Capitolo 16

Se qualche mese fa mi avessero detto che avrei vagato per l'intera America, insieme a uno sconosciuto, alla ricerca di un posto sicuro dove trascorrere qualche giorno sperando di non essere uccisa o morsa da uno zombie, giuro che non ci avrei creduto.
Ironia della sorte è proprio quello sta accadendo.
Io e Dylan siamo arrivati questa mattina in una città sperduta di nome Riseville, nome a parer mio orribile ma che comunque prometteva bene.
Secondo Dylan, che era in contatto con alcuni amici militari del padre, quella zona era stata messa in sicurezza i primi giorni dell'epidemia e li ci sarebbe dovuto essere un campo.
Con un po' di fortuna anche qualche sopravvissuto.
<questi tuoi amici militari...ci possiamo fidare?>
Volta lo sguardo verso di me prima di riportarlo sulla strada davanti a noi, annuisce per poi sospirare sonoramente.
<so che hai appena iniziato a fidarti di me, come anch'io di te, però li conosco. Erano brave persone prima di questo casino e hanno qualche debito con mio padre, quindi penso che troveremo davvero un campo> sorride alla fine della frase trasmettendo un senso di sicurezza che in questo momento proprio ci voleva.
<lo spero, sono scappata troppe volte da branchi di psicopatici. Non voglio farlo un'altra volta> porto l'arco sulle spalle e ripongo la freccia nella faretra e al posto suo prendo la pistola dalla fondina, non abbiamo visto anima viva finora.
O anima morta, si intende.
Non credo che ci sarà nemmeno il bisogno di difenderci una volta arrivati al suddetto campo, o per lo meno lo spero.
<scommetto che avrai molte storie da raccontare, allora>
Mi da una gomitata sul fianco sorridendo, lo guardo minacciosa prima di restituire il gesto spingendolo per una spalla.
<non sfidarmi se ho una pistola carica in mano, chiaro?> lo minaccio con aria seria.
<come vuoi, ragazzina> ribatte con un sorriso malizioso in volto.
Alzo gli occhi al cielo sbuffando, ancora con quel nomignolo, dannazione.
Sono tre settimane che continua chiamarmi in quel modo, prima o poi gli pianterò un coltello in fronte sul serio.
<comunque non dovremmo essere lontani, hanno detto che è all'interno dello stadio> si ferma un istante controllando la cartina che tiene fra le mani mentre io mi guardo intorno cercando un qualche segno di civiltà.
<lo stadio è da quella parte, se ci sbrighiamo arriveremo tra meno di un'ora> indica la via davanti a noi la cui vista è piena di edifici abbandonati e che non promettono niente di buono.
<muoviamoci, questo posto non promette bene>

***

Ci fermiamo a pochi metri dallo stadio, entrambi con le armi sfoderate e le orecchie tese per catturare ogni singolo rumore.
<che facciamo?>
Lo chiede a me? Gli "amici" sono suoi, se non sa che fare io sono messa peggio.
<e lo chiedi a me? Muoviti e andiamo a parlare con sti tizi>
Lo spingo per le spalle per farlo uscire dal nostro nascondiglio.
Attraversiamo in fretta la strada e una volta davanti allo stadio io mi occupo di cercare l'entrata e Dylan evita che gli Z si accalchino su di noi.
<trovato!> esclamo davanti ai cancelli, fortunatamente privi di qualunque tipo di serratura.
<sei un genio!> esclama alle mie spalle raggiungendomi di corsa mentre anche l'ultimo zombie cade a peso morto sull'asfalto polveroso.
<vuoi entrare?> sussurra un attimo dopo notando la mia esitazione.
<non lo so...quante cose potrebbero andare male?>
Dylan si sofferma a guardarmi in volto, senza più quell'aria beffarda che lo accompagna come una fedele ombra, ma bensì quasi con preoccupazione.
<potrebbero esserci brave persone o davvero pessima gente, potrebbe essere ospitale o pieno di morti ma non abbiamo altra scelta che provare. Non abbiamo più provviste e a te servono cure mediche, subito>
Annuisco ormai convinta fino in fondo e le mie condizioni sono davvero pessime per negare di aver bisogno di aiuto.
