Il frattello più migliore del monndo

«Non avevi detto, a Nicewood, che non mi avresti tenuta in braccio una terza volta?»

«L'avevo detto, sì, ma per colpa di una certa scema che si è fatta rapire e poi picchiare, non ho avuto altra scelta.»

«Ah! Io mi sarei fatta rapire? Guarda che mica l'ho fatto apposta! Sono solo andata a lavarmi le mani dopo che quel finto prete mi ha sporcato col caffè delle macchinette! Come potevo immaginare che dietro ci fosse tutto un piano malefico per portarmi via?»

«Ora che ci penso, l'avevo pure previsto, sempre a Nicewood. Mi ero chiesto come fosse possibile che prima di allora non ti avessero mai rapita, visto il tuo gravissimo e incurabile feticismo per i vecchi pedofili. Senza volerlo, avevo predetto il futuro. Forse anche io ho un super potere, non solo Jesse.»

«Cosa c'entra ora il dottor Sanchez?»

«Quel finto prete doveva avere almeno cinquant'anni. Scommetto che eri troppo intenta a sbavargli dietro per preoccuparti su chi fosse realmente. Anzi, sono sicuro è stato proprio per quel motivo se gli è stato così facile sporcarti con il caffè. Presa com'eri a rimirarlo, non avresti mai potuto accorgerti che ti voleva rovesciare volutamente la bevanda addosso. Incredibile, il tuo discutibile e illegale pessimo gusto per gli uomini non si ferma di fronte a niente, nemmeno gli ecclesiastici e Dio in persona.»

«No! Non è assolutamente vero! Possibile che anche in una situazione tragica come il mio rapimento ti fissi ancora su questa cosa?! Aspetta, è per questo che l'hai pestato a sangue in quel modo?»

«No, non sapevo ancora come era riuscito a intrappolarti, sapevo solo che era uno dei tuoi sequestratori e ho sentito cosa ti stava dicendo con quel piede di porco in mano. Se lo avessi saputo, non solo a quest'ora sarebbe morto, ma Rick non avrebbe potuto neanche riutilizzare il suo cadavere per venderne gli organi al mercato nero.»

«Guarda che nemmeno avevo pensato alla sua età! Non me n'ero neanche accorta! Stavo per ritirare gli effetti personali del mio amato fratello defunto, secondo te ero nelle condizioni mentali per perdere la testa per un uomo? E poi era un prete! Un prete! Chi mai penserebbe che un criminale si camufferebbe da prete per rapire un'adolescente? In una clinica per malati terminali, poi?»

«Ragazzina, tutti lo penserebbero. Gli abiti da chiesa sono un passe-partout per accedere a qualsiasi luogo. Quelli e le donne incinte. È cosa risaputa in tutto il mondo. Davvero non hai avuto neanche il più piccolo sospetto? Come hai fatto a sopravvivere fino ad ora?»

«Non ci posso credere! Ti ci metti pure tu, Anna? Avete deciso di suggellare la vostra riappacificazione madre-figlio insultando me, la vittima del rapimento che ha portato alla suddetta riappacificazione?»

«No, lo avremmo fatto anche senza riappacificazione. Semplicemente, insultarti è la sola cosa giusta e sana da fare.»

«Ah! Questa è bella! Tu mi vuoi fare la predica? Hai scatenato l'apocalisse proprio perché mi avevano rapita! Metà dei soldi che dovrò dare a Rick serviranno solo per compensare i danni che hai provocato in modalità berserk e impedire che quelli del Dump ti inseguano come dei vichinghi fino alla fine del mondo!»

«Meglio così. Conoscendoti, avresti speso quei soldi soltanto per comprarti vestiti e gadget di Crystal Ballerina. Mi sono salvato dall'orrore di vederti per il resto dei miei giorni agghindata con tutù, scarpette rosa da ballo e una finta bacchetta magica in mano. Anzi, ho fatto un vero e proprio favore all'umanità intera

«Non è vero! Non sono così ossessionata!»

«Ah sì? Com'è che la felpa tua che Rick mi ha dato era proprio quella di Crystal Ballerina?»

«Una coincidenza, solo e soltanto una semplice coincidenza.»

«Il tuo motto di vita è la sigla del cartone animato.»

«Per davvero, ragazzina? Il tuo motto di vita è la sigla di un cartone animato per femminucce di secoli e secoli fa? Adesso mi spiego molte cose.»

«Cosa c'entra Crystal Ballerina in tutto questo? Non stavamo parlando di altro?»

«Giusto. I vecchi a cui vai dietro.»

«Non vado dietro ai vecchi!»

«Cos'è questa storia dei vecchi?»

«La sua prima cotta è stata un oncologo di suo fratello. Lei aveva sette anni, lui cinquanta. L'ha avuta perché lui, ogni volta che la incontrava, le diceva sempre che era bellissima e bravissima e le dava le caramelle.»

«Sei sicura che questa è stata la prima volta che ti hanno rapita, ragazzina? Forse è già successo, ma l'hai dimenticato.»

«Ancora?! Non ci posso credere! Dopo tutto quello che ho fatto per voi due! Ho svuotato tutti i miei futuri guadagni, faticosamente conquistati dal mio amato fratellone, per salvarvi il culo, e questo è il modo in cui mi ripagate? Mi dovreste venerare, altroché insultare! E poi, voi due non vi parlavate a stento? Com'è possibile che abbiate d'improvviso trovato tutta questa complicità?»

«Sii fiera di te, hai compiuto un altro miracolo. A quanto pare la segatura che hai nel cervello non serve solo a farti fare inutili salti mortali.»

«Come osi?! Avete la più pallida idea di che predica mi farà Kevin quando verrà a sapere della cosa? Forse dovrò preparare un funerale pure per lui, tanto sarà lo shock! A proposito, Kevin sta bene? Era in clinica con me, quando è successo il fattaccio.»

«Fisicamente sta bene, psicologicamente non saprei.»

«In che senso?»

«Nel senso che oltre al trauma di non averti potuta aiutare, ha cercato in tutti i modi di impedirmi di venire qui, di convincermi a trovare un'altra strada, una più diplomatica, sapendo bene quali erano le mie intenzioni. Diceva che non era pronto a difendermi per una strage di massa in tribunale. È per colpa sua se sono arrivato così tardi.»

«Mi stupisce che tu non l'abbia picchiato. Come sei riuscito a scappare?»

«Cindy mi ha coperto, l'ha distratto per impedirgli di notare che io stavo scappando di casa. Eve mi ha dato la mazza da baseball. Avrebbe voluto darmi il suo fucile, ma suo padre non le ha voluto dire il codice di sblocco perché ancora non le ha insegnato come usarlo.»

«Mi stupisce anche che non abbia voluto accompagnarti.»

«Voleva farlo, James l'ha trattenuta mentre lei tentava di scappare con me dalla finestra.»

«Spero che non abbia picchiato lui.»

«Non saprei, mentre me ne stavo andando, ho sentito Eve urlare: "I chiodi li metto nel tuo cervello, altroché sulla mazza da baseball!" Ma come puoi immaginare, non ero nelle condizioni di preoccuparmene.»

Proprio come evocata da quelle parole, una macchina, una Mercedes argentata, frenò con furia davanti a noi, sgommando e lasciando dietro di sé una scia nera di pneumatici consumati. Eravamo proprio all'uscita del Dump, in una delle stradicciole che conducevano fuori da quel quartiere, Rick aveva avuto il "buon cuore" di accompagnarci con uno dei suoi uomini, per garantirci una protezione fino all'ultimo, e una volta arrivati lì, ci aveva lasciato facendoci l'occhiolino.

