Presentimento

Quella settimana, scoprii quanto mio fratello Jesse avesse sempre avuto ragione sulla follia degli ormoni a palla in noi adolescenti, fu proprio Ruben a provarmelo, più di quanto già non avesse fatto prima.

Nel mio nuovo monolocale, il giorno in cui saremmo dovuti tornare a scuola, al mattino presto, si udivano solo i suoni dei nostri respiri rarefatti e dei miei singhiozzi scostanti.

Mi ero risvegliata poco dopo l'alba, preda di uno dei miei tanti incubi ad asfissiarmi, uno in cui ricordavo il dolore soffocante allo stomaco dovuto alle intossicazioni alimentari, quando mi contorcevo sul mio letto nel tentativo di non correre in bagno a vomitare, perché poi sapevo che, nel vedermi, i miei genitori avrebbero dato atto alla punizione del tappeto di gusci di noci. Ruben, al mio fianco, mi aveva aiutata a riprendere fiato, a calmarmi, ricordarmi che, stavolta per sempre, era tutto finito.

E poi aveva preso a consolarmi, proprio come accaduto la nostra prima volta, a Nicewood, in quella camera d'hotel in cui Eve ci aveva incastrato.

Strano ma vero, avevo scoperto che di primo mattino era molto più gentile che selvaggio, addirittura romantico sotto certi aspetti. Seduti entrambi sul letto, io sopra di lui, ci dondolavamo per unirci con una calma delicata, le sue labbra ricercavano le mie, la sua lingua giocava non più provocatoria ma dolce, e le mani scorrevano lungo la mia schiena non per incitarla, ma per carezzarla, accompagnare le mosse con cui gli andavo incontro per ammorbidirle ancor più.

E anche così, mi sentivo impazzire.

Forse perché, con lui, qualunque cosa facesse era destinata a travolgermi con la stessa forza di un pugno, forse perché era anche quello il suo obiettivo, mi sentivo lo stesso sul punto di perdere il senno, ad ogni suo più piccolo e leggero tocco di labbra, ad ogni sua spinta aggraziata con cui si lasciava accogliere in me, ad ogni tocco delle sue mani che mi levigavano i seni, in armonia con i movimenti dei nostri corpi intrecciati.

Scivolava in me e lo lasciavo scivolare in me, dando vita a un fuoco non più furente nell'intimità, bensì avido e gentile al tempo stesso, che pretendeva di esser incitato con più forza e insieme di esser mantenuto a quella fiamma lenta, per prolungare il più a lungo possibile il piacere tenue di essere amati così, in quel modo.

A volte ci ritrovavamo ad accrescerlo all'improvviso, sobbalzando l'uno contro l'altra, riscattando quel ritmo famelico che sempre aveva caratterizzato i nostri incontri, e allora lui mi afferrava il sedere con entrambe le mani, mi aiutava a riprendere quella cadenza rapida con cui ci scontravamo per predarci a vicenda, i suoi baci si facevano più profondi, provocanti, ed io mi aggrappavo con le mani al suo viso per farli perdurare, mentre i nostri fiati s'inceppavano davanti alla brama di lui che mi riscopriva con la sua eccitazione, in scatti veloci e decisi.

Ma inevitabilmente ci rallentavamo di nuovo, dopo, non so per volontà di chi, se la sua o la mia o di entrambi, e riprendevamo a unirci in quella sorta di ballo gentile, con mosse ondulate dei fianchi, le sue mani che tornavano a plasmare dolci il mio corpo, la schiena, i seni, io che lo baciavo e lui che mi baciava, sopperendo il bisogno primordiale di raggiungere l'apice, per goderci quella passione amabile.

Eppure, anche così, anche con quella gentilezza a travolgere entrambi, ogni volta che approfondiva i suoi affondi e le mie carni lo accoglievano in sé con quella flemma, non potevo che singhiozzare, sentire i pensieri fondersi in un'unica, densissima foschia, il cuore supplicarmi di proseguire quel divertimento all'infinito, l'istinto gridare perché fosse la fame di divorarci a vicenda a travolgerci una volta per tutte.

Uno scontro tra sentimento e bisogno talmente vorace da farmi sobbalzare ogni volta che entrava in me, e lui se ne accorgeva, quasi sorrideva contro le mie labbra, ma proseguiva, non permetteva a nessuna delle due fazioni di vincere davvero, di tanto in tanto lasciava credere prima a una e poi l'altra di aver sconfitto l'avversaria, per poi deluderle passando al lato nemico.

Ed io lo aiutavo, perché a mia volta non potevo che divertirmi con quel tormento.

«Non...» mi ritrovai a singhiozzare, «non faremo tardi... per la scuola, così?» Fui grata del fatto che stessimo andando così lenti, perché sapevo che, alla nostra cadenza primitiva, non solo non avrei saputo parlare lucidamente, ma gemiti e parole proibite mi sarebbero sfuggite dalle labbra senza che potessi contenerle.

«Vero» ammise lui, la voce più roca che mai, le dita a stringermi la pelle della schiena, strofinarla fino a farla bruciare.

Allora la sua bocca abbandonò la mia e scese sul mio seno per avvolgerne la punta tra labbra e denti, sorseggiarne i tremiti, accompagnando ciascun risucchio con una spinta forte del suo bacino contro il mio, così da donare di nuovo il desiderio selvaggio alla sua eccitazione che si incuneava in me e alla mia che lo riceveva, vittima della brama più pura.

Il mio respiro si fece spezzato, ondeggiai contro di lui per farlo accedere con più forza ed incitare il fuoco che già stava contraendo le carni interne. Le sue mani tornarono al mio sedere, lo strinsero con energia e mi accompagnarono per andare incontro alle sue introduzioni affamate. Mi ritrovai ad ansimare, oscillando incalzante il bacino con mosse opposte a quelle del suo, mi lasciai sconfinare da lui dentro sempre più a fondo, sempre più veemente e arrogante.

Mi fece cadere, mi ritrovai sdraiata di schiena sul letto, con il suo peso a schiacciarmi, lui a rivestirmi del tutto, le mie gambe a spalancarsi il più possibile in modo automatico, così da accrescere il piacere di ogni suo accesso, da sentirlo ad ogni millimetro con cui mi sprofondava dentro.

Si spinse contro di me non solo con il bacino, ma tutto il corpo, trascinando così, con sé, anche il mio, che si ritrovava ad andare avanti e poi indietro sul materasso. Non a quel ritmo scellerato che tanto conoscevo, ma uno sempre funesto e intenso, con cui s'impadroniva vorace del mio vuoto interno fino allo strazio, per poi indietreggiare e liberarlo quel tanto che bastava per farlo supplicare di tornare a riempirlo, in vere e proprie onde dei fianchi che sfociavano nei miei interni e poi si ritiravano nel cuore dell'oceano.

Il suo torace schiacciava il mio, la sua bocca ingoiava tutti i miei versi e così la mia i suoi, le nostre lingue a replicare gli incontri delle intimità, e ad ogni secondo che passava quegli incontri si facevano sempre più forti e decisi, mai più veloci, e i gemiti che lui divorava sempre più ansimanti.

Nello scorrere interminabile del tempo, quello scontro catastrofico tra il cuore e l'istinto si faceva più cruento e sadico, sentivo che era quest'ultimo che stava iniziando a primeggiare, aiutato dal modo in cui lui mi si incuneava dentro: autorevole e perforante. Avvertivo già il prodromo dello spasmo cominciare a incarnarsi nella mia eccitazione, così che avviluppasse la sua, pulsando per trattenerla più a lungo possibile al suo interno, e ad ogni suo affondo quella tensione si faceva più rigida, da prodromo diventava storia.

Mi ritrovai senza volerlo, ormai incosciente di me stessa, con l'istinto finalmente vincitore, ad aggrapparmi ai suoi glutei con le mani per spronarlo ad aumentare il ritmo: tanto bastò per convincerlo a cedere a sua volta. Il suo intero corpo si spinse contro il mio accrescendo la cadenza delle penetrazioni, ma non le permise di diventare folle, solo più esplicita e dominante. Mi afferrò le mani, le vincolò ai lati della mia testa con le sue, intrecciò le nostre dita in una stretta forte e salda, senza smettere mai di baciarmi.

Ci volle poco, così poco che quasi me ne vergognai, perché dai suoi attacchi ne ricavassi il piacere massimo: gli fu sufficiente posare le labbra sulla curva del mio collo, poi mordicchiare il contorno dell'orecchio, farmi ascoltare il suo respiro profondo e mormorarmi parole proibite con quel suo tono spinto. Ciascuna mia particella prese ad espandersi, le gambe a vibrarmi, stringersi attorno alla sua vita per convincerlo ad andare più a fondo, attraversate da quella sensazione estrema, la fenditura che lui stava scavando a chiudersi sulla sua eccitazione con aggressività, in un abbraccio caldo e bagnato, un grido smanioso mi proruppe dalla gola e poi dalle labbra.

Un verso gutturale lo attraversò, accrebbe il mio piacere e così le sue spinte, fino a quando non ci ritrovammo ad assorbire l'uno gli ansimi dell'altra di nuovo coi baci, con lui che mi sprofondava dentro un'ultima volta fino al limite, trafitto come me dagli spasmi, per erompere quanto più possibile insieme.