<la gamba ti fa ancora molto male?> chiede un attimo dopo portando lo sguardo su di essa e sulla fasciatura che l'avvolge, ormai imbrattata di sangue.
<no, è sopportabile> affermo con un'alzata di spalle.
<c'è la fai a camminare?> domanda di nuovo.
<certo che sì! Non ti preoccupare per me, so cavarmela> mi volto di spalle facendo qualche passo in avanti cercando di mutare il mio evidente zoppicare ma ottenendo come risultato una camminata barcollante e sconnessa.
<lo so> sussurra in un sospiro per poi seguirmi.
Avergli mentito fa credere anche a me di stare meglio nonostante la continua e lacerante fitta alla gamba dica tutto il contrario.
Non ti infettare, ti prego continuo a pregare, come se potesse davvero aiutare.
Senza accorgermene siamo arrivati ben oltre i cancelli e, una volta che ho alzato lo sguardo, mi sono ritrovata con la bocca aperta per lo stupore.
<Wow...> sussurro venendo affiancata da Dylan.
<abbiamo fatto bene, visto?>
Vederlo sorridere fa ripetere anche a me lo stesso gesto mentre la sua mano sfiora dolcemente la mia per poi prenderla e intrecciare le dita.
Guardo in basso sulle nostre mani unite provando puro imbarazzo che mi fa arrossire senza ritegno ma insieme ad esso un'esplosione di emozioni mi riempie il petto.
Un dolce tepore rassicurante che ormai da settimane non provavo, da quando avevo lasciato il mio gruppo per l'esattezza.
Il mio sguardo torna davanti a me sulle decine e decine di tende che si trovano al centro dello stadio circondate da una recinzione costruita in parte da mezzi di fortuna e in parte da vere e proprie lastre di metallo o legno.
<non sono mai stata così felice di trovare delle persone>
Dylan si volta verso di me con un sorriso stampato in volto, lo guardo con una veloce occhiata per non essere vista da lui e poi, per evitare di nuovo che tornasse dell'imbarazzo, prendo una freccia dalla faretra e l'arco dalla spalla facendo così sciogliere le nostre mani.
<pensi che ci sia qualcuno vivo?> chiedo voltandomi e guardandomi intorno per trovare il minimo segno di civiltà.
<certo, perché?>
<i cancelli non avevano lucchetti e sembra davvero troppo tranquillo>
Faccio un solo passo avanti ma sento qualcosa che non va.
La gamba, fa un male atroce.
Chiudo gli occhi lasciandomi sfuggire un sospiro carico di dolore, il fiato mi trema fra le labbra mentre abbandona la mia bocca.
Riapro gli occhi sentendoli umidi ma prima ancora di poter guardare la gamba ferita mi sento afferrare per le spalle e tirare all'indietro finendo contro a una persona che con il suo fiato sul collo mi fa sentire la sua presenza, le armi mi cadono a terra, guardo Dylan disorientata.
Una fredda e tagliente lama viene appoggiata sul mio collo all'altezza della carotide.
La testa mi inizia a girare.
<non siamo nemici!> esclama Dylan mettendo a terra il proprio fucile e alzando le mani in segno di resa.
Ma la sua voce sembra flebile, debole, ovattata.
Tengo una mano su quella del mio aggressore cercando di far allontanare il coltello dalla mia pelle ma senza risultati.
Rivolgo il mio sguardo verso il mio compagno, le sue labbra si muovono ma non sento nulla, nemmeno una sillaba.
Il gruppo di stranieri si divide in due parti mentre un uomo di colore, alto e robusto ci passa attraverso sorridendo a Dylan.
Un attimo dopo vengo liberata dal coltello e l'uomo alle mie spalle si allontana tornando in formazione insieme ai suoi uomini.
<scusa> il comandante sussurra nella mia direzione ma delle sue parole capisco solo il labiale.
Si scambia una forte stretta di mano con Dylan che poi si trasforma in un abbraccio con tanto di pacche fraterne sulle spalle e risate.