Colei di cui avevamo appena parlato nonché colei che Ruben aveva chiamato per chiederle di venirci a prendere, Eve, uscì fuori dalla macchina in fretta e furia. Il volto devastato dalle lacrime, il terrore e la rabbia. «CALLISTO!» gridò a squarciagola, correndomi incontro, mentre ero ancora tra le braccia di Ruben. Aveva i capelli tutti spettinati, le guance scavate, la pelle bianca, quasi trasparente, le labbra che tremavano. Vederla in quelle condizioni mi fece stringere il cuore, indusse nuove lacrime a sgorgare dai miei occhi ancora gonfi. «Oh mio Dio! Stai bene? Oddio! Perché non avete chiamato l'ambulanza? Oddio, no, lo so, lo so il perché, è il Dump, hai ragione! Oddio! Callisto!»

Tentò di contornarmi il volto con le sue mani, ma d'improvviso Ruben si scostò, fece tre passi indietro per impedirglielo.

Aggrottai la fronte, lo guardai confusa, lui mantenne la solita espressione austera e crucciata in viso.

Eve, però, presa com'era dal panico, il sollievo, l'ira e la confusione, neanche ci fece caso. Mi scannerizzò dalla testa ai piedi, stretta tra le braccia di Ruben, diventando sempre di più una fontana, specie quando vide il modo in cui Anna mi aveva immobilizzato il braccio sofferente con un paio di bastoncini presi da chissà dove, delle garze e un lembo di tessuto incastrati tra loro in modo da bloccare qualsiasi movimento dell'arto. Una tecnica che non avevo idea da dove avesse tirato fuori, supposi una delle tante abilità che aveva appreso dal Dump. «Dobbiamo correre all'ospedale!» strillò a voce acuta. «Ti prego, dimmi che hai spaccato il setto nasale e il cranio di quella lurida cagna!» aggiunse poi, gli occhi rivolti a Ruben.

«Purtroppo no» rispose lui, la voce fredda. Mi accorsi che, stranamente, stava controllando con gli occhi la distanza tra me ed Eve, come se volesse evitare a tutti i costi che lei mi toccasse in qualche modo. Aggrottai ancor più la fronte. Mi avevano picchiata, sì, ed in effetti avevo dolori dappertutto, specie lo stomaco, ma non ero ancora così grave. Oddio, almeno così credevo, era lui il sommelier dei pestaggi, non certo io. «Ma a quanto pare ci ha pensato qualcun altro.»

Il sopracciglio sinistro di Eve si inarcò confuso.

Era la verità, però, o almeno, questo era quello che ci aveva lasciato intendere Rick. Mentre stilavamo i dettagli del nostro accordo, mi aveva spiegato anche tutto quello che avrei dovuto dire alle autorità una volta uscita da lì.

«Scontro tra gang» aveva detto con il suo solito sorrisetto petulante.

«Scontro tra gang? Tutto qui?» avevo ripetuto io confusa. «Secondo te se la beveranno così facilmente?»

«Mia amata Giulietta, la tua dolce innocenza mi induce a dubitare dei coglioni che hai tirato fuori prima, per convincermi a venderti la mia puttanella preferita! Qua al Dump gli scontri tra gang così giovani sono più che comuni, ce ne sono almeno tre al giorno, è un modo che usano per definire i loro territori o usurparseli tra loro. La storia sarà questa: tua madre ti ha rapita sfruttandone una, un'altra gang, nel sentire l'odore di soldi portati dalla tua genitrice, ha deciso di approfittarsene per assalirli e rubarglieli proprio in un momento così delicato come il tuo rapimento. Il tuo prode cavaliere della notte, grazie all'aiuto di sua madre nonché mia puttanella preferita, che casualmente aveva sentito dove stava avvenendo lo scontro, ne ha approfittato per recuperarti e metterti in salvo. Ah, quando vi farete venire a prendere, chiedete un cambio per lui, così che non si vedano tutte le macchie del sangue delle povere vittime innocenti che ha pestato nel suo delirio da Orlando furioso. Fine.»

Davanti a quella giustificazione (e la sorpresa che un uomo come Rick conoscesse un'opera come l'Orlando furioso), avevo aggrottato ancor più la fronte, fissandolo sempre più perplessa: «Mi pare una scusa piuttosto debole, non ci cascherebbero mai.»

«Il punto non è quanto sia forte la scusa, il punto è che nessuno oltre a te, il tuo Romeo e la mia puttanella preferita spiegherà mai cos'è successo alle autorità e oserà dare un'altra versione dei fatti. Sai perché è così difficile per loro intervenire qua dentro, oltre a, beh, mi pare evidente, la violenza e tutto il resto? Omertà, Giulietta, omertà

Aveva gonfiato il petto con orgoglio, come se fosse il vanto più grande del secolo, come se avesse appena dichiarato di aver salvato un bambino dall'affogare in un fiume.

«Nemmeno i membri della gang che tua madre ha ingaggiato oserebbero mai dire qualcosa alla polizia, neanche sotto tortura, accetterebbero semplicemente di venir arrestati e se ne starebbero zitti fino alla fine dei loro giorni. L'unico coglione che ha mai avuto il coraggio di chiamare le autorità è il qui presente e tuo grande amato Romeo. Potresti persino dir loro che un unicorno arcobalenoso pieno di glitter mandato da tuo fratello è sceso dalle nuvole del paradiso per salvarti e portarti via da lì, e sarebbero comunque costretti a crederti, perché nessuno mai oserebbe dire cos'è successo veramente. E le prove fisiche le ho già rimosse tutte quante io, perciò anche se provassero ad indagare non troverebbero nulla. Le sole che sono rimaste – o meglio, che io ho volutamente lasciato - sono quelle che collegano la tua stimabile genitrice alla gang che ti ha sequestrata. Inoltre, e che questo rimanga tra noi, mia dolcissima Giulietta, ho non poche "amicizie" nelle nostre amate forze dell'ordine.» E mi aveva fatto l'occhiolino. Forse si aspettava che gli facessi gli applausi, perché sembrò deluso davanti alla mia espressione più che preoccupata.

«E non ci saranno ripercussioni su Anna e Ruben?»

«Non ti preoccupare, Giulietta, ho già pensato a tutto io. Fidati di me. Te l'ho detto, so il fatto mio in questo posto.»

«E mia madre?» avevo domandato a quel punto, la sua aria si era fatta ancor più tronfia. «Che fine ha fatto? Che fine hanno fatto tutti quelli che mi hanno rapita?»

«Tua madre, scema com'era, a stento sapeva come si chiamava la gang a cui si era affidata, figurarsi se ha la più pallida idea di chi siano i miei uomini e chi sono io» aveva spiegato. «Il massimo che potrà dire sarà la verità che conosce: cioè che mentre ti stava picchiando, un gruppo di uomini ha assalito il capannone, ma che non aveva la più pallida idea di chi fossero. Per quanto riguarda la fine che ha fatto e quella che hanno fatto i tuoi rapitori...» Le labbra si erano squarciate in un sorriso inquietantissimo. «Lo scoprirai presto, molto presto. Consideralo il mio regalo per brindare al nostro patto. Fidati, Giulietta, lo amerai alla follia

Strano a dirsi, ma nel vedergli quel sorriso, avevo provato quasi compassione per i miei rapitori.

Quasi.

Non certo per mia madre, lei no.

«È una storia lunga» mormorai ad Eve, lei si accigliò. «Non ti preoccupare, io me la caverò. Hai portato il cambio per Ruben?»

«Sì, è in macchina.» A quel punto sussultò, voltò il capo, accorgendosi in quel momento della presenza di Anna accanto a noi, intenta a fumare. Sbarrò gli occhi. Non le ci volle molto per intuire chi fosse, vista la somiglianza palese con Ruben. «Lei è la mamma di Ruben?» domandò. Immaginai che lui le avesse fornito qualche dettaglio generale sulla storia, mentre erano al telefono.

«Sì, la puttana tossica» confermò Anna. Aggrottai la fronte. Non era certo il modo adatto per presentarsi, ma supposi che per lei, ormai, quell'appellativo fosse una sorta di biglietto da visita.