Le scariche ci attraversarono a lungo, facendoci scontrare con i corpi nella loro interezza, per poi venir assorbite dalle carni fino a trasformarsi in un piacevole senso di spossatezza che appesantiva i muscoli. Smise di baciarmi, si sollevò con la testa, il suo respiro infranto quanto il mio contro le mie labbra.

«A scuola» disse d'improvviso, il fiato ancora corto, con tono profondamente serio, così tanto che me ne preoccupai, «stai sempre accanto a me o ai tuoi amici.»

Lo guardai confusa, presa dagli strascichi di quell'amplesso, disorientata e accaldata. «Perché? Hai paura che mi rapiscano anche lì?»

«No, non è per quello.»

Mi accigliai ancor più. «Allora perché?»

Lui scostò lo sguardo dai miei occhi, lo rivolse al tavolino al centro della stanza. Aggrottò la fronte, come se un pensiero terribilmente fastidioso lo stesse attraversando, ma si rifiutasse per principio di condividerlo.

«Un presentimento.»

*

Non avevo idea di come la scuola fosse riuscita a liberarsi una volta per tutte dei giornalisti, supposi avesse richiesto aiuto alle autorità, visto che per settimane non avevano smesso di assaltarla, ma quando io e Ruben arrivammo ai cancelli d'ingresso, non trovai traccia di neanche uno di loro.

O forse, come Kevin mi aveva spiegato, si erano nascosti da qualche parte per non farsi cacciare, così da strappare più foto possibili a me e a Ruben.

Perché sì, adesso, oltre io e Jesse, anche Ruben ed Anna avevano ottenuto la loro fama, il primo in particolar modo. Era stata Eve a spiegarmelo, con due cuoricini al posto degli occhi, mentre mi narrava di come le testate giornalistiche stessero riportando la nostra drammatica e commuovente relazione: il ragazzo del Dump, lo scarto della società nato e cresciuto nella violenza, il principe tenebroso, che salvava l'eroina degli ultimi mesi, colei che col fratello aveva sconvolto il mondo intero, dal rapimento, grazie all'aiuto della sua stessa madre.

Una vera e propria storia d'amore da film e libro, come aveva detto Eve, e ovviamente i giornali non avevano potuto far altro che gonfiare al massimo quella notizia per ottenere più guadagni possibili, arrivando a distorcere la realtà dei fatti in modi improponibili che mi rifiutavo anche solo di scoprire.

Eve e Cindy erano molto fiere di ciò, quasi fossero state loro a fomentare tutto ciò. E forse lo erano state davvero, a giudicare dai sorrisi sornioni che tagliavano le labbra di entrambe.

Comunque mai, lo sapevo, avrebbero potuto indovinare davvero quello che era successo quel giorno. Nemmeno le fantasie più assurde avrebbero potuto indovinare l'impossibilità degli eventi che si erano susseguiti al mio sequestro.

Quindi sì, sapevo che a modo nostro avevamo trascritto una nuova pagina della cronaca degli Stati Uniti e del mondo, ma comunque non mi ero aspettata la reazione con cui gli altri studenti ci accolsero, non appena arrivammo: puro e semplice stupore, a tratti addirittura riverenza, gli sguardi che si rivolgono a delle star del cinema.

I vari gruppi di ragazzi smisero di parlare subito, non appena ci scorsero raggiungere i cancelli, con occhi sgranati e alcuni addirittura un rossore alle guance, presero a bisbigliarsi a bassa voce, darsi gomitate, emozionarsi addirittura, nonostante, prima di quel video, sia io che Ruben – lui perché del Dump, io perché amica di lui e della puttana della scuola – fossimo sempre stati guardati con disprezzo evidente ed evitati al massimo.

Mi accigliai quando, in lontananza, oltre i cancelli d'ingresso, scorsi un trio di ragazzine, probabilmente del primo anno a giudicare il loro aspetto, iniziare a saltellare sul posto mentre ci fissavano senza alcuna vergogna, squittire come delle fan al loro primo concerto del cantante preferito.

Eppure, tutti quanti sembravano incerti sul da farsi, era evidente solo a vederli che volevano avvicinarsi a noi a tutti i costi, ma non osavano per due motivi: vergogna e, soprattutto, Mr Bad Boy al mio fianco che tentava una nuova tecnica di omicidio solo attraverso lo sguardo. Bastava osservargli il viso per capire ciò che, in silenzio, stava dicendo a tutti: Avvicinatevi e non respirerete più dalla bocca, ma da un altro buco che vi è molto noto.

Cercai di trattenere la risata il più possibile, violentandomi le labbra perché rimanessero rigide e ferme. Gli ero in realtà grata di ciò, venir travolta da una mandria di adolescenti che mi aveva disprezzata fino a poco prima, solo perché aveva scoperto il segreto e il dolore che custodivo da anni non mi piaceva affatto come idea, ma non potevo negare che vederlo in quelle condizioni, così adirato e corrucciato all'idea che venissimo avvicinati dalla folla, era una scena comica al massimo che mi faceva tremare ovunque per non scoppiare nel riso.

Lui se ne accorse subito, ovviamente, i suoi occhi saettarono irritati su di me.

Li evasi più che potei, mentre avanzavamo, concentrando l'attenzione sui cancelli. Proprio lì, davanti ad essi, si trovavano Eve e James, presi come al solito a battibeccare tra di loro. Era assurdo guardarli così, vedere come il loro rapporto, prima di venerazione da parte di lui e curiosità da parte di lei, ora evoluto al punto da litigare in quel modo così simpatico e con cui, in realtà, dimostravano l'affetto che provavano l'uno per l'altra e viceversa.

Non potei fare a meno di sorridere quando, avvicinandoci a loro, udii Eve lamentarsi indignata con lui: «Non puoi farmi questo, James! Sono la mia droga!»

«Sono delle fa-fanfiction!» ribatté lui sconvolto, con il telefono di Eve in mano. «Su Wa-Wattpad! Su-Sulla tua mi-migliore amica!» La guardò con occhi allucinati, e io stessa mi ritrovai confusa davanti a una simile dichiarazione. «E i-invece che ce-cercare di ri-rimediare, co-continui a co-commentare ogni pa-paragrafo per di-dire che la sto-storia ve-vera è mo-molto meglio!»

Fanfiction?

Su Wattpad?

Su di me?

Non avevo bisogno di chiedere chi fosse la controparte su cui stavano scrivendo quelle fanfiction: al momento mi era accanto e il suo livello di irritazione stava raggiungendo l'iperuranio nel sentire quella conversazione.

Gli adolescenti erano davvero spaventosi. Jesse aveva ragione.

«Certo che sì!» dichiarò Eve con tono offeso, le braccia serrate al petto. «Ottavo comandamento dell'amicizia: vantarsi sempre delle qualità dei propri amici e difenderli sempre a spada tratta!» Lo guardò con fierezza. «Stanno facendo passare Callisto per una qualsiasi Tessa Young e Ruben per un qualsiasi Hardin! Loro sono molto meglio di quei due! E poi mica si sono conosciuti a causa di una scommessa e di Obbligo o Verità! Ruben non collezionerebbe mai lenzuola sporche di purezza!»

Non ci potevo credere. Quella situazione era talmente ridicola che mi venne di nuovo da ridere.

James la guardò sospettoso, assottigliando gli occhi: «Ne sta-stai scrivendo u-una anche tu, no-non è così?»

Eve mostrò un improvviso interesse per l'edificio scolastico: «Wooow! Il tetto della scuola è davvero alto! E le pareti bianche sono davvero bianche! Ci avevi mai fatto caso prima?»

Lui aprì la bocca per rimproverarla ancora, quando Eve ci notò e ci corse incontro. «Callisto!» esclamò con un sorriso raggiante, fermandosi davanti a noi due. «Hai visto come vi guardano gli altri studenti? Siete diventati due star!» Le sue guance erano di un rosso accesso, le stelle avevano ripreso a sostituire i suoi occhi. «Ah, il potere delle storie d'amore è davvero incredibile!» Era assolutamente estasiata da quell'assurda situazione. Già me la immaginavo, insieme a Cindy, entrambe davanti al telefono a godersi lo spettacolo di tutto ciò.

«Cos'è questa storia delle fanfiction?» domandai con tono a metà tra il preoccupato e il divertito, mentre anche James ci raggiungeva.

«Si-Siete di-diventati co-così famosi» ci spiegò, «che le ra-ragazzine sta-stanno scrivendo storie su di-di voi e la si-signorina qui pre-presente» fulminò con un'altra occhiataccia Eve, «pa-passa il te-tempo a co-correggere ogni fra-frase per di-dire la sua.»

Eve schioccò la lingua, profondamente offesa. «Non è colpa mia!» si difese con voce stridula. «In una di quelle dicevano che Callisto veste solo in abiti bianchi, come sorta di vergine sacrificale all'altare del bad boy! Dovevo assolutamente difenderla! Lei non si vestirebbe mai così! Lo sai quanto ama Crystal Ballerina!»

Mi sembrava di esser finita in una pessima telenovela argentina, sul serio. Non riuscivo neanche ad arrabbiarmi per ciò, tutto era così ridicolo che solo le risate mi battevano in petto, e il problema più grande era che non le potevo far uscir fuori, perché Mr Bad Boy, al mio fianco, si stava corrucciando con la fronte così tanto che ebbi paura gli esplodessero gli occhi.