Per fortuna lo sguardo di Dylan torna verso il mio e immediatamente si allontana dall'amico ritrovato.
<Grace, va tutto bene?> chiede, la sua voce riesco a sentirla bene, le parole scandite e la preoccupazione nel suo tono.
Scuoto la testa per negare sentendomi poi girare la testa e la terra sotto ai piedi venire a meno.
Faccio un passo in dietro sperando di riacquisire un po' di equilibrio ma, non so come, mi ritrovo a inciampare nei miei stessi passi.
Nella mia caduta non ho toccato il terreno, com'è possibile?
Lentamente riapro gli occhi e voltando lo sguardo verso l'alto riconosco Dylan, le braccia forti che mi avvolgono sono le sue, gli occhi grigi coperti da un velo di confusione e preoccupazione sono anch'essi suoi.
<è-è la g-gamba> riesco a sussurrare prima di sentire gli occhi pesanti e l'aria arrivare con fatica ai polmoni.
<portiamola dentro!> esclama il comandante lasciando che i suoi fedeli uomini facciano strada.
Non sono riuscita a tenere gli occhi aperti per molto tempo ma l'ultima cosa che ricordo sono degli occhi grigi che mi fissavano e una soave voce che tenta di farmi stare sveglia.

***

<si sta svegliando> afferma una voce a me sconosciuta mentre lentamente ogni suono diventa più chiaro fino a sentire un continuo "bip" provenire da un macchinario proprio accanto a me.
<andate a chiamare il ragazzo> ordina con fare autoritario mentre finalmente riesco ad aprire di poco gli occhi.
Per fortuna la luce è davvero tenue, quasi nulla, provocata da una sola candela bianca che arde sul tavolo a fianco al mio letto.
Sposto la testa sul cuscino e insieme ad essa anche lo sguardo incontrando quello di un uomo di mezza età che sta guardando il proprio orologio da polso mentre ha le dita premute sul mio polso.
<ben svegliata> sussurra sistemando la coperta fino a coprirmi anche il braccio mentre il resto del corpo è già al caldo.
<è normale che ti senta stordita o confusa, è l'effetto degli antidolorifici> spiega il presunto dottore mentre prende una cartella dal fondo del letto e appunta qualcosa con una penna stilografica.
I suoi indumenti sono puliti, ordinati e quasi surreali. Sembra uno dei classici medici che troveresti in un ospedale.
Camice bianco, biro nell'occhiello, uno stetoscopio intorno al collo e persino un cartellino con il proprio nome scritto in stampato.
<sono il dottor Rayes, il tuo amico sta arrivando>
Annuisco in risposta, sentendo che per parlare avrei fatto più fatica.
Solo qualche secondo dopo Dylan fa il suo ingresso quasi correndo, si ferma sulla porta guardandomi e poi mi viene in contro, più lentamente.
Ha un dolce sorriso ad incorniciargli il volto, si sposta i capelli in imbarazzo abbassando un po' lo sguardo finché non arriva al bordo del letto.
Si siede vicino a me, con l'utilizzo di una sedia, e si passa nervosamente le mani sui pantaloni prima di guardarmi negli occhi.
<come ti senti?> chiede con tono incoraggiante.
<un po' stordita ma bene, credo> sussurro incerta, mi sollevo sui gomiti e nel vedermi in difficoltà Dylan mi aiuta farmi sedere con la schiena contro la spalliera del letto.
<grazie> sussurro affaticata.
<il medico ha detto che non devi fare sforzi e in un paio di giorni tornerai a camminare>
<quindi restiamo qui?> chiedo stupita, in risposta annuisce per poi sorridermi ancora.
<se vorrai ci hanno accolto ma dovremo contribuire a queste persone e al mantenimento di questo posto>
Annuisco, restiamo per qualche minuto in silenzio ma poi è lui a riprendere la parola.
<Grace...perché non mi hai detto che ti faceva così male la ferita?>
Quando torno a guardarlo il suo sguardo è basso verso le proprie mani, le tiene strette l'una all'altra fino a far diventare le tiene bianche, anche la mascella è serrata in una stretta morsa che serve a trattenere una presunta rabbia.