Eve sorrise. «Anche io sono una puttana, lo sai?» Si indicò con aria fiera col pollice. «A scuola mi chiamano tutti così!»

Mi accigliai ancora di più, soprattutto quando Anna mi rivolse il suo sguardo torvo: «Allora non hai il fetish solo per i vecchi, ragazzina, ma anche per le puttane, eh?»

Spalancai la bocca, oltraggiata. Ruben, serissimo, aggiunse: «Sì, quasi si innamora di loro.»

D'improvviso mi fu chiaro tutto, specie il motivo per cui stava così attento a far sì che Eve ed io non avessimo alcun contatto fisico. Lo fissai sbigottita. «Sul serio?!» tuonai stupefatta. «Ti sei fissato pure su questa cosa?!»

Lui mi ignorò, lo sguardo dritto davanti a sé.

«Ruben mi ha detto che è merito tuo se Callisto sta bene!» continuò Eve. «Grazie mille per aver salvato la mia amica, Anna!»

Anna strabuzzò gli occhi per qualche istante, la sigaretta per poco non le cadde a terra. Era evidente, a primo acchito, che non credeva possibile che qualcun altro potesse ringraziarla in quel modo. Mi si strinse di nuovo il cuore nel vederla così. Immaginai che nell'arco di quelle ultime ore, era stata trattata come un essere umano più di quanto lo fosse stata nel corso della sua intera vita.

«Cindy?» domandai.

«Voleva venire anche lei, ma doveva distrarre Kevin e James.»

«Persino James?»

«In realtà, James stava cercando di tranquillizzare Kevin non appena lui si è accorto che Ruben era scappato, era sul punto di svenire.»

Non potevo crederci: persino in una tragedia così grande come il mio rapimento, eravamo in grado di creare siparietti comici come quelli.

Supposi che era meglio di niente, e Jesse, sicuramente, si sarebbe sganasciato dalle risate.

«Andiamo in ospedale» dichiarò Eve, «prima si fa visitare, meglio è.» Poi guardò di nuovo Anna, dopo guardò me, e con un sorrisetto divertito mi disse senza voce, muovendo solo le labbra: «Un altro membro del fanclub.» Supposi volesse farmi sorridere, dopo il trauma subito dal sequestro, ma ottenne l'effetto contrario.

Quasi avrei voluto che fosse così, perché almeno in quel modo non sarei stata derisa da lei insieme al figlio.

Entrò in macchina e Anna la seguì, a passo svelto. Stranamente, Ruben non si mosse, continuò a guardare astioso la Mercedes.

«Cosa sarebbe questo fanclub?»

Sussultai, e quella mossa mi provocò altre fitte di dolore in tutto il corpo. Non pensavo se ne fosse accorto, preso com'era a controllare la distanza fisica tra me e la mia amica.

Sentii le guance bruciarmi, ignorai i suoi occhi su di me. «Eve... e Cindy...» mormorai, vergognosa, il che era ridicolo, perché non ero io la causa di tutto ciò, anzi. Si poteva persino dire che ero la vittima in quella situazione, e non solo del rapimento. «Loro due...»

Il suo sguardo su di me mi stava ustionando, davvero.

«Diciamo che... ci shippano.»

«Ci shippano?»

«Sì, sai, hai presente quando pensi "Oh, quei due sarebbero una coppia magnifica" oppure "Quei due sono così carini insieme"?» mormorai, col fumo che tra poco usciva dalle mie orecchie. «Ecco, Eve e Cindy pensano questo di noi, e perciò hanno fondato un fanclub.»

«Un fanclub su noi due?»

Quasi avrei voluto che mi avessero picchiata di più, abbastanza da perdere i sensi e risparmiarmi quell'umiliazione. Continuavo a fissare dritto per terra, facendo di tutto per sfuggire dal suo sguardo carico di giudizio.

Tsundere com'era e bad boy com'era, sapevo che quella notizia non gli sarebbe piaciuta per niente.

Ma... stranamente lui tacque, il che mi stupì. La curiosità prevalse sulla vergogna, sollevai lo sguardo per osservarlo. La sua espressione torva di sempre si era leggermente rilassata, un vero e proprio miracolo.

«Capisco» disse solo alla fine, la voce profonda di sempre, iniziando ad avviarsi a sua volta verso la macchina.

«Ehi.»

«Cosa c'è?»

«Hai appena pensato che se Eve ci shippa, non è più un pericolo, non è così?»

«La tua amica è un pericolo per tutti, sempre, specie con una mazza da baseball in mano» disse colui che aveva appena scatenato l'apocalisse al Dump con suddetta mazza da baseball.

«Non riesco a crederci, davvero ti eri fissato pure su questa cosa? Guarda che l'avevo detto solo per spiegare meglio quanto fosse bella!»

Si fermò davanti alla portiera ancora chiusa, si voltò per guardarmi. Le sopracciglia calamitate sugli occhi, uno sguardo più severo del solito, così tanto che quasi mi spaventai.

«Giusto perché tu lo sappia» dichiarò con tono deciso, «non ho intenzione di fartela passare liscia.»

Sbattei le palpebre, confusa. «A cosa ti riferisci? Sempre ad Eve? O al rapimento?»

Serrò la mascella, e mi stupii nel vedere quell'agonia che l'aveva travolto prima, al nostro rincontro in quella casetta abbandonata, divorargli di nuovo gli occhi, anche se fu solo per un secondo.

«Tutto» disse alla fine. «Tutto quanto.»

Ero sempre più perplessa, non riuscivo davvero a comprendere cosa intendesse.

«Sii più specifico» mi lamentai, mentre apriva la portiera. «Non riesco a capire.»

«Prega solo di guarire il più lentamente possibile» fu la sua risposta. «Perché una volta che ti sarai ripresa, non avrò alcuna pietà.»

Voleva darmi così tante botte in testa da procurarmi sul serio un trauma cranico?

Adesso avevo davvero paura.

Ma non ebbi modo di chiederglielo, l'attimo dopo entrammo in macchina.

*

L'ennesimo miracolo fu scoprire, in ospedale, che mi ero rotta soltanto, e non in modo grave, l'omero. Frattura dell'omero prossimale, così la definirono i medici. Mi chiesero anche come avessi fatto a sostenere il dolore per tutto quel tempo, e io non ebbi modo di rispondergli che tutte le vicende assurde che mi erano accadute nell'arco di così poco tempo mi avevano sconvolta a tal punto da quasi anestetizzarmi a quella sofferenza. Le magie dell'adrenalina.

Come Anna mi aveva "dolcemente" detto quando mi aveva recuperata, mamma non disponeva di alcuna forza fisica: scema com'era, nel tentativo di godersi meglio il mio pestaggio e umiliarmi di più, aveva ottenuto il risultato contrario, ciò farmi meno male possibile.

Certo, questo non significava che fossi fresca come una rosa. Adesso avevo il braccio immobilizzato da un tutore e i pugni e i calci, in fondo, me li aveva dati lo stesso e per un bel po' di ore. Le contusioni erano state inevitabili e ricoprivano tutto il mio corpo, in particolar modo la pancia, ed ero certa – me l'avevano garantito anche medici ed infermieri – che per le prossime settimane sarei stata ricoperta da più di lividi di quanti mio fratello e Ruben messi assieme ne avessero avuti nella loro intera vita.

I medici decisero di tenermi sotto osservazione per quella notte.

Subito dopo il mio arrivo in ospedale, giunsero anche tutti gli altri, prima ancora della polizia: Kevin, Cindy e James. Kevin, tuttavia, fu l'unico ad entrare nella stanza in cui mi avevano messa, mentre Cindy e James raggiungevano Eve ed Anna, fuori in corridoio. Lui accorse col volto disperato, gli occhi lucidi e le mani tremanti.