E James era l'unico, oltre a me, preoccupato da ciò. Eve sembrava non averlo notato, o se lo aveva fatto, non le interessava minimamente. «E poi manca la mazza da baseball!» continuò. «La mazza da baseball è fondamentale! È il simbolo viscerale della loro relazione!»

Ruben stava per esplodere, vederlo così era talmente tanto divertente che mi ritrovai a pensare di mandare dei fiori a quelle tredicenni che ora stavano scrivendo fan fiction su noi due, solo per ringraziarle.

Contenermi dallo scoppiare a ridere stava diventando praticamente impossibile, stavo per piangere pur di trattenermi, e quando posò lo sguardo su di me e se ne accorse, l'irritazione massima lo attraversò. Mi prese le guance e iniziò a tirarle con furia, facendo cadere le lacrime divertite che fino a quel momento avevo fatto di tutto per non far gocciolare.

In sottofondo, da lontano, udii una voce squittire con tono romantico: «Sono così carini

Pensai fosse Eve, ma la voce era troppo lontana, e lei mi era a mezzo metro di distanza. Con le guance ancora torturate da lui e il pianto a investirmi, guardai oltre il suo corpo: una coppietta di amiche ci stava guardando emozionata, dall'altro lato del cancello, incantata dallo spettacolino comico che io e Ruben stavamo realizzando.

Anche Eve le notò, e così James, Ruben era troppo preso a vendicarsi su di me per badarci. Sentii la mia amica dire, con un sorriso sornione addosso: «Il fanclub si sta espandendo a vista d'occhio.» La sua voce era più fiera che mai. James, accanto a lei, sospirò disperato.

«Vo-Voi donne» commentò a bassa voce, «mi terrorizzate.»

*

Seguendo il consiglio di Ruben – temevo che mi avrebbe torturato di nuovo le guance se non l'avessi fatto – rimasi accanto a Eve mentre raggiungevamo i nostri armadietti, dato che, comunque, il suo era di fianco al mio. Quello di lui e di James, invece, erano in un altro corridoio, e quando fu costretto a separarsi da me per andare a lasciare lì e prendere i propri libri, vidi di nuovo le sue sopracciglia contrarsi per il fastidio.

Stavo iniziando davvero a preoccuparmi.

Mentre camminavamo, gli studenti non facevano altro che fissarci, ancora presi dalla venerazione assoluta, alcuni erano addirittura commossi, tuttavia ancora esitavano nell'avvicinarsi a me, non sapevo dire se questo era dovuto al timore di scatenare le ire di Ruben o perché Eve, considerata la puttana della scuola e per questo evitata da tutti, mi era a fianco.

«Dovrò dirlo a mamma» commentò la mia amica, durante la nostra traversata del corridoio, ancora gongolante per quella situazione che sembrava uscita da una pessima commedia liceale, «si emozionerà alle stelle. Presto il nostro fanclub Rubisto diverrà ufficiale, me lo sento!» Strinse il pugno con forza davanti al petto, più fiera che mai. «E poi Ruben è così divertente nella sua gelosia!»

«Non mi spiego perché non abbia ancora compiuto una strage» ammisi ridacchiante.

«Oh, io credo di saperlo, invece» esultò lei, un sorriso sadico a tranciarle le labbra carnose. «In questo momento, ci scommetto, la sua mente è divisa in due.»

La guardai confusa. «In che senso?»

«Da una parte, c'è il suo orgoglio da bad boy tsundere profondamente ferito per esser shippato con te dalle ragazze – e anche molti ragazzi, in realtà – come una sorta di principe azzurro tenebroso» mi spiegò con voce sfacciatamente seria. «Dall'altra, invece, la sua mente sta macchinando un progetto diabolico per accrescere la fama di voi due come coppia, di modo che i pretendenti nati dalla storia commuovente su te e tuo fratello diminuiscano a dismisura. Riflettici: più gente riuscirà a convincere a shipparti con lui, meno gente shipperà te con sé stessa. Pura e semplice matematica da shipper, amica mia.»

Ero... attonita. Mai avrei creduto si potesse arrivare a simili pensieri. D'altro canto, però, non ero una fan dei libri trash e delle storie d'amore come lei, Cindy e Jesse.

«Non starai un po' esagerando?» domandai a quel punto. Eravamo arrivate ai nostri armadietti, ci fermammo davanti ad essi. Allungai la mano per aprire la mia anta. «So che la mia storia ha commosso il mondo, ma da qui a pensare che le persone si prendano una cotta per me o addirittura si innamorino per quel ch-»

Una cascata di fiori di ogni tipo, lettere di ogni colore, pupazzi di ogni genere e petali di ogni forma esplose, non appena schiusi l'uscio, facendo sbattere l'anta di metallo sull'armadietto a fianco ancora chiuso, rovesciandosi ai miei piedi quasi con violenza e invadendomi le narici con il profumo acuto di tutti i boccioli che erano stati ficcati a forza in quello spazio ristretto.

Sgranai gli occhi, sconvolta.

E a giudicare da come tutti gli altri studenti attorno mi guardavano, Eve inclusa, ero l'unica rimasta stupefatta da ciò, come se chiunque si aspettasse una situazione del genere.

«Dicevi?» mi chiese la mia amica, il tono divertito.

«Che cosa?» Sbattei le palpebre, ancora incredula, fissai la montagna di petali, fiori, pupazzi e lettere che si era accumulata sul pavimento, davanti a me. Non avevo neanche la più pallida idea di come avessero fatto ad aprire l'armadietto senza scassinarlo, in parte non volevo neanche scoprirlo. Il mio sguardo fissò quel cumulo di colori variopinti a terra, mentre la sorpresa accresceva e accresceva nel cuore, con gli occhi che indugiavano sulle lettere, gli orsacchiotti, le rose rosse, bianche, i girasoli, i biglietti sopra cui erano state scritte frasi come "Sei bellissima, Callisto!" o "Sei la mia eroina!", o "Meriti tutta la felicità del mondo!" o ancora "Spero di diventare come te un giorno!".

Non avevo la più pallida idea di quale sentimento fosse giusto provassi davanti a una situazione del genere, l'unica emozione che avvertivo dentro di me era l'incredulità più assoluta.

Ero ben conscia del fatto che l'apologia di Callisto si era diffusa a macchia d'olio nel mondo, che il sequestro da parte di mia madre non aveva fatto altro che ingigantire ancor più la notizia e l'affetto e la solidarietà che tutti quegli sconosciuti nel globo provavano nei miei confronti – quanto accaduto al funerale di Jesse ne era la prova vivente – ma allo stesso tempo non concepivo come fosse possibile che l'atteggiamento degli studenti, prima così proni ad evitarmi per il solo fatto che frequentavo il ragazzo del Dump e la puttana della scuola, fosse cambiato così radicalmente.

Avrei dovuto esser felice nel sapere che anche loro avevano una sorta di coscienza? Offendermi per l'ipocrisia del loro gesto? Esser grata che ancora ci fosse un po' di bontà anche da parte del genere umano più stronzo?

Sapevo solo di essere sbigottita. Totalmente sbigottita.

«Cavolo» commentò Eve, scrutando a sua volta tutti quei regali, «mi sa che Mr Bad Boy avrà molto lavoro da fare.»

«No-Non capisco» balbettai ancora, il mio cervello si era resettato del tutto.

«Tu sottovaluti troppo la passione della gente per le tragedie, amica mia» replicò Eve con aria da esperta. «Pensa solo alla solidarietà e l'amore che ottenne Andre Bamberski per la sua lotta nell'ottenere giustizia per l'omicidio della figlia Kalinka, o quella data ai genitori di Gabby Petito sin dal giorno della sparizione di quest'ultima. E la storia tua e di Jesse ha superato anche la loro fama. Non è poi così sorprendente.»

Immaginai che la mia ignoranza su tali vicende fosse una delle cause del mio sbalordimento. Detestavo ammetterlo, ma in occasioni come quelle non potevo che pensare che Ruben avesse ragione su di me: in certi momenti avevo davvero la segatura al posto del cervello.

«Sì, ma...» borbottai nello stupore, «prima mi evitavano alla grande! Non è un po' troppo radicale come cambiamento?»

«Le persone sono spesso contradditorie, per non parlare di noi adolescenti» spiegò lei, di nuovo con il suo tono da vissuta. Davvero, continuavo a sentirmi sempre più cretina. «Ohi ohi ohi» disse poi, fingendosi preoccupata, ma dal sorriso gigante che non riusciva a contenere era ovvio si stava godendo lo spettacolo eccome. «Il nostro amato Mr Bad Boy si dispererà, me lo sento.»

Effettivamente, non volevo neanche immaginare come avrebbe potuto reagire Ruben davanti a quella scena, visti tutti i fogliettini pieni di "Ti stimo con tutto il cuore, Callisto!" e "Sei bellissima, Callisto!" e "Sei la mia idola!", lui che si era ingelosito di Eve solo perché, una volta, per descrivere meglio la sua bellezza, avevo osato dire che "quasi mi ero innamorata" di lei.

O del dottor Sanchez.

Per non parlare di tutte le rose rosse.

Davvero, davvero troppe.

Oddio, ora che guardavo meglio, c'era anche una quantità vergognosa di quei biglietti d'auguri che si regalavano a San Valentino, pieni di poesie sdolcinate, alcuni con proprio le parole scritte a mano "Ti amo alla follia!"

