La più pericolosa di tutti
Tornammo a casa di Eve la sera di quello stesso giorno, alle undici inoltrate, dopo aver passato quasi tredici ore alla centrale di polizia. Dentro di me, mi sentivo come svuotata. Mai avrei creduto che sarei stata capace di parlare a degli agenti veri e propri delle mie punizioni, mai avrei creduto che mi sarei messa a discutere su tutti i minimi particolari delle sevizie che avevo iniziato a subire da quando avevo sette anni. Era stato doloroso, estremamente, violentemente doloroso. Avevo pianto ancora, e ancora, e ancora, non ero più riuscita a frenarmi, una volta che avevo iniziato a narrare ogni vicenda.
La mano di Kevin sulla mia spalla, però, mi aveva confortata per tutto il tempo. Mi era sembrato di avere un vero e proprio scudo al mio fianco, uno scudo che mi era stato lasciato da mio fratello e che per questo sapevo essere indistruttibile.
Come Kevin aveva sperato, i giornalisti non erano ancora arrivati quando eravamo arrivati là, ma altrettanto non avevamo potuto dire quando ne eravamo dovuti uscire. A quel punto, gli agenti erano stati costretti a darci un veicolo di copertura con cui andarcene via dalla centrale senza farci inseguire da quella mandria di persone con i microfoni e i registratori in mano, le videocamere già pronte.
Li avevo visti attraverso il finestrino scuro della macchina, lontani da noi, mentre assalivano un poliziotto che era stato incaricato a rispondere alle domande. Sembravano un unico, gigantesco masso di esseri umani che si accalcava tutto sulla facciata d'ingresso della centrale di polizia. Quasi mi spaventavano.
«Avvoltoi» aveva commentato Kevin, seduto accanto a me. «Ma se sfruttati bene, possono esserci molto, molto utili. È a questo che serviamo noi avvocati.»
Quando ritornammo a casa di Eve, lei corse subito ad aprirci la porta. Mi saltò addosso in un abbraccio stritolatore che mi fece venir voglia di piangere ancora, ma per la felicità, stavolta.
«Cristo, Callisto» mormorò, «stavo iniziando a preoccuparmi.» Si fermò, guardò il mio viso, e i suoi occhi si sbarrarono. «Ci sono brutte novità?»
Kevin mi posò una mano sul capo. «È meglio parlarne dentro» disse alla fine. Non sorrideva come al solito, e questo fu sufficiente per far comprendere tutto.
In casa Macks adesso c'erano solo Eve, Ruben e Cindy. Quest'ultima mi fece di nuovo sedere sul divano di pietra del soggiorno, accanto a Ruben, mentre Eve, già nel suo pigiama, restò in piedi di fronte a noi, la schiena posata contro il muro, accanto alla finestra, e Kevin si mise sulla poltrona lì accanto, in pelle bianca.
La mamma di Eve portò a tutti del tè, prima di mettersi a sua volta a sedere, alla mia sinistra.
«Quindi?» Ruben fu il primo a parlare.
Serrai la mascella, la tazza tra le mie dita. Esitai per qualche istante, prima di rivelare la verità che più mi spaventava da quando ero uscita dalla centrale di polizia: «Mamma è scappata.»
Ci furono almeno cinque secondi di silenzio.
«Che cosa?!»
L'urlo di Eve e Cindy fu così forte e acuto da farmi sanguinare i timpani. Accanto a me, sentii tutto il corpo di Ruben irrigidirsi.
«È proprio così» confermò Kevin con un sospiro, sistemandosi gli occhiali sul naso. «La polizia ha mandato una pattuglia all'appartamento della famiglia Murray tre ore prima che noi ci presentassimo in centrale e lì hanno trovato solo Carl Murray.»
Il volto di Eve tramutò in una maschera d'ira. «Lurida figlia di puttana» sibilò a denti stretti.
«Come ha fatto a scappare?» chiese Cindy, l'espressione a metà tra l'orrore e il disgusto.
Kevin scosse la testa. «Non lo sanno ancora. Sospettano che il marito l'abbia aiutata. Ma Carl Murray, non appena la polizia si è presentata a casa sua, ha rivendicato subito il diritto di chiamare il suo avvocato.»
«Schifoso bastardo» sputò la mia amica.
Al mio fianco, Ruben era così rigido che in confronto il divano su cui eravamo seduti sembrava una nuvola. Lo osservai in silenzio, aveva la mascella contratta, le braccia incrociate al petto, e negli occhi un'ira che mai - mai - mi era capitato di vedergli, neanche quando era intervenuto alla clinica e aveva strozzato papà. Una vena gli pulsava sul collo robusto.
Vederlo così, in qualche modo, allentò la morsa di paura che mi stava strizzando lo stomaco.
«Non hanno proprio idea di dove possa essersi nascosta?» udii Cindy domandare.
«Hanno messo posti di blocco per tutta la città e le sue uscite, non appena hanno scoperto la fuga» rispose freddo Kevin, «e fra poco — o forse lo hanno già fatto, proprio adesso — dirameranno un mandato di arresto nei suoi confronti. La notizia finirà ovunque. E con il video di Jesse tutti i cittadini di Littburg, persino i neonati, da stamattina sanno il suo aspetto e chi è. Appena qualcuno la avvisterà, sicuramente la segnalerà alla polizia. Difficilmente riuscirà a uscire dalla città.»
Inspirai con forza. «Mi ha mandato un messaggio, poche ore dopo che il video è uscito.»
Cindy posò una mano sulla mia schiena, la carezzò dolcemente, proprio come una mamma, e quel tocco gentile mi fece sospirare di sollievo. «Mi ha scritto: Questa ce la pagherai cara.»
Sentii Ruben inspirare con furia dal naso, gli occhi di Eve esplosero dalla collera. «Quella schifosa bestia ha osato scriverti una cosa del genere?!» strillò con voce acuta. «Ti ha praticamente minacciata! Come osa!»
«Sì» confermò Kevin. «Ed è per questo che tre agenti sotto copertura ci hanno seguito.» La mia amica e Cindy lo guardarono sorpreso. «Considerando la situazione e l'indole violenta di quei due folli, le possibilità che punti a Callisto per vendicarsi del "torto" subìto sono elevate. La polizia ha voluto garantirle una protezione, almeno fino a quando sua madre non verrà presa.»
«Tre agenti?» Eve si avvicinò alla finestra alla parete, guardò fuori. «Ma non vedo nessuno in strada.»
Kevin abbozzò un sorriso. «Beh, è proprio quello il punto. Se li vedessi, allora non saprebbero fare il loro lavoro.»
«Quei due vermi non sanno che Callisto è qui» fece notare Cindy. «Non conoscevano nemmeno Eve, prima di incontrarla alla clinica. È impossibile che conoscano l'indirizzo di casa nostra.»
«Lo so, ma la protezione non è mai troppa, così ha detto la polizia» risposi. «Si è proposta di farmi stare in una stanza d'hotel per i prossimi giorni, in realtà, pagata da loro, ma-»
«Assolutamente no! Mi rifiuto!» m'interruppe Eve con voce stridula. «Hai bisogno di qualcuno che conosci al tuo fianco! Qualcuno che ti supporti! Startene da sola in una stanza d'albergo, circondata unicamente da agenti della polizia, ti proteggerebbe, sì, ma terrorizzerebbe anche.»
Sentii un'altra ventata di sollievo riscaldarmi il corpo accaldato dal panico e la paura. Una parte di me aveva avuto il timore che Cindy ed Eve, davanti a quel rischio, non si sentissero più pronte di farmi stare in casa loro. Ero così grata, in quel momento, che nuove lacrime andarono a formarsi nei miei occhi e a cadermi in viso.
«Oh cielo, cara.» Cindy si infilò una mano nella tasca dei suoi jeans e ne tirò fuori un fazzoletto azzurro di stoffa, iniziò a tamponarlo sulla mia faccia. «Non ti preoccupare, Callisto, qui sei al sicuro. Puoi rimanere quanto vuoi, tesoro.»
Avrei solo voluto abbracciarla, in quel momento, ringraziarla con tutto il cuore. In fondo, per lei ero solo una sconosciuta. Un'amica di Eve, sì, ma prima di tre giorni fa non mi aveva mai visto né mi aveva mai parlato. Eppure, non le interessava.
Una morsa stretta mi avvitò lo stomaco, ancora una volta.
«C'è un posto dove può essersi nascosta» udii dire da Ruben all'improvviso, con una voce così fredda da provocarmi migliaia brividi in tutto il corpo. «Un posto dove, anche se la riconoscessero, non la segnalerebbero mai alla polizia.»
Sussultai, e così fece Eve.
«Il Dump.»
Tutta l'aria che avevo nei polmoni fuggì via, lasciandomi senza fiato, un silenzio pesante avvolse il soggiorno, andando a recidere i cuori di tutti noi.
«Sì» soffiò Kevin, massaggiandosi una tempia. «Anche la polizia l'ha pensato. Ma, come sai, pure lei ha difficoltà a intervenire in quel quartiere.»
Ruben rise. Una risata crudele, empia, sottilissima. Lui meglio di tutti conosceva quella situazione, in fondo.
«Ma...» mormorò Eve. «Il Dump... non è un posto molto chiuso? Da quel che sapevo, gli abitanti difficilmente accolgono persone esterne. È pericoloso per chi non ci vive nascondersi là dentro.»
Kevin aprì la bocca per parlare, ma Ruben lo interruppe: «Sì, è molto, molto pericoloso. Ma esiste un modo per farti, se non accogliere, almeno nascondere da quelli del posto o evitare che ti pestino a sangue o facciano di peggio.» La sua mascella vibrava così tanto dalla furia che quasi temetti fosse sul punto di dislocarsela. «Soldi.»
Cindy sobbalzò.
