Capitolo 18

Alzarsi di buon ora era da sempre stato un problema per me, sin dai tempi pre-zeta.
Ma quella mattina ero più scattante che mai, già pronta con le mie provviste, intenta a riempire il pick-up che avrebbe accompagnato me e il resto degli "esploratori" in quel viaggio che sarebbe durato una settimana, se tutto fosse andato per il verso giusto.
Eravamo ben equipaggiati, finalmente possedevo un mio personale fucile e potevo liberamente usare le doti apprese in così tanti anni di apocalisse.
Quando fummo pronti a partire, una mezz'ora più tardi, venne il momento degli addii.
Nella mia squadra vi erano 4 persone, me inclusa.
Jasper, un uomo sulla quarantina con un passato militare, davvero sveglio e con la leadership nel sangue, lasciava all'accampamento la moglie Marienne.
I loro addii furono pieni di lacrime da parte della donna che quasi senza forze si reggeva al marito come se quello sarebbe stato il loro ultimo abbraccio; lui sembrava trattenersi dal dare spettacolo lasciando che fosse la moglie a liberare le proprie emozioni, si lasciarono con numerose raccomandazioni, fu straziante anche per me guardarli mentre Jasper saliva sul pickup e lei lo salutava scossa dai singhiozzi.

Poi una ragazza, sui 25 forse 27 anni, lineamenti orientali ma carnagione chiarissima, aveva capelli castani scuri legati in una coda, più alta di me ma piuttosto muscolosa.
Era sola, nessun addio se non un'altra ragazza che sarebbe partita a breve con un'altra squadra, probabilmente un'amica di accampamento.
Si diedero un essenziale abbraccio e una stretta di mano tutta loro, di quelle che ti fermi a guardare esclamando un "caspita" del tutto spontaneo.
La conoscevo già, spesso eravamo finite a fare i turni contemporaneamente e posso affermare che avesse un ottimo senso dell'umorismo; il suo nome era Joyce ma tutti la chiamavano Jo.

E infine un giovane ragazzo che tanto giovane in realtà non era, mi avevano detto che avesse circa 30 anni ma nessuno gli aveva mai estrapolato nemmeno una parola.
Era riservato ma capace, bravo con le armi da taglio a quanto si diceva e un intenditore di piante e frutti velenosi, il che poteva tornare utile.

Quando tutti furono pronti a partire, io mi diressi verso l'unico affetto che mi avrebbe aspettata nell'accampamento, Dylan.
Mi avvicinai a lui sorridendo e lui di rimando mi rivolse un lieve accenno di sorriso anche se era visibilmente preoccupato.
<ricordati la tua promessa. Fai attenzione> ribadì il ragazzo con sguardo severo.
<e tu non abbassare la guardia, playboy> dissi, scherzando.
Lui scosse la testa un po' contrariato da come lo avessi chiamato anche se infondo quel nomignolo gli piaceva proprio.

I nostri addi furono brevi, avevamo già parlato a lungo il giorno precedente e in quel momento volevamo soltanto avere la certezza che ci saremmo rivisti presto.
Prima di andare mi consegnò un oggetto nascosto in un fazzoletto, confusa lo aprii trovandomi in mano in piccolo coltello estraibile molto affilato; sul lato del manico in legno vi erano incise due lettere "D. B.".
Lo guardai confuso ma lui si limitò a sorridere.
<Dylan Becker> sussurrò al mio orecchio <è il mio portafortuna> aggiunse posando le labbra sulla mia guancia e lasciando un piccolo bacio.
Esterrefatta per quel dolce gesto mi buttai fra le sue braccia, stringendolo con tutta la forza che avevo in corpo, desiderando che anche lui venisse con me in avanscoperta.
<fai la brava piccola mia, poi dovrai raccontarmi tutto appena tornerai> sussurrò con il viso a un palmo dal mio, dandomi un'altra lieve carezza solo con il pollice, sorreggendomi in viso con le dita.
<tu non abbassare la guardia, anche se ci sono le mura basta uno zeta e siete fottuti> mi raccomandai, come fanno le mamme con i propri figli.
<ti ho preparato uno zaino con delle provviste e delle armi nel caso in cui dovessi scappare, o volessi raggiungermi> ammiccai, facendo l'occhiolino.