E temevo che Eve avesse ragione anche su un'altra cosa: non provenivano solo da ragazze. Non che sarebbe servito a niente, anche se così fosse stato, visto che Ruben aveva già dato prova di ingelosirsi anche per il genere femminile.

«Aiutami, ti prego» la supplicai nella disperazione.

Eve scoppiò in una fragorosa risata. «Va bene! Va bene! Diamoci una mossa. Scrivo a James, dovrebbe avere con sé il borsone per il cambio per educazione fisica, magari possiamo metterli lì per il momento.»

Mi chinai per prendere una delle mille lettere che si trovava lì, bianca, piena di cuoricini rossi sulla stampa della carta, una scritta sopra: "Per la mia eroina."

Forse l'aveva scritta una o uno del primo anno, supposi, mentre la studiavo, lo stile era proprio quello di un neo-adolescente.

Feci per aprirla, giusto per la curiosità di scoprire che razza di cose assurde avrebbe mai potuto scrivere un mittente del genere, quando una mano sbucò dalle mie spalle e me la strappò dalle dita con furia. Non ebbi bisogno di girarmi per indovinare chi fosse quel ladro.

Mi voltai, Ruben stava scrutando quella lettera come Michael avrebbe guardato sua suocera Barbara: fuoco puro nelle iridi, le sopracciglia a scontrarsi furenti sugli occhi, la mascella serrata, il corpo così contratto dall'irritazione che mi sorpresi non fosse ancora esploso. Eve, accanto a me, cercava di soffocare le risate.

«Non-»

La aprì senza indugi, tirò fuori il foglio, lesse con così tanta velocità da spaventarmi, e ad ogni parola su cui il suo sguardo passava, la fronte si corrucciava sempre di più, i muscoli si contraevano sempre di più.

Squarciò il foglio e la busta insieme l'istante stesso in cui finì, la smembrò proprio in milioni di pezzettini, non avevo dubbi che si stesse immaginando fossero le budella di colui o colei che l'aveva scritta, quasi mi preoccupai, ma la mia sindrome da crocerossina – ormai in evidente stato di predominanza su qualsiasi mio altro sentimento – non poté che emozionarsi.

Davanti a quella scena, anche gli altri studenti attorno a noi, presi a rimirarci fino a quel momento - probabilmente perché molti di loro avevano partecipato a quella donazione cospicua di regali nei miei confronti –, sussultarono nel vederlo sventrare letteralmente quel povero pezzo di carta il cui unico reato era stato esser usato da un adolescente in crisi ormonale.

Eve era preda sia delle risate che dell'adorazione, sapevo benissimo che si stava trattenendo dall'ondeggiare i fianchi in posa scolaretta solo perché non voleva incorrere nelle ire funeste di Ruben.

Quest'ultimo si voltò verso di me, girò il capo d'improvviso, mi fissò a lungo in silenzio, con l'espressione incollerita, e io sussultai, pronta a difendere la mia innocenza, ma poi i suoi occhi ridiscesero a terra, sulle dune di rose, boccioli, petali, pupazzi e altre lettere, e seppi subito che stava leggendo i mille "Ti amo!" che chissà quali sconosciuti mi avevano dedicato.

Era talmente tanto irritato che mi stupii che con un simile sentimento alle stelle non ottenne subito il super potere di dar fuoco a quella montagna di doni col pensiero.

Eve stava piangendo per trattenersi dal ridere, sul serio.

Pronunciò una sola parola, con spietatezza assoluta: «Inceneritore

Quasi venne da ridere anche a me, ma sapevo che era serissimo.

E in parte, lo confesso, l'idea non mi dispiaceva poi così molto. Non negavo di esser grata di quell'improvviso sentimento di solidarietà, ma si trattava comunque degli stessi studenti che avevano denigrato me, Eve e lui solo per delle etichette che non meritavamo.

Per quanto buona avessi capito di essere, non lo ero così tanto da accettare quell'improvviso cambio d'atteggiamento da parte loro, dovuto unicamente al fatto che avevano scoperto la tragedia che gravava sulle mie spalle. Erano pur sempre coloro che ogni giorno avevano chiamato Eve "puttana" o avevano finto di non sentire quegli insulti che le rivolgevano poiché concordi con essi, che avevano trattato Ruben come un fenomeno da circo per il semplice fatto che proveniva dal Dump, che avevano evitato me e James tutto il tempo solo perché frequentavamo entrambi.

Ruben tornò a guardare i fiori, le rose rosse in particolar modo, e poi, d'improvviso, si mosse. Afferrò per il braccio Eve ancora preda degli sghignazzi e la trascinò via da me, conducendola verso la fine del corridoio, per poi fermarsi lì.

Mi accigliai, perplessa, li guardai da lontano. Lui mi dava le spalle, non potevo vedere che espressione avesse in viso, potevo soltanto scorgere quella della mia amica che lo ascoltava con interesse, per poi, d'improvviso, dopo un minuto, esplodere in un sorriso euforico, con tanto di guance accese e saltelli sul posto.

Gli annuì più e più volte, gli mostrò persino il pollice all'insu, in preda all'estasi totale da scolaretta. Assottigliai gli occhi per osservarli meglio, mi parve di vedere la bocca di lei muoversi per dire: «Lascia fare a me.»

Da quando quella storia era iniziata, mi sentivo sempre più confusa.

Avevo però la sensazione che una collaborazione catastrofica fosse stata appena siglata nei meandri di quel liceo, tra la puttana della scuola e il reietto del Dump, ai danni di chiunque mi avesse messo quei regali nell'armadietto.

Quando tornarono, Eve stava letteralmente salticchiando con un sorriso che andava da un orecchio all'altro, ondeggiava con le anche. Ruben, in qualche modo, sembrava aver abbassato un po' la sua irritazione, mi si fermò davanti, la fronte ancora accartocciata.

Si guardò attorno in silenzio, studiò con attenzione tutti gli studenti che nel corridoio e anche oltre continuavano a scrutarci tra la curiosità e la preoccupazione, incerti se farsi avanti o meno per giustificare la presenza di quei doni in modo da scongiurare una seconda apocalisse.

Poi, d'un tratto, mi afferrò per il colletto della felpa nera che indossavo e mi tirò a sé, andandomi incontro con la testa.

Mi baciò con furia, stampando le sue labbra contro le mie come a volerle ustionare, e la sorpresa di questo suo gesto così improvviso, che a scuola aveva sempre evitato davanti a tutti da quando eravamo diventati intimi, mi lasciò talmente sconvolta da rubarmi tutto il respiro e lasciarmi senza fiato.

Udii sempre in sottofondo un gridolino, ma non seppi dire se fosse da parte della mia amica o di qualche altra nostra shipper suprema, sconvolta com'ero da quel bacio.

Quando mi lasciò andare, ero talmente senza parole che non seppi neanche che pensare. Lui mantenne il viso scontroso di sempre e, senza aggiungere altro, se ne andò via, in direzione della sua classe, come se nulla fosse successo, come se non avesse appena dichiarato davanti a tutti, con quel singolo gesto: "Lei è mia."

Strizzai gli occhi più volte, divisa tra l'emozione da crocerossina di corrergli incontro e saltargli addosso e l'intontimento nel digerire quanto appena successo.

Eve, al mio fianco, posò il braccio sulla mia spalla, il viso infuocato per l'entusiasmo. «Ahhhh» esalò con voce cinguettante, la mano libera sulla guancia. «Ha marcato il territorio, da bravo Mr Bad Boy. Devo dirlo a mamma appena torno a casa. Una volta anche papà fece la stessa cosa con lei, sai?»

Mi costrinsi ad assumere un po' di compostezza, la guardai sempre travolta dallo smarrimento: «Di cosa avete parlato?»

Il suo sorriso si fece ancor più festivo, sembrava le avessero appena detto che aveva vinto il premio Nobel per la pace. «Lo scoprirai presto» enunciò con grande orgoglio, astri veri e propri al posto degli occhi. «Sapevo che un giorno anche lui avrebbe riconosciuto tutti i miei sforzi.»

Iniziavo ad avere sul serio paura di quei due.

«Piuttosto, liberiamoci di tutti questi regali» dichiarò, decisa a cambiare in fretta argomento. «A proposito, gli hai chiesto di andare al Ballo D'Inverno con te?»

Mi fermai proprio mentre mi stavo chinando per raccogliere una delle rose. «Oh.» Con tutto quello che era successo me n'ero completamente dimenticata e lei lo intuì subito. Mi fissò con lo sdegno più profondo, come se le avessi detto che lo shopping era inutile. «Sì! Sì!» mi affrettai subito a rispondere, nel tentativo di dissipare l'ingiuria che le avevo causato, e subito la sua espressione si fece più rilassata. «Ha accettato.»

Lei gongolò ancora, iniziando a prendere le varie lettere e bigliettini. «Come l'hai convinto?»

Inevitabilmente, il mio volto prese fuoco prima che potessi impedirmelo. Non riuscii a farne a meno, al ricordo della notte in cui gli avevo posto quella domanda, presa dal delirio dei nostri corpi che si univano, mentre il piacere folle mi divorava.

«Ehhhh» esalò nell'osservarmi, divertita come non mai, le sopracciglia inarcate. Non avevo dubbi: aveva già capito tutto. «Quindi te ne sei approfittata, eh? L'hai colto in un momento in cui avrebbe risposto "Sì" a qualunque cosa, non è vero? Quando non aveva più sangue al cervello, ma da un'altra parte altrettanto interessante. In effetti, era quello che ti avevo detto di fare, ma non pensavo certo avresti preso alla lettera il mio consiglio.»