«Quelli del Dump se ne sbattono il cazzo di ciò che una tipa del genere ha fatto alla propria figlia» continuò Ruben. «In fondo, tre quarti di loro fanno le stesse cose, se non addirittura peggiori. Non c'è possibilità che nei loro cuori improvvisamente nasca uno spirito di giustizia e solidarietà nei confronti di Callisto.»
Sentirlo parlare in quel modo del luogo in cui era nato e aveva vissuto per anni, mi fece comprendere per l'ennesima volta com'era stata la sua vita prima di allora. Narrava quella situazione così disumana come se fosse la normalità più assoluta, come se stesse dicendo le previsioni del meteo per i giorni successivi.
«Tuttavia» intervenne Cindy, «dubito che per comprarli basterebbero qualche centinaia di dollari, come-»
«Mamma e papà hanno sempre avuto un sacco di soldi» la fermai, «veramente, veramente tanti. Non ho mai visto come li gestivano in privato, ma, conoscendoli, la possibilità che avessero molti, molti contanti da parte in caso di emergenza, nascosti chissà dove, è molto elevata.»
Un altro silenzio teso calò nella sala, spezzato dopo qualche minuto da Kevin, lo sguardo rivolto a Ruben: «Non lo fare, ragazzo.»
Sussultai sorpresa, mi voltai a guardarli. Ruben era fuori di sé dalla rabbia, era evidente. Anche se addosso vestiva sempre il suo solito sguardo crucciato, anche se era rimasto fermo sul posto, senza muovere un dito, le narici fremevano, la mandibola tremava per quanto la stava stringendo, pura ira infernale andava a scavargli gli occhi.
«La vendetta personale non porta a nulla di buono» continuò Kevin, la voce serena, ma un'espressione dura in viso. «So che conosci quel posto come le tue tasche, Jesse mi ha parlato di te, ma andarla a cercare è una pessima idea.»
Schiusi le labbra, sorpresa. Quasi mi spaventava il modo in cui Kevin era stato in grado di leggergli la mente, quando neanche io c'ero riuscita. Davanti alle sue parole, il corpo di Ruben si indurì ancora di più.
Eve schioccò la lingua. Dai suoi occhi, appariva evidente che in parte era d'accordo con Ruben.
«Devi anche prendere in considerazione la possibilità che si sia fatta nascondere non da una semplice persona, ma da un vero e proprio gruppo di criminali. Gang, bande... Come avresti intenzione di affrontarli da solo? Sarai pure forte, questo mi risulta evidente a occhio nudo, ma non sei certo il nuovo Liam Neeson in Taken.ۥ»
Deglutii a fatica e così fece Ruben, le sopracciglia contratte sopra gli occhi.
«Inoltre, sono piuttosto sicuro che il carcere non sia un posto così romantico per avere i vostri futuri appuntamenti» proseguì Kevin.
Lui strinse con più forza le braccia serrate al petto, il viso sempre più contratto.
«Ma...» mormorò Cindy a quel punto, «da quel che ho capito, Jennifer Murray non è un tipo che frequentava posti del genere, tutt'altro. Come avrebbe fatto a incontrare-»
«Conoscendo il Dump» rispose Ruben, chiudendo gli occhi per qualche secondo, la voce glaciale, «le probabilità che sia stato proprio qualche gruppo criminale di quel posto ad avvicinarla, non appena l'ha vista entrare nel quartiere, e offrirle riparo in cambio di soldi, sono molto elevate. Non sarebbe la prima volta che succede una cosa del genere.»
Strinsi con più forza la tazza di tè tra le mani, ora completamente raffreddatosi.
«Cristo.» Eve si passò una mano sul volto sbigottito. «Quindi siete sicuri che si trovi lì?»
«Non sicuri al 100%» rispose Kevin, «ma sì, è molto probabile. In fondo, se fosse uscita dalla città, ci sarebbero stati subito dei riscontri o qualche segnalazione, anche se avesse camuffato il suo aspetto.»
Se un tempo mi avessero detto che mamma — quella donna che amava con tutto il cuore vestirsi elegante e sfarzosa per farsi invidiare dalle sue amiche, che frequentava solo posti come lo yatch o il golf club, che non indossava mai lo stesso abito tre volte, perché non voleva esser considerata povera e "stracciona" — avrebbe finito per chiedere aiuto e riparo al quartiere più malfamato e criminale della città, quello che veniva considerato letteralmente "spazzatura" dal resto della popolazione e uno dei luoghi più pericolosi della California, mai ci avrei creduto.
«Non c'è alcuna possibilità che qualcuno di quel posto si faccia avanti e la segnali alla polizia?» domandò Cindy, e subito Ruben scosse la testa.
«Farlo — soprattutto se, come ipotizziamo, è protetta da qualche gruppo criminale — equivarrebbe a una vera e propria sentenza di morte per chi la segnala, a meno che anche lui o lei non abbia a sua volta le spalle coperte. Ma chi ce le ha non farebbe mai una cosa del genere. Come ho già detto, gli abitanti del Dump mancano totalmente di spirito di solidarietà.»
Cindy inspirò a fondo, spaventata, il volto di Eve impallidì visibilmente, mentre Kevin tornava a massaggiarsi la fronte.
«La polizia vuole procedere garantendo una massima sicurezza a Callisto» disse alla fine il mio avvocato, «e proseguendo con le indagini. Hanno messo sotto controllo anche il suo cellulare, ma dubito che Jennifer Murray proverà a ricontattarla. Per quanto sia carente di intelletto e umanità, non è ancora così stupida.»
Annuii, la tazza che ancora tremava.
«Per il momento» proseguì lui, «è meglio che Callisto rimanga qui per i prossimi giorni. Non può certo tornare a scuola e ai dormitori. La Greenhawk Academy al momento è assalita dai giornalisti. Ogni volta che dovrà uscire di casa, dovrà esser scortata da degli agenti e, ovviamente, da me.»
«Non può rimanere qui, senza più uscire, fino a quando la situazione non si sarà fatta più tranquilla?» domandò Cindy.
«Sì, potrebbe. C'è solo un problema.» Kevin posò lo sguardo su di me. Sapevo già cosa stava per dire, ne avevamo discusso prima in macchina, ma comunque fu sufficiente per farmi sanguinare il cuore. «Jesse.»
Tutti nella sala sussultarono.
«Ai dati effettivi, vista la posizione attuale di Carl e Jennifer Murray, Callisto è l'ultima parente di Jesse che da un punto di vista legislativo può concludere alcuni dei protocolli obbligatori successivi alla morte del defunto.» Ruben serrò le labbra. «Le mie prestazioni come rappresentante legale dei fratelli Murray possono arrivare solo fino a un certo punto, non essendo un parente stretto. Il ritiro dei suoi effetti personali, che la clinica in cui si trovava obbliga a fare fisicamente, ad esempio, e poi...» Si fermò per qualche istante. «Il funerale.»
Mi parve che la mia saliva fosse diventata carta vetrata. Chiusi gli occhi per qualche secondo.
«Ho cercato di rimandare la data il più possibile, ma ovviamente non posso richiederlo per il mese prossimo. Se anche fosse permesso, non lo troverei corretto nei confronti di Jesse, e sono sicuro che nemmeno Callisto approverebbe. Significherebbe farlo stare rinchiuso in obitorio per tutto quel tempo. Il giorno più lontano che sono riuscito ad ottenere è fra sette giorni.»
La sola immagine del cadavere di mio fratello completamente nudo, avvolto solo da una coperta bianca, e rinchiuso per settimane e settimane intere dentro una cella frigorifera, bastò per farmi salire il vomito. Lo ricacciai giù nello stomaco con furia, mentre gli occhi riprendevano a bruciarmi.
La mano di Ruben mi si posò sulla spalla, mi accorsi di aver cominciato a tremare.
«Per il momento, nessuno a parte noi sa la data del funerale. Sto prendendo in considerazione la possibilità di renderlo privato, di modo che il mondo esterno non ne venga a conoscenza. Quello che mi preoccupa sono i giornalisti.» Sospirò esausto. «Hanno una capacità di carpire fuori le informazioni che è quasi invidiabile.»
«Jesse...» bisbigliai. «Jesse come avrebbe voluto che fosse il suo funerale?»
Kevin abbozzò un sorriso. «Aveva già sistemato tutto, quando mi ha lasciato le redini della situazione. Chiesa, fiori, bara, lapide... era già tutto pronto. Mi aveva dato anche una lista di persone da informare sulla data, persone di cui si fidava. Ma, come puoi già intuire, la cosa che più desiderava era che tu fossi presente. Sono certo che non ci rimarrebbe male se rendessimo il funerale privato, a discapito del suo egocentrismo. Quello che lo ferirebbe senz'altro è che tu non possa esserci.»
Respirai a fondo. «Gliel'ho promesso» dissi sicura. «Gli ho promesso che gli sarei stata accanto fino alla fine, fino a quando non fosse stato sottoterra.»
Kevin annuì ancora, la presa della mano di Ruben si fece più forte, mentre Eve piangeva in silenzio e Cindy continuava a carezzarmi la schiena.
«Troverò una soluzione» disse alla fine. «E chiederò alla polizia di aumentare la tua sicurezza, specie quando saremo fuori. Devo anche parlare con il viceprocuratore Hill. Forse riusciremo a render privato il funerale, ma non altrettanto il processo. Il "Caso Murray" ormai è diventato di fama mondiale, ha superato di gran lunga la fama della famiglia Turpin, di Gabby Petito e Chris Watts. Cristo, forse persino quella di Casey Anthony.» Chiuse per qualche secondo gli occhi. «Questo era senz'altro l'obiettivo di Jesse, ma dubito — nonostante i suoi super poteri di fratello — avesse previsto il fatto che sua madre riuscisse a scappare così velocemente.»