Avvicino la mano alle sue appoggiandola su di esse e cercando di stringerle nonostante sia ancora abbastanza debole.
A questo gesto alza lo sguardo, l'espressione cupa e rancorosa lo fanno sembrare un'altra persona.
<non volevo essere un peso, sapevo che si sarebbe potuta infettare ma non volevo rallentarci> cerco di essere convincente con il mio tono confortante ma questo sembra farlo arrabbiare di più tanto che si alza in piedi di scatto che di poco non fa cadere la sedia.
Lo guardo dal basso, intimorita da quella sua rabbia a me ancora sconosciuta ma con la certezza che non farebbe mai stronzate e che ha solo bisogno di liberarsi dalle preoccupazioni.
<non ci avresti rallentato, non avevamo una vera destinazione e potevamo fermarci qualche giorno. Saresti potuta morire per quell'infezione!> urla con rabbia stringendo le mani in pugni con forza.
Prendo le coperte tra le mani, stringendole, tentando di mantenere un tono di voce calmo e pacato.
<hai presente quel vecchio detto che recitava "chi va piano è sano e va lontano"?> chiedo rivolgendogli un lieve sorriso forzato.
<cosa c'entra adesso?> domanda quasi con rabbia.
Mi guardo le mani per non incontrare i suoi occhi grigi, prendo qualche respiro profondo e poi torno a guardarlo.
<se nel bel mezzo di un'apocalisse smetti di correre o di trovare rifugio, muori. Il mondo non gira più come una volta e se ci fossimo fermati o se avessimo rallentato, a quest'ora, saremmo morti. Capisci ora?>
Dylan sembra sbalordito ma non in senso positivo, sembra voglia urlarmi che sono una stupida, magari anche un'incoscente ma non lo fa, prende un profondo respiro e si risiede.
<non è una giustificazione adatta al tuo comportamento, lo sai Grace? Siamo in due, ti avrei guardato le spalle> scuote la testa contrariato, si passa le mani sul viso e poi si sfrega gli occhi, evidentemente stanco.
Ho pensato che sarebbe stato meglio tacere dopo questa sua affermazione, lui non può sapere cosa per me è giusto o sbagliato non conoscendo la mia storia e il mio passato.
Così lascio le parole scorrere da sole, sentendo un profondo senso di beneficio nel parlarne liberamente dopo tanto tempo.
<anche Charlotte la pensava come te, ha fatto affidamento su di me e sui miei amici ed è morta. Era stata ferita una gamba ed aveva contratto un'infezione.
Che coincidenza, vero?>
Lo guardo stupidamente mentre un sorriso malinconico si fa spazio sulle mie labbra, gli occhi iniziano pericolosamente a pizzicare mentre una sensazione strana si fa spazio nel mio petto, un miscuglio tra senso di colpa e rabbia.
Quello strano dolore spero possa sparire in fretta ma so che mi è utile per affrontare le più insidiose situazioni, infatti se si prova dolore si sta attraversando una perdita e solo affrontando i fatti si può riuscire a superarla.
È un po' come le 5 fasi del lutto: negazione, rabbia, negoziazione, depressione e infine accettazione.
Ho accettato la morte di Charlotte però, in alcuni momenti, mi sembra ancora così vicina e fresca come notizia che pare di ricominciare da capo le 5 fasi.
Ci vuole molta forza di volontà ad assumersi la responsabilità per la morte di qualcuno, soprattutto se quest'ultima poteva essere evitata.
<ma ormai è morta> concludo senza pensare minimamente di ottenere una risposta.
Dylan si alza nuovamente, si passa distrattamente una mano tra i capelli e poi sistema la sedia contro alla parete.
<riposati, ne hai bisogno>
Mi da le spalle ed esce in silenzio dalla stanza.
Con lui se ne vanno anche i miei pensieri, mi faccio prendere dalla stanchezza e cado in un sonno profondo e, per fortuna, senza incubi.