Il rossore si diffuse sempre più forte, volevo scavarmi una fossa sotto ai piedi, soprattutto perché aveva iniziato a ridacchiare fino alle lacrime. «Ottima mossa, Callisto, sono fiera di te» dichiarò con grande orgoglio. «Sarà pure Mr Bad Boy, ma rimane sempre un uomo. Ricordatelo per occasioni simili nel futuro, ti tornerà molto utile.»

Volevo lanciarmi dalla finestra, ma eravamo al piano terra, non sarebbe servito a nulla.

«Quando sarà il ballo?» le chiesi, continuando a fissare il cumulo di regali, decisa a cambiare discorso. Il suo sorriso si spalancò ancora. «A fine gennaio?»

«Il 20» rispose, con già una quantità stratosferica di lettere e biglietti tra le braccia. «Scommetto tutti i miei vestiti che sfrutterà l'occasione al massimo per marcare di nuovo il territorio.»

Ora volevo bere anche benzina.

«L'importante è che non compia una strage.»

«Chi lo sa, sarà comunque divertente. È un peccato che il nostro ballo non preveda un re e una reginetta. Visto quanto siete famosi, come coppia avreste sicuramente vinto in un attimo.»

L'immagine di Ruben che si faceva incoronare sobbalzò nella mente, strappandomi una risata pazzesca all'idea dell'omicidio di massa che avrebbe compiuto davanti a un'umiliazione del genere.

E poi mi fermai, con la mano stretta al gambo di una rosa.

Coppia.

«Cosa c'è?» mi domandò Eve a quel punto, notando il turbamento che mi dilaniava il viso.

«Come... Come si stabilisce quando due persone diventano una coppia?»

Farle quel quesito mi imbarazzò come non mai, una vera e propria onta per me, poiché riprovava ancora una volta quanto poco ne sapessi di argomenti del genere e situazioni simili.

Ma non potevo farne a meno, non in quel momento, avevo davvero bisogno di sapere. Quanto mi aveva appena detto mi aveva fatto riflettere su una cosa a cui prima non avevo effettivamente badato poi troppo.

Non ci eravamo mai detti di stare insieme.

Ci eravamo confessati il nostro amore, sì, e l'avevamo anche suggellato, ma non ci eravamo detti di essere effettivamente una coppia. Ruben non mi aveva mai chiamata "la mia ragazza" e io non l'avevo mai chiamato "il mio ragazzo."

Io ero sua e lui era mio, questo avevamo confermato quel giorno, e non ero certa che equivalesse a una vera e propria presa di posizione sullo status del nostro rapporto, specialmente perché quella non era stata l'unica occasione in cui me l'aveva detto. Lo aveva dichiarato anche il giorno del nostro primo bacio.

Eve mi guardò perplessa. «Non ne avete parlato?»

Mi sentii arrossire di nuovo. «Più o meno» balbettai vergognosa. «Ma non fino a quel punto, abbiamo solo... condiviso i nostri reciproci sentimenti.»

Lei scoppiò in una fragorosa risata. «Santo cielo» commentò. «Siete messi malissimo, eh? Beh, non c'è da stupirsi, in realtà: tu non hai esperienze romantiche alle spalle, e sono sicura quanto papà lo è che nonna è Satana che nemmeno lui le ha, se non quelle sessuali che, non ho dubbi, sono persino più delle mie.»

Ne ero certa anche io. Non glielo avevo mai chiesto, ma ormai lo conoscevo: per tutta la vita si era isolato e allontanato da tutti, aveva evitato di legarsi emotivamente a qualcuno in qualsiasi modo, non c'era possibilità che avesse intrattenuto qualche relazione sentimentale. Da bravo bad boy, come avrebbe detto Jesse, aveva concesso alle donzelle solo il suo corpo, mai il cuore. Ed ero altrettanto sicura che, vista la sua evidente bellezza e tutti quei muscoli, il numero di ragazze che aveva accettato quel compromesso pur di portarselo a letto era più che ingente.

Non che mi preoccupasse, in realtà, non ero tipo da gelosia retroattiva. Anzi, sotto un certo aspetto la questione mi era venuta a vantaggio: ero più che felice delle sue conoscenze sessuali, ottenute proprio grazie a quegli incontri. Specie quelle che aveva usato il giorno in cui aveva confessato il suo amore per me.

«Come ti dissi una volta» mormorò, riprendendo a raccogliere le lettere, «certe volte non c'è bisogno di una definizione perché un rapporto si crei, secondo me. Ma se senti il bisogno di stabilirlo, perché non ne parli con lui?»

Sapevo che aveva ragione, ma comunque l'idea di chiedergli "Ehi, Ruben, vuoi diventare il mio ragazzo?" mi imbarazzava come non mai. Forse mi avrebbe addirittura presa in giro, dicendomi che era scontato che adesso stessimo insieme e che avevo dimostrato per l'ennesima volta di avere segatura al posto del cervello. Magari mi avrebbe persino dato un altro colpo in testa.

«O forse te ne parlerà lui» suggerì Eve, la fulminai con un'occhiataccia. «Tu sottovaluti non solo la passione della gente per le tragedie, amica mia» commentò lei, ridacchiante, «ma anche il potere che hai su Mr Bad Boy.»

«Cosa intendi?»

«Che sono piuttosto certa che, soprattutto dopo quanto appena successo» fece cenno col capo ai regali che ancora stavamo tentando di raccogliere, «Mr Bad Boy avrà più fretta di te di dare una definizione alla vostra relazione. Sarà un altro modo per marcare il territorio e allontanare i competitori.»

Mi morsi il labbro, incerta. Eve sogghignò di nuovo. «Piuttosto» aggiunse poi, nel tentativo di distrarmi dal mio tormento, «sai cosa significa il fatto che il ballo si sta avvicinando, vero?»

La scrutai perplessa, lei mi fece l'occhiolino. «Shopping, amica mia, shopping sfrenato

«Oh no» dichiarai, tentando di lasciar uscire il mio tono di voce più disperato, ma non potei trattenere un sorriso nel vedere di nuovo l'entusiasmo farle brillare gli occhi.

«Non vedo l'ora di andare a provare con te tutti i vari vestiti» esclamò nell'entusiasmo, le guance rosse, il sorriso immenso. «Hai un incarnato così bello, qualsiasi colore ti starà bene, e poi voglio a tutti i costi costringerti a dirmi: "Oh Eve, oggi sono davvero bellissima, grazie!

Scoppiai a ridere. «E tu?» le domandai. «Con chi andrai al ballo?»

Il suo sorrisetto si fece malevolo. «Sto manipolando James a invitarmi, senza che se ne accorga, con le mie tecniche da puttana della scuola.»

Sollevai le sopracciglia, sorpresa. «Sul serio?»

Lei annuì, fiera di sé, gonfiando il petto. «Mi diverto troppo con lui» ammise alla fine, cinguettante. «Non avrà il fascino del bad boy o del cavaliere tenebroso, ma anche quando battibecchiamo e mi fa incazzare al massimo, rido comunque dentro. Ed è questo che mi interessa di più in una relazione: ridere. Per anni non sono riuscita più a farlo, adesso che ne sono in grado di nuovo, mi piace avere accanto a me qualcuno che me lo rende così naturale. E anche se so che non è indifferente al mio aspetto, questo non gli impedisce di rimproverarmi. So che quando mi guarda, non mi vede solo come una ragazza che si vuole scopare. Magari era così all'inizio, ma non più, ora. È cambiato come sono cambiata io, e credo anche che sia merito suo. E merito tuo.»

Non potei non sorridere nel vederla così fischiettante. Forse anche io stavo per diventare una shipper suprema per loro due e dar vita a un fanclub. L'evoluzione nel loro rapporto era stata così naturale che a stento me n'ero accorta, e forse anche loro non lo avevano notato.

«Quindi sì» continuò solenne, con la stessa determinazione con cui sua madre, nel raccontarci la storia d'amore con Michael, aveva dichiarato che per conquistarlo aveva deciso di provarci spudoratamente con lui, «gli sto lasciando vari indizi qua e là, piuttosto palesi anche, per fargli capire che è l'unico da cui voglio essere invitata. Non è più timido come prima, non con noi, almeno, ed è un ragazzo intelligente, so che ci è già arrivato.»

«Pensi che troverà il coraggio per chiedertelo?» le chiesi.

«Sono fiduciosa» replicò serena. «E se non lo troverà, allora lo uscirò fuori io. Siamo pur sempre nel ventunesimo secolo, non è mica obbligatorio che sia sempre l'uomo a fare la proposta.» Stava cinguettando di nuovo. «E poi ho tutte le intenzioni di indossare un abito davanti a cui nemmeno uno come lui riuscirà a tenere a freno le mani o a lamentarsi del mio spirito vendicativo. Sono pur sempre la puttana della scuola, no?»

Ridemmo insieme.

«Ehi, Eve» la chiamai alla fine.

«Sì?»

«Per tutto quello che hai fatto e fai ancora per me, tu e la tua famiglia, grazie, grazie davvero.»

La voce mi si ruppe nel dirlo, ma lei sorrise ancora. Lasciò cadere tutto quello che aveva appena raccolto e mi strinse con forza in un abbraccio in cui mi ritrovai a pensare che il mondo, per quanto crudele potesse sembrare, conservava ancora meraviglie inestimabili, veri e propri gioielli dal valore unico, incarnati in persone come la mia amica.