«Sono sorpresa anche io» ammisi con voce gracchiante. «Mamma è più il tipo che, davanti a cose del genere, dichiarerebbe che quel video è tutto un fotomontaggio e che io ho manipolato Jesse, sfruttando la sua mente indebolita dalla malattia, per fargli dire quelle cose. Scappare via sarebbe come ammettere di essere colpevole, ed è una cosa che mai accetterebbe. Jesse deve aver pensato la stessa cosa.»
«La gente disperata spesso dimentica i propri principi, sempre che possano essere definiti così» commentò Ruben, ed Eve annuì. «E quando li dimentica, diventa molto, molto pericolosa. Considerando quanto quella cagna già lo fosse di suo, prima ancora che perdesse il lume della ragione, è meglio stare in guardia.»
«Viscida bestia» sibilò ancora Eve, il volto contratto dalla rabbia. «Devo subito chiedere a papà il codice di sblocco per quel fucile.»
«Quali saranno i capi d'accusa?» chiese Cindy.
«Dovrò sentire il viceprocuratore, prima che possano essere effettivamente stabiliti» rispose Kevin. «Ma sono tanti, tantissimi. Il più importante tra tutti, almeno secondo il mio modesto parere, poiché garantirebbe la massima pena per quei due, è senz'altro il tentato omicidio.»
Eve aggrottò la fronte, confusa. Io mi irrigidii di nuovo. Anche quella era una cosa di cui avevamo parlato, sia durante la denuncia che in macchina, ma risentirla fu comunque doloroso. «Tentato omicidio?» domandò la mia amica.
«La torta alle nocciole» disse freddo Kevin. Deglutii rumorosamente. «Se avessero sbagliato anche solo di poco i calcoli, se avessero aspettato a iniettare l'adrenalina a Callisto anche solo di un secondo di troppo, lei non sarebbe più qui. Lo shock anafilattico l'avrebbe uccisa.»
Di nuovo, udii Ruben inspirare con furia. La sua mano risalì dalla spalla al mio volto, lo contornò col suo palmo.
La prima volta che Kevin me l'aveva detto, mi ero sentita particolarmente stupida, perché in tutti quegli anni mai avevo riflettuto su ciò. La sicurezza con cui mamma e papà mi punivano ogni volta, con la certezza di volermi solo far soffrire, non uccidere, mi aveva sempre impedito di pensare a quella conseguenza.
Mi ero avvicinata alla morte così tante volte, l'avevo sfiorata con un dito, e mai me ne ero accorta.
Il viso di Eve era più pallido di un lenzuolo, Cindy aveva iniziato a piangere con rabbia.
«Come diavolo è possibile» disse alla fine quest'ultima, «che da due mostri del genere siano usciti fuori bambini così buoni come Jesse e Callisto?»
Era almeno la decima volta che qualcuno si poneva quella domanda davanti a me, se non fosse stato per il contesto tragico di quella discussione, quasi mi sarebbe venuto da ridere.
«Ti giuro che non me lo spiego neanche io» confermò Kevin. «Sarà dovuto ai tanti misteri ancora irrisolti della genetica.» Si allentò il nodo della cravatta, per poi passarsi una mano tra i capelli. «La discussione che abbiamo appena avuto, mi pare ovvio, dovrà rimanere tra di noi. Non potrete parlarne con nessuno.»
Tutti quanti annuirono.
«Cindy» la chiamò, «degli agenti verranno qui per parlare anche con te, spiegarti meglio la situazione e come comportarti.»
Lei assentì col capo.
«Bene» Kevin espirò stanco. «Direi che la conversazione, per oggi, può dirsi conclusa. Credo che tutti noi abbiamo bisogno di riposo, Callisto in particolar modo.»
Si risollevò dalla poltrona, e in quel momento, un pensiero mi attraversò la mente. «Kevin» lo chiamai.
«Sì?»
«Tra le persone che Jesse voleva al suo funerale, c'è per caso Emma Marlow?»
Lui strabuzzò appena gli occhi. «No, non che io ricordi.»
Inspirai. Lo avevo immaginato. In fondo, Jesse l'aveva incontrata solo una volta e per quanto quell'incontro fosse stato intenso, dubitavo avrebbe voluto farla scomodare da Nicewood solo per rivedere il suo cadavere.
«Emma è una donna di cui mi fido» dissi con sicurezza. «È una donna che è stata importante, molto importante, per Jesse. Vorrei che ci fosse.»
«Pensi che sia una persona capace di tenere per sé queste informazioni?»
Non esitai un istante, annuii.
Lui sospirò. «Va bene» disse allora. «Vuoi che ci pensi io?»
«No» risposi. «Lascia fare a me.»
*
«Oh, Callisto, bambina!»
La voce di Emma risuonò disperata dal telefono, mentre ero seduta sul bordo del letto della stanza degli ospiti. Era stata Cindy a insistere perché mi trasferissi lì, invece che passare di nuovo la notte in camera di Eve.
"La stanza degli ospiti è al terzo piano" aveva detto. "È impossibile da raggiungere da fuori, non ci arriveresti nemmeno se fossi Tom Cruise in Mission Impossible. Lo so che sono iperprotettiva, tesoro, ma preferisco che tu stia lì. Eve dormirà con me in camera mia e di mio marito, anche quella è molto protetta. Dubito possano accedere in casa nostra, visto gli agenti fuori, tutti gli allarmi di sicurezza e la porta d'ingresso blindata, ma da mamma non posso che prendere più precauzioni possibili. Per sicurezza, ti lascio anche una mazza da baseball da mettere sotto il cuscino. Tu dormi lì con il tuo ragazzo. In fondo, ho visto che muscoli ha, sarà un ottimo bodyguard." E poi mi aveva fatto l'occhiolino, con fare allusivo e un sorrisetto compiaciuto.
Non avevo saputo che rispondere, travolta sia dalla gratitudine che dall'imbarazzo più assoluto.
Ancora non sapevo spiegarmi come fosse possibile che al mondo esistessero persone buone come Cindy ed Emma. Davvero, stentavo a crederci. Eppure era così, e quelle persone, ora, mi stavano proteggendo.
«Quei due mostri!» strillò Emma dal telefono. «Non ci posso credere! Quando ho visto quel video, stavo per strapparmi i capelli dalla rabbia! Nick ha dovuto tappare le orecchie a Lizzie, tanti erano gli insulti e le bestemmie che mi stavano uscendo fuori dalla bocca senza che me ne accorgessi. E mentre lo faceva, bestemmiava pure lui!»
Era strano, visto l'argomento di cui stava parlando, ma quell'informazione mi fece ridere. «Callisto, bambina, sei una ragazza così coraggiosa!» continuò, la voce addolorata. «Tu e tuo fratello siete incredibili. Nessun altro al mondo sarebbe stato capace di far tanto. Siete un vero e proprio miracolo.»
Erano passati mesi dall'ultima volta che ci eravamo sentite e parlate, ma riascoltare la sua voce mi diede le stesse sensazioni che avevo provato al nostro primo incontro: calore, conforto, amore.
«Grazie, Emma.»
In sottofondo, udii Lizzie chiamare Nick con una risata, e lui gridare alla figlia: "Vieni qui, Rapunzel mora! Tu sei il mio nuovo sogno!" Ridacchiai.
«Non dirò niente a nessuno, te lo giuro su Lizzie, Callisto» dichiarò lei. «Nemmeno Nick lo saprà.»
«Sei sicura? Perché-»
«No, Callisto, una promessa è una promessa. Ti sono anzi eternamente grata per avermi informata lo stesso, nonostante la situazione.»
Serrai la mascella, un viluppo di lacrime andò a gonfiarmi la gola.
«Se avrai bisogno di qualcosa, non esitare a contattarmi» proseguì. «Anche solo per un po' di supporto morale. Sei al sicuro lì, vero?»
«Sì, grazie, Emma. Ho delle persone che mi proteggono.»
Lei sospirò sollevata. «Sospettavo che i vostri rapporti con i vostri genitori non fossero buoni» confessò alla fine. «Quando andava ancora a scuola, Jesse odiava parlare di loro, era evidente anche a me. Ma certo non avrei mai immaginato...» Si bloccò.
«Non lo immaginava neanche lui» sussurrai a fatica.
«Ti proporrei di venire a stare da noi, ma non credo che tu possa, visto le mille cose che devi fare tra la denuncia, il futuro processo, il funerale e tutto il resto.» Quel suggerimento, per quanto inutile, mi riempì il cuore di un calore così grande da farmi piangere di nuovo in silenzio. «Finito di vedere quel video, io e Nick stavamo per andare a comprare due revolver, ma mia suocera ce l'ha impedito, ha detto che non era disposta crescere Lizzie da sola mentre noi due eravamo in carcere.»
Risi ancora, in sottofondo, udii Nick urlare alla figlia: "Non vedo l'ora che cresci, mia dolce principessa, ti insegnerò a picchiare la gente in testa con una padella! Sarai Rapunzel in tutto e per tutto!"
«Sei stata brava, Callisto» disse poi, «sei stata la più brava, coraggiosa e intrepida sorella di tutto il mondo. Non dubitarne mai, neanche per un secondo.»
Le lacrime scivolarono ancora sul mio viso, ma le lasciai fare, fino a farle cadere sul tessuto morbido della camicia da notte invernale che Eve mi aveva prestato. Era lunghissima, mi arrivava alle caviglie, di lana calda, rosa confetto - "In onore della tua amata Crystal Ballerina" mi aveva detto con un sorriso.
«Spero solo che quei due bastardi che osano definirsi genitori facciano la fine che meritano.» La sua voce era carica d'odio ancestrale. «Tu cerca di stare attenta, mi raccomando, guardati sempre le spalle. E il ragazzo che ti sei portata con te al pub, il tuo accompagnatore, usalo come scudo.»
