Inguaribili bugiardi
Arrivò l'autunno, giunse tra noi celebrando il suo solstizio in un turbine di foglie accartocciate che riempivano le strade e alberi spogli. Noi studenti abbandonammo i nostri abiti estivi e scoperti per rintanarci in vestiti più caldi e morbidi, maglioncini con cui proteggerti dalle prime ventate gelate che giungevano di primo mattino all'inizio delle lezioni.
Per Ruben fu di sicuro un colpo di fortuna, adesso non spiccava più tra gli altri per essere l'unico pazzo che indossava maniche lunghe in piena estate, e di sicuro aveva più modi per coprire i propri lividi senza dare nell'occhio. Certo, di tanto in tanto si feriva anche in viso, ma non abbastanza per allarmare il corpo docenti. C'era anche da dire, inoltre, che ora lo aiutavo a nascondere quelle ferite con un po' di trucco, la mattina prima di uscire dai dormitori.
Ero stata io a proporglielo e lui non aveva accolto l'idea con entusiasmo, ma dopo avergli mostrato l'efficacia di quel metodo non aveva più avuto nulla da ridire.
Il momento in cui lo dovevo truccare era il mio preferito. Si sedeva sul bordo del mio letto e osservava ogni mia mossa, studiandola, come se si aspettasse che al posto del correttore tirassi fuori un coltello. Non staccava mai gli occhi da me, anche mentre camuffavo i lividi sotto tocchi di cipria e fondotinta. Appena finivo, gli mostravo il pollice all'insu e Ruben, di risposta, mi tirava il cuscino in faccia.
Eve fu la prima ad accogliere il cambio di stagione con un entusiasmo che non ci si sarebbe mai aspettati da una diciassettenne. Invece, approfittò della cosa per iniziare a vestire con colori caldi e cappelli dalla più improbabile forma. Tra questi spiccava uno in particolare, dalle orecchie da coniglio così alte da permetterti di individuarla subito in mezzo alla folla.
«Sei già alta» le dissi un giorno, davanti agli armadietti. «Vuoi raggiungere il soffitto?»
«Per favore, non trasformarti in mia madre, e poi guarda» afferrò i pompon che scendevano dal cappello e li tirò uno alla volta, in contemporanea le orecchie iniziarono ad alzarsi e abbassarsi, «non è fighissimo?» Davanti al mio sbuffo divertito, lei mi fece l'occhiolino: «Guarda che ne ho preso uno anche per te.»
Lo tirò fuori dal suo armadietto come un mago col cappello. Era identico al suo, ma di un rosa perlato così appariscente da farmi credere che volesse trasformarmi in un evidenziatore. Me lo mise in testa senza cerimonie. «Allora, che te ne pare?»
Lo sistemai sul capo, sfiorandone le orecchie oblunghe. «Mi sento molto Bugs Bunny.» Tirai la cordicella del pompon, «ce l'hai una carota?»
Mi diede una gomitata sui fianchi. «Guarda che lo so che sei felice.»
Se ero felice? Certo che lo ero! Nessuno a parte Jesse mi aveva mai regalato qualcosa, nemmeno per le ricorrenze o i compleanni, ricevere un dono del genere era un'esperienza mai sperimentata prima d'ora. Tuttavia, non volevo darlo a vedere. Avrei sollevato in lei dubbi a cui non avrei potuto dare chiarezza, neppure se avessi voluto.
Mi accontentai di sorriderle con tutta la sincerità di cui disponevo, ed Eve parve più che soddisfatta della cosa.
«Non lo indosserò a lezione» la avvisai, rimettendolo nel mio armadietto.
«Ma saresti così carina!»
«Perfetta perché il professore mi dia una nota di demerito.»
Storse le labbra. «Peccato, volevo vedere come ti avrebbe guardato il tuo principe azzurro.»
Richiusi l'anta e la scrutai a occhi socchiusi. «Il mio principe azzurro?»
Un lato della sua bocca si sollevò, malizioso. «Il tuo bel Aladino.»
«Aladino sarebbe il professor Shepard?»
Mi sgomitò un'altra volta sui fianchi. «Avanti» sollevò più volte le sopracciglia, «lo sai chi.»
Continuai a guardarla senza capire, Eve sbuffò. «Guarda che lo so che c'è un inciucio tra te e il ragazzo del Dump.»
«Inciucio? Si dice così adesso?»
«Come vuoi chiamarlo? Una grande storia d'amore?»
«Non arriverei a definirlo a questi livelli.»
Lei sghignazzò. «Lo sai che durante le lezioni ti guarda sempre?»
Lo sapevo benissimo. Anche io guardavo lui.
Eve sospirò sognante. «La grande storia d'amore tra la ragazza senza filtri e un minimo di spirito di autoconservazione-»
«Ehi!»
«E il ragazzo che proviene dal ghetto della città.»
«Non la definirei storia d'amore» ribattei. «Più che altro una-»
«Scopamicizia?»
«Una fratellanza» la corressi, parve delusa.