***

Pochi giorni dopo

Il Maggiore Taylor, colui che abbiamo incontrato fuori dai cancelli, venne nella mia tenda, ovvero nell'infermeria, quando il dottor Rayes mi diede il via libera per tornare a camminare, sempre con molta calma visto che sono in via di guarigione.
<vi ho affidato una tenda, non è molto spaziosa ma almeno avrete un po' di privacy non dovendola condividere> spiega cordialmente il Maggiore facendomi segno di seguirlo.
<il tuo amico, Dylan, ha già portato i tuoi effetti personali nel vostro alloggio>
Usciamo dall'infermeria, mi ritrovo in un labirinto di tende militari, tutte del medesimo colore ma di diversa grandezza.
Al centro dello stadio si trova l'area comune dove alcuni bambini giocano, tenuti sottocchio dagli adulti.
A ogni angolo ci sono militari, i loro equipaggiamenti sono ben forniti e come ulteriore protezione per i civili, oltre che alle solide mura, sono stati messi dei camion militari ad ogni ingresso per avere un maggiore sostegno.
<a destra dall'area comune si trova la mensa, a fianco i magazzini con le scorte e sempre a fianco le cucine. Abbiamo molto personale disponibile qui, soprattutto persone troppo spaventate o inesperte per utilizzare delle armi. Ho notato che tu e il tuo ragazzo avevate un bel po' di armi con voi, siete entrambi bravi tiratori?>
Rimango per un attimo sorpresa, mi sfugge una risata mentre gli rispondo.
<lui non è il mio ragazzo, ci siamo conosciuti circa un mese fa. Lui è bravo e molto veloce, ha il sangue freddo adatto a questo nuovo mondo> per la prima volta ho rivolto dei complimenti a Dylan, per lo meno ad alta voce, di solito rimanevano solo pensieri.
<e tu, invece?> domanda voltandosi per lanciarmi un'occhiata di riguardo.
Faccio spallucce inclinando la testa.
<me la cavo con l'arco e con i coltelli, il resto viene di conseguenza> porto le mani nelle tasche dei pantaloni mentre distrattamente calcio dei sassolini con la punta degli anfibi.
<il tuo ragazzo, scusa, il tuo amico mi ha parlato solo della tua abilità da arciere e sul fatto che hai buone basi in medicina. Qualche segreto tra voi due?> chiese incuriosito, alza un sopracciglio nel guardarmi accennando a un sorriso malizioso.
<diciamo che lui non sa tutto di me come io non so tutto di lui> rispondo rimanendo comunque sul vago.
<riponete molta fiducia l'uno nell'altro però, ho notato che siete in sintonia>
Rifletto sulle sue parole.
Sintonia, si, è vero, su molte cose abbiamo idee simili se non uguali, molti atteggiamenti ci accomunano e anche parte del nostro passato, nell' aver perduto le nostre famiglie se pur in modi diversi.
<ci consociamo da poco come ben saprà, Maggiore Taylor . La mia scelta nel rimanere con lui è stata in parte influenzata dalla situazione in cui siamo conosciuti>
Sempre con molta curiosità mi rivolge un altro sguardo invitandomi a continuare, mi affianca e continuiamo a camminare l'uno a fianco all'altra mentre di tanto in tanto vengo interrotta per ottenere spiegazioni sul posto in cui ci troviamo.
<come vi siete conosciuti?> aggiunge insieme a un cenno della mano.
<ero rimasta ferita in uno scontro a fuoco con dei messicani, Dylan mi ha trovata e tratta in salvo. Si è preso cura di me nonostante facessi resistenza e temessi che fosse come uno dei soliti uomini spregevoli che ormai popolano le nostre città insieme agli zombie.
Ho avuto fortuna però, Dylan è un buon amico e ci copriamo le spalle a vicenda.
Nelle condizioni in cui mi trovavo rimanere sola avrebbe segnato la mia condanna a morte, avrei benissimo potuto scavarmi la fossa e buttarmici dentro.