Lui mi sorrise e scosse la testa come a dire "sei sempre la solita".
<è sotto alla tua branda> precisai.
<grazie nanetta> mi diede un bacio sui capelli.
<hai abbastanza munizioni?> mi domandò e io annuii, avevamo svaligiato l'armeria quella mattina.
Purtroppo il mio arco mi avrebbe attesa nell'accampamento, era più utile un fucile in queste missioni.
Ormai eravamo pronti a partire, se avessimo avuto fortuna avremmo trovato dei sopravvissuti e qualche provvista in più che male di certo non faceva.

Jasper si alzò dal pickup e urlò un sonoro <tutti in carrozza!> battendo le mani su quell'ammissione di ferraglia.
Mi voltai verso di lui annuendo, ormai dovevamo partire o non saremmo arrivati al primo avamposto prima del tramonto.
<ci vediamo tra una settimana Playboy> gli diedi un altro abbraccio nel quale lui mi strinse così forte che mi dovetti sollevare sulle punte dei piedi per non perdere del tutto l'equilibrio.
<stai attenta nanetta, usalo bene quel fucile> si raccomandò ancora e ancora e ancora.
Partimmo, ma fu chiaro sin da subito che qualcosa non andava, qualcosa sarebbe andato storto per forza.

Nella prima giornata tutti rigò liscio. Non incontrammo nemmeno uno zeta, ci accampammo la notte in una piccola latteria in cui era rimasto poco e niente se non qualche chilo di farina sigillato e molte casse d'acqua. Nonostante al campo avessimo sia le nostre culture, sia un impianto di depurazione dell'acqua veramente ottimo, trovare qualcosa era sempre una cosa molto positiva di quei tempi.
Facemmo due turni in cui nel primo io e Joyce dormimmo e nel secondo lasciammo Jasper e Robin, il giovane erbologo, riposarsi fino all'alba.
La notte la passammo a raccontarci del nostro passato più vicino, di quando arrivai con Dylan al campo, di come io e lui ci fossimo conosciuti, di me che avevo abbandonato un gruppo particolare di persone e che purtroppo mi mancavano.
Neanche la sua vita era stata tanto semplice dall'inizio dell'apocalisse: aveva dovuto dare la grazie a tutto il suo vecchio gruppo per una brutta infezione da antrace, le talmente morirono tutti meno che lei, che nella vecchia vita faceva la militare e quindi era vaccinata per tutto ciò che poteva potenzialmente ucciderla dall'interno.
Giocammo a carte e le offrii delle barrette al cioccolato che preservavo da tempo, era un'ottima compagnia e non mi dispiacque fare questo gesto per lei, soprattutto perché durante i turni di vedetta al campo mi copriva sempre quando facevo un giro di perlustrazione proibito fuori dalle mura; più volte mi aveva salvato il culo.

Fu il secondo giorno che nella più totale tranquillità, mentre da poco in viaggio facevamo colazione con delle barrette fatte in casa dalle cuoche del campo, mi arrivò un SOS dalla radio satellitare che ci eravamo scambiati io e Dylan.
La mia risposta fu immediata e appena sentii la sua voce, urlare, gli spari, il caos, feci fermare il veicolo nel bel mezzo del nulla e chiamai tutti nel retro ad ascoltare.
<Grace! Dei tizi mascherati ci hanno attaccati, si stanno trasformando tutti in zombie! Non c'è via di fuga, nessun riesce a combattere, le armi sono sparite!>
Mi voltai verso Jasper che con le lacrime agli occhi guardava esterrefatto la radio, pensava sicuramente a sua moglie.
Persino Jo sembrava preoccupata, vedevo la pelle d'oca sulle sue braccia.
<dobbiamo tornare al campo!> mi rivolsi a Jasper che però non rispose.
<Jasper! Torniamo al campo!> urlai ancora mentre Dylan cercava di spiegare cosa stesse succedendo.
Finalmente mi rispose.
<non dovremmo abbandonare la missione> si limitò a dire nello shock più totale.
<stai scherzando?> urlò a sua volta Jo che io seguii a ruota.