Ci incamminammo verso la nostra classe, Eve aveva ancora addosso il suo cappello-coniglio e attirava su di sé lo sguardo di tutti. La cosa non sembrò importarle, o meglio, sembrò renderla felice. D'altronde, quello era uno dei motivi per cui mi piaceva. Era una ragazza che si rifiutava di fingere umiltà, e che adorava dare nell'occhio. La sua sicurezza trasudava da ogni poro, portando la mia invidia ad aumentare a dismisura, ma anche a trasformarmi in riverenziale ammirazione.
Mentre salivamo le scale, tra gli altri studenti intenti a salire i gradini, Eve individuò una testa rossa più avanti a noi. Il suo volto splendette con un sorriso. «James!»
James si fermò e si voltò nella nostra direzione. Le sue guance, già rosse quanto i capelli, si arroventarono ancor più non appena con gli occhi scrutò il viso felice di Eve. Lei lo raggiunse con poche falcate, lasciandomi indietro. «Hai controllato il registro elettronico? Hai visto che il professore ha dato una A al nostro compito di storia?» domandò. Era molto più alta di lui, perciò dovette piegarsi un po' per poterlo guardare negli occhi. «È tutto merito delle tue illustrazioni! Ci hanno fatto guadagnare un sacco di punti!»
James si fermò sullo scalino, chinò lo sguardo a terra per evitare quello di Eve. «V-Vi siete im-imp-impegnate mo-mo-molto a-a-anche vo-voi, per que-que-questo abbiamo pre-preso una A-A-A.»
Sorrisi e saltellando li raggiunsi. «Le tue illustrazioni sono state la ciliegina sulla torta che ha convinto il professore a darci il massimo.» Gli mostrai il pollice all'insu, James aggrottò appena la fronte.
«Dobbiamo festeggiare!» disse Eve, mentre riprendevamo a salire le scale. «Oh, c'è una pasticceria qui vicino che il pomeriggio fa un all-you-can-eat di dolci! Quindici dollari e puoi prendere tutto quello che vuoi! Vogliamo andarci? È da un sacco di tempo che desidero affogare negli zuccheri.» Mi guardò, mi fece l'occhiolino. «Potresti invitare anche tu-sai-chi.»
Mi fermai di nuovo, ci riflettei su qualche istante.
I miei pomeriggi li passavo sempre con Jesse.
La sua condizione, adesso, era anche peggiorata, al punto che la stanchezza lo portava a dormire molte più ore di prima. Aveva dovuto aumentare la frequenza delle dialisi, e di giorno in giorno il suo viso si faceva sempre più cadaverico. Presto, avevano detto i dottori, avrebbe dovuto usare una sedia a rotelle per muoversi, per non affaticare il cuore già stressato.
Sapevo già cosa mi avrebbe detto se avesse scoperto che avevo rinunciato ad uscire con i miei amici per andare a trovarlo. Vuoi buttare al vento tutto l'impegno che ho messo per farti tornare a scuola? Mica muoio oggi, Callisto! Lo sapevo, e comunque...
Guardai Eve, ancora così felice ed entusiasta, con occhi e labbra estasiati, ignara di tutto, e strinsi con forza il bracciolo del mio zaino.
Forse avrei dovuto dirle la verità.
Jesse me l'aveva proibito, era vero, ma anche così... prima o poi lo avrebbe scoperto.
Inoltre... non consideravo la mia amica quel genere di persona da volermi stare accanto solo per pietà, aveva già dato dimostrazione di volermi bene perché ero semplicemente me stessa.
Avere un fratello malato terminale non era certo qualcosa di cui vergognarsi, eppure... faticavo a trovare la forza per rivelarlo. Nemmeno Ruben sapeva chi era la persona che amavo.
«Spostati.»
Riconobbi subito la voce alle mie spalle e, quando mi voltai, lo trovai in piedi dietro di me. Anche se di un gradino più in basso rispetto al mio, la mia testa a malapena gli arrivava al petto.
«Sei d'intralcio. Spostati.»
Sorrisi. «Scusami, ero persa tra i miei pensieri.»
«Pensa di meno, cammina di più.»
Eve sembrò voler cogliere la palla al balzo, perché si affacciò a noi e con occhi raggianti lo chiamò: «Ruben.»
Non si fece intimorire affatto dallo sguardo di puro disprezzo che Ruben le riservò. Immaginai che, con il lavoro che faceva e il suo aspetto, fosse abituata a ricevere quel genere di trattamento. Accanto a lei, invece, James parve molto preoccupato.
«Oggi pomeriggio andiamo in pasticceria a mangiare dei dolci!» continuò lei, ferma e decisa. «Verrà anche Callisto! Ti va di aggiungerti?»
Per un attimo Ruben parve sul punto di bestemmiare, non fu descrivibile l'espressione che fece davanti a quella proposta che ai suoi occhi, era evidente, risultava schifosa. Incapace di trattenermi, mi sfuggì una risatina.
Lui mi fulminò con lo sguardo.
«Non ridevo per te» mentii, «ho solo pensato a una battuta.»
Mi afferrò la punta di entrambe le orecchie con le mani e iniziò a tirare con forza.
«Ok, ok, pensavo a te, ma con buoni intenti, davvero!» mi difesi. «Vederti dentro una pasticceria sarebbe uno spettacolo non da poco!»
«C-C-Callisto, co-così non a-a-aiuti af-affatto.»