Scoppiai a ridere. Tra lei, Cindy ed Eve, stava diventando un'abitudine quella di sfruttare le capacità di Bad Boy di Ruben per il fine ultimo di farmi da giubbotto antiproiettile vivente.
«Sono felice di sentirti ridere» mormorò. «So quanto soffri ora che Jesse non c'è più, sapere però che, anche così, grazie al suo gesto, sei riuscita a ritrovare la serenità, mi tranquillizza tantissimo.» Un'altra stilla mi cadde dalle ciglia, battezzando il sorriso. «Adesso che ci rifletto, però, lui me l'aveva detto.»
Sollevai le sopracciglia, sorpresa. «Te l'aveva detto?»
«Sì.» Le sfuggì una risatina. «Aveva capito che ero preoccupata per te, per come saresti stata dopo la sua morte, e mi aveva detto: "Non ti preoccupare, Emma, troverò il modo di consolarla e farla sorridere sul serio anche dopo che sarò crepato in grande stile. Dammi qualche giorno e vedrai che sarà pure in grado di ridere e tornare a fare battute."»
Mi morsi il labbro inferiore, strizzai gli occhi con forza. Mi asciugai le guance bagnate con la manica gigante della camicia da notte.
«Aveva pure aggiunto: "Spero che subito dopo la mia morte si conceda almeno una seduta di sesso intenso con Mr Bad Boy per consolarsi. Ho il terrore che decida di fare un voto di castità per i successivi sei mesi, per paura di mancarmi di rispetto. Tutti quanti sanno che l'orgasmo è il rimedio più naturale ed efficace per il dolore di un lutto."»
Sentii il volto andarmi a fuoco. Se non fosse stato già morto, l'avrei ucciso io in quel momento. Soprattutto perché sapevo che la sua era sì una battuta, ma ci credeva davvero. Più di una volta, prima di morire, mi aveva suggerito la stessa cosa.
E l'aveva suggerito anche a Ruben.
Gli aveva pure messo di nascosto dei preservativi nello zaino.
Il che era assurdo, perché mai lo avevo informato sul fatto che il mio rapporto con Ruben era sfociato anche a livello sessuale, ma lui l'aveva intuito subito. Forse Kevin non si sbagliava, forse Jesse aveva davvero dei super poteri da fratello.
«Avevo proprio ragione» mormorò Emma, ancora in preda alle risate, «tu sei e sarai per sempre il più grande amore di Jesse Murray, Callisto.»
Inghiottii un'altra cascata di lacrime.
«Sì» bisbigliai.
«Dicono che l'amore più forte al mondo sia quello romantico, ma sai, credo che voi due, adesso, abbiate dimostrato a tutti quanti che anche quello fraterno può esserlo altrettanto.» Anche se non la vedevo, riuscivo comunque a immaginare il suo volto, il suo sorriso materno, quel calore tiepido che le scaldava gli occhi, il neo all'angolo dell'occhio. «Anime gemelle, sì, ma fratelli.»
*
Ero rimasta molto sorpresa quando Cindy aveva accettato di far restare Ruben in casa loro per i giorni successivi. In fondo, io ero sì amica di Eve, ma lui non altrettanto, o comunque, non così tanto come me.
Invece lei, al contrario, non solo aveva accettato, ma si godeva proprio lo spettacolo. Era palese - non ci provava neanche a nasconderlo - che adorava vedere le coppiette e osservarle come se avesse davanti un documentario sul rituale del corteggiamento. Evidentemente la figlia non solo aveva ereditato da lei la bellezza, ma anche il carattere e la passione folle per le storie d'amore. Il fatto poi che Ruben, durante i due giorni successivi alla morte di Jesse, in cui ero stata preda folle della disperazione, non si era mai separato da me per tutto il tempo e aveva passato le notti seduto per terra, davanti alla camera dove piangevo con Eve, praticamente l'aveva indotta a creare l'ennesimo fan club per lui.
Inoltre - e questa era stata la sua spiegazione più razionale e sensata, forse addirittura l'unica - aveva detto che la presenza di Ruben, con il suo fisico e la sua stazza, la tranquillizzava molto, più di quanto avrebbe fatto quella di suo marito, se fosse stato lì, perché: "Ahimè, la mia dolce metà ha sì il volto da Adone, ma anche il fisico da prima ballerina. Per questo si affida al fucile."
Aveva poi aggiunto che Eve le aveva parlato molto bene di Ruben, e lei si fidava di sua figlia a occhi chiusi. Quando poi Eve le aveva detto "Ruben sarebbe capace di ammazzare per Callisto", il suo lato da "fangirl romantica" (mai mi sarei riuscita a spiegare come una quarantenne conoscesse questo termine) era esploso in uno stato di totale adorazione.
E così, per questo motivo, incastrati entrambi senza volerlo nel folle piano congeniato dalle donne Macks, io e Ruben ci ritrovammo a dormire insieme nella stanza degli ospiti del terzo piano. Eve e Cindy sarebbero state invece in camera di quest'ultima e del marito, al primo. Eve, prima di andarsene con la madre, mi aveva sussurrato all'orecchio: «Tranquilla che non sentiremmo nulla, siamo troppo distanti.»
E io avevo avuto il desiderio folle di lanciarmi dalla finestra, soprattutto perché Cindy, dietro di lei, mi aveva fatto di nuovo l'occhiolino.
Iniziavo a sospettare che il mio destino più grande, oltre quello di essere la sorella di Jesse Murray, fosse anche quello di farmi circondare, senza volerlo, da persone pervertite quanto mio fratello.
La camera era molto sterile rispetto a quella di Eve: un letto matrimoniale al centro, dal piumone bianco e un paio di cuscini soffici dello stesso colore, il pavimento in parquet lucido, pareti grige con pochissimi quadri di natura morta, una finestrella sul muro alla sinistra del materasso e una scrivania davanti, piccola e sgombra di qualsiasi oggetto.
Ero sdraiata sul letto con Ruben, io a sinistra e lui a destra, la testa sul cuscino, mentre lui aveva la schiena posata sulla testata del letto, le braccia conserte al petto, il viso rivolto davanti a sé. Indossava una maglia di tutti i giorni, grigia e dalle maniche lunghe, e un paio di pantaloni neri che non avevo idea da dove avesse tirato fuori.
Nell'osservarlo, capii che era ancora adirato. Il suo corpo era rigido come non mai, la mascella contratta.
«Sei preoccupato?» gli chiesi alla fine.
Lui chiuse gli occhi. «Avrei dovuto sgozzare entrambi quel giorno, alla clinica» fu la sua risposta, e per quanto quella potesse apparire come la classica frase da Bad Boy, c'era pura sincerità nella sua voce.
«Non mi sarebbe piaciuto andarti a trovare in carcere, però» commentai.
«Non c'è omicidio se non ci sono corpi» fu la sua risposta, e benché sapessi fosse serio, non poté che sfuggirmi un risolino, lui mi diede un colpo alla testa.
«Perché pensi che tuo padre abbia protetto tua madre?» mi domandò all'improvviso. «Non mi sembrano i tipi alla Romeo e Giulietta.»
Esitai. «Non lo so, sinceramente» ammisi alla fine. «Il loro concetto d'amore è sempre stato molto distorto, non l'ho mai compreso appieno. Credo che si vogliano bene, ma non nel modo romantico che intendiamo noi. Si amano perché l'uno dà all'altra e viceversa la ricchezza e la fama che ritengono di meritare. Come ha detto Jesse nel video, perché si considerano perfetti.» Aggrottai la fronte. «Ho una mia teoria, non so quanto sia giusta, però: loro non ne parlavano mai, ma sono sicura che quando la mamma rimase incinta di me, papà richiese un test di paternità. In fondo, restare incinta con la vasectomia è ritenuto quasi impossibile.» Inspirai. «Forse... nella sua testa folle, farla scappare e sacrificarsi è un modo per farsi perdonare per aver dubitato della sua fedeltà.»
I suoi muscoli si irrigidirono ancora di più.
Ripensai a quello che aveva detto durante la nostra conversazione in soggiorno, in merito al Dump, e un dubbio mi assalì. «Cosa farai con Anna?» Lui rialzò le palpebre e mi guardò, un sopracciglio appena sollevato. «Se stai con me, non potrai andare a-»
«Ti stai sul serio preoccupando per la mia situazione, ora?» Il suo tono era sia furibondo che sbigottito. Lo fissai confusa, lui sospirò. «Non ti preoccupare per Anna. Te l'ho detto, lei non ha mai avuto il primo posto per me.» Ci fu un minuto di silenzio, richiuse gli occhi. «E comunque, da un po' di tempo ho iniziato a pensare di lasciar perdere.»
Quella notizia mi stupì. «Perché?»
«Anche quando riesco davvero a prendere a calci in culo Rick e sbatterlo fuori, appena me ne vado lui torna a bussare alla sua porta e lei lo riaccoglie in casa.» La voce era fredda, dura. «D'altro canto, anche se lo allontanassi per sempre, dubito che Anna riuscirebbe a disintossicarsi, o meglio, che lo vorrebbe. Andrebbe sicuramente da qualcun altro a cercare quella merda. Sono arrivato alla conclusione che tutto quello che ho fatto fino ad ora è stato inutile.» Aggrottò le sopracciglia. «Certe volte mi domando se anche io sono stupido.»
Non sembrava rattristato da quella considerazione, e nemmeno particolarmente ferito. Ma d'altronde, lui non era il tipo che mostrava le sue emozioni, era già raro che si confidasse così in quel modo.
Il ricordo di quel giorno in camera mia, il nostro primo bacio, riaffiorò insieme alle parole che mi aveva detto in merito alla situazione di Anna.
Voglio solo essere sicuro di essere il primo a saperlo, se morisse.
Avvertii una fitta atroce nel petto. Mi domandai se anche lui la provasse. Forse, più che non sapere esprimere le proprie emozioni, Ruben non era proprio in grado di riconoscerle.