«Forse per gli altri, una volta scoperto la tua storia, adesso sei un'eroina» la sentii dirmi, «ma tu per me sei diventata un'eroina dal giorno in cui mi hai coperta per quella macchia di ciclo in palestra.»

Le lacrime mi si accumularono negli occhi, lasciai andare a mia volta tutto ciò che avevo raccolto e ricambiai quella stretta.

«Non potevo chiedere un'amica migliore di te» sussurrò al mio orecchio.

*

In classe, ore più tardi, mi sedetti al banco accanto a quello di Ruben. L'ironia della sorte volle che ci ritrovammo proprio nella stessa aula e agli stessi banchi in cui ci eravamo trovati alla nostra prima lezione condivisa, il giorno in cui aveva fatto rimbalzare la testa di Conrad come una palla da basket sul suo tavolino. Lui vicino alla finestra, io alla sua destra.

Mentre il professore parlava e spiegava, qualcosa mi volò davanti agli occhi, per poi atterrare sul mio libro aperto di chimica.

Osservai disorientata quel pezzo di foglio piegato a quadrato, dalle dimensioni di un libro tascabile, e sollevai lo sguardo verso di Ruben ma lui, proprio come allora, stava guardando fuori verso la finestra.

Incerta, spiegai il biglietto, per poi ritrovarmi a sorridere senza volerlo, con un incendio d'amore a scaldarmi nel petto, quando lessi ciò che c'era stato scritto sopra:

Vuoi metterti con me?

Sotto, le tre caselle da spuntare:

Sì            No         Forse

Solitamente, davanti a un gesto del genere da parte sua, bad boy e tsundere al massimo, sarei scoppiata a ridere e l'avrei preso in giro a vita, ben conscia di quanto si fosse violentato l'anima per farlo, ma non ne fui in grado stavolta. Lacrime giganti mi si accumularono negli occhi, andando a imperlare le ciglia, il fiato mi pizzicò la gola a riprova di quanto lo amassi, faticavo persino a respirare.

Presi la penna dall'astuccio, spuntai la casella giusta, ripiegai il biglietto e glielo rilanciai al suo banco.

Lui lo prese in silenzio, lo spiegò e per un attimo la sorpresa balenò nei suoi occhi, non poté celarla, quando vide la casella che avevo aggiunto, sotto le tre affiancate, e poi spuntato:

Sì, sono tua.


Nota autrice:

Per compensare all'istinto suicida nato, ormai lo saprete, dalla descrizione di sexus della prima parte, ho deciso de torna alle origini, come Jennifer Murray.

Per lei le sue origini erano il Dump.

Per me so 'sta cagata di libro:

Vi narro la storia, la storia di un trauma, la storia di un trauma che ha deviato per sempre una povera fanciulletta innocente.

C'era una volta una Simona tredicenne selvatica, il cui unico scopo nella vita era leggere, leggere, leggere e leggere. Tutti i pochi soldi che aveva li spendeva solo per i libri, litigando anche con la madre cattolica per questo, perché letteralmente non aveva vestiti, ma dato che Simona - per altri traumi infantili (la vita è un ciclo di traumi, si sa) - odiava lo shopping quanto Ruben odia il mittente di quel biglietto che ha sbudellato e Michael la suocera, se ne fotteva altamente di avere una sola felpa e un solo jeans, e continuava a sperperare i suoi soldi nei libri.

Simona tredicenne, oltre che odiatrice seriale dello shopping, era anche cogliona: credeva di poter leggere di tutto, di essere una DONNAH e non temere il SEXUS.

Tale convinzione era dovuta al fatto che una volta, alla lettura di un libro di Sophie Kinsella, davanti a una scena (che non era stata descritta, ma veniva solo accennato che dopo i due protagonisti avrebbero copulato) nella lettura della parola "capezzolo" non si era scandalizzata.

E se non si era scandalizzata per la parola "capezzolo", allora era davvero una DONNNAH.

Quindi Simona tredicenne selvatica giunse in libreria, trovò 'sto libro che definire libro è un insulto a qualsiasi albero nel mondo, lesse la trama: tizio intrappolato nel libro che viene evocato come schiavo sessuale delle donne a causa di una maledizione, tizia che però - la trama lo ripeteva più e più volte - quando lo evoca per sbaglio NON VUOLE pippolarselo per nessun motivo al mondo.

"Che sarà mai" pensò Simona tredicenne cogliona, "manco pippolano, mica sarà così scandaloso"

Ed effettivamente, in parte ci aveva azzeccato.

Sempre a causa della maledizione di lui, i due protagonisti, dementi e coglioni quanto Simona, ma più fortunati di lei in ambito sessuale senz'altro, non POTEVANO pippolarsi, era la regola: per liberarlo dalla maledizione una volta per tutte e farlo uscire da quel libro, non potevano inciuciarsi, il biscotto di lui doveva rimanere secco e non poteva bagnarsi  e pucciarsi nel fresco biancor del latte di lei.

Quindi sì, effettivamente, Simona tredicenne cogliona (da notare la rima Simona - cogliona, quasi mi verrebbe da pensare che i miei abbiano scelto questo nome apposta per ciò, ma conosco la storia che c'è dietro, purtroppo non è così, sarebbe stata una storia decisamente più bella di quella reale) ci aveva azzeccato.

Non pippolavano, in effetti.

Non direttamente.

Nel modo "classico".

Riporto qui solo una frase di questa cagata immane, la frase che fu la prima e vera cicatrice della mia anima, colei che senza ombra di dubbi ha causato gran parte dei miei problemi psicologici e psichiatrici e per colpa di cui ancora pago il mio terapista fior di quattrini per risolverli:

"Sarebbe entrato dentro di lei, e se non poteva entrare in un modo, allora, per tutti i templi d'Atena, sarebbe entrato in un altro."

Ecco.

Avete capito, vero?

Immaginatevi ora, Simona tredicenne cogliona la cui parola più volgare che avesse mai letto e che avesse mai conosciuto era "capezzolo", convinta proprio per ciò di essere ormai una VERAH DONNNAH, alle prese con questo libro, davanti alla scoperta di termini come "orgasmo", "leccamento", "cunnilingus", "erezione perenne", "ditalino", "doccino", "lustro calore", "ingoio", "sessantanove".

E soprattutto:

"I peli color caffè di lui"

E meno male che quando dice "sarebbe entrato in un altro" si riferiva solo ai vari metodi per impiccionciarsi senza il pucciamento diretto del biscotto in qualsivoglia forma.

Si riferiva alla leccata primitiva sul maritozzo di lei per saggiarne la panna, e alla sostituzione del proprio biscotto con le dita, sempre per assaporar meglio la crema chantilly di lei.

Immaginatevi come sarei uscita fuori, se invece della strada della vongola avesse scelto la strada infangata. Proprio io, che all'epoca pensavo che quel nostro secondo buco servisse solo per far uscire, e non per immettere.

E immaginatevi ancora, sempre Simona tredicenne cogliona, che la prima volta che lesse la parola "orgasmo" senza aver la più pallida idea di che diavolo significasse (non stavano facendo nulla, l'avevano solo citata durante un dialogo a caso), se ne andò fiera dalla sorella maggiore, diciottenne, e senza alcun briciolo di vergogna le chiese:

"Oh Giù, minchia è n'orgasmo?"

Ora capite perché ho il trauma a scriverla in una scena di sesso? Perché l'ho messa nell'indice dei termini proibiti da usare in una scena di pippolamento?

Quindi sì, sono tornata alle mie origini, mi sono riletta le scene di sesso di 'sto libro per compensare l'animo suicida per aver scritto la prima.

E volete sapere qual è la cosa più grave di tutte?

LA COSA VERAMENTE GRAVE?

Che questo libro, sebbene già da tredicenne cogliona fossi consapevole di quanto fosse una cagata immane, mi ha inevitabilmente portata al mondo della droga dei libri trash.

E soprattutto, mi ha fatto diventare una fan accanita di tutti i libri di questa scrittrice.

Me li sono letta TUTTI.

T
U
T
T
I

Anche quelli che in Italia non venivano pubblicati, me li trovavo in inglese e me li leggevo. Erano così trash che non riuscivo a farne a meno, una vera e propria eroina. So diventata 'na tossica di libri trash a soli tredici anni. Tuttora LI ADORO, cazzo, vi giuro. Mi fanno crepare. Continuo a comprarli, non appena l'autrice ne pubblica di nuovi: sono tutti uguali, tutti trash, e per questo sono BELLISSIMI.

FAVOLOSI.

Li amo, lo giuro, li amo alla follia.

Lo so, ho un problema, un problema gravissimo, ci sto lavorando con il mio psichiatra, lo giuro.

In mia difesa (sì, voglio scaricare tutte le colpe agli altri, mi rifiuto di accettare di essere nata così), posso giustificarmi dicendo che essendo cresciuta in una famiglia estremamente cattolica, la parola "sesso" ("Non si dice sesso, Simona, si dice FARE L'AMORE" cit. mio padre quando avevo tredici anni e anche adesso) era proprio un tabù e qualunque cosa la riguardasse altrettanto. I miei mi avevano sì spiegato la storia dell'ape e del fiorellino, ma si erano limitati solo e soltanto a quello, tutto il resto, tutto il contorno, non esisteva.