Sapevo già che, Ruben avrebbe comunque rifiutato quella proposta a prescindere. Tanto valeva prenderlo in giro per quel che potevo.
«E comunque, non so neanche se potrò andarci anche io» aggiunsi a quel punto, rivolta ad Eve. «Ho degli impegni da sbrigare e-»
«Andremo.»
Sgranai gli occhi, Ruben mi afferrò per la testa con una mano e con l'altra punto l'indice verso la mia guancia, indicandomi. «Andrò io e andrà anche lei.»
Sconvolta, lo guardai e cercai di comunicargli telepaticamente quello che pensavo: "Perché stai facendo questo?"
Di tutta risposta, lui tirò in su l'angolo destro delle labbra, sollevando appena le sopracciglia.
Mi stava facendo un dispetto?
Era quello?
Ruben mi stava facendo un dispetto pur di prendermi in giro?
Per carità, ero felice di vedergli per la prima volta un sorriso (o comunque una sorta di sorriso), ma di certo non mi aspettavo quel colpo basso da parte sua. Dopo tutto quello che avevo fatto per lui! Che ingrato!
Eve batté le mani, entusiasta. «Perfetto! Allora ci vediamo a fine lezione davanti all'ingresso della scuola!»
James sembrava il più combattuto tra tutti, continuava a lanciare occhiate di preoccupazione a me e a Ruben, ma Eve non era per niente turbata. Al contrario, pareva avesse appena vinto alla lotteria. Trotterellò su per le scale, con il cappello da coniglio le cui orecchie facevano su e giù ad ogni passo.
«Se vuoi fare qualcosa» sentii dirmi all'orecchio, «falla.»
Mi costrinsi a sorridere, sollevai lo sguardo verso di lui. «Avevo davvero un impegno.»
«Ma volevi comunque andarci.»
Era ingiusto che tra noi due, l'unico a capire veramente il desiderio dell'altro fosse sempre lui. Sentii le guance bruciarmi dalla vergogna. «Sono così facile da leggere?»
«No» replicò, lasciandomi andare la testa e risalendo le scale. «Sono solo io che sono bravo a scovare i bugiardi.»
*
A fine lezione, pensai che Ruben non si sarebbe presentato davanti all'ingresso della scuola.
Supposi che la sua fosse stata solo una pura strategia per costringermi ad uscire coi miei amici, e che poi alla fine si sarebbe dileguato come faceva sempre.
Invece lui si presentò davvero. Lo trovammo davanti alle vetrate, appoggiato ad esse sulla schiena, con le braccia incrociate al petto e un'espressione vagamente annoiata. I ragazzi lo superavano stando attenti a non guardarlo o sbattergli contro, preoccupati della sua reputazione di ragazzo violento, spietato e relitto del Dump.
Tutto quello che vidi io, invece, fu solo un bel giovane dall'aspetto più che invitante. Un'altra, ennesima dimostrazione della mia incurabile sindrome da crocerossina.
«È venuto davvero» mormorai con un fil di voce, ancora lontana da lui, lungo il corridoio degli armadietti. Eve, accanto a me, mi fece l'occhiolino.
«Certo che è venuto» mi disse. «Vuole stare accanto alla sua amata.»
Sia io che James, anche lui presente, ci guardammo con non poco dubbio. Eve, tuttavia, era già persa nel magico mondo fatato delle storie d'amore. Prese dal mio armadietto il cappello che mi aveva regalato e me lo mise addosso.
«N-Non cre-cre-credo lo co-conquisterà con que-quello.»
«Mica è per conquistare lui, è per conquistare me.» Mi fece un sorrisetto d'intesa. Vederla così felice in qualche modo allietò il mio cuore preoccupato. «È un cappello dell'amicizia» dichiarò poi, indicandosi il proprio in testa. «Ne vuoi anche tu uno, James?»
«N-No, gra-grazie.» Scosse la testa.
«Peccato, saresti stato ancor più adorabile.»
Il volto di James avvampò, lei sghignazzò.
Mi tirai una cordicella del cappello, la guardai. Avevo immaginato che da tempo sapesse della cotta che James aveva per lei, d'altronde non era certo stupida, sapeva benissimo che effetto faceva agli uomini, ma non sapevo dire cosa provasse a riguardo. Certo era che James le piaceva, se non come ragazzo, almeno come persona, visto che era la prima a trovare ogni genere di scusa per pranzare insieme a lui o fare lezione insieme.
Mentre ci incamminavamo, controllai per quella che doveva essere la quattordicesima volta il mio cellulare. Qualche ora prima avevo inviato un messaggio a Jesse per avvisarlo che quel pomeriggio non sarei passata a trovarlo, ma lui non mi aveva ancora risposto, e questo era strano.
Era arrabbiato con me? Eppure era lui il primo a dirmi sempre di non perder il mio tempo libero dietro a un morto che cammina e di passarlo con i miei amici. O forse era tutta finzione? Una sorta di trucchetto dei suoi per mettermi alla prova?
Forse avrei dovuto mandargli un altro messaggio, chiedergli se avesse bisogno di me. E se gli fosse successo qualcosa? No, la clinica mi aveva garantito che mi avrebbe chiamato subito se così fosse stato. E se-
«Cos'è quel cappello?»