Non appena mise piede dentro, guardò prima me, il mio braccio immobilizzato dal tutore, poi Ruben seduto sulla sedia al fianco del mio capezzale, e la prima cosa che chiese fu: «Quanti ne hai ammazzati?»

Non riuscii a trattenermi, scoppiai a ridere. Ruben inarcò un sopracciglio: «Zero.»

«Non prendermi per il culo, ragazzo mio, non sono così scemo.» Si sistemò gli occhiali, si guardò attorno per assicurarsi che non ci fossero membri del personale sanitario, e aggiunse: «Non penso che tu sia evaso di casa solo per intraprendere una carriera da diplomatico.»

«Ho detto che ne ho ammazzati zero, non quanti ne ho picchiati» rispose lui freddamente. Kevin lo fulminò con un'occhiataccia. «Alcuni di loro potrebbero avere difficoltà ad espletare i loro bisogni da soli per le prossime settimane, questo sì, non lo nego.»

Kevin si passò una mano sul viso pallido, chiuse gli occhi, inspirò a fondo per ricomporsi. «Ok» esalò alla fine, le palpebre ancora abbassate. «Ok, ok, ok. Mi calmo. Ho bisogno di mantenere un grande autocontrollo, o se no sento che raggiungerò presto Jesse in paradiso a causa di un improvviso aneurisma.» Tornò a guardarmi, un sorriso delicato a solcargli le labbra, gli occhi ancora lucidi. «Mi dispiace, Callisto» mormorò con voce roca. «Avrei dovuto essere più attento, là in clinica.»

Sentire il dolore e il senso di colpa che lo stava squarciando nelle iridi scure, quasi mi portò di nuovo a lacrimare. Mi affrettai a scuotere la testa più volte, seduta sul letto. «Non è colpa di nessuno, se non di quelli che mi hanno rapita» replicai. «Non stiamo qui ad accusarci inutilmente. E fidati, Kevin» mi costrinsi ad aggiungere, «quando ti spiegherò tutto quello che è successo, tutti i tuoi sensi di colpa verranno sostituiti da un immenso, gigantesco senso di disperazione.»

Lui aggrottò la fronte, confuso. «Quanto mi terrorizzerai, da uno a dieci?»

«Mille.»

Inspirò con forza dal naso. Chiuse di nuovo gli occhi. Guardò la porta ancora aperta della stanza dell'ospedale e si affrettò a chiuderla. «Ok» dichiarò con voce severa. «Per caso questo senso di disperazione che proverò è in qualche modo collegato alla presenza della madre di questo papabile assassino di massa al tuo fianco?» domandò poi, indicando Ruben col pollice. Io annuii. Il suo volto sbiancò ancor più. «E per caso è sempre dovuto al motivo per cui hai chiesto di parlare prima con me e poi con la polizia?»

Annuii ancora.

Era sul punto di svenire, sul serio, dovette sedersi sul capezzale del mio letto e deglutire più volte, prima di riassumere un aspetto dignitoso.

«Ok» ripeté per la millesima volta. «Spara, sono pronto.»

Come avevo sospettato, per poco non perse i sensi davanti a tutta la storia, specie quando scoprì che fine avrebbero fatto i miei soldi e soprattutto in mano a chi sarebbero finiti. Ruben dovette afferrarlo per le spalle, per impedirgli di crollare a terra e spaccarsi il muso contro il pavimento.

Fui quasi tentata di chiamare gli infermieri per chiedere un letto anche per lui, perché ero piuttosto sicura che quell'aneurisma l'avrebbe avuto davvero e anche in fretta.

Ovviamente, come immaginavo, mi fece una ramanzina che durò all'infinito, ma davanti al mio sguardo deciso, fu costretto ad arrendersi.

«Sono finito in un episodio di La casa di carta senza che me ne accorgessi?» si domandò alla fine, gli occhi sgranati, fissi per terra, le mani strette tra loro per impedirsi di tremare dallo stupore. «Cristiddio, Callisto! Come-»

«Lo so, Kevin, ma non me ne pento» dichiarai sicura, bloccandolo subito. «Anna mi ha salvato la vita, e dei soldi non me n'è mai fregato niente, lo sai. Anche Jesse ne sarebbe stato felice.»

Lui serrò la mascella, continuando a guardare in basso, restò in silenzio per qualche minuto. «La cosa orrenda è che so che hai ragione, anzi, sono piuttosto certo che in questo momento stia dando una festa in tuo onore in paradiso, riesco quasi a sentire i cori d'angeli» bisbigliò. «Grazie a Dio non ti è venuto in mente di offrirgli anche i soldi del tuo conto corrente, altrimenti sareste finiti tutti in mezzo alla strada.»

Mi accigliai. «Sono buona, sì, ma non rincoglionita.»

«Questo è ancora tutto da vedere» commentò Ruben, e io lo fulminai con un'occhiataccia.

«Callisto-»

«Kevin» lo bloccai ancora, lui sussultò, tornò a guardarmi stupito. «Vorrei che mi dessi una mano per aiutare Anna.» Aggrottò la fronte. «Non è mai uscita dal Dump in tutta la sua vita, non ha mai visto il mondo esterno. Tu sei l'adulto più maturo che io abbia mai conosciuto, e so anche che sai come muoverti nel mondo del lavoro. Siete anche coetanei, da quel che ho capito.» aggiunsi poi. «Lo so che ti sto chiedendo tanto, lo so che per te è una semplice estranea, ma per me lei è la mia salvatrice» proseguii, davanti al suo sguardo ancor più trafelato. «Ti pagherò, ovviamente, e ti darò tutti i soldi necessari per riuscirci, perché questo caso esce fuori dalla scommessa con Jesse. Ma ci tengo davvero. Voglio che Anna abbia l'opportunità che il mondo non le ha mai offerto. Voglio che, almeno ora, lei possa iniziare a considerarsi a sua volta un essere umano.»

C'era pura sincerità nella mia voce, e Kevin lo capì subito, gli bastò sentirla, guardare i miei occhi. Accanto a me, Ruben si irrigidì ancora, le braccia incrociate al petto.

Il mio avvocato serrò la mascella, si sistemò gli occhiali scesi sul naso, restò a riflettere per qualche minuto. «Callisto Murray» mi chiamò di nuovo, a occhi chiusi, «sei stata letteralmente appena rapita e picchiata da tua madre, ma la tua preoccupazione principale va verso una sconosciuta» fu il suo commento. Si massaggiò la fronte, le tempie. «Cristo santo, davvero, come diavolo hai fatto a uscire dallo spermatozoo e l'ovulo di quei due pezzi di merda?»

Mi ritrovai a ridere di nuovo, senza volerlo. «Non ce la facevo proprio, Kevin» ammisi alla fine, sorprendendolo ancora. «Non ce la facevo proprio a guardarla e lasciarla lì, con la convinzione di essere un mostro che avrebbe rovinato per sempre il figlio, per il resto dei suoi giorni. Io lo so, cosa significa credersi tale, pensare di umiliare e far soffrire la persona che più amiamo solo esistendo» bisbigliai a quel punto, guardandomi la mano pallida del braccio non ingessato. «E se non fosse stato per l'aiuto di tutti voi, che mi conoscevate appena, e di mio fratello, non sarei mai uscita da questa convinzione a mia volta. Ora voglio fare la stessa cosa. È l'opportunità che mi ha dato Jesse, Kevin» ripresi, e il suo volto si fece ancor più meravigliato. «L'ho capito, ora, l'ho capito, finalmente, qual è il mio desiderio.» Inspirai a forza, mentre gli occhi mi bruciavano. «Voglio aiutare le persone, Kevin, voglio renderle felici, non più con sorrisi e menzogne, ma con quello che sono io e quello che posso offrire io, tutte le mie verità

Mi guardò allucinato, con gli occhiali che rischiavano di cadergli sul letto, ma era così stupito che neanche pensava a risistemarseli. Sempre al mio fianco, avvertii lo sguardo truce di Ruben addosso. Mi domandai cosa stesse pensando, ma non avevo il tempo di chiederglielo.