Inoltre, all'epoca ancora non disponevo di un PC personale con cui fare le mie ricerche (lo avrei ottenuto a sedici anni), ma solo un computer fisso databile con il carbonio 14. Forse i più giovani di voi non sanno come erano fatti, i computer così, ma si trattava di robe della preistoria in confronto a quelli di oggi. Non esisteva wifii ma un modem gigante che faceva dei versi continui da farti credere un ladro stesse singhiozzando nell'oscurità, e internet durava pochissimo, c'aveva proprio la scadenza. Non esisteva la navigazione in incognito (quindi i miei mi avrebbero sgamata subito) e appena provavi a scrivere la parola "sesso" finivi in siti porno a pagamento che ti rendevano più in debito della Grecia e dell'Albania con l'Europa non appena ci cliccavi per sbaglio.

Non avevo altre fonti a cui appigliarmi se non la mia famiglia, perciò.

Quindi per me, a tredici anni, il concetto di sesso era:

Lo ficca, la mette incinta, sorridono felici perché è bello, esce. 

Fine.

E come tutte le tredicenni che si rispettino, davanti alla scoperta che il magico mondo del pippolo riguardava non solo la fecondazione di un bel Gianbambino da spupazzare, e che non è soltanto "bello", non potei che ritrovarmene sia disgustata ma soprattutto, SOPRATTUTTO, affascinata.

MA CHE COSA MI DICI MAI? Pensò il Topo Gigio demente nella testa di Simona tredicenne cogliona, alla lettura sconvolgente di siffatto poema omerico su templi d'Atena e peli color caffè di lui.

Dovevo sapere.

DOVEVO sapere AD OGNI COSTO cosa significava veramente pippolarsi.

Così iniziò la mia carriera da intenditrice di libri trash, resa ancor più criminale dal fatto che nascondevo questi libri a mia madre che, come minimo, sarebbe svenuta sul posto e avrebbe raggiunto l'Altissimo in pochi secondi, semmai avesse provato ad aprirli e leggerli. Che poi, se ci riflettiamo, è proprio colpa sua se sono finita così, quindi un po' se lo meritava.

Ironia della sorte, adesso faccio di tutto perché lei, quando di nascosto entra in camera mia per assicurarsi che non mi sia data al mondo della Maria (non quella cattolica in cui tanto crede, ma un'altra), trovi quei libri e controlli cosa leggo, giusto per il gusto di vendicarmi. Ahimè, però, mamma mai ha contemplato che io potessi mai leggere libri del genere, perciò non si spaventa manco davanti alle loro copertine, pensa sempre siano solo e soltanto romanzi rosa stile Jane Austen. (Non so spiegarmi perché, giuro, soprattutto adesso che sono uno scaricatore da porto, e lo sono DA ANNI. Forse è in fase di negazione totale come lo è insieme a mio padre del mio agnosticismo. "È solo una fase, ti passerà" è quel che mi dicono sempre. Da quando ho quindici anni, ora ne ho ventisei.)

Per dirvi che quando a sedici/diciassette (non ricordo di preciso l'età) anni mio padre mi beccò a guardarmi il primo film di 50 Sfumature al computer, entrando senza bussare in camera mia, proprio nella SCENA DI SESSO da cui uscivano tutti i gemiti (lui non poteva vedere lo schermo da dove si trovava), mi chiese: "Che stai guardando?" e io SENZA ESITAZIONE E ALCUNA VERGOGNA (lo stavo vedendo per farmi un sacco di risate, mi so sganasciata) gli risposi: "50 Sfumature"

Lui mi guardò.

Scoppiò a ridere e disse: "Basta con queste battute, Simona"

E SE NE ANDÒ, NON MI CREDETTE PROPRIO.

Lo INSEGUII pure per dirgli che era vero (amo sconvolgere i miei genitori, sì) E LUI CONTINUÒ A NON CREDERMI.

Negazione TOTALE, più di Salvini con i suoi quarantanove milioni.

Più dei coniugi Murray sulla morte inevitabile di Jesse.

Avrete perciò capito che questa è stata la sola educazione sessuale che abbia mai ricevuto durante la mia preadolescenza e adolescenza

(Se vogliamo escludere il corso di sessuologia di due ore fatto al liceo in cui però ci parlarono solo degli anticoncezionali e della fondamentale importanza dei preservativi da me mai dimenticata. Ricordatevi, muffins, ricordatevelo SEMPRE: i preservativi sono LA VITA. Non cedete mai a compromessi se vi chiedono di NON usarli, non fatevi ingannare da discorsi alla "il mio righello è troppo grande per qualsiasi ombrello" o "la mia stalattite non stalattita se soffocata". STRONZATE, gli ombrelli ci sono di qualsiasi forma e misura per qualsiasi stalattite. Rispondete sempre, in questi casi: la mia vongola è troppo intelligente per trasmettere il DNA prodotto dal tuo ombrello a generazioni future. Il salto della quaglia è pericolosissimo per due motivi: Gianbambini e, soprattutto, GianHIV-AIDS-MALATTIE-CHE-NON-VORREMMO-MAI-AVERE)

Ecco.

Quindi, non mi giudicate, non è colpa mia.

Bene, finita questa confessione (vi vedo che state ridendo con le lacrime agli occhi, bastardi), possiamo dare il via all'ennesima analisi, anche se sarà piuttosto breve, almeno secondo me:

1) Sesso. Per la prima volta romantico. Ci sta, niente da dire, direi che era anche ora. Ma non sperateci troppo, Ruben rimane un bad boy (tsundere) . L'ho messa perché volevo sia citare il fatto che Callisto non è magicamente guarita, e ancora soffre di incubi, sia perché mostra che, seppur lui sia istintivo, a suo modo sta cercando di assumere un nuovo rapporto con Callisto, un modo per legarsi a lei diverso da quello "primitivo" che conosce. Ovviamente, continuerà a pippolarsela anche in quell'altra maniera, ma sì, ci sarà anche un po' di FARRRRR L'AMMMMMOORR DOLCEMENTEH.

2) LA COMICITA'. Vi giuro che so CREPATA per la gelosia di Ruben, i fogliettini, le rose, lui che marca il territorio che manco un cane, che già AVEVA FIUTATO una cosa del genere sarebbe successa, vista la fama della storia di Callisto e Jesse.

3) L'ALLEANZA RUBEN ED EVE. Contemplata già dall'origine della storia. Secondo voi, cos'ha chiesto Ruben ad Eve? Vi prego, ditemelo, perché io sto già morendo.

4) LE FANFICTION SU WATTPAD. ADOROH.

5) Il rapporto James-Eve, a me molto caro. Sebbene non una coppia fulcro della storia, adoro questi due, per tanti motivi, perché entrambi partono da un punto molto "pericoloso", se così vogliamo chiamarlo, a uno più "sano" e "sincero". 

James parte dalla sua cotta stratosferica per Eve, dovuta solo e soltanto alla bellezza di lei, per poi, col corso del tempo, imparare a conoscere veramente la ragazza, vedere TUTTI i suoi DIFETTI e iniziare ad apprezzarla proprio per questi, non solo per la sua immacolata magnificenza. Al punto da perdere, a suo modo, la propria timidezza quando battibecca con lei, mentre prima, al solo vederla, arrossiva come un peperone. La sua balbuzie è sempre stato un ostacolo per lui, l'ha indotto a rinchiudersi in sé stesso e ad allontanarsi da tutti, ma davanti alla tranquillità con cui Callisto e soprattutto Eve lo trattavano, è riuscito ad uscire dal suo guscio, a mostrare il suo VERO carattere.

Eve partiva da un punto simile: ovvero, si vedeva a sua volta solo e soltanto come una ragazza bellissima e che per questo sarebbe stata apprezzata dagli uomini solo per il suo aspetto, e sempre per questo si è fatta usare da loro, trattare da loro come una macchina sessuale, usandoli a sua volta e vedendoli a sua volta allo stesso modo. Perdendo così il suo sorriso e la propria felicità. Quando però incontra Callisto, quel semplice gesto con cui lei la aiuta in palestra, le dice la questione dell'invidia, la consola quando si confessa su come l'avevano trattata le sue amiche, la aiutano ad assumere una nuova visione di sé e di ciò che la circonda: James incluso. Ad apprezzare il fatto che James sì, all'inizio aveva una cotta per lei per il suo aspetto, ma è voluto andare OLTRE, al punto da discutere con lei, litigarci, e per questo farla ridere tanto, tantissimo, lei che ormai non rideva più da anni.

Mi rendo conto che rispetto alle storie di Callisto, Jesse, Ruben ed Anna, i dolori di James ed Eve possono apparire nulla in confronto, ma io non sono d'accordo.

Se avete letto Moonlight lullaby ormai lo saprete, io sono dell'idea assoluta che NON ESISTE una scala o una classifica dei dolori e dei traumi: ognuno di essi, a proprio modo, ci fa male, e sempre a proprio modo può distruggerci per sempre.

Inoltre, si tratta di sofferenze a noi molto comuni, che abbiamo vissuto tutti da adolescenti e che gli adolescenti tuttora vivono: il rapporto tossico con il proprio corpo e la sessualità, con i "difetti" che ci impediscono di muoverci avanti e ci rinchiudono ancor più nel nostro guscio, la vergogna di esser giudicati,  le cotte e gli errori, la vergogna di esser noi stessi, anche se in realtà non abbiamo mai fatto nulla di male.