«Che tipo è... Anna?» domandai, dopo un attimo di esitazione.
«Non lo so.»
Non mi ero aspettata quella risposta.
«Io ed Anna, come ti ho già detto, non abbiamo chissà che rapporto.» Richiuse gli occhi, le ciglia folte a lasciargli schizzi di matita sul volto irrigidito. «Non ci parlavamo molto tra di noi prima ancora che Rick entrasse nella sua vita. Lei si è sempre limitata a darmi da mangiare e un tetto sopra la testa, nient'altro. Il massimo della protezione che mi ha dato, se così vogliamo chiamarla, è stato impedirmi di assistere al suo lavoro. Incontrava sempre i suoi clienti in una catapecchia a pochi metri da casa, di modo che non vedessi né sentissi niente, lo fa tuttora. Ovviamente, anche se ero bambino, non ho impiegato troppo a capire cosa facesse lì, ma non me ne sono mai preoccupato. Non è così strano, al Dump, avere una madre prostituta.»
Per l'ennesima volta, provai a figurarmi la vita di cui mi parlava e che tanto mi era sconosciuta. Faticavo davvero a riuscirci. A differenza mia, che seppur odiata dai miei genitori avevo sempre avuto Jesse al mio fianco, lui non aveva mai potuto contare su una vera e propria "famiglia", non aveva avuto qualcuno a cui affidarsi, forse solo Pop, che però era un tossico che gli raccontava balle in continuazione.
Eppure, anche se forse neanche lui stesso lo realizzava, ero sicura che provasse una forma di affetto per Anna, quella donna che considerava madre solo da un punto di vista biologico. In fondo, ogni notte si faceva pestare per cercare di salvarla da quello che era il suo aguzzino, nonostante fosse consapevole non servisse a niente.
Come Kevin aveva detto, le emozioni che scaturivano dai legami familiari non erano mai razionali, impedivano spesso l'uso della logica.
«Nelle rare occasioni in cui parlavate, su cosa lo facevate?» gli chiesi.
Si strinse ancora nelle spalle. «Principalmente le cose più banali: compra le sigarette, passami il telecomando, va' a buttare la spazzatura. Robe così. L'unica discussione che mai abbiamo avuto davvero, da che sono nato, è stata sulla scuola.»
«La scuola?»
«Volevo lasciare la scuola, appena potevo, per trovarmi un lavoro. In fondo, la scuola del Dump è proprio come il Dump stesso, non ti può offrire molte opportunità e di certo non ti può far uscire da lì. Un lavoro sarebbe stato senz'altro la scelta più giusta. Certo, anche quello non sarebbe stato chissà che lavoro, ma era comunque più utile di un diploma che non mi avrebbe portato da nessuna parte. Anna, però, si è rifiutata, me l'ha impedito. È stata l'unica volta in cui si è impuntata con me.»
Immaginai che per uno del Dump finire affidato a una famiglia che, pur di apparire importante, ma al tempo stesso non stargli dietro e badarci, lo faceva frequentare i dormitori della Greenhawk Academy fosse una sorta di miracolo, ma sapevo che non ne era contento.
«Forse voleva che tu avessi quella possibilità, seppur minuscola, di uscire dal Dump» suggerii. «Un'istruzione e un diploma possono sempre servire a qualcosa nel mondo esterno, per quanto quel diploma possa esser considerato carta straccia se proveniente da lì.»
«Chi lo sa» rispose neutro. «Non mi ha detto nulla in merito a ciò. Ha detto solo che non me l'avrebbe mai permesso.»
Non riuscivo a figurarmi Anna, nonostante ci provassi. L'incontro che avevo avuto con lei era stato davvero troppo veloce e improvviso perché potessi inquadrarla. Il fatto che si fosse assicurata di non farsi vedere da lui mentre lavorava e si fosse opposta così al suo desiderio di rinunciare agli studi mi induceva a credere che in parte gli volesse bene; allo stesso tempo, però, si trattava della stessa madre che ogni notte assisteva in silenzio alla scena del figlio che veniva pestato dal suo compagno.
O forse... era più complicato di così. In fondo, io stavo ragionando dal mio punto di vista, da ragazza cresciuta — in modo particolare rispetto agli altri, certo — nel mondo esterno, non da ragazza che era nata e vissuta nel Dump. Più volte lui me l'aveva ribadito: quel luogo era una società a sé stante, con le sue regole e divieti. La violenza era all'ordine del giorno, era considerata pura normalità.
«Pensi di volerle bene?» domandai alla fine.
«No, non credo» rispose all'istante, ma io ne dubitai molto. Sapevo che non stava mentendo, era semplicemente inconsapevole dei suoi sentimenti. «Come lei non ne vuole a me. È sempre stato così. Suppongo che voglia proteggerla per il semplice fatto che per tanti anni mi ha dato cibo e una casa in cui stare. Una cosa non così scontata, là.»
Aprii la bocca per ribattere, ma compresi subito che sarebbe servito a poco. In qualche modo, riuscivo a percepire la patina di isolamento e indifferenza emotiva con cui aveva rivestito il proprio corpo e, soprattutto, la propria anima. Una veste che indossava da chissà quanti anni, per sopravvivere in quel mondo.
«Avevi degli amici, al Dump?» gli chiesi.
«No» replicò, gli occhi ancora chiusi. «Conoscenti, semmai.»
«E che fine hanno fatto?»
«Non una bella fine, almeno la maggior parte di loro.» Il suo tono totalmente noncurante quasi mi spaventava. «Molti sono diventati criminali, altri semplici lavoratori, altri ancora si sono dati alla droga e allo spaccio e alcuni sono morti ammazzati o di overdose.»
Era evidente che, stavolta sul serio, non gli interessava nulla di loro. D'altro canto, avevo sempre saputo che non poteva essere considerato un bravo ragazzo. Eppure, il mio cuore piangeva per lui. Per quanto non lo riconoscesse a sé stesso, la sua vita era stata costellata da una solitudine e un dolore non indifferenti. La mia sindrome da crocerossina - come l'avrebbe chiamata Jesse - non poteva che soffrirne.
Poteva pur non accorgersene, ma in sé aveva ancora tanta bontà. Non sarebbe stato lì accanto a me in quel momento, altrimenti, e nemmeno per i due giorni dopo la morte di Jesse e i mesi prima ancora. Non sarebbe andato con me fino a Nicewood. Non mi avrebbe protetta da quella ragazza che stava inseguendo me ed Eve dopo che l'avevo schiaffeggiata con la lattina.
Certo, il suo lato crudele rimaneva sempre, lo stesso con cui, il primo giorno di scuola, aveva letteralmente fatto rimbalzare la testa di Conrad sul suo banco come se fosse stato un pallone da basket, o quando aveva pestato quest'ultimo e i suoi amici fino a farli accasciare a terra. Ma anche così, non significava che era totalmente una persona cattiva.
Era un ragazzo che aveva conosciuto solo violenza nella vita, e che aveva imparato ad usarla e sfruttarla a suo modo per andare avanti.
Era uno tsundere, inoltre, dettaglio da non dimenticare, uno di quelli che mi piaceva di più.
Tornai a guardarlo, sembrava ancora del tutto impassibile a ciò che mi aveva detto, e forse fu proprio per questo che mi sentii ancor più male.
«Che stai facendo?» domandò lui, dopo qualche secondo.
«Ti sto abbracciando» risposi, serrando con più forza le braccia con cui avevo avvolto la sua vita.
Corrucciò la fronte. «Perché?»
Avrei potuto mentire, ma ormai la mia carriera da bugiarda era finita, e non avevo alcuna intenzione di intraprenderla una seconda volta. «Perché volevo consolarti» bisbigliai, guardandolo.
Allora lui risollevò le palpebre, voltò il capo verso di me, mi guardò con un'espressione che era un misto di rabbia e confusione. «Consolarmi da cosa?»
«Non lo so neanch'io.» Perché c'erano così tante, troppe cose, che neanche io sapevo distinguerle.
I suoi occhi si fecero più irritati, mi staccò da sé afferrandomi il capo e portandolo indietro. «Tu vuoi consolare me?» domandò. «In un simile momento? Nella situazione in cui ti ritrovi? Proprio adesso?»
Sembrava... alterato, ma non in maniera cattiva. Forse più che altro confuso. Sapevo anche che aveva ragione, quello che avevo appena passato e stavo passando adesso non era di certo rose e fiori, ma comunque non ero riuscita a trattenermi.
«Io davvero non riesco a capire che razza di salti mortali fa la tua mente per arrivare a pensare queste cose» proseguì, la voce immersa in un sarcasmo malevolo. «Certe volte mi domando se al posto del tuo cervello non ci sia segatura.»
Nei suoi occhi c'era una luce diversa da quella empia che di solito li riempiva, quasi... sofferta.
La sua mano scivolò dal mio capo alla guancia, la contornò. «Io non capisco davvero» ripeté, ma sembro dirlo più a sé stesso che a me.
«Sei una scema ossessionata dai lividi, una pubblicità vivente delle pomate per gli ematomi» continuò, mi accorsi allora che il suo volto si stava avvicinando al mio. «Un'idiota che tenta di spogliare senza vergogna un ragazzo appena conosciuto. Una tonta che si mette a rischio per difendere il ragazzo del quartiere malfamato in sala mensa e lo invita a mangiare con lui. Prendi a schiaffi la gente con lattine di CocaCola. Quando ti hanno abbandonata al Dump, in piena notte, senza telefono e con vestiti fuori stagione, non appena mi hai visto venir picchiato ti sei frapposta fra me e Rick subito, senza pensare alle conseguenze. Hai mentito e sorriso per tutta la tua vita per proteggere tuo fratello e stargli accanto fino all'ultimo. Hai trovato la forza di riprenderti subito dopo la sua morte e denunciare i tuoi aguzzini. Sei letteralmente sotto protezione perché uno di loro non ti faccia del male, eppure ti preoccupi per me.»