Kevin deglutì a fatica, dilatando la gola per quello sforzo, la pelle del viso sempre più emaciata. Respirava a fatica. «Voi fratelli Murray mi terrorizzate sul serio, davvero, lo giuro» bisbigliò alla fine, sbattendo più volte le palpebre.

Mi sfuggì un sorriso, mi sforzai di trattenere il pianto.

Lui si passò una mano sul volto, coprendosi poi la bocca con le dita, in silenzio mentre rifletteva. «Ho alcuni contatti che mi potrebbero aiutare, ho avuto vari clienti in situazioni simili alla sua» mormorò alla fine, stupendomi. «Inoltre, è una donna molto giovane, più si è giovani, più è facile abituarsi a fattori nuovi ed esterni. E da quanto ho capito si è anche disintossicata, giusto?» Annuii con forza. «Potrei anche introdurla a qualche centro di disintossicazione, giusto per aiutarla a proseguire il suo cammino di recupero dalla dipendenza. Il fatto che ci sia riuscita da sola è già di per sé incredibile, mostra la sua forza di volontà, pochissimi ne sarebbero capaci, ma avere qualcuno che ti sostiene, professionisti di quel settore, non potrà che essere un vantaggio per lei per evitare ricadute. Molti di quei centri offrono anche vari aiuti per reintegrarsi in società e trovare un lavoro stabile.»

Sentii per l'ennesima volta il cuore rischiare di squarciarsi per il sollievo e la felicità. Mai come allora, fui grata a Jesse per avermi permesso di conoscere quell'uomo, per avermi dato un sostegno così fondamentale per la vita che avrei condotto dopo la sua morte.

Con la coda dell'occhio, notai Ruben aggrottare le sopracciglia nel tentativo di camuffare lo stupore. Un altro dolore acuto mi si riverberò nel petto, rendendomi conto che, per l'ennesima volta, quell'altruismo che gli si stava ponendo davanti lo sconvolgeva più di quanto avrebbe potuto fare la presenza improvvisa di un alieno di fronte ai suoi occhi.

«Per obbligo, Ruben non dovrebbe entrare in contatto con sua madre, come sapete» aggiunse poi. «Ma vista l'età di lui, vicino alla maggiore età, e il fatto che entrambi provengono dal Dump, dubito che agli assistenti sociali gliene fregherà chissà quanto di quel che è appena successo e del fatto che sua madre sia uscita fuori da quel quartiere. Probabilmente neanche andranno mai a controllare. Terribile da dire, ma gli assistenti sociali hanno gettato la spugna da molti anni con il Dump, forse persino più di quanto l'abbia fatto la polizia. Tuttavia, pongo una sola condizione: Ruben deve fare di tutto per evitare che la sua famiglia affidataria scopra che è di nuovo in contatto con la madre.»

Sia io che Ruben sussultammo.

«Possiamo considerare questo caso, il fatto che lui ti abbia salvato grazie a lei, come una semplice eccezione. Anzi, non conosco questa famiglia affidataria, ma ho già capito che tipo è: finti filantropi che vogliono elevarsi sul piedistallo per il loro pseudo altruismo, servendosi delle origini povere del ragazzo del quartiere malfamato per far credere a tutti di esser riusciti a redimerlo e ottenere così l'ammirazione della folla. Appena sapranno che sempre questo ragazzo ha salvato la giovane più amata del popolo, colei che tutti quanti adorano dopo che il fratello ha mostrato al mondo la sua storia, sono certo che faranno di tutto per sfruttare Ruben al massimo e prendersi i meriti di quanto ha fatto.»

Mi morsi il labbro, Ruben si irrigidì. Kevin lanciò un'occhiata severa ad entrambi. «E voi dovrete lasciarli fare» ordinò con tono deciso. «Per quanto pezzi di merda simili ai coniugi Murray, per quanto i loro fini siano tutto fuorché nobili, stanno garantendo comunque a Ruben un'educazione scolastica fantastica. Il diploma di quel liceo vale un sacco, lo sapete bene, può darvi molte opportunità per il futuro. Se in qualche modo litigaste con loro e gli faceste cambiare idea, sono sicuro che Anna non se lo perdonerebbe mai e rimpiangerebbe la scelta di essere uscita dal Dump.» Mi irrigidii sul posto, sapevo che aveva ragione. «Sono stato chiaro?»

Era incredibile. Guardare Kevin e i suoi ragionamenti mi stupiva sempre, aveva una lucidità davvero adulta, che mai mi sarei riuscita a spiegare e che gli invidiavo tantissimo. Mi chiesi se anche io, in futuro, avrei potuto diventare come lui. Era un uomo che ammiravo tantissimo, con certezze e saldezze tali da indurmi a credere che avresti potuto appigliarti a lui in qualsiasi momento, anche i più tragici e crudeli.

Sia io che Ruben annuimmo a fatica, Kevin sospirò. «Una volta preso quel diploma, Ruben potrà fare quello che vuole: mandare a fanculo la sua famiglia affidataria e andare a stare con la madre, se lo desidera. Io, però, ti suggerirei caldamente, ragazzo mio, di continuare a restare in buoni rapporti con loro.» Davanti allo sguardo truce di lui, il mio avvocato spiegò: «Lo so che è umiliante per te, venir sfruttato in questo modo da quei bastardi, me ne rendo conto e non ti posso neanche biasimare per questo. Il punto è che come loro sfruttano te, anche tu puoi sfruttare loro. Il loro falso altruismo e bisogno di attenzioni potrà essere uno strumento meraviglioso per far sì che continuino a supportarti anche una volta che legalmente non sarai sotto la loro tutela. Pensa quanto si vanterebbero col mondo, se tu riuscissi a laurearti in un'università eccellente o ad ottenere ottimi risultati in ambito lavorativo, grazie al loro sostegno. Più gonfierai il loro ego e la loro stupidità, più loro saranno disposti a darti una mano. E il fatto che se ne freghino di te, in realtà, e che ti facciano fare gli affari tuoi, ti viene ancor più a vantaggio. Un po' come Jesse ha fatto per svuotare il portafogli dei suoi genitori: manipolali, ragazzo mio, spremili fino all'ultima goccia.»

Mi ritrovai a sorridere. Adoravo davvero quell'avvocato.

«Questo non è il Dump, Ruben, è il mondo esterno» dichiarò deciso. «Qua non è con la violenza, i pugni e i calci che si va avanti. La diplomazia, la furbizia e il cervello saranno le tre armi fondamentali con cui affrontare i problemi che ti si porranno di fronte. È ora che tu lo impari. So che sei un ragazzo intelligente, quindi so che puoi farlo.»

Vidi lui irrigidirsi ancor più. Supposi che fosse difficile accettare tutto ciò, avendo passato praticamente tutta la vita a sopravvivere solo grazie alla crudeltà e alla violenza, ma non ribatté nulla, non disse niente, si limitò ad annuire soltanto.

Kevin sospirò ancora, si risistemò gli occhiali. «E ora passiamo agli altri problemi, visto che abbiamo già deciso che versione dare alla polizia su quanto successo» disse. «Callisto, vorrei che insieme iniziassimo a cercare una casa per te, ora che il problema con i tuoi genitori è risolto e non dovrai più essere sotto protezione.»

Mi umettai le labbra, restai in silenzio.