Davanti a Ruben, mi ritrovai a guardarlo. Tirai giù una cordicella, così che una delle due orecchie si piegasse, a mo' di saluto. «Sono un coniglio.»
«A me sembri più una cretina.»
«Nient'affatto!» Eve avvolse il suo braccio attorno al mio. «Questo è il cappello dell'amicizia! Ti conferisce grandi poteri!»
«Lei ha già un grande potere: mentire spudoratamente. Non gliene servono altri»
Tirai entrambe le cordicelle, adesso tutte e due le orecchie erano piegate, tristi. «Mi spezzi il cuore così.»
«Non hai un cuore che può essere spezzato.»
Eve gongolava nell'ascoltarci. Da questo punto di vista, mi ricordava tantissimo Jesse. Ero certa che, come lui, avrebbe potuto tirare fuori da un momento all'altro un taccuino e iniziare a scrivere le sue osservazioni in merito al fenomeno di accoppiamento del bad boy.
L'unico che, come me, sembrava esasperato dalla situazione era James.
Ci fece cenno di uscire insieme, e noi lo seguimmo. Era un po' assurdo vederlo al fianco di Ruben: quei due erano proprio agli antipodi. Se uno, alto e muscoloso, ti conferiva un'aura di pericolo, l'altro, bassetto e curvo, ti forniva invece un senso d'amore profondo.
Mentre marciavamo verso la ghiaia della piazzola di ingresso, James, alla mia sinistra, chiuse appena gli occhi per veder meglio oltre il cancello d'ingresso della scuola. «C-C-C'è un ti-ti-tipo che ci-ci-ci sta-sta salu-salutando.»
«Sei sicuro che saluti proprio noi?» domandò Eve.
«A-Abbastanza.»
Aguzzai a mia volta la vista e guardai meglio. Era vero, tra la folla di studenti che si stava dileguando dalla scuola, ce n'era uno che si sbracciava, rivolto verso di noi, e saltellava sul posto. Aveva riccioli biondi e un cappotto di pile blu che...
Che gli avevo comprato io.
Anni fa.
Lo zaino mi cadde a terra, a stento sentii Eve chiamarmi mentre partivo di corsa verso il cancello a perdifiato.
Arrivai al ragazzo che ci salutava senza respiro, sollevai lo sguardo in alto, sul suo volto, un sorriso gigantesco mi accoglieva a sé.
«Ciao, sorellina.»
«Cosa ci fai qui?» Non sapevo nemmeno dire cosa stavo provando. Preoccupazione? Paura? Felicità? Sorridevo, ma sentivo lo stomaco bruciare come in una fornace. «E la clinica? E se ti succedesse qualcosa? Non era il giorno della dialisi, oggi? Jesse, oddio, stai bene? Devi-»
Mi strinse a sé, il mio volto affogò nel suo petto. «Eddai, da quanti anni è che non ti vengo a prendere a scuola? Volevo farti una sorpresa.»
Mi scostai appena per guardarlo. La sua faccia non era cadaverica come al solito, aveva nascosto l'assenza di sopracciglia sotto i riccioli biondi della parrucca, aveva delle ciglia finte addosso, le labbra bianche erano colorate come se fosse sempre stato in salute, la carnagione pallida era tornata rosata. «Ti sei truccato?»
«Un lavoro magistrale, ammettilo.» Gonfiò il petto. «Ho guardato vari tutorial su YouTube.»
A guardarlo, non si sarebbe pensato che quel ragazzo sarebbe morto a breve. Con non poca invidia, dovetti ammettere che era stato più bravo di me nel prepararsi. Gli contornai il volto con le mani, analizzandolo per bene alla ricerca di tracce di spossatezza. Jesse ridacchiò, strinse le mie mani con le sue, sereno.
«Sto bene, principessa.»
«Hai avuto il permesso della clinica?»
«Non ti preoccupare, è tutto a posto.»
«La dialisi?»
«Fatta. Sto un capolavoro a parte il cancro.»
Scoppiai a ridere; sollevata, posai di nuovo la testa contro il suo petto. «Mi farai morire.»
«Eh no, sorellina! Non puoi rubarmi così il primato! Quello è un compito che spetta solo a me!» esclamò con sdegno profondo.
Lui mi avvolse con le sue braccia, posò il mento sul mio capo. «Volevo venirti a prendere un'ultima volta.»
Un'ultima volta.
Quando ero bambina, succedeva sempre, ogni giorno. Mi aspettava davanti alle porte di scuola con un sorriso, la mano già sollevata per stringere la mia. Ricordo che i miei compagni mi invidiavano perché dicevano che tra tutti i genitori mio fratello era il più bello di tutti.
Mi beai di quel momento, inspirando con forza il suo odore che giunse alle narici insieme all'aria gelata di quel pomeriggio. Il battito del suo cuore era sereno, mi allietava.
Dopo qualche minuto mi staccai da lui, mi guardò, gli occhi verdi incuriositi da ciò che portavo in testa.
«Piuttosto, cos'è quel cappello?»
«Merito mio.»
La voce di Eve giunse alle mie spalle. Mi voltai. Lei, Ruben e James ci avevano raggiunti con non poca titubanza. Immaginai si stessero chiedendo chi fosse quel ragazzo comparso così all'improvviso e con cui avevo una confidenza così grande. La mia amica si batté la mano sul petto e indicò il proprio cappello: «È il cappello dell'amicizia.»