<non c'è più una missione, il campo è in pericolo anzi! Il campo è finito! Dobbiamo andare ad aiutare chi è riuscito a sopravvivere!>
Ci volle Dylan che supplicava Jasper dalla radio per convincerlo, ma lui non era in grado di guidare, così andò Jo alla guida, Jasper nei sedili dietro cercava di riprendersi e intanto dettava la strada, io nel posto del passeggero anteriore mantenevo i contatti radio con Dylan e quindi il campo, sembrava l'inferno li.
<arriveremo entro sera, siamo lontani Dylan. Prendi lo zaino che ti avevo preparato, c'è il necessario per sopravvivere qualche giorno, racimola più persone che riesci. Chi sono questi tizi che vi hanno attaccati?>
Purtroppo avevo un'idea su chi fossero gli artefici è appena mi comunicò che avevano maschere da scheletro con fiori e parlavano spagnolo, ne ebbi la certezza.
<so chi sono Dylan. Te ne avevo parlato, i tizi che hanno ucciso mia madre>
Ci fu un attimo di silenzio sia nella vettura, sia dalla radio.
<sicuramente saranno già scappati loro, vogliono solo generare il caos. Avranno chiuso i cancelli dello stadio in modo che si crei una specie di Arena di zombie. Apri i cancelli e fai uscire i sopravvissuti poi richiudi i cancelli e rimanete lì fuori. Gli zeta che si avvicinano potrete ucciderli senza pistole, le persone che sono sopravvissute cercheranno di scappare comunque da lì, potrete farli uscire>
<può usare i segnali luminosi per attirare gli zeta> propose Jo mentre schivava un ramo, alla velocità della luce.
<hai sentito Dylan? Usate i segnali luminosi per radunare gli zeta in determinate zone, poi fuggite>
Attedi interminabili secondi
<affermativo! Ti ricontatto tra circa un'ora, voi sbrigatevi a tornare!> disse Dylan prima di chiudere le comunicazioni.
<Grace contatta le altre vetture degli esploratori, così riusciamo a tornare tutti nello stesso momento e dare maggiore copertura. Se vado al massimo in circa 6/7 ore dovremmo arrivare>
Annuii alla proposta di Joyce, era davvero in gamba.
Contattate le altre due camionette degli esploratori sfrecciamo il più velocemente possibile al campo.
Al nostro arrivo, verso le 5 del pomeriggio, ormai nulla vi era stato lasciato.
Solo fumo, macerie e zombie.
Ci dividemmo in gruppi di tre, insieme agli altri esploratori, e andammo ognuno verso una delle uscite avendo comunicato a tutti qual era il piano programmato da chi era al campo.
Tentati nelle ultime 4 ore di contattare Dylan o qualsiasi altra persona nel campo, parlai persino con cittadino Z che si mise in moto per trovare sia le mie coordinate del quartier generale degli Zero, coloro che oltre che responsabili per la morte di mia madre, lo erano anche di quella piccola comunità; e poi Cittadino Z tentò di collegarsi con qualsiasi apparecchiatura stereo/audio all'interno del campo, per avvisare chiunque fosse ancora in vita che eravamo tornati e grazie alle auto che avevamo potevamo fuggire.
Eppure nulla, nessuno rispose.
Io, Jo e Jasper ci organizzammo per entrare all'interno e cercare i nostri cari e liberare l'area dagli zeta più vicini.
Il secondo gruppo accedeva dal secondo ingresso per poi raggiungere le vette più alte per fornire fuoco di copertura e il terzo gruppo insieme al quarto si unirono per cercare sopravvissuti.
Io e i miei due "colleghi" avanzammo fino al centro città dove trovammo a terrà numerosi e numerosi segnali luminosi, ormai freddi quindi utilizzati da ore.
<non c'è più niente qui> annunciai voltandomi verso Jasper e puntandogli il fucile contro, per poi sparare a bruciapelo, uno zeta cadde dietro di lui.
<a parte gli zeta> aggiunsi caricando un nuovo caricatore, avevo svuotato tutto il precedente per arrivare fino a lì.
<Noi controlliamo l'armeria e le nostre rispettive stanze, poi ci ritroveremo con gli altri all'ingresso, Grace prova ancora con Dylan o il sergente, qualcuno deve pur essere sopravvissuto> comunicò Jasper ormai abbattuto all'idea di aver perso la moglie.