«L'appartamento dei tuoi, quello in cui vivevi prima, è ancora sotto indagine della polizia e della scientifica, ma sinceramente, anche una volta che non lo sarà più e finirà in mano tua, non voglio che tu torni a stare lì, quando non starai ai dormitori.» Aggrottò appena la fronte. «Quel posto, per te, è un nucleo di incubi e ricordi traumatici. So che sei forte, ragazza mia, lo so molto bene, l'ho visto coi miei occhi, ma il fatto che tu sia forte non significa che tu non soffra. Ci sono molte cose, in quell'appartamento, che ti farebbero stare male. Jesse me ne aveva parlato, era d'accordo con me. Voleva che tu ti trovassi una casa tua, anche solo un monolocale, per garantirti un posto dove stare al di fuori della scuola e anche dopo aver preso il diploma. Beh, in realtà, con tutti i soldi che hai nel conto corrente che ti ha lasciato, potresti persino affittare una villetta in centro città.»

Sapevo che aveva ragione anche su questo, era un quesito che mi ero posta a mia volta, riflettendo su quello che avrei dovuto fare in futuro, una volta risolta la questione di mamma.

«Hai diciannove anni, quindi puoi firmare qualsiasi contratto di locazione, e io ti posso fare da garante senza problemi. Il punto è questo: vivresti da sola» aggiunse. «A te andrebbe bene? Perché, se non fosse così, invece che un appartamento potresti cercare una stanza in affitto, avresti dei coinquilini con cui passare le giornate. Ho parlato con Cindy, lei sarebbe più che felice di ospitarti quanto lo desideri, ma ormai ti conosco, so che non ti piacerebbe usare così la famiglia Macks e per così tanto tempo.»

La sua scaltrezza non aveva fine, davvero. Mi morsi il labbro, affondai la testa sul cuscino, riflettendo su quanto mi stava dicendo. «Starò da sola» dichiarai alla fine, e sia lui che Ruben sobbalzarono. «Credo che sia giunta l'ora, per me, di imparare a vivere per me stessa soltanto e ad essere autonoma. E poi, almeno per gli ultimi anni che mi rimangono di scuola, userei pochissimo la casa che prenderò. I dormitori garantiscono disponibilità anche durante le vacanze, quindi non c'è problema su quel fronte.» Posai una mano sullo stomaco, dove più provavo dolore. «Non posso avere la pretesa di voler aiutare gli altri, se prima non so neanche prendermi cura di me stessa.»

Per un minuto buono, ci fu solo silenzio. Alla fine, udii Kevin sospirare. Si alzò dal letto, in piedi, e mi si avvicinò per carezzarmi la testa. «Sei troppo matura per la tua età, ragazza mia» mormorò alla fine, un sorriso triste a calcargli le labbra. «So che è grazie a ciò se sei riuscita ad arrivare fin qui, ma mi rammarica vedere quanto hai dovuto sacrificare per farlo.»

Deglutii a fatica, sentii di nuovo gli occhi bruciarmi, ma mi sforzai di non scoppiare a piangere.

Chiusi gli occhi, li strizzai con forza.

«Kevinۛ» lo chiamai alla fine.

«Cosa c'è?»

«Diventerò un avvocato» dichiarai sicura, mentre le lacrime mi zampillavano dagli occhi. «Persino più brava di te.»

*

«Jesse!»

Era lì, proprio davanti ai cancelli della scuola. Lo riconobbi subito in mezzo alla folla di bambini e genitori che stava uscendo a sua volta dal cortile d'ingresso. Se ne stava appoggiato con la schiena sul muretto, l'unico tredicenne in quel covo di adulti e piccini, giunto fin lì per prendere la sorellina.

Non appena mi sentì gridare il suo nome, mi sorrise. Bellissimo come sempre. I riccioli biondi, gli occhi verdi pieni di luce, la sua divisa da calcio arancione ancora addosso. Spalancò le braccia e si inginocchiò mentre io lo raggiungevo di corsa, mi accolse a sé e mi abbracciò forte, sollevandomi in aria tra le risate di entrambi.

«Ciao, principessa ballerina!» esclamò, dandomi un bacio sulla guancia. Risi ancora, avvolgendo le braccia attorno al suo collo. «Oggi sei ancor più bella di ieri, lo sai?»

«Lo dici ogni giorno, Jesse!» dissi tra gli sghignazzi, e lui mi sorrise divertito, mentre cominciavamo a incamminarci verso casa, io ancora cullata tra le sue braccia.

«Perché è vero!» dichiarò felice. «Com'è andata la scuola, principessa ballerina?» Fece cadere lo sguardo sul foglio che stringevo ancora in mano. «Avete disegnato qualcosa?»

Camminava sul marciapiede a passo lento. Gli era sempre piaciuto farlo, così da prolungare il più possibile il tempo che scorrevamo insieme, prima di ritornare a casa e udire le voci assillanti di mamma e papà. L'avrei capito da sola molti anni più avanti.

«Ho fatto un disegno per te, Jesse!» dissi orgogliosa, gonfiando le guance già rosse per l'emozione. «La maestra ci ha chiesto di disegnare il nostro eroe preferito, così ho disegnato te!»

«Ah-ah!» Si strofinò fiero l'indice sotto il naso. «Solo per questo, ti sei guadagnata il premio di Principessa Più Bella Di Tutte. Ma non c'è da stupirsi, in fondo sono tuo fratello. Magnifico come sono, era inevitabile.» Mi diede un altro bacio sulla guancia, risi di nuovo. «Avanti, principessa ballerina, fammi vedere il disegno.»

Gli porsi il foglio con entusiasmo, lui lo prese con la mano libera, quella del braccio con cui non mi sosteneva, e lo guardò con fare da maestro, un vero e proprio professionista. «Mmm, interessante» commentò. «Non ricordavo di avere le ciglia così lunghe. Saranno cresciute durante la notte?»

Arricciai il naso, irritata. «Così sei più bello!» mi difesi.

«Con ciglia del genere, se sbattessi le palpebre provocherei il nuovo uragano Katrina.» Davanti al mio sguardo confuso, scoppiò a ridere. «Sei ancora troppo piccola per conoscerlo.»

«Non è vero! E poi tu pure sei piccolo!» Gli diedi dei pugni sulla spalla, ma non gli feci niente.

«Sarò pure piccolo dentro, ma la mia mente ha così tante conoscenze e sapere da poter superare quella di Gandalf» replicò serissimo, mentre continuava a guardare il disegno. «E quella che indossi è la maglietta di Crystal Ballerina, vero? Di nuovo, Callisto? Andiamo! Cerca di essere un po' più originale!»

«Crystal è per sempre!» dichiarai con il tono più maturo e serio che potessi assumere. Jesse sghignazzò.

«E la scritta che c'è sotto è piena di errori grammaticali!» aggiunse poi, fingendo un tono scioccato e sconvolto. «"Io e Jesse: il frattello più migliore del monndo!"» lesse ad alta voce, con voce sempre più stridula. «Callisto! "Il più migliore" non si dice! E fratello ha una sola "t"! E mondo ha una sola "n"! Che cosa ti ho insegnato fino ad ora!? Ritiro tutto quello che ho detto, ti sei conquistata il premio di Principessa Più Ignorante Tra Tutte!»

Continuai a colpirlo sulla spalla, mentre lui riprendeva a ridere. «Se non ti piace» gracchiai indignata, il volto a fuoco per la vergogna, «allora ridammelo!» Feci per riacciuffare il foglio, ma lui sollevò in alto la mano con cui lo stringeva, impedendomi di raggiungerlo.

«Assolutamente no, principessa ballerina!» dichiarò sicuro. «Questo disegno finirà nella mia parete dei trofei, insieme a tutti gli altri che mi hai fatto finora. Lo metterò in bella mostra così chiunque, non appena entrerà in camera mia, saprà quanto sei ignorante in grammatica.»

«Cattivo, Jesse! Cattivo!» Ripresi a picchiarlo, il suo petto vibrava con forza.

«Vorrai dire "Bellissimo, Jesse! Bellissimo!"» mi corresse sghignazzante. «Non a caso, sono l'idolo della mia scuola. Tutte le ragazze mi vanno dietro, lo sai?»

«Perché non sanno come russi la notte!» risposi.