Il cuore... non lo sentivo più. Pulsava così tanto che i battiti sembravano unirsi al silenzio, ma il dolore che ognuno di essi provocava, quel dolore così bello, così confortante, mi travolse in tutto il corpo, setacciando brividi e sentimenti ad ogni cellula.
E forse era così anche per lui, perché benché il suo viso continuasse a mostrarsi irritato, la sua voce si stava infrangendo in quella stessa sofferenza amabile che incrinava il mio respiro.
«Sei una scema, Callisto Murray, una scema fatta e finita» dichiarò. «E io non capisco davvero, non capisco davvero perché nell'infinità di criminali che ho incontrato al Dump, tu, così scema, sei per me la più pericolosa di tutti.»
Il suo respiro mi carezzò le labbra, deciso e confortante. Non riuscivo a muovermi, potevo solo guardarlo negli occhi, quei due occhi che sembravano il luogo in cui il gelo azzurro dell'inverno si scontrava con il tepore nocciola dell'autunno.
«Non capisco davvero perché» sussurrò, «se ti succedesse qualcosa, io finirei per compiere un genocidio.»
Mi baciò.
Forte, ruvido, arrabbiato. Un vero e proprio alterco delle nostre labbra, e quando tale alterco nacque, percepii ogni elemento che andava a formare il mio corpo elettrizzarsi, accendersi con quell'energia che da giorni non possedeva più. Il cuore mi faceva così male che ebbi paura di star per morire. Mi aggrappai alle sue spalle, lui mi spalancò la bocca, mi invase con la lingua, e io mi sentii affogare dai fremiti e il bisogno viscerale che mi pompava nel petto di averlo.
Un dubbio improvviso si insidiò all'angolo dei miei pensieri - il timore che fosse troppo presto, che non eravamo ai dormitori, che c'erano troppi problemi a cui pensare - ma quel dubbio si dissolse subito, svanì come se mai ci fosse stato, quando il braccio destro mi cinse per la vita e il mio petto si scontrò contro il suo. Allora tutto di me strillò che non m'interessava, che non era importante, che c'ero io e c'era lui e c'era quello che mi aveva appena confessato ed eravamo adolescenti, in fondo, e ci volevamo, non avevamo bisogno d'altro.
Affondai le dita tra le sue ciocche castane e lui approfondì quel bacio così osceno, fece scivolare la mano giù lungo la mia schiena, e mi sollevai un po' perché raggiungesse la natica e la avvolgesse nel palmo, attraverso il tessuto spesso della camicia da notte.
Stavo bruciando viva, arsa da tutti quei sentimenti che mi ustionavano dentro; ogni mossa di lingua, denti e piercing faceva divampare la fiamma fino a incenerire qualsiasi remore rimastami in corpo e in mente. Spinsi il mio corpo contro il suo, mettendomi a sedere sulle ginocchia, e lui, con un gesto aggressivo che mi spezzò il fiato, sollevò l'orlo della camicia fino alla vita, scoprendo la pelle pallida delle mie gambe e del fondo schiena, gli slip neri.
Affannai nel sentire l'aria fresca di quella stanza sulla carne nuda, così si preoccupò subito di riscaldarla con le sue dita, vagliandone ogni più piccolo centimetro, modellandolo con la danza di polpastrelli e palmi.
Mi domandai come fosse possibile che ogni volta che arrivavamo a quel punto, mi ritrovavo sempre nel delirio come la prima. Eppure ormai lo conoscevo, sapevo ogni cosa del suo corpo e del mio, ma lo stesso non potevo che sentirmi vergine sia di esperienza che di sensazioni non appena ci rincontravamo in quel modo. Come se ad ogni minuto che gli stavo separata, il mio fisico appassisse e uno completamente nuovo andasse a sostituirlo, uno che lui doveva riscoprire da capo, quasi non l'avesse mai visto, dal principio all'epilogo.
E così fece.
Con la stessa ruvidezza, la stessa passione che gli calcava i baci, le carezze, i tocchi; mai gentile, sempre folle e istintivo. Mi fece sedere su di lui, spingendomi con le mani sulle mie natiche, ed io mugolai tra le sue labbra, non appena il nucleo di desideri tra le mie cosce andò a sfregarsi contro il suo, separati solo dagli slip e i pantaloni. Entrambi quei due centri di brama si ricercarono proprio come facevano le nostre lingue: sfidandosi, carezzandosi, prendendosi in giro.
Dondolavamo i nostri bacini l'uno contro l'altra, e ad ogni strofinamento tra le nostre due eccitazioni mi sfuggiva un ansimo che lui assorbiva tra le labbra. La sua mano destra continuò a stringermi il sedere, l'altra mi si posò al centro della schiena, insieme mi aiutarono a sfregarmi meglio contro di lui, ad un ritmo sempre più forte e veloce che in apparenza conducevamo insieme, ma in realtà era solo lui a dirigere.
Avrei solo voluto chiedergli di sbrigarci, toglierci tutti i vestiti di dosso e incontrarci come veramente desideravamo; ma tanto era crudele quanto era paziente. Si strusciava contro di me così che il suo gonfiore bollente mi toccasse proprio nel punto in cui più lo desideravo, e non appena lo faceva sentivo quel centro di brame pulsare e bagnarsi con più forza, fino a farmi quasi vergognare.
Continuava a baciarmi, non si interrompeva un secondo, ingoiava ogni mio verso e respiro, si spingeva con la lingua nella mia bocca allo stesso modo con cui lo faceva col bacino.
D'un tratto mi afferrò per i fianchi con entrambe le mani, una stretta durissima, quasi dolorosa, e iniziò a comandare in assoluto sui miei movimenti senza che potessi o volessi ribellarmi: aumentandoli come aumentò i suoi, dando loro una velocità insana che mi fece delirare, perché adesso sentivo un calore disarmante accumularsi sotto quel punto dei miei slip, le pulsazioni farsi forti e decise, i primi nervi e muscoli contrarsi uno dopo l'altro a ogni scontro con il suo desiderio.
Si spostò dalle mie labbra, e senza mai interrompere quell'oscillazione vogliosa, mi morse il contorno dell'orecchio, per poi ordinarmi con voce profonda, quasi roca: «Togliti il pigiama.»
Un brivido di pura lussuria mi scivolò dal punto in cui aveva mormorato quelle parole, ripercorse tutta la mia schiena lasciando alle proprie spalle la pelle d'oca, per poi andarsi a depositare al centro delle mie cosce, lo stesso che lui continuava a stimolare ad ogni mossa.
Le mie mani agirono da sole, strinsero gli orli della camicia, se la sfilarono subito; non ebbi il tempo di abituarmi alla sensazione di esser nuda, Ruben spostò subito le dita dai miei fianchi e le portò ai seni. Un singhiozzo cadde dalla mia bocca proprio come caddi io sul materasso, di schiena, nell'attimo in cui lui mi buttò giù e iniziò a tormentare i capezzoli, tirarli, torturarli con capriccio. Mi inarcai, boccheggiavo, non riuscivo a concepire più parola.
Ne racchiuse uno tra le labbra, abbeverandosi dei suoi fremiti, mordicchiandolo, ma solo per pochi istanti, quel che bastavano per straziarmi ed eccitarmi al contempo; si sollevò da me, si tolse la maglia e mi sfilò via gli slip senza alcun preavviso, ignorando i miei versi di protesta. Sussultai ancora quando mi sollevò le gambe dal materasso e le spalancò di colpo, spudorato.
Il desiderio di supplicarlo di non guardare si annientò con il bisogno primitivo che lo facesse, e quando ciò accadde, quando i suoi occhi si fissarono lascivi nel punto che più lo attendeva, quello che aveva incitato finora, ansimai con furia. Soffocai un grido nell'attimo stesso in cui, dal nulla, chinò il capo tra le mie cosce e iniziò a pennellarmi lì con la lingua, andando a disegnarci sopra, lasciare cerchi, schizzi, dare colpi improvvisi con cui stuzzicarlo ed aumentarne il calore rovente.
Mi aggrappai con le mani alla sua testa, alle sue ciocche brune, smaniando per quel supplizio così etereo; lui sembrò quasi gongolare, quando lo feci, e sostenne i suoi colpi bagnati di bocca lasciando che le sue dita si facessero strada in me più sotto, nella fenditura di carni che tanto fremeva per un suo tocco.
Deglutii.
Il ritmo che stabilì fu rapido e deciso, una trappola di provocazioni continue con cui impedirmi di avere sollievo anche solo per un secondo: la lingua a percuotere, succhiare, solleticare, divorare, le dita a scavare prima, poi uscire ed entrare, poi battere, poi insieme e poi niente, poi tutto.
Chiamai il suo nome con voce sottile, troppo presa da quella lussuria per poter parlare, e lui andò più veloce, e adesso non riuscivo più a distinguere e separare nessuna di quelle sensazioni, si univano insieme fino a perdere le loro individualità, fino a diventare un unico grande ordigno di piacere che esplose all'improvviso.
Mi sollevai col busto di scatto non appena questo accadde, il suo nome un pianto tra le labbra, cercavo di darmi un contegno, ma il corpo si rifiutava di dar retta al mio bisogno razionale di pudore: si lasciò scuotere da contrazioni impetuose, andando incontro ai suoi tocchi col bacino, rabbrividendo e sobbalzando, gonfiando il petto, stringendogli con furia le ciocche brune tra le dita.
Quasi mi veniva da piangere, ma non per il dolore. Era così bello, così spaventosamente delizioso, che le lacrime non desideravano altro che scendere, e quando quello scoppio improvviso finì, mi ritrovai a pensare di poter riprendere fiato, almeno per un secondo, ma così non fu. Avrei dovuto aspettarmelo, perché mai fino ad allora lui me ne aveva dato modo, ma ogni volta la mia mente era troppo appannata perché potessi ricordarlo.