Io e Jo entrammo nell' armeria per prime ma, senza stupore, la trovammo svuotata. Qualche pistola e proiettile vario erano finiti sotto agli scaffali, così ci facemmo bastare quelli. Io presi anche un bellissimo coltello a metà lama liscia e metà seghettata; tanto ormai non era più di nessuno. Persino Jo prese due coltellini che si infilò negli scarponi, l'unica mitraglietta trovata la portammo a Jasper che faceva da copertura all'ingresso.
<pensi che qualcuno si sia salvato?> domandai incerta, preoccupata di essere rimasta un'altra volta sola.
<la mia Mari deve essere sopravvissuta, altrimenti la mia esistenza non avrà più un senso>sentenziò Jo portandosi una mano sul cuore, stringendo un fazzoletto rosa che apparteneva alla ragazza.
<lei deve essere viva> sussurrò a se stessa, annusando ancora il fazzoletto come se quest'ultimo le desse la forza di continuare.
Jo si voltò poi verso di me e mi sorrise cercando essere incoraggiante.
<Dylan l'ho conosciuto, è in gamba il tuo ragazzo, vedrai che si sarà salvato in tempo e avrà aiutato qualcuno>
Io stizzita le feci di no con la testa <non è il mio ragazzo!> esclamai sconvolta.
<ah davvero? Non sembra dal modo in cui ti guarda, poi dormite insieme, di solito solo
Le coppie le lasciando dormire insieme>
Riflettevo sulle sue parole.
Dal modo in cui ti guarda.
Perché? Come mi guardava Dylan?
Pensando a ciò l'ansia di non trovarlo vivo salì alle stelle, sapevo che quell'accampamento non era una buona idea eppure mi ero fatta abbindolare così facilmente!
Continuai a maledirmi mentalmente finché non arrivammo alla mia stanza.
Sotto al letto di Dylan non c'era lo zaino che gli avevo lasciato,'era un buon segno!
Mancava anche il mio arco e la mia faretra, temevo me li avessero rubati quei pazzi degli incappucciati.
Poi notai una scritta sulla parete, fatta probabilmente con quelle tempere che stavo usando per fare un disegno un po' pocciato a uno dei bambini del campo che avrebbe compiuto 8 anni.
<la caverna a sud dell'ingresso magico> dettava quella frase, io la colsi al volo.
<so dove possono essere nascosti!> esclamai ai miei due compagni.
Mentre ci dirigevamo verso l'esterno raccogliendo provviste spiegai meglio il significato di quella frase.
<io e Dylan i primi giorni che siamo stati qui avevamo trovato una via di fuga e un posto sicuro dove poter nasconderci in caso fosse successo qualcosa, pensavamo non vi sarebbe stato utile e invece..> raccolsi una bottiglia piena a metà e la infilai in un borsone che tenevo alla mano, ero riuscita a recuperare tutti i miei effetti personali e anche quelli di Dylan mentre perlustravo la nostra tenda.
<nella parte posteriore dello stadio c'è un ingresso nascosto dagli alberi che noi chiamavamo "l'ingresso magico" perché sembrava uscito da una fiaba. Seguendo un sentiero in cui abbiamo lasciato delle bandane verdi si arriva a una vera e propria caverna, ben nascosta dagli alberi e le sterpaglie, però avevamo lasciato qualche provvista lì, sempre in caso di emergenza zombie> conclusi la storia che ormai eravamo arrivati al famoso ingresso.
Aspettammo ancora mezz'ora che arrivassero tutti gli altri esploratori.
Il terzo gruppo aveva trovato due signore nascoste nelle cucine, terrorizzate ma non ferite, le demmo dell'acqua e qualche zolletta di zucchero per farle riprendere prima di infiltrarci nella boscaglia.
Quando ormai ci eravamo addentrati nel boschetto posteriore allo stadio, gli zeta di certo non mancarono.
Riconobbi molti tra quelli che erano stati i miei compagni di vedetta, l'ansia continuò a salire appena vidi Sally, la ragazza appena sedicenne con cui avevo stretto da poco amicizia. Capelli rossi, corti fino alle spalle, le piacevano i film e spesso registrava video ricordi della vita in accampamento per "qualcuno che in futuro vorrà sapere come fosse la vita nel terzo anno di apocalisse".