Corrucciò lo sguardo. «Io non russo.»

«Sì, invece! Come un maiale!» imitai il verso di quell'animale, lui mi pizzicò il naso in un gesto di rimprovero. Risi.

«Ah! Sorella ingrata che non sei altro!» Mi scoccò un altro bacio sulla fronte. «L'unico maialino qui sei tu. Ho visto quanti biscotti ti sei divorata, oggi a colazione.»

Mi sentii arrossire. «Non è vero» mugolai imbarazzata.

«Oh sì, eccome. Così tanti che per un attimo ho pensato di avere un'aspirapolvere invece che una sorella.»

Gli diedi un altro pugno. La sua risata echeggiò come una dolce melodia nelle mie orecchie. Mi misi meglio sul suo braccio, posai la testa sulla spalla, col sorriso che mi dilagava nelle labbra.

«Jesse?»

«Cosa c'è, principessa ballerina?»

«È vero quel che ho scritto nel disegno, lo sai?»

La sua bocca si arcuò. Mi guardò. Mi guardò come sempre aveva fatto, da quando ero nata: con quella dolcezza e quell'affetto che sapevo nessun altro mai mi avrebbe potuto donare. Non in quel modo, non in quel senso. Ed era questo, per me, a renderlo bellissimo. Non i suoi boccoli dorati, le labbra carnose, la pelle rosea, gli occhi verdi splendenti. No.

A renderlo stupendo, meraviglioso, il ragazzo più bello in assoluto, il mio principe azzurro, era l'amore che mi donava ad ogni respiro e gli illuminava il volto. Anche se ero solo una bambina, già lo sapevo, l'avevo sempre saputo.

«Lo so, principessa» disse con voce calma, pacata. Posò la fronte contro la mia per qualche secondo. «Così come tu sei "la sorella più migliore del mondo".»

Ridacchiammo insieme.

«E lo sarai sempre, Callisto, sempre.»

Mi risvegliai nel pianto, lacrime giganti a scendermi dagli occhi davanti alla memoria di quel ricordo che mi aveva invaso durante il sonno. Un dolore atroce mi soffocava il petto, una palla di fuoco mi gonfiava la gola, e anche nell'oscurità della mia stanza d'ospedale mi parve di rivedere ancora quei riccioli biondi, quegli occhi verdi, quel sorriso che tanto mi mancava.

Chiusi con furia le palpebre, costrinsi il mio corpo a non contrarsi per gli spasmi di agonia che mi stavano attraversando, mentre altre stille andavano a segarmi il volto.

Avrei voluto solo urlare, in quel momento, e al tempo stesso ridere e sorridere.

Da quando era morto, avevo pregato di poterlo rivedere in sogno, ma neanche nella mia più tremenda immaginazione avevo pensato che avrebbe fatto così male e al tempo stesso così bene.

Era quel genere di dolore che si mischiava alla gioia più pura, quel sentimento viscerale di oscurità e luce che ti annientava i pensieri e ti faceva credere di aver potuto toccare il cielo con un dito.

«Ehi.»

La voce di Ruben nelle tenebre mi fece sussultare. Era rimasto a passare la notte con me in ospedale. Non sapevo com'era riuscito a convincere il personale sanitario, visto che non era un mio parente stretto. Forse aveva chiesto aiuto a Kevin.

Avevamo passato le ore restanti a parlare con la polizia, dare la nostra versione dei fatti, e non appena se n'erano andati, io ero crollata subito nel mondo dei sogni, senza neanche accorgermene.

Non potevo vederlo, in quel buio, ma percepii la sua mano sfiorarmi il viso, raccogliere col pollice le lacrime che ancora lo attraversavano.

«Ehi» bisbigliai. La mia voce era così roca che persino io faticavo a riconoscerla. «Ho sognato Jesse, una delle volte in cui mi veniva a prendere quando uscivo da scuola, da bambina, prima che si ammalasse.»

Non disse nulla, si limitò a cullare la mia guancia con la sua mano.

«Gli avevo fatto un disegno» continuai, «gliene facevo almeno tre alla settimana, e lui li adorava tutti. Li appiccicava sulle pareti della sua stanza, diceva che erano i suoi trofei.» Deglutii con forza, cercando di mandar giù la palla di fiamme che mi straziava la gola. «Forse l'ho ricordato visto che abbiamo parlato dell'appartamento con Kevin, poco fa.»

«Possibile» lo udii soltanto dire.

Sentii le mie sopracciglia contrarsi. «Sai...» mormorai. «Mi sono appena ricordata di un'altra cosa, grazie a questo sogno.»

Di nuovo silenzio da parte sua, sapevo che non voleva interrompermi, permettermi di sfogarmi. «Il giorno in cui Jesse ricevette la diagnosi... passò la notte in ospedale, tornò a casa solo il mattino dopo.» Sbattei le palpebre con furia. «Io non avevo capito cos'era successo, nessuno mi aveva spiegato niente. Lui era tornato sconvolto, con una faccia che non gli avevo mai visto prima, e mamma e papà non facevano altro che piangere e urlare che non volevano che lui morisse. E io non capivo proprio.»

Gonfiai il petto.

«Quella notte, andai di nascosto in camera sua perché mi mancava e per chiedergli cosa stava succedendo. Lo sentii piangere nell'oscurità. Così accesi la luce dell'abat-jour accanto al suo letto e gli feci un balletto di Crystal per rallegrarlo.» Mi venne da sorridere al ricordo, mentre altre lacrime zampillavano. «Lui rise tantissimo e mi abbracciò, mi promise che mi avrebbe fatto sorridere finché sarebbe stato in vita.» Impedii con tutte le mie forze al volto di contorcersi a causa del dolore. «Mi sono ricordata... di un dettaglio a cui prima non avevo mai fatto caso. La sua camera... anche con quel poco di luce che c'era per l'abat-jour... La sua camera era completamente devastata.» Deglutii ancora. «Tutto era stato distrutto o spaccato a terra: i libri, il computer, il cellulare, i cuscini, i poster, persino la sedia della scrivania. Solo una cosa era rimasta intatta: i miei disegni appesi alle pareti.»

Serrai i denti con forza, mentre un dolore arcaico mi squassava i polmoni. Mi costrinsi a riprendere fiato. «Gli avevano appena detto che non sarebbe mai potuto guarire da quel cancro, che non avrebbe mai potuto realizzare tutti i suoi sogni, che sarebbe morto di lì a pochi anni, che non sarebbe mai potuto diventare un adulto vero e proprio, che avrebbe passato il resto dei suoi giorni malato e debole, eppure, anche nell'agonia di quel dolore, anche nella rabbia di quella consapevolezza così tremenda, specie per un ragazzino di tredici anni... non è stato in grado di distruggere i disegni che gli avevo fatto.»

Le sue dita raccolsero ancora le mie lacrime. Sbattei di nuovo le palpebre. «Non lo so...» bisbigliai alla fine. «Siamo stati insieme per così tanti anni, io e lui, abbiamo parlato di così tante cose... Eppure, ogni giorno che passa, mi accorgo di tutte quelle altre cose di cui invece non abbiamo mai parlato, tutte quelle altre cose, anche le più stupide, che non ho mai scoperto e ora non scoprirò mai su di lui, escludendo gli abusi, chiaramente.»

«Per quanto foste legati» lo sentii dire nelle tenebre, «non avreste mai potuto sapere tutto l'uno dell'altra. Anche lui, certamente, avrà pensato ciò di te.»

Mi morsi il labbro, con la mano sana mi asciugai il volto. «Immagino di sì» bisbigliai alla fine.

Le sue dita mi sfiorarono delicatamente la fronte, giocherellarono con la punta della frangetta. Mi chiesi cosa stesse pensando. Tuttora mi era difficile, certe volte, indovinarlo. Non aveva tirato fuori l'argomento su ciò che stavo facendo per sua madre, ed ero più che cosciente su quanto fosse confuso da tutto ciò, quanto il mio desiderio di aiutare sia lei che lui lo smarrisse.