Jesse sorrise. «Geniale!» esclamò. «Lo voglio anche io! Fa' vedere un po'.» Afferrò le cordicelle del mio cappello e iniziò a tirarle, quando vide le orecchie muoversi, la sua bocca si piegò in un "Ohhh" silenzioso carico di stupore e meraviglia. «Fantastico! Lo voglio! Subito! Callisto, il prossimo regalo per me deve essere questo!»
«Sarebbe il quarantacinquesimo cappello che ti compro.»
«Poco importa, un cappello in più non fa mai male.» Continuò a giocarci come un bambino per un bel po' di secondi, poi, quando si accorse dell'attenzione di tutti rivolta su di lui, si fermò. «Avete ragione, che maleducato, non mi sono presentato.» Si schiarì la gola, mi fece voltare così che guardassi i miei amici di fronte, avvolse il mio collo con le sue braccia e posò il mento sulla mia fronte. «Io sono Jesse Murray. Sono il fratello maggiore di Callisto.»
Notai subito lo sguardo di Ruben, prima rabbuiato, illuminarsi per qualche istante dalla sorpresa. Poi, come se finalmente stesse collegando le cose, i suoi occhi caddero su di me.
In quel momento, compresi che aveva capito tutto.
Chi era la mia persona amata.
Colei che avrei perso.
«Ca-Ca-Callisto c-ci ha pa-parlato di te-te-te.»
«E a me di voi» sghignazzò mio fratello. «Lasciatemi indovinare» indicò Eve, «tu devi essere Eve.»
Lei sorrise più fiera che mai.
«Cavolo, Callisto, è davvero gnocca» mi disse, senza preoccuparsi di essere sentito. «Capisco perché la invidi così tanto.»
Eve scoppiò a ridere.
«Tu, invece, sei James» proseguì. «Capelli rossi, lentiggini, e sguardo adorabile. Ti viene proprio voglia di coccolarti.»
James arrossì. «N-Non so-sono ad-adorabile.»
«E tu» puntò a Ruben, la cui sigaretta pendeva ancora spenta tra le labbra, «sigarette, tatuaggi, piercing e occhi tenebrosi. Non c'è dubbio, devi essere Mr Bad Boy.»
Lo sguardo di lui si fece cupo. «Come?»
«Non ti offendere, amico, io vado matto per i bad boy.» Jesse mi strinse con più forza. «Callisto mi parla spesso di te. Ah, non ti preoccupare, ti difende sempre. Vedi, la realtà è che mia sorella è una persona debole alla bellezza.» Sospirò. «Se sei gnocco, automaticamente le piaci.»
«Tu sei uguale» gli feci notare.
«Assolutamente sì, infatti sono fiero di te.» Mi scoccò un bacio in fronte, per poi lasciarmi andare. Si posò una mano sul petto, in posa di assoluta fierezza: «Io sono colui che l'ha chiamata così. Colui che l'ha resa unica con un semplice nome.»
«E per questo ti detesterò a vita.»
«Callisto è un nome stupendo» si difese subito, scoccandomi un'occhiata di sdegno. «Prima o poi imparerai ad apprezzarlo.»
Guardai per qualche istante i miei amici, né James né Eve davano segno di essersi accorti del fatto che mio fratello era malato e di questo ne ero felice, allo stesso tempo, però, non capivo perché Jesse si fosse presentato così alla mia scuola, rischiando di venir scoperto, quando era stato lui ad ordinarmi di nascondere a tutti la sua leucemia.
L'unica cosa certa era che Ruben lo aveva smascherato da subito. Non lo dimostrava, ma nell'esatto momento in cui i nostri sguardi si erano incrociati avevo capito che aveva compreso tutto. Non lo so, forse era l'intimità con cui io e Jesse ci trattavamo a tradirmi, forse la preoccupazione che mi aveva investito non appena lo avevo visto davanti ai cancelli.
Lo guardai negli occhi e con il sorriso lo implorai di non dire niente. Ruben non si mosse per qualche secondo, poi, alla fine, sospirò e si accese la sigaretta.
Aveva capito, e di questo gliene fui grata.
«Se volete ho tanti segretucci niente male da raccontarvi su Callisto» stava dicendo mio fratello a Eve e James, preso dalla sua solita parlantina. «Lo sapete che ha paura delle donne incinte?»
Eve sollevò un sopracciglio, James mi guardò confuso.
Diedi un pugno alla schiena di mio fratello, lui non finse neanche rimorso.
«Il loro pancione le fa impressione, specie quando è nudo e si vede il bambino che si muove» continuò il bastardo, gongolando come non mai, senza alcuna pietà nei miei confronti. «Una volta mi ha detto che ricorrerà all'adozione solo perché non sarebbe capace di toccarsi o guardarsi la pancia per nove mesi, se rimanesse incinta.»
James scoppiò a ridere, Eve nascose gli sghignazzi dietro la mano.
«Vogliamo parlare delle tue paure, Jesse?» lo provocai. «Lo sapete che mio fratello non mangia i crostacei perché-» Jesse mi tappò subito la bocca con la mano.