Purtroppo mi ricordava incredibilmente la mia vecchia amica Addison, di cui ormai non avevo notizie da un paio di mesi se non per qualche conversazione estrapolata da cittadino z.
Le diedi io la grazia, a Sally, e mi scusai con il suo docile corpo esanime per ciò che le fosse successo.
La causa di tutto questo erano gli stessi pazzi che avevano ucciso la mia povera madre, gli stessi pazzi che avevo incontrato a Cheyenne e che con mio grande piacere ero riuscita ad uccidere, almeno un paio.
Mentre camminavamo seguendo le tracce lasciate da me e Dylan tempo prima, decine e decine di ricordi mi riaffiorarono alla mente, a vagonate in realtà, ricordi che ero riuscita a reprimere per ormai un mese e mezzo da quando eravamo entrati in quella comunità.
E ripensai all'ultima volta che sentii la voce di Diecimila, per puro caso, alla radio.
Mi ero sintonizzata ormai due settimane fa sulla frequenza con cui parlavo con Simon, cittadino Z, e intercettai la loro conversazione.
Lui parlò poco, Diecimila, chiese solo quanto mancasse a un cosiddetto posto sicuro, circa 50 miglia dal mio campo. Era lontano, ma non così tanto.
Nei giorni a seguire sognai di ritrovarmeli all'ingresso dello stadio, raggianti, ma nei miei sogni durati qualche giorno, c'erano Mack e Cassandra che stavano bene, mi venivano incontro e mi abbracciavano così stretta che la mattina, quando mi svegliavo, riuscivo a percepire ancora quell'abbraccio fantasma.
E in quei sogni quando intravedevo la figura di Diecimila non facevo mai in tempo ad abbracciarlo, spesso gli correvo incontro ma lui si faceva sempre più lontano, irraggiungibile, come se ormai fossi destinata a non rivederlo mai più.
Era crudele il mio subconscio, mi permetteva di riabbracciare quelle uniche due persone che ormai erano morte, o quasi, e non chi era in vita, nemmeno nei miei più fantasiosi sogni.
Tornai con la mente concentrata sul sentiero quando non mi accorsi di 3 zeta che ci venivano addosso, famelici.
Jo e Jasper li uccisero tutti e tre, salvando me da un non-morto che mi aveva puntata come un segugio con la preda. Indietreggiai contro un albero per il piccolo spavento, Jo si avvicinò a me.
<Li troveremo Grace, resta concentrata> disse ponendomi una mano sulla spalla, cercando di farmi forza.
Se solo avesse saputo che pensavo ad altro invece che a salvare quelli che ormai definivo "la mia gente".
<scusa, hai ragione. È che se non sono qui non saprei dove altro cercarli. Saremmo rimasti solo noi..>
Lei negò con la testa e abbozzò un sorriso incoraggiante.
<abbi fede, sono qui da qualche parte>
Poi mi tese la mano per ricondurmi sul sentiero, la presi per pochi istanti, sentendo come se tutto ciò fosse sbagliato.
Io ero sbagliata in quel posto, con quelle persone, non erano coloro che volevo al mio fianco, rivolevo il mio vero e unico leader, Warren.
Le battute squallide di Doc e le nostre giocate a carte con Murphy, passare il tempo sui pickup a fare le trecce ai bellissimi capelli di Addy, ormai cortissimi, a comporre strane trappole per prendere qualche scoiattolo con Diecimila, ad ascoltare il jazz apocalittico di cittadino z mentre sfrecciavamo per le praterie più nascoste d'America.
Mi mancava cassandra con i suoi sorrisetti beffardi, che cercava in ogni modo di far avvicinare me e diecimila, e senza capirlo io stessa c'era riuscita, perché grazie a lei e a Addy ci eravamo avvicinati a tal punto che solo di lui riuscivo a fidarmi nei miei momenti peggiori, di solitudine, di ricordi amari e terrificanti.
La mia povera cassandra, che a ripensarci ormai di lei non era rimasto nulla se non un involucro di carne controllato da Murphy.
Il ricordo mi fece raggelare in sangue nelle vene.