Non capii neanche cosa successe. Un attimo prima la sua testa era tra le mie cosce, l'attimo dopo ero sdraiata di pancia lungo il materasso e lui era sopra di me, la testa all'angolo del mio collo e la spalla destra, a mordicchiare, leccare e succhiare la pelle già accaldata. La mano destra si era intrufolata non so come tra il letto e il mio stomaco, e ora stava riprendendo a torturare con delizia il centro delle mie gambe.
Gemiti incessanti mi scuotevano, sentivo di star raggiungendo una temperatura illegale nel petto che aumentava ad ogni stimolo: il tocco delle dita proprio in quel punto, il peso elettrizzante del suo corpo che schiacciava il mio, il calore esplicito della sua eccitazione che mi si strofinava da dietro.
Voltai appena il capo, mi accorsi che era nudo come me, adesso, e allora tentai di sollevare i fianchi, di provocarlo a mio modo, ma la mia fu più una supplica, una richiesta disperata affinché finalmente mi concedesse quello che più desideravo, che più desiderava.
Non mi ascoltò, continuò ad accanirsi in quel suo modo crudele che tanto adoravo, e io non potevo muovermi, oppressa dal suo peso, solo gemere e fremere sotto di lui, chiamarlo per nome in tono di preghiera. Respirava a fondo contro il mio orecchio, con ansimi che si corrompevano per il desiderio sfrenato e mi eccitavano ancora di più.
Finalmente, dopo un tempo interminabile, mi lasciò andare. Sì risollevò, udii l'inconfondibile rumore di un pacchetto che veniva scartato, ma non ci fu occasione per festeggiare: singhiozzai l'attimo dopo, non appena le sue mani mi afferrarono per la vita e costrinsero il mio bacino a sollevarsi, le gambe a piegarsi sul materasso e tenermi in equilibrio, divaricandole perché mi aprissi il più possibile a lui.
Stavo per chiedergli di spegnere le luci, quando lo sentii conficcarsi dentro di me senza alcun preavviso, dilatare tutto d'un tratto con la sua eccitazione il canale che aveva atteso fino a quel momento il suo arrivo. La sua invasione fu così inaspettata che non riuscii neanche a gridare per la sorpresa, solo perdere tutto il mio fiato nel realizzare quanto mi era piaciuta. Ogni punto che stava toccando con il suo ingresso inatteso fremeva così tanto che faticavo a mantenere il controllo.
Non potevo vederlo, dato che era dietro di me e avevo la testa affondata nel piumone, ma riuscivo a sentirlo: il suo corpo incastrato nel mio, le sue mani ferme sui miei glutei, a stringerli forte, i soffi pregni di voglia con cui si conteneva. Sembrò quasi fare le fusa.
Non era la prima volta che lo facevamo in quel modo, ma di certo lo era dopo che mi aveva fatto una confessione simile, e questo la rendeva la più emotiva ed eccitante tra tutte. Portava con sé un carico di sentimenti e complessità che non ero sicura di saper discernere e individuare.
Lui si fermò così, però, senza più muoversi, incagliato in me. Feci per lamentarmi, per poi sussultare con la faccia contro il letto quando sentii di nuovo la mano tra le mie cosce, proprio poco sopra il nostro punto d'unione. Il materasso soffocò i miei singhiozzi, mentre le sue dita si muovevano veloci e scattanti come mai prima d'ora, andavano a stuzzicare i nervi già in fermento di quel luogo, accompagnando tali carezze con solo leggerissime, quasi invisibili, spinte da parte sua.
Un altro dei suoi tormenti che tanto mi facevano impazzire, forse il peggiore e il migliore tra tutti, perché ad ogni tocco di dita e sfumatura di spinta, il piacere tornava ad accumularsi proprio nell'incastro che avevamo creato, si depositava sotto i suoi polpastrelli e nella stretta con cui la mia intimità si avvinghiava alla sua; ogni accennata oscillazione del suo bacino contro il mio andava ad aumentarne l'intensità e la quantità.
Provai a convincerlo a rinunciare a quel gioco, strinsi la sua eccitazione tra le carni con violenza, spinsi i fianchi all'indietro, e subito lo sentii inspirare a fondo, cercare di trattenersi. «Cazzo» sibilò in un lamento, ma non si fece comprare dalle mie tentazioni, continuò a stimolarmi in quel modo, conducendomi a un punto in cui mi scoprii a contorcermi in me stessa, strofinare il volto contro il materasso, affannarmi, supplicarlo a singulti.
Proprio allora le dita presero impazzite a muoversi fino a trasformare il calore sotto di loro in umidità pura e farmi pronunciare in lacrime indecenze; così lui si ritirò indietro all'improvviso, svuotandomi quasi del tutto, per poi gettarsi in me con un colpo tanto violento quanto carnale che esortò con un'ultima, esperta mossa di mano.
Gli spasmi arrivarono l'istante esatto in cui lo fece, trafiggendomi ad ogni muscolo, facendomi tremare piegata in quel modo; non riuscivo più a percepire niente attorno e dentro di me se non quell'estasi profonda, e allora lui ne approfittò per continuarla, per impedirle di scemare subito. Cominciò a muoversi, ma non con il ritmo selvaggio del solito: prese una cadenza decisa, veloce abbastanza da potermi squassare l'aria nei polmoni, severa, persino rimproverante.
Scivolava via al punto che stentavo a sentirlo, per poi rimmergersi di nuovo con un affondo deciso, senza mai far passare troppo tempo o troppo poco, a ritmo stabile, frequente e duro. Si reggeva stringendomi il sedere con entrambi le mani e lo usava come appoggio per sprofondarmi dentro, bloccandolo sul posto per far sì che lui fosse il solo a dettare il ritmo.
La carnalità rimaneva e così l'istintività, ogni suo colpo mi faceva ansimare, gemere nel piumone. Lo sentivo dilatarmi, le mie carni accoglierlo e stringersi a lui in un abbraccio madido, per poi piangere sia dal piacere che dalla sofferenza non appena sgusciava lontano da loro. Il suono dei suoi respiri sordi, aggrinzito dal desiderio, si unì ai miei lamenti compiaciuti.
Non riuscivo a capirci più niente, non riuscivo a pensare, continuavo a premermi contro di lui, ma a stento ne ero in grado, tant'erano immense le sensazioni che provavo, che mi paralizzavano lì, ad accoglierlo ancora, di nuovo, sempre, a farmi investire da autentica fame sessuale ad ogni attacco così modulato.
Mi sollevai col busto sulle braccia, piegandole sul letto, e allora lo sentii chinarsi su di me, ricoprire il mio corpo col suo gigantesco, il suo petto contro la mia schiena, i denti a mordermi il contorno dell'orecchio, la mano destra ad aggrapparsi al seno per torturarne la punta, senza mai smettere di muoversi, di muovermi, di muoverci. Volevo scongiurarlo di fermarsi e al tempo stesso di continuare, anzi, farsi più forte, più brusco e feroce, come lo avevo sempre conosciuto.
E invece mugugnavo parole incomprensibili, travolta da quella dilagante sensazione di compiacimento, non potevo neanche parlare, solo accogliere i suoi assalti sempre più decisi. Un verso amorfo e caldo mi uscì dalla gola quando tirò con furia il capezzolo e i suoi denti mi stuzzicarono appena l'orecchio.
«Sei la più pericolosa di tutti» lo sentii dirmi con un sussurro roco, di spinta in spinta, il rumore della nostra collisione a fargli da sottofondo, «perché se scomparissi, mi uccideresti per sempre.»
Quelle parole, la voce erotica e lasciva con cui le pronunciò, furono l'ultima molla necessaria per far scattare ancora una volta il meccanismo del piacere. Mi dimenai di nuovo e un lungo gemito mi uscì dalle labbra, percependo l'arrivo dell'onda che presto mi avrebbe travolta.
Rischiai di cadere con la faccia sul letto ma lui me lo impedì. Mi morse la spalla, strinse con più violenza la punta del seno, accelerò di colpo la velocità delle spinte fino a renderla bestiale, accrescendo la beatitudine di quel flutto voluttuoso.
Un «Sì!» acuto mi esplose dalle labbra, seguito poi da molti, molti altri, ma non ebbi modo di imbarazzarmene: finalmente avevo riottenuto quel suo ritmo animalesco che tanto desideravo, e che provocò un'impennata del mio piacere indescrivibile.
Il rimbombo del suo corpo che si scontrava con il mio con collera espanse quelle sensazioni già estreme per condurle all'apice più assoluto. Ruben brutalizzò ancor più i suoi assalti, sempre di più: entrava e usciva ancora e ancora senza darmi tempo di sentire altro, pensare altro, provare altro. Solo lui: attorno a me, dentro di me, su di me. Mi sembrava l'euforia più sadica e magnifica di tutte.
Lo chiamai, lo chiamai, e lo chiamai, l'unico nome capace di farmi sentire così, l'unico che, al solo pronunciarlo, bastava per farmi gemere ancora. Le sue incursioni feroci mi aprivano e spalancavano l'intimità, con stoccate che quest'ultima, all'acme del piacere, accoglieva allagandosi ovunque, per farlo entrare sempre più a fondo. Se ne accorse subito, lo sentii fremere per quella vittoria, sussurrarmi all'orecchio parole oscene che mi fecero girare la testa, e più mi si immergeva dentro, più pompava quel flusso di eccitazione fino a farlo straripare.
I suoi colpi mi schiudevano aggressivi ed io gli andai incontro, d'istinto, balbettando parole insensate. Allora lui tornò a mordermi la spalla per aumentare al massimo quella lussuria indicibile, fino a quando non ci fu più niente, fino a quando io non fui più niente se non quella lussuria stessa e tutto il mio corpo si tese quasi con strazio ad ogni centimetro, in preda al delirio.