Sono traumi che in prima persona ho sperimentato e per questo ci tenevo a mostrare, sebbene attraverso una sottotrama, e che mostrerò ancora, coi capitoli successivi, sempre tramite il rapporto Eve-James.

Anche la storia di Emma Marlow si ricollega a questi concetti - una storia a cui sono affezionatissima. Ricordate? Emma da adolescente si vergognava tantissimo di sé stessa, al punto da non voler parlare con nessuno, da scappare via quando Jesse provò a intrattenere una chiacchierata con lei, per quello che a noi sembra un motivo stupido "avere i genitori più anziani dei genitori degli altri compagni di classe" ma che, come saprete, per un adolescente (specie tredicenne) sono problemi ENORMI.

Le prese in giro, la paura di venir ghettizzati, il terrore di esser giudicati, il bullismo... sono tutte cose che da ragazzini ci ossessionano in maniera spaventosa perché, proprio come direbbe Jesse, preda degli ormoni e incapaci di vedere in modo razionale la questione, di darle la dimensione giusta.

E non è sbagliato, per niente, perché dimostra solo quello che siamo: adolescenti. Semplici adolescenti.

Il periodo più intenso e difficoltoso della vita, a mio parere.

6) L'amicizia tra Callisto ed Eve, un'amicizia che, sul serio, le invidio UN SACCO. Ste due mi commuovono sempre, le adoro: l'una ha trovato la forza nell'altra, sono state entrambe il sostegno necessario per poter andare avanti e assumere un nuovo atteggiamento con sé stesse. Le adoro.

Infine: il bigliettino di Ruben.

Vi siete commossi, eh?

Vi ricordate? Nel capitolo "Armadio" (dove si pippolano per la prima volta - non per i templi d'Atena), Callisto rivelò a Ruben che adorava quando le coppiette alle elementari si formavano grazie quei bigliettini, li trovava super romantici.

Il nostro tsunderino preferito - ovviamente - se n'è ricordato, e ha deciso di rinunciare al suo orgoglio da maschio alfa bad boy per renderla felice.

E sì, l'ha fatto anche perché c'aveva fretta di potersi dichiarare ufficialmente il suo ragazzo, così da mettere ancor più un muro divisorio tra lei e i possibili pretendenti.

Non potete neanche immaginare quanto si sia STUPRATO per costringersi a scrivere quel bigliettino sdolcinato, ma la voglia di far felice Callisto ha predominato.

E anche perché ha letto tutte le cose stucchevoli scritte in quella lettera che ha poi strappato. Una sorta di orgoglio da maschio alfa: non poteva perdere contro quella lettera, per nessuna ragione al mondo.

Per farvi capire, ecco alcuni estratti della lettera criminale:

"Penso che una ragazza come te sia da SPOSARE, solo per il tuo coraggio meriti di essere amata da tutti!"

"Mi piacerebbe conoscerti di persona perché sento che saremmo molto in sintonia"

"Sei davvero affascinante, hai una bellezza unica che incanta chiunque ti guardi, fino a fargli girare la testa"

E tante altre cose super smielate e romantiche. Potete quindi immaginare quanto Ruben si sia sentito in competizione con tizi* che ha scritto la lettera. Doveva dimostrare a sé stesso in tutti i modi di essere MIGLIORE di lui, anche a costo di sacrificare il suo orgoglio tsunderino.

E sapeva che davanti a un bigliettino del genere, in richiamo al suo desiderio infantile, Callisto si sarebbe sciolta come un cioccolatino sotto il sole.

Come direi io e una certa bad boy a noi nota con la 🥔: doveva far vedere che ce l'aveva più grosso di tutti.

Ma questo Callisto non lo saprà mai, saprà solo la parte romantica.

Ora possiamo dirlo tutti insieme, muffins:

RUBEN E CALLISTO SONO UFFICIALMENTE UNA COPPIA.

Vi ricordo anche che adesso il nostro bad boy (tsundere) sta letteralmente vivendo l'INCUBO PIÙ GRANDE DI QUALSIASI BAD BOY:

La sua amata Hope Summer Verginy che diventa una vera e propria STAR e per questo ora tutto il mondo e tantissimi sconosciuti/e si stanno innamorando di lei.

Vi immaginate uno come Hardin come avrebbe reagito al suo posto? Come minimo l'avrebbe rinchiusa in una cella.

A riprova del fatto che Ruben è sì bad boy (tsundere) ma non tossico.

Detto questo, ho finito!

Un bacio, muffins, fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, mi raccomando! 

(Quando smetterete di ridere per i miei traumi da libri trash, ovviamente)

P.S.

Vi piace la nuova copertina? Come grafica faccio cagare, è già tanto che sappia la differenza tra rosa e rosso, ma devo dire che, anche se non un capolavoro, sono soddisfatta.

La ritengo molto più adatta alla storia, rispetto alla precedente (che non c'entrava 'na ciofola) perché è un indizio sulla fondamenta su cui si basa gran parte della vita di Callisto:

Crystal Ballerina.

È proprio per questo cartone animato per bambini che Callisto ha iniziato la sua "carriera" da bugiarda, ascoltando la sigla. Capendo che sorridendo, avrebbe facilmente nascosto il suo segreto al mondo e, soprattutto, suo fratello (il secondo motivo era, mi pare ovvio, che sapeva che se avesse pianto e Jesse l'avesse vista, ne avrebbe sofferto immensamente, non solo per celare il segreto)

Suona strano da dire, e ora mi prenderete per pazza più di quanto già non lo pensiate:

La verità è che ho anche tutta la storia di Crystal Ballerina.

Sì, muffins, l'ho scritta TUTTA, tutta la cazzo di trama e storia di Crystal Ballerina.

La storia di un cartone animato citato in un'altra storia, che ricopre sì la sua importanza, ma non così fondamentale da dover esser rivelato nella sua interezza.

Però oh, mi so divertita un mondo a farlo, e poi volevo conoscere più cose possibili su Callisto, quindi sì, conoscere a fondo Crystal Ballerina era fondamentale.

Al momento, la storia di Crystal Ballerina è celata nei meandri del mio Drive, in attesa di essere rivelata, ma non so se questo accadrà mai, per varie ragioni.

La prima di tutte, che È FOTTUTAMENTE TRAGICA.

No, dico davvero, c'ha 'na storia dietro che m'ha portato alle lacrime solo scrivendo la fottuta trama.

Sul serio, ho qualche problema, davvero, me ne rendo conto da sola.

Però ha anche momenti divertenti e comici, sia chiaro.

Solo che sì, È FOTTUTAMENTE TRAGICA.

Sul serio, che cazzo di problemi ho a fare soffrire pure la protagonista di un cartone animato immaginario che viene SOLO citato in un libro SEMPRE immaginario?

Però se ci riflettiamo, anche noi da bambini abbiamo sofferto per colpa degli anime: pensate solo a Sailor Moon, l'attimo in cui tutte le Sailor schiattano bellamente e c'è pure la scena commovente delle due amanti (che la Mediaset voleva spacciarci per migliori amiche/cugine BRRRRR) che in fin di vita tentano di stringersi un'ultima volta la mano.

O Lady Oscar, durante la presa della bastiglia o alla morte di André (anche se confesso che lui mi stava sul cazzo da bambina, poi quando ho letto il manga mi stava ancora più sul cazzo. È tossico DA MORIRE, muffins, lo giuro)

Per non parlare di Candy Candy, che oltre a venire abusata da chiunque incontrasse, appena uno voleva pippolarsela, automaticamente schiattava/veniva costretto a soffrire per badare a una ragazza divenuta disabile che non amava.

O Remì, a cui schiatta prima il vecchio signore che si prendeva cura di lui, poi tutti gli animali con cui viaggiava...

E vogliamo parlare di Pollyanna???

Sì, insomma, forse un po' mi spiego come sono uscita così.

C'è da domandarsi come non abbia bevuto quel cocktail speziato già da bambina.

Voglio credere che sia colpa loro, assolutamente. Lasciatemi illudere.

Ma in effetti, ci saremmo dovuti arrivare subito alla tragicità di questo cartone. Siamo sinceri, un cartone che nella sigla ha la frase "Il vero potere è far sbocciare il sorriso con una lacrima" di certo non può portare con sé unicamente gioie.
Anzi.

La seconda è che Crystal Ballerina serve solo e soltanto per il suo motto, nient'altro, quindi non avrebbe senso trasporre tutta la sua storia.

Magari a libro concluso, sì, dopo l'epilogo, potrei mettervela, tipo capitolo extra.

Perché non vi faccio mai soffrire abbastanza.

Al di là di tutto, Crystal è stata importantissima per Callisto. Il motivo per cui decisi di crearla era sia perché mi commuoveva la sua storia, ma anche per fare comprendere meglio la tragicità del segreto di Callisto:

Una bambina che, per diventare matura, si appiglia all'unica cosa che conosce: un cartone animato. Dimostrando così di essere ancora una bambina, ma riuscendo al contempo a crescere (soffrendo) proprio per questo.

Mi ricorda molto una certa J.K... (chi ha letto Moonlight lullaby SA)

Ah! Spero che l'abbiate notato anche voi: sebbene Callisto sia tuttora una fan di Crystal, adesso, da quando Jesse ha pubblicato quel video, la cita molto di meno. Non è un caso, muffins, non è affatto un caso.

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