Smisi di pensare a loro solo nel momento in cui sentii un fruscio provenire dalla mia sinistra.
Mi voltai all'istante puntando il fucile, pronta a sparare.
Mi ritrovai un altro fucile puntato al viso, colui che lo teneva appena mi vide lo lasciò cadere a terra senza darmi il tempo di spostare il mio, mi abbracciò così stretto che iniziai a ridere e a tossire per prendere aria, ricambiando poi la stretta.
<sei viva, c'è l'avete fatta santo cielo non ci credo!>esclamò in estasi non curante di chi vi fosse intorno a noi.
<abbiamo fatto più in fretta che potevamo, abbiamo dato la grazia a molti abitanti mentre venivamo qui>
Mi sciolsi dall'abbraccio e gli presi il viso tra le mani, madido di sudore e con una ferita sanguinante che percorreva dalla fronte al sopracciglio sinistro.
<ho messo in salvo più persone possibili ma molti non c'è l'hanno fatta..> si voltò verso Jasper e Joyce, dietro di me.
<stanno bene, entrambe> li rassicurò mentre io gli spostai di nuovo il volto di fronte al mio osservando la ferita.
<è stata dura> disse riferendosi ad essa.
<ci sono persone ferite più gravemente di me, abbiamo solo due medici, gli altri 13 sono dispersi> ci comunicò, sentimmo tutti il peso di quelle parole.
<io me la cavo con le suture> dissi.
<posso dare una mano> aggiunsi sorridendogli.
Dylan annuì e poi si chinò a riprendere il fucile, indicò con esso la strada che stavamo per percorrere.
<vi faccio strada> disse iniziando a camminare, tenendomi al suo fianco.

Una volta arrivati alla caverna la situazione si poteva definire tragica.
Poche armi, molti feriti, quasi zero medicinali e tanto meno medici.
Ferita da arma da fuoco, da taglio, lacerazioni profonde e meno.
Decisi di dare una mano, per come potevo.
Raggiunsi i medici, nella più completa confusione, mi seguirono anche i due dottori che erano partiti con noi nelle perlustrazioni.
<avete dei pennarelli?> domandai a loro, indaffarati a scegliere chi visitare per primo.
<a cosa ti servono?> sussurrò dietro di me Dylan.
Ma i dottori già avevano capito e mi diedero in mano ciò che si erano riusciti a portare appresso.
Un po' di penne, tempere in tubetti, pennarelli e acquerelli, per lo più salvati dai bimbi che erano rimasti, che tenevano il tutto in zainetti pieni di fogli bianchi per disegnare.
Chiesi a uno dei bambini se poteva incollare sulla parete una serie da 4 fogli, tutti in fila orizzontale, con due fogli in verticale sotto ognuno di essi.
Gli diedi un rotolo di scotch che mi ero portata per le riparazioni al motore, me l'avevano insegnato Doc e Diecimila.
<usane il meno possibile> gli sussurrai ammiccando, come se fosse un nostro segreto. Avere un compito lo avrebbe distratto da tutto ciò.
<faremo un Triage> annunciai.
Diedi a Dylan dei pennarelli: verde rosso nero e viola.
Chiamai con me anche Joyce e altri due ragazzi delle esplorazioni dell'altro gruppo.
<mentre i medici si occuperanno dei feriti, noi valuteremo le ferite, come in ospedale> annunciai, sicura, cercando di trasmettere fiducia.
<sulla mano sinistra di ogni persona farete un segno colorato a indicare il loro codice d'emergenza. Verde non è urgente, saranno ferite leggere, storte, gambe o braccia fratturate, tutto ciò che può sembrare superficiale e in base al loro dolore. Rosso è grave: ferite alla testa soprattutto se con nausea e stordimento, dolori addominali, ossa esposte che sono a rischio di infezione, se non sono coscienti o sono in stato confusionale. Nero è..> mi fermai un istante per poi riprendere, più sicura di prima.
<nero è chi non può farcela: lacerazioni addominali con organi troppo esposti, morsi di zeta, persone morenti.. qualsiasi cosa che sia una perdita di tempo per i nostri medici è superflua, mi dispiace ma funzionerà così. Controlleremo anche loro per sicurezza, magari qualcuno può essere salvato, ma voglio che ci sia sempre qualcuno armato e pronto a dargli la grazia se servirà>
I presenti annuivano, i medici si dissero d'accordo con me, poi uno di loro alzò la mano.
