capacità di sdoppiarmi per potermi occupare di più casi cruenti nello stesso momento, quindi direi che è meglio affrettarci.» Esitò un istante. «Lui conosceva il tuo segreto già da prima che uscisse quel video, non è così?»

Sentii le mie spalle irrigidirsi.

«L'ho capito appena ho visto con che occhi li guardava» mi spiegò. «Vero e proprio istinto omicida, non comprensibile se avesse pensato – come il resto dei tuoi amici – che erano dei semplici pezzi di merda.»

Mi umettai le labbra, stringendomi le braccia al petto. «L'ha... l'ha scoperto per caso» gli confessai. «Parecchi mesi fa.»

Kevin annuì. «Beh, meglio così» disse. «Almeno, hai avuto qualcuno con cui condividere quel dolore e la sofferenza di dover mentire costantemente a Jesse.»

Inspirai a fondo, chiusi gli occhi.

«Mi ha parlato anche di lui, sai? Tuo fratello, intendo.»

Lo guardai stupita. «Jesse?»

«Ah-ah» annuì di nuovo, un sorrisetto sulle labbra. «All'inizio non ne era molto contento, ma dopo averlo incontrato ha cambiato idea. Non so, sarà stato uno dei suoi super poteri da fratello – a questo punto non escludo nessuna possibilità –, ma mi ha detto che, nel vederlo, ha capito subito che sarebbe stato capace di uccidere per te e tanto gli bastava per apprezzarlo. Non un bravo ragazzo, certo, ma a Jesse non interessava. Mi ha detto che ci sono tante persone crudeli che fanno cose giuste, e tante persone buone che fanno cose malvagie. Quel che importa è il motivo per cui le fanno.» Un altro sorrisetto. «Non molto politicamente corretto, certo, ma senz'altro una filosofia interessante.»

Sogghignai. Era proprio un ragionamento da Jesse.

«Allora, Callisto» mi chiamò Kevin, mentre svoltava una curva, «dove vuoi che ti porti?»

Il suo tono ironico mi indusse a sorridere. Era davvero il degno amico di mio fratello.

«In un posto in cui la figura di un avvocato è più che necessaria» risposi alla fine, chiudendo gli occhi.

Kevin sghignazzò. «Molto bene» disse. «Preghiamo di arrivare prima dei giornalisti. Fidati, loro sono la classe di lavoratori peggiore, secondi solo a noi avvocati.»

«E i terzi quali sarebbero?»

Storse un po' la bocca.

«I dentisti.»







Nota autrice

Ho davvero amato scrivere questo capitolo per tanti, tanti motivi.

Il primo per far vedere ancora una volta quanto forte sia il legame tra Callisto e Jesse, anche ora che lui non c'è più, così tanto che Callisto è riuscita a ritrovare la forza per sopportare il suo dolore e condividerlo con gli altri.

Il secondo, perché attraverso gli occhi di Kevin abbiamo potuto vedere Jesse da una prospettiva diversa da quella che ci ha sempre dato Callisto. Jesse, come la sorella, era un ragazzo davvero tanto, tanto intelligente, sin da che era piccolissimo, ma rimane pur sempre un essere umano che ha commesso errori, un essere umano che, seppur in apparenza sembrasse sempre maturo, a sua volta ha avuto tanti momenti in cui non sapeva che fare, cosa fare, in cui i sentimenti gli hanno impedito di agire con razionalità. 

Il terzo, perché Kevin è uno dei miei personaggi preferiti. Sin da quando ho iniziato questa storia, volevo dare sia a Callisto che a Jesse una figura adulta su cui potessero contare, dato che quella dei genitori non lo era affatto. Una sorta di padre, se vogliamo vederla così, o forse, ancor meglio, fratello maggiore. Un uomo che è riuscito a sostenere entrambi. Quell'adulto che mai hanno avuto prima di allora. Un adulto che a sua volta non è perfetto, che a sua volta ha sofferto, e che proprio per questo motivo, ha potuto comprendere le loro sofferenze. 

Un adulto che ha potuto analizzare con logica e razionalità il rapporto tra Callisto e Jesse, e soprattutto che ha potuto dare a Callisto quel sostegno, quell'ultimo spinta, di cui aveva bisogno per prendere la decisione finale di aver fiducia in sé stessa, di amarsi, finalmente.

Il quarto perché, sebbene anche qui ci siano scene che facciano piangere, abbiamo potuto finalmente ritrovare un po' di comicità e ridere e scherzare dell'assurdità di certi discorsi e situazioni.

Inoltre, vi giuro, ho riso un casino per la scommessa tra Kevin e Jesse. L'immagine di quest'uomo adulto, sicuro di sé, avvocato di successo, che si faceva fregare tutti i soldi da un ventitreenne mi sganasciava dalle risate. 

So cosa state pensando: che il libro presto giungerà alla conclusione.

Ahimé (o forse "per fortuna", dipende dai punti di vista), no. Devono succedere ancora molte cose importanti, che non riguardano solo Jesse e Callisto, ma anche - come forse potrete immaginare - Ruben. Non gli ho dato una storia simile alle spalle solo per poi dimenticarmene, il suo passato e il mondo in cui ha vissuto per tutta la vita, prima di incontrare Callisto, torneranno e verranno spiegati meglio.

Ci vorrà un po', ma accadrà.

Prego solo che questo libro non duri settanta capitoli, altrimenti o mi ammazzate voi o mi ammazzo io.

Nel dubbio, ammazziamo i genitori di Jesse e Callisto.

Un bacio, muffins!

P.S.

Con questo capitolo, confermiamo che Jesse ha vinto TRE scommesse nell'arco di TRE giorni:

La prima, con Callisto

La seconda, con Kevin

La terza - forse la più importante - con sé stesso

Jesse non sarà stato fortunato in salute, ma nel gioco d'azzardo ha senz'altro avuto un grande culo

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