Continuiamo a vagare da allora, siete la prima comunità in cui ci imbattiamo e, mi creda, non pensavo che mi fosse mancata così tanto la civiltà>
Il mio primo pensiero è stato il lusso di essermi potuta fare una doccia calda, la sensazione dell'acqua che scivola sulla pelle è davvero inappagabile e unica di questi tempi, sarei potuta rimanere un'eternità sotto il getto dell'acqua questa mattina.
<stare in mezzo alle persone fa piacere a tutti dopo essere stati nel mondo la fuori, non so se mi spiego>
<si, ho capito cosa intende dire> sussurro con amarezza.
Dalle sue parole sembra quasi che consideri me e chiunque venga dal mondo là fuori, un incivile.
Sono certa che nei giorni a venire ci terrà strettamente sotto controllo, nonché ci darà dei compiti assolutamente inutili o saremo controllato anche durante i turni di lavoro.
<Per restare immagino dovremo contribuire, non è così?>
Ci fermiamo e il Maggiore si volta verso di me con aria accigliata.
<hai deciso? Nulla in contrario ovviamente, persone addestrate a proteggere questo posto sono sempre utili e ben accette però il tuo amico mi aveva avvertito che saresti stata dura da convincere> un sorriso gli si forma in volto, capisco che è sincero e per un momento i miei sospetti vengono inibiti.
Forse è solo la sua posizione che lo fa sembrare ostile, forse è davvero una brava persona come cerca di sembrare agli occhi di tutti.
Più volte mentre passavamo nei vari spiazzi lasciati liberi tra una tenda e l'altra tutte le persone che abbiamo incontrato salutavano il Maggiore con gioia e i bambini lo guardavano ammaliati.
Forse è solo una mia impressione o un mio presentimento che dietro a quest'uomo ci sia un'altra persona, probabilmente mi sto solo sbagliando.
<se Dylan vuole restare io lo seguo, non ho dove andare>
Sorride nuovamente per poi portare un braccio avanti ad indicare una tenda proprio di fronte a noi.
<dopo di te> mi invita tenendo aperta l'entrata per farmi passare.
Con insicurezza varco l'entrata ritrovandomi poi in una tenda di modeste dimensioni con due brande distanti tra loro, una delle quali è occupata da Dylan che a quanto pare sta dormendo beato.
<non vi disturbo ulteriormente, parleremo domani del lavoro. Godetevi entrambi una sana dormita, penso ne abbiate bisogno> così il Maggiore Taylor si congeda, lasciandomi sola nella mia nuova casa.

***

Mentre Dylan dormiva ho esplorato a pieno quella piccola tenda, mi sono cambiata i vestiti con alcuni nuovi che avevano lasciato sul mio letto e alla fine, leggendo un libro, mi sono addormentata.
Sono stata svegliata da Dylan qualche ora dopo, aveva il viso assonnato e i capelli scompigliati, nonostante questo rimaneva un esemplare di splendore nel bel mezzo dell'apocalisse.
<dovremmo andare alla mensa per cena, vieni?>
Scuoto la testa sul cuscino serrando di nuovo gli occhi e voltandomi su un fianco, dandogli le spalle.
<non me la sento, scusa> boffocchio con la bocca impastata dal sonno.
Lo sento sospirare con forza, rassegnato.
<ti porto qualcosa> conclude uscendo.

***

Ho provato a richiudere gli occhi e ad addormentarmi ma tutti i miei tentativi furono vani, non riuscivo ad abbassare la guardia.
Ormai raggomitolata tra le lenzuola non avevo più nemmeno voglia di alzarmi così sono rimasta ferma a riflettere finché non ho sentito i passi di Dylan fare il loro ingresso nella tenda.
Quando sono sicura che sia girato di spalle mi volto su un fianco e lo osservo.
Lentamente si sfila la maglietta rimanendo con indosso solo i pantaloni, sento le guance scaldarsi ed arrossire senza ritegno mentre senza accorgermene resto con la bocca semiaperta.
Continuo a far scorrere lo sguardo dalla sua schiena alle sue spalle possenti fino si capelli biondicci.
Quando noto che sta per togliersi i pantaloni torno a girarmi sull'altro fianco, imbarazzata come mai sono stata.