«Questa storia sarà per un'altra volta.» Mi scoccò un altro bacio in fronte. Quel giorno sembrava più raggiante che mai. Mi chiesi se fosse successo qualcosa. «Callisto mi ha detto che stavate andando a mangiare in pasticceria» tornò a rivolgersi ai miei amici. «So che non mi conoscete e che non è per niente bello quando qualcuno si auto invita, ma potrei unirmi a voi? In verità» aggiunse, con tono melodrammatico, «non vedo mia sorella da un sacco di mesi.»
Che bugiardo!
«E sarei anche felice di conoscere meglio i suoi amici.»
«Per me non c'è problema!» esclamò Eve. «Più siamo meglio è, no?» James annuì.
Ruben steccò la sigaretta, non disse nulla.
Jesse sorrise, più che soddisfatto, sghignazzava addirittura. Mi avvicinai al suo orecchio: «Jesse, così ti farai scoprire.»
«Non ti preoccupare, non ti preoccupare!» Giocherellò con le corde del mio cappello. «Pensa solo a goderti il momento. Ah, una cosa!» Si avvicinò per non farsi sentire. «Prima, quando ti ho abbracciato, Mr Bad Boy mi stava uccidendo con lo sguardo.»
Si allontanò, le labbra sollevate. Non capii e lui mi avvolse le spalle col braccio, sembrava più compiaciuto che mai.
«Te ne sei trovato uno possessivo, eh, sorellina?»
*
La pasticceria a cui andammo si chiamava Nuvola soffice, ed era a un quarto d'ora a piedi dalla nostra scuola. Era un locale molto spazioso dai tavoli, il pavimento e il bancone in legno, con un alto soffitto e un candelabro di vetro che donava una luce soffusa all'atmosfera. Centinaia di dolci diversi erano esposti in vetrina, con grande gioia di Eve, e tutto quello che dovevamo fare era pagare quindici dollari per poi riempire i nostri vassoi con quello che desideravamo.
«Tu vai a sederti» dissi subito a Jesse, non appena entrammo.
«Ce la faccio, Callisto.»
«So già cosa prenderti, non preoccuparti.» Gli sistemai meglio la sciarpa azzurra che aveva attorno al collo. «Pensa a prendere un tavolo per tutti noi.»
Mi sorrise arrendevole, sapeva di non poter vincere quella battaglia.
«Sei molto protettiva con lui» mi disse Eve, mentre eravamo in fila alla cassa.
«Vi ho solo salvati da un'attesa infinita. Jesse ha il brutto vizio di mettersi a parlare per ore intere con i commessi.» Non era del tutto una bugia, anche quello era un dato di fatto, la logorrea di mio fratello era uno dei suoi tratti più noti a chiunque lo conoscesse, ma non potevo certo dirle che mi preoccupavo per la sua salute.
Ormai i suoi reni stavano cedendo, c'era poco da fare. Si stancava facilmente per qualsiasi cosa. Anche il quarto d'ora a piedi che avevamo compiuto per arrivare fin lì per lui doveva essere stato un'impresa titanica, sebbene fosse più che bravo a mascherarlo. Non volevo costringerlo ad attendere in piedi in mezzo ad altre persone per un tempo indefinito e rischiare poi che si sentisse male.
Mi sentivo crudele, ma avrei preferito fosse rimasto in clinica, al sicuro, alla portata di medici e infermieri, pur consapevole di quanto per lui quel momento di libertà fosse prezioso e importante.
«È tutto ok?» mi domandò Eve. «Pian piano sto imparando a distinguere i tuoi vari sorrisi, e questo mi sembra preoccupato.»
Esalai un respiro. «Sono solo un po' stanca, tutto qui.»
Bugiarda.
In verità volevo solo fuggire via da quella situazione, da quell'inganno che io stessa avevo creato. Era la prima amica che avevo e non le avevo detto la verità su mio fratello. Glielo stavo spacciando come se fosse un comune ragazzo in salute, come se non ci fosse niente che non andava. Mi sentivo il membro di una truffa di cui non sapevo quando avevo iniziato a farne parte.
Eppure ero abituata a mentire, lo facevo ogni giorno, da tutta la vita.
Arrivati al tavolo, sorprendentemente chi tra noi aveva preso più dolci di tutti era proprio Eve: la stessa ragazza più in linea tra tutti i clienti di quel posto. Il suo vassoio era così pieno che i dolci strabordavano, era un miracolo che si reggessero in piedi. Quello più esiguo, invece, era quello di Ruben, che si era limitato a prendere una tazza di caffè nero.
Eve si mise, con grande imbarazzo di lui, al fianco di James, e accanto a lei Ruben. Dall'altro lato del tavolo c'eravamo io e Jesse.
Quando vide il suo piatto, gli occhi di mio fratello brillarono.
«Da quanto tempo non mangiavo questi dolci!» esclamò. «Mi sembra di esser tornato in paradiso!»
Ero preoccupata, non sapevo quanto avrebbero potuto fargli male, ma sapevo allo stesso tempo che non gli sarebbe ricapitata l'occasione di mangiarli, perciò ero stata molto generosa nel prenderglieli.