Esalai a bocca aperta un ansimo profondo, di puro e assoluto piacere, scossa ovunque dai tremiti, incapace di vedere, e nel sentirlo lui si scagliò in me un'ultima volta, con un verso gutturale, incuneandosi così in profondità da farmi singhiozzare il suo nome.
Per qualche secondo, restammo fermi ad ascoltare solo i nostri respiri ancora distrutti, con il calore nella stanza creato dalla nostra frenesia che iniziava a calare.
Posai la fronte sul letto, alla ricerca di un po' di lucidità, mentre ci separavamo. Sentivo il sudore addosso, il fiato rappreso in gola, e quella sensazione di primitiva soddisfazione a dolermi nei muscoli. Dopo qualche minuto percepii le sue braccia avvolgermi, trascinarmi a sé, il mio petto contro il suo, le sue labbra a timbrare le mie con una delicatezza improvvisa, quasi a scusarsi per la frenesia di prima.
Lo guardai negli occhi, quei suoi occhi così bizzarri e particolari, che di rado se ne vedevano nel mondo; fu quasi doloroso, un dolore che mi attraversò in ogni cellula, che mi si spanse dentro come una macchia d'inchiostro e andò ad annegare ogni sentimento. Vidi in lui tutti quei lividi che stavano anche al di sotto della pelle, quegli ematomi che neanche riteneva importanti e che forse si era persino dimenticato di avere, a dipingergli l'anima solitaria, e nell'osservare i loro colori così crudi e stinti sentii una morsa allo stomaco.
Stavolta, nonostante sapessi non fosse ancora il momento, nonostante sapessi di non essere ancora pronta, non riuscii a trattenere il pensiero che da mesi stavo allontanando a tutti i costi dalla mente.
Ti amo.
Nota autrice
Ok.
Sta diventando sempre più imbarazzante.
Io davvero mi chiedo perché devo far fare sesso ai miei personaggi, se poi, nel pubblicare il capitolo, l'unica cosa che desidero è prendere una katana e infilzarmela nello stomaco il più a fondo possibile.
Mi sento male. È così imbarazzante.
Soprattutto perché non posso neanche fare scene cucci cucci cicci pucci, sarebbero meno umilianti, e invece no, DANNATO BAD BOY, dovevo per forza fare robe piccanti e frenetiche, perché se no non sarebbe un bad boy.
Rimpiango quasi di aver creato Ruben. RIMPIANGO IL BAD BOY, CAZZO, proprio io, che ho cercato di farne uno per anni, quando me ne sono usciti soltanto con la patata prima di allora.
Vabbè, patti chiari e amicizia lunga:
Voi non avete visto niente
Voi non avete letto niente
Questi due in verità si sono solo sbaciucchiati un po', chiaro?
*piange*
Vabbè, torniamo alle cose serie - perché la mia umiliazione pubblica non lo è
Come vi avevo detto nei precedenti capitoli, questo prossimo arco narrativo si intreccerà con la storia di Ruben e il suo passato. In particolar modo la figura di sua madre, Anna, che, come avrete potuto intuire sia dalla prima volta che ne parla tanti capitoli fa che in questo, è davvero molto importante per lui.
Ruben è forse uno, se non proprio IL protagonista maschile più difficile che abbia mai scritto. Io stessa a volte mi domando "Che cazzo sta pensando?" e mi rendo conto di non saperlo. Ha alle spalle una storia molto dura, fatta di sofferenze e violenza, che l'ha indotto nel corso degli anni a mettersi addosso una corazza spessa e che anche Callisto spesso ha difficoltà a superare.
Se nel precedente arco ci siamo concentrato su Callisto e Jesse, in questo ci concentreremo su Callisto e Ruben.
Il legame che c'è tra questi due è molto particolare. Da una parte abbiamo Callisto, una ragazza che ha dedicato tutta la sua vita al fratello malato, senza alcuna esperienza amorosa alle spalle, con un'evidente sindrome da crocerossina, sì, ma che anche per questo motivo ha davvero molte difficoltà a concepire "l'amore" da un punto di vista romantico. Può viverlo, sentirlo, ma le viene molto difficile accettarlo e, soprattutto, dichiararlo ad alta voce. Già il fatto che lo abbia pensato e ammesso in questo capitolo lo considero di per sé un altro miracolo.
Dall'altra abbiamo invece Ruben, che di esperienze ne ha avute anche troppe, sia da un punto di vista sessuale che da un punto di vista di tragedie, e che proprio per questo ha a sua volta tante difficoltà a riconoscere i suoi stessi sentimenti.
Perché sia chiaro, quando Ruben dice che Callisto ha il suo primo posto o "sii mia", per lui non significa ancora "ti amo". O meglio, tecnicamente lo significa, ma lui non se ne rende conto. Allo stesso modo in cui non si rende conto di provare affetto per Anna. Ruben semplicemente si limita a vivere quel sentimento, a seguirne i bisogni e gli istinti che gli dona, perché sente che se non lo facesse ne soffrirebbe, e anche se non gli è chiaro il motivo, quando invece lo fa ne è felice. Perciò sì, lo fa e basta. Non ci sta su a pensarci troppo. Il suo è più un pensiero così:
La voglio, quindi me la tengo, quindi è mia.
Ok, non proprio così, ma ci siamo capiti no?
Un po' triste, lo so, ma capiamoci, nessuno dei due ha avuto una vita "felice".
Quindi sì, mi disp.
Li ho fatti baciare non dopo settordicimila capitoli come al mio solito, li ho fatti puppare (ADDIRITTURA - ho descritto - DUE VOLTE! Merito un premio!) l'un l'altra non dopo miliardi di capitoli come al mio solito...
Ma perché ammettano i propri sentimenti l'un l'altra... beh...
Meh.
Ci vorrà un po'. Un pochino, dai.
"Pochino."
Se vi consola, temo proprio che questa — con grande orrore del mio pudore — non sarà l'ultima scena di sexxxus che dovrò descrivere. Mancheranno i sentimenti, ma di certo non manca la fisicità. Ahimè, le scene di sexxxus saranno molte, temo.
Per quanto tsundere, in fondo, Ruben resta un bad boy, oh.
Per quanto riguarda la situazione Genitori Infami Viscidi Schifosi Bastardi Pezzi Di Merdde di Callisto, lo so, lo so cosa pensate.
Simo, ma Jesse aveva risolto tutto!
Eh no, muffins! Jesse ha risolto ALCUNE cose, non tutte. Per quanto intelligente, scaltro e con i suoi poteri da super fratello - come direbbe Kevin -, Jesse può sbagliare i suoi calcoli, e così è successo. Questo però non significa che il suo gesto sia stato inutile, sia chiaro. Ricordiamo insieme quello che il suo "miracolo" è stato in grado di fare:
1) Mostrare le prove degli abusi
2) Dar di nuovo fiducia e speranza a Callisto, farla riprendere dal lutto
3) Mostrare al mondo la forza della sorella
4) Far capire a Callisto il suo valore davanti agli effetti del video nel mondo
5) Far arrestare il padre di Callisto
6) Convincere Callisto a denunciare i genitori
7) Distruggere emotivamente e nell'ego i genitori
E tanti altri ancora che non mi vengono in mente, semmai li aggiungerò dopo.
Voglio far anche presente che questo libro si basa molto anche sul concetto di "ruolo materno" - è un po' un mio fetish, lo ammetto, un po' come J.K. Rowling prima che diventasse transfobica - perché è importante.
Come figure materne (buone o cattive che siano) abbiamo, che siano un po' accennate o molto influenti:
- Jennifer Murray, mamma di Callisto e Jesse, nota anche come pezz'emmerde
- Emma Marlow, vecchia compagna di classe di Jesse, mamma di Lizzie
- Cindy, mamma di Eve, vicepresidente ufficiale del fanclub "Rubisto" (Ruben + Callisto), di cui la figlia ne è la presidente
- Anna, la madre di Ruben, di cui sappiamo ancora pochissimo, solo che è dipendente dall'eroina, ha Rick come compagno e fa la prostituta come lavoro
Sono quattro figure molto diverse tra loro per carattere, età e ovviamente bontà, ma ricoprono tutte quante varie sfaccettature della maternità, a mio parere.
La madre di Callisto - lo so che la odiate, sia chiaro, la odio anche io - è un po' particolare. Uno dei miei "villain", così possiamo chiamarli, più assurdi, e non per forza in maniera negativa, ma neanche positiva. Solo... assurda. Perché certe volte la cattiveria lo è. Però l'ho sempre trovata un personaggio molto interessante, forse più del marito. Lo scoprirete in futuro.
Anche Anna sarà un personaggio molto, moooooolto importante, Muffins. Forse addirittura una figura materna ancor più complessa di tutte le altre tre messe insieme. Posso dire, però, che è la mia preferita. No, non perché è una brava mamma, sia chiaro. Mi pare evidente che "brava mamma" è un aggettivo che non le può essere dato, ma è tanto complessa, un vero e proprio prisma di luce ed ombre. Lei è uno dei personaggi che non vedo l'ora di mostrarvi di più, sul serio.
Ah, un'ultima cosa.
Jesse non se n'è ancora andato. Come già vi ho detto, deve fare ancora molte cose. Perciò non temete, lo rivedremo, magari solo per poco, ma ritornerà. Il nostro bel bambinone pervertito non se ne andrà mai veramente, non abbandonerà mai sua sorella.
E niente, detto questo, torno a lanciarmi dalla finestra per la vergogna di pubblicare questo capitolo.
P.S.
Jesse dal paradiso è molto contento che la sorella si sia consolata dal lutto così. Almeno sta gioia.
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