Immaginai che non fosse pronto per discuterne, che era troppo presto. Sapevo che si doveva preparare, in qualche modo. Poteva pure essersi sfogato, prima, con Anna, ma era ancora difficile per lui esprimersi, non far filtrare ogni sua emozione attraverso lo spesso strato di rabbia e altre volte indifferenza con cui affrontava la vita.

O forse aveva paura, paura di ammettere a sé stesso di poter cambiare, che la sua stessa vita, ora, era cambiata.

«Ti ricordi quel giorno in mensa?» domandò all'improvviso, sorprendendomi. Mi asciugai di nuovo gli occhi con la mano sana. «Quando mi bloccasti dal pestare quel coglione?»

«Mason, intendi?»

«Lui» replicò freddo. Avrei tanto voluto vedere il suo volto, in quel momento, per vedere che espressione avesse in viso. La sua voce era strana, diversa da come l'avevo sentita fino a quel momento. Non sembrava né triste né confusa... solo melanconica, e forse un po' speranzosa. «Ti chiesi perché tu ci tenessi così tanto che io mangiassi con te, mi rispondesti che non lo sapevi di preciso, lo volevi solo perché ero io, e mi domandasti se ci dovesse essere un motivo specifico.»

Ero... sorpresa. Non pensavo certo che si ricordasse così nel dettaglio quella vicenda.

«Sapevo che non stavi mentendo» proseguì. «Ed è stato proprio per questo che non ti ho capita affatto, perché mi hai sorpreso così tanto.»

Continuò a giocherellare con la frangetta.

«Avevo scoperto il tuo segreto, sì, ma proprio per questo motivo avresti dovuto tenermi alla larga ancora di più. Se mi avessi irritato, avrei potuto rivelarlo a chiunque, ma tu non sembravi neanche averlo pensato. Era come se dessi per scontato che mai l'avrei fatto, pur conoscendomi da poco.»

Mi domandai se stesse sorridendo, quel suo sorriso che raramente mostrava, con cui cercava di camuffare la sofferenza che neanche sapeva di star provando.

«Una volta, Pop mi disse che al mondo ci sono persone capaci di volerti accanto solo perché è quello che desiderano, tutto qui» Si bloccò per qualche secondo. «All'epoca pensavo che fosse uno dei suoi tanti consigli inutili da tossico vissuto, mi sembrava troppo irrealistico. Dietro un desiderio, c'è sempre un motivo specifico, e la maggior parte delle volte non è un bel motivo.»

Un altro dolore mi investì nel realizzare quanto avesse basato la sua vita su questa convinzione. Ogni passo, ogni respiro, ogni necessità programmata sulla base di piani e trappole che qualcun altro avrebbe potuto ordirgli contro, a raffinare i suoi sensi più istintivi, i suoi bisogni più primordiali, per cercare di anticipare le ferite non solo fisiche che avrebbe potuto ricevere dagli altri.

«Poi tu hai detto quelle parole, e io sono rimasto sorpreso, perché eri la prova che quel che Pop aveva detto era vero. Immagino sia per questo che non mi sono opposto, quando mi hai trascinato con te al vostro tavolo, e perché mi sono fatto avvicinare da te dopo, pur non volendolo.»

Inevitabilmente, sorrisi. Mi ritrovai a pensare a come aveva addentato il pezzo di cotoletta che gli avevo porto con la mia forchetta, sempre quel giorno in mensa: forse anche quello era stato un modo per dirmelo, riflettei, e per dirlo a sé stesso. Che avevo superato il suo confine invalicabile, il muro da cui si era sempre fatto circondare.

Il suo polpastrello mi sfiorò le labbra arcuate. «Penso che lo stesso valga per te e Jesse» disse alla fine. «Forse non sapevate ogni dettaglio l'uno dell'altra, ma desideravate stare insieme, e tanto basta per far sì che sapeste tutto.»

Chiusi gli occhi, affondai ancor più la testa nel cuscino.

«Forse a volte» mormorai, «per certi sentimenti non c'è una vera ragione dietro, esistono e basta.»

«Possibile» confermò.

Aprii la bocca per parlare di nuovo, quando lo schermo del suo cellulare si illuminò all'improvviso, rivelando la sua figura seduta sulla brandina accanto al mio letto: aveva il viso serio di sempre, ma un sorriso amaro gli calcava le labbra. Si scostò per prendere il telefono e guardare ciò che lo aveva fatto lampeggiare.

«Callisto» mi chiamò.

«Cosa c'è?»

«Il regalo di Rick» disse soltanto, passandomi il cellulare. «È appena arrivato.»

Confusa, strinsi quell'oggetto con la mia mano libera e guardai il display.

Lo stupore mi assalì, mentre leggevo il titolo dell'articolo di giornale che avevo davanti:


Jennifer Murray, la fuggitiva più ricercata di tutta la California, ritrovata legata e in fin di vita dentro un armadio.



Nota autrice

Stavolta confesso di non avere DAVVERO molto da dire se non:

1) Povera Callisto, in mezzo a una famiglia di tsundere bad boy

2) Povera Eve, ingiustamente odiata da Ruben solo perché è bella

3) Povero Kevin, che finirà per perdere tutti i capelli a causa dei traumi provocati dai fratelli Murray

4) Povero James

5) Povera Callisto e noi che abbiamo pianto davanti al ricordo con Jesse e al fatto che, anche nella rabbia per aver scoperto di star per morire, suo fratello è stato in grado di devastare tutta la stanza, ma NON i disegni di sua sorella. Se non è questo amore, ragazzi miei, non so cos'altro potrebbe esserlo

5) Povera Jennif-AHAHAHHAHAHAH, no scherzavo, STOCAZZO, JENNIFER, STO CAZZO! G-O-D-O IMMENSAMENTE (e so che state godendo anche voi, non negatelo)

6) Povera me e poveri noi, perché indovinate cosa ci sarà nel prossimo capitolo?

Ne hanno discusso un po' di capitoli fa, quindi potreste immaginarlo.

Inizia con "Fu" e finisce con "ale".

E riguarda un certo malato terminale pervertito che, anche in questo capitolo, ci ha fatto piangere come non mai.

AH! A proposito! Il disegno che Callisto fece a Jesse, questo visto nel ricordo, ritornerà. Non vi dirò come, ma ritornerà ben DUE VOLTE.

(Sì, anche questo capitolo faceva parte della saga "Capitoli scritti ad cazzum nei momenti di euforia")

Lo aggiungo adesso, visto che l'ho scritto anche nei commenti.

Non vi farò piangere SOLO dal dolore, col prossimo capitolo, lo GGGGIUROH.

All'inizio, ve lo posso assicurare, ci faremo UN SACCO DI RISATE.

Piccolo spoiler per garantirvi che non sono così sadica bastarda (forse):

Comparirà un personaggio finora solo citato, al momento assente poiché in viaggio di lavoro.

- Marito della vicepresidente del fanclub Rubisto, Cindy

- Padre della presidente del fanclub Rubisto, Eve

- Possessore del fantomatico fucile che, ahimè, Eve non ha avuto l'ebbrezza di usare contro i coniugi Murray

- Colui che ha comprato dei tirapugni in caso incontrasse un pedofilo mentre era fuori con la figlia

- Colui che Cindy ha detto che ha a sua volta, in modo simile a Ruben, difficoltà ad esprimere i propri sentimenti

- Descritto da Cindy come: volto da Adone, fisico da prima ballerina

Michael.

Ecco, ora.

Secondo voi, anche se sono pochi, con questi elementi che sapete sul suo conto, che tipo può essere Michael?

E vi ricordo che è il papà di Eve e il marito di Cindy.

ECCO.

Rideremo un casino, promesso. (E piangeremo altrettanto, ma shhh)

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