Mentre affogava in una fetta di torta al caramello salata, James domandò: «Co-Come mai ha-hai sce-scelto di chia-chiamarla Callisto?»
Con la bocca già sporca, Jesse sorrise: «Sai da dove deriva il nome Callisto?»
Scosse la testa.
«Da kalòs, che significa "bello". Kallistos vuol dire "La più bella" o anche "Bellissima". Lo spiegarono in un cartone animato che vedevo da bambino.» Ridacchiò. «Era mia sorella, perciò sapevo che sarebbe stata la più bella di tutti.»
Mi aveva raccontato quella storia almeno mille volte, ed era sempre un piacere risentirla, solo... avrei voluto fosse vero.
Avrei voluto davvero essere la più bella, anche solo per un giorno.
Sorseggiai la mia tazza di tè, quando all'improvviso sentii qualcosa picchiarmi il piede sotto il tavolo.
Sollevai lo sguardo, Ruben, davanti a me, mi fissava con intensità.
Risposi colpendo a mia volta il suo piede.
Di tutta risposta, lui mi fece cenno a Jesse. Tornai a guardare mio fratello, e solo allora notai che una delle sue ciglia finte si era staccata di poco dal contorno palpebra. Né Eve né James parevano essersene accorti, perciò afferrai il volto di Jesse tra le mani e lo voltai verso di me. Con la scusa di pulirgli le labbra sporche, gli sistemai di nuovo le ciglia.
Lui mi sorrise. «Grazie, sorellina.»
Gli sorrisi a mia volta.
«Già che ci sei» disse, «mi andresti a prendere un'altra fetta di questa torta al caramello salato?»
Guardai verso il bancone, in un'altra stanza rispetto a quella dove eravamo. Era affollatissimo. Ci avrei impiegato come minimo dieci minuti per prendere quella fetta. Lasciarlo da solo così tanto tempo...
«Non ti preoccupare, starò benissimo coi tuoi amici. Ah, e anche una tazza di tè, per favore.»
Sospirai e annuii. Ero debole con Jesse, molto debole.
Mi alzai dal tavolo e mi scusai, andando verso il bancone. Proprio mentre ero arrivata, mi accorsi di aver dimenticato il cellulare sul nostro tavolino. Iniziai a tornare indietro, ma, proprio mentre stavo per superare la porta della stanza in cui si trovavano gli altri, sentii la voce di mio fratello da dentro di essa: «Scusatemi se ho interrotto il vostro momento d'amicizia, ma avrei bisogno di parlarvi di una cosa.»
Mi schiacciai contro la parete per non essere vista, mentre gli altri clienti mi guardavano confusi. Poco importava.
La voce seria con cui stava parlando... la conoscevo, la conoscevo molto bene.
«Non mi sono auto invitato solo per conoscervi meglio, in realtà avrei un favore da chiedervi.»
«Un favore?» sentii dire da Eve.
«Vi ho mentito quando ho detto che non vedo Callisto da mesi. La vedo ogni giorno, in realtà, viene a trovarmi tutti i pomeriggi in clinica.»
Voleva dire tutto quanto?
Sentii una fitta al petto, così forte che iniziai a boccheggiare.
«Qu-Quale cli-clinica?»
«So che risulterà difficile da credere, ma la verità è che io morirò tra poco.»
Udii un clangore metallico, qualcuno – probabilmente James – aveva fatto cadere una posata a terra.
«Se non mi credete, guardate qui.»
Non avevo bisogno di vedere, lo conoscevo bene, sapevo cosa aveva appena fatto: si era tolto la parrucca.
Ci fu silenzio.
«Leucemia» proseguì mio fratello. «È all'ultimo stadio, non si può curare. Ce l'ho da quando avevo tredici anni.»
«Callisto...» pronunciò Eve con fiato corto. «Lei non-»
«Sì, scusatemi, sono stato io a chiederle di non dirvelo.» Il tono di Jesse si era fatto più leggero. «Avevo paura che le persone sarebbero diventate sue amiche solo per pietà, non volevo aggiungerle quest'altra sofferenza. Ma lei mi ha parlato molto di voi, posso stare sicuro che questo non accadrà. In fondo, vi ha scelto, e io mi fido di mia sorella.»
Inspirai con forza, mi bruciavano gli occhi.
«Il motivo per cui Callisto ha fatto homeschooling è anche perché si doveva prendere cura di me. Sono io che ho insistito perché tornasse a scuola almeno per l'ultimo anno del liceo. Volevo che avesse una vita normale, per quanto normale possa esserlo avendo un fratello come me.»
«Le-Lei è mo-molto fiera di te. Pa-parla sempre di-di-di t-t-te.»
«Io sono il suo punto debole e lei il mio. È sempre stato così.»
«E perché ti sei rivelato ora?» Per la prima volta fu Ruben a parlare.
Ci fu un angosciante minuto di silenzio.
«Callisto... è un'inguaribile bugiarda.» Jesse rise. «A volte anche io ho difficoltà a capire se mi sta raccontando la verità o meno. Non mi dice mai quanto soffre, non mi mostra mai il suo dolore. Afferma sempre di stare bene, con un sorriso, ma so che non è così. So che avere un fratello come me... non è facile per lei. So che sta trattenendo tutto quello che le fa male... da anni e anni. E so anche che, quando morirò... tutto quello che ha rinchiuso dentro di sé esploderà all'improvviso, senza alcun avvertimento.»