<e il viola?> domandò, in effetti non era nessun codice.
<donatori di sangue. Chiunque sappia il proprio gruppo sanguigno e non abbia qualche malattia autoimmune che non permetta le trasfusioni deve segnare il proprio nome con il proprio gruppo sanguigno nel quarto foglio a destra che il bambino ha appena appeso là in fondo> dissi indicandolo.
Il piccolo, sveglio come pochi bambini avevo visto finora, aveva scritto su ogni foglio il colore che avevo nominato.
<in base al colore che daremo, scriveremo il nome di ognuno di loro con cosa abbiamo trovato come sintomi o ferite, i medici poi interverranno in base a ciò che ritengono prioritario>
Mi segnai sulla mano sinistra uno 0 - in viola.
<sono zero negativo, posso donare a tutti> annunciai, mostrando la mano.
Dylan si fece avanti
<A positivo> disse, scrivendoselo sul palmo.
<bene, muovetevi allora!> ordinò uno dei medici, tornando con le mani su un banco di fortuna che avevano racimolato, dove aveva tutto ciò che poteva usare per aiutare quelle persone.
Andai a segnare il mio nome sul tabellone viola e prima che Dylan potesse segnare il proprio, scrissi il suo nome sul tabellone verde.
<perché?> domandò confuso.
Gli indicai la faccia con il pennarello.
<hai una ferita alla testa che va controllata, può essere un trauma cranico> gli spiegai prendendo una torcia e facendolo sedere a terra.
<adesso ti do un'occhiata io, se stai bene mi vieni a dare una mano con gli altri, altrimenti rimani qui a riposo finché non si libera un medico>
Ordinai puntandogli la torcia sugli occhi, per vedere le pupille.
<segui le mie dita> dissi muovendole da un lato all altro del suo viso, senza dargli il tempo di rispondere.
<dolore da 1 a 10?> chiesi.
<3, non è persistente. Solo se lo tocco fa male, è stato un coltello preso di striscio> spiegò lui.
Gli segnai una X verde sul palmo sinistro.
<stai bene per ora, se dovessi sentire stordimento o nausea devi avvisarmi e ti metto in codice rosso, va bene?>
Si limitò ad annuire, prese anche lui una torcia che aveva nello zaino e si fece spiegare da un dottore come funzionasse la reazione pupillare mentre io iniziai il triage.
Andammo avanti fino a notte fonda, dopo ore ed ore in piedi o accovacciati a terra per cucire alla bell'emeglio le ferite, una delle poche cose che potevo fare.
Avevamo concesso la grazia a 16 persone, erano troppo gravi.
Secondo il nostro conteggio eravamo sopravvissuti in 58 senza contare i 16 codici neri di prima; poteva esser visto come un traguardo ma dagli occhi di tutti si vedeva la desolazione di ciò che rimaneva di quella comunità.
Avevo dovuto spiegare a una madre che suo figlio di 12 anni non si sarebbe più svegliato, che non stava solo riposando ma che aveva una morte cerebrale, causata da un fortissimo colpo alla testa che aveva preso per salvare la madre.
Quando lo avevo visitato oltre alle pupille non reattive e dilatate avevo spostato appena la testa, sotto di essa trovai materia cerebrale, era inutile, non serviva nemmeno dargli la grazia.
Sentii il pianto persistente di quella donna per ore, finché non si addormentò coccolando un bambino che era rimasto solo e per fortuna illeso, lo consolò fino a farlo addormentare, poi anche lei si lasciò pervadere dal sonno devastato di una madre che aveva appena perso un figlio.
Ero sfinita, senza forze ne fisiche ne mentali, continuavo a fare avanti e indietro persino tra i pazienti meno gravi, temendo che qualcuno di loro si aggravasse per un mio errore di valutazione o per l'errore di altri.
Fu uno dei medici, incitato da Dylan, a farmi fermare.
Mi fecero sedere su un telo a fianco a qualche ragazzo che ormai dormiva, mi diedero da mangiare delle barrette energetiche e una bottiglietta d'acqua.