Scivolai lungo la parete con la schiena, mi rannicchiai a terra.
«Io... sono un pessimo fratello. Per quanto ci provi, non riesco a convincerla a sfogarsi con me. Perché non vuole darmi altro dolore, perché vuole rendere i miei ultimi giorni il più sereni possibili. La sua gentilezza... è ciò che la uccide di più.»
Deglutii, mi passai la mano tra i capelli.
«Quando morirò... e accadrà a breve... so già cosa farà. Si rintanerà da sola, lontana da tutti, e soffrirà. Non è abituata a contare sulle altre persone, non è abituata a condividere la sua sofferenza... Perciò vi chiedo, per favore, per favore...» Un attimo di esitazione. «Anche se dovete costringerla, anche se non volete farlo, per favore, non lasciatela da sola neanche per un momento. State con lei giorno e notte. Anche se vi urlerà di lasciarla in pace, anche se vi griderà che non potete capire, statele accanto. So che non mi conoscete e che è pietoso che vi supplichi così approfittando della mia condizione... ma anche se è pietoso, anzi, proprio perché è pietoso, proprio perché sono malato lo faccio. Io non voglio... Ho il terrore di andarmene sapendo che lei rimarrà da sola. Ho bisogno di sapere, prima di morire, che ci saranno persone che le staranno vicino.» Verso la fine la voce gli si spezzò.
Si sentì un singhiozzo, qualcuno alzarsi, e poi la voce di Eve impregnata di lacrime: «Col cazzo che la lascio da sola. Le sfondo la porta della stanza se anche solo prova a farlo.»
Jesse rise, e anche io.
Mi rialzai in piedi, deglutii di nuovo.
«Posso contare su di voi, quindi?»
Non potevo vedere, ma supposi che gli altri ragazzi stessero annuendo. Mi domandai come aveva risposto Ruben.
Lo sentii poco dopo: «Quando dici che manca poco...»
«Spero di riuscire ad arrivare fino al suo compleanno, il 6 dicembre, ma le possibilità sono molto basse.» Ci fu un attimo di esitazione. «Nel caso non ci riuscissi, potreste farle una festa? Nessuno a parte me gliel'ha mai fatta, sono sicuro che ne sarebbe felicissima.»
Avevo sentito abbastanza, non mi andava di origliare oltre. Andai verso il bancone per mettermi in fila. Dopo qualche minuto, sentii una mano afferrarmi da dietro il colletto del cappotto e iniziare a trascinarmi verso l'uscita della pasticceria.
Sollevai lo sguardo, il volto di Ruben era inespressivo. Mi portò fuori, sul marciapiede, senza dire una parola. Mi guardai i piedi, capii di essere stata messa allo scoperto.
Gli sorrisi, lui sospirò.
«Non ti ha visto, se è questo che ti preoccupa, solo io me ne sono accorto.»
Era un sollievo sentirglielo dire, ridacchiai.
«Voi due fratelli siete strani.»
Faceva freddo fuori, l'alito si congelava subito in vapore bianco. Sentii la punta del naso farsi di ghiaccio, la strofinai sulla manica del cappotto.
Ruben sospirò ancora. «Vieni qui.»
Lo guardai confusa, la sua mano indicava lo spazio davanti a sé. Feci qualche passo in avanti.
«Di più.»
Qualche passo di nuovo.
«Di più.»
Mi ritrovai a mezzo metro da lui, la sua mano spinse il mio volto contro il suo petto. Non era un abbraccio, ma qualcosa di più. Mi aggrappai con le dita al suo maglione di lana e strinsi con forza il tessuto. Mi dissi che avrei potuto piangere, ma non era ancora arrivato il momento. Però, comunque, sentivo il bisogno di venir confortata in quel modo.
Era caldo, così caldo che avrei voluto affogare in lui. Anche se puzzava di sigaretta e caffè, quegli odori non mi sembravano poi così terribili. La sua mano sul mio capo percorreva cerchi tra i miei capelli, spettinandoli, in una carezza che all'apparenza poteva apparire banale ma che era la prima in tutta la vita che ricevevo.
«Quando alla fine piangerò» mi ritrovai a dire, «puoi essere il primo a vedere le mie lacrime?»
«Ci sarà tanto muco?»
«Tantissimo.»
«Allora basta che non ti asciughi sulla mia maglia.»
Soffocai il sorriso dentro il suo maglione.
Non appena ritornammo dentro la pasticceria, presi la fetta di torta al caramello salato per Jesse e lo raggiunsi al nostro tavolo. Si era rimesso la parrucca in testa e stava parlando di calcio con James, non appena mi vide arrivare, mi sorrise.
«Grazie, sorellina.»
«Tutto ok?» dissi, guardando i volti dei miei due amici, entrambi con gli occhi ancora rossi dal pianto.
Il sorriso di Jesse si allargò.
«Tutto ok. Gli ho raccontato di quella volta in cui hai provato a dar fuoco alla tua Barbie.»
Risi, anche se dentro mi sentii morire.
Era mio fratello, in fondo.
Era un inguaribile bugiardo, proprio come me.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top