<tra poco inizieremo con le trasfusioni, rimettiti in forze giovane infermiera> disse sorridendomi il dottore, sfinito anche lui, ma senza potersi fermare.
La maggior parte del lavoro era stato fatto, mancava solo monitorare i pochi feriti gravi che avevamo e dargli un po' di sangue per aiutarli a superare la notte.
Ero felice di essere stata utile anche se sentivo di poter fare di più, purtroppo però ero esausta.
Mentre mi riposavo controllai la ferita di Dylan e potemmo finalmente parlare.
<sei stata una grande sai?> sussurrò, per non svegliare chi già dormiva da ore.
<ho fatto solo ciò che era necessario, anche se speravo non dovesse mai succedere una cosa del genere> sconfortata continuai a sorseggiare la mia bottiglia d'acqua per poi offrirla a lui che non la rifiutò.
<come sapevi tutte quelle cose da dottore?> domandò curioso, d'istinto sorrisi.
< i miei genitori erano un dottore e uno scienziato, sin da piccoli hanno insegnato a me e ai miei fratelli cosa fare nelle situazioni più gravi, a pensarci adesso sembra così strano, come se avessero previsto l'arrivo dell'apocalisse> mi scappò una risata, un po' dettata dallo stress e un po perché quella situazione faceva davvero ridere.
<ma non chiedermi di loro, non è una storia a lieto fine> aggiunsi riferendomi ai miei genitori. Avevo già commesso l'errore di espormi con il mio vecchio gruppo, non volevo incasinare anche Dylan con il mio passato.
<certo, non preoccuparti> disse posando un braccio sulle mie spalle e stringendomi in un lieve e dolce abbraccio.
Colse l'occasione per restituirmi il mio arco e la mia faretra, fui così esaltata all'idea che me li avesse salvati che lo abbracciai di nuovo schioccando un bacio sulla sua guancia, per poi iniziare ad accarezzare l'impugnatura della mia amata arma; volli ridargli anche il suo coltello porta fortuna ma insistette per lasciarlo a me accennando a un <ti ha portato fortuna alla fine, tienilo tu, per entrambi>. Lo ringraziai ancora, sistemandomelo nella tasca della giacca.
Dopo qualche minuto di silenzio lo guardai perché l'idea che ormai avevo in testa da ore mi stava affliggendo.
<tra due giorni al massimo io partirò> gli dissi, in un sol fiato.
Colsi la sua attenzione, si voltò di scatto verso di me.
<giusto il tempo di esser sicura che qui le cose vadano meglio e che abbiano abbastanza cibo e acqua, poi me ne andrò. Se vorrai venire con me son felice ma non ti impedirò di rimanere qui>
attesi una sua risposta che arrivò dopo qualche secondo di riflessione.
<nulla mi trattiene qui se non tu, sono d'accordo sul partire, non è più sicuro qui>
Annuii, fui felice di quella risposta, speravo sarebbe venuto con me.
<contatterò cittadino Z domattina, gli chiederò le coordinate per un posto sicuro che potremo raggiungere anche a piedi. Magari un citta fantasma o qualcosa di simile>
Lui annuì ancora.
Poi sorrise.
<si vede che sei abituata a sopravvivere, non tutti hanno il tuo coraggio, nanetta> pronunciando l'ultima parola mi scompigliò un po' i capelli, per cui gli diedi una spallata anche se piano, eravamo entrambi a pezzi.
<ho i miei mezzi e in più ho avuto un ottimo gruppo che mi ha insegnato come sopravvivere e che, solitamente, da soli non si va molto lontano>
Un sorriso nostalgico mi si palesò sul viso, con gli occhi stanchi che un po' si inumidirono di lacrime che però trattenni, ma fui felice anche solo al ricordo del mio vecchio gruppo, della mia famiglia.

Nota autrice
Dopo una lunghissima assenza vi ho portato un capitoletto un po' particolare, chiedo scusa in anticipo per eventuali errori ma non ho potuto rileggerlo nella fretta di pubblicare.
Spero vi sia piaciuto comunque, anche se si tratta di un breve capitolo che fa un po' da transizione, nel prossimo ne vedrete delle belle ;).
Ho già il prossimo pronto, a breve lo pubblicherò, fatemi sapere cosa ne pensate!!

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