Aspetto qualche minuto per voltarmi di nuovo, sta volta mi fermo in posizione supina stringendo le coperte sul mio petto e fissando il soffitto.
La conversazione che abbiamo avuto qualche giorno fa al mio risveglio è rimasta in sospeso, in questi giorni è venuto a trovarmi poche volte e in quelle rare occasioni non abbiamo accennato all'argomento.
Così ho parlato senza pensare.
<Charlotte era la mia migliore amica, c'è sempre stata per me e io l'ho lasciata morire> sussurro alzandomi a sedere, tenendo sempre la coperta a coprirmi dal freddo.
Guardo le mie mani ma con la coda dell'occhio noto che è voltato verso di me, seduto sul proprio letto.
<non devi dirmelo per forza> ribatte Dylan, alzandosi.
Mi stringo di più nelle coperte sentendo uno strano brivido freddo scorrermi per la schiena, come una folata di vento a schiena nuda.
Dylan si avvicina fino a prendere posto dietro di me, riesco a sentire il suo calore alle mie spalle e il suo sguardo che preme sulla mia figura ma, anche se volessi, non riuscirei a voltarmi e a guardarlo negli occhi.
<devo, altrimenti non capirai me>
Avvicino le ginocchia al petto e appoggio un gomito su di esse, la mano nei capelli mentre l'altra va sull'altro ginocchio, immobile.
<il mio primo gruppo era formato da me, Charlotte, mia sorella e altri due miei vecchi amici. Sono morti tutti, alcuni per colpa mia>
Un forte dolore alla gola e gli occhi che diventano più caldi preannunciano numerose e calde lacrime che ben presto scenderanno dai miei occhi.
Percepisco le mie gambe e le mie braccia tremare senza volerlo, stringo i denti e serro le labbra per non far notare il tremolio di quest'ultime, prendo un profondo respiro sperando nella fermezza della mia voce.
<Charlotte è stata la prima a morire, aveva un grave e infetta ferita alla gamba. È successo tutto in così pochi minuti che non mi sono resa conto di cosa avessi fatto finché non è stato troppo tardi...stavamo fuggendo da una piccola orda di zombie ma erano troppi per noi, non avevamo più munizioni e in più lei era ferita.
Andava più lenta cercando di rimanere al passo, io la aiutavo a correre sorreggendola.
Mi ripeteva di fermarmi, di lasciarla lì e che mi avrebbe solo fatta uccidere se l'avessi aiutata.
avrei dovuto insistere e portarla di peso se fosse stato necessario invece che...lasciarla morire>
Appena finisco di parlare sento di nuovo il familiare senso di colpa fermarsi in mezzo al petto e premere, premere sempre più forte fino a fare male.
Percepisco un movimento alle mie spalle, poi la sua mano che si ferma sulla mia spalla percependo lei stessa il mio tremare.
Sposta la mano sui miei capelli accarezzandoli fino alle punte, lasciandola scorrere sulla mia schiena riuscendo a dare sollievo ai brividi che tornano un attimo dopo che lui ha tolto la propria mano.
Porto le mani sul viso a raccogliere le lacrime che hanno iniziato a scendere lungo le guance, trattengo i singhiozzi nonostante mi scuotano le spalle e sembri abbastanza inutile.
<l'ho lasciata sola, sono fuggita e l'abbiamo guardata morire. Da lontano, quando eravamo al sicuro, le ho dato la grazia ma ancora sento le sue urla di dolore mentre veniva divorata da quegli esseri> concludo con il ribrezzo nella mia voce, verso quei mostri e verso me stessa per il mio gesto disumano.
Da Dylan non arriva una risposta nei minuti a seguire finché, lentamente, mi volto verso di lui con sguardo basso.
Senza accorgermene finisco stretta fra le sue braccia, il viso premuto nell'incavo del suo collo mentre le sue mani da sotto le coperte passano lente sulla mia schiena per minuti confortanti e interminabili.
Quando si ferma sosta con le mani sui miei fianchi, rimane a guardarmi finché non alzo il viso dal suo collo e lo sguardo nel suo.
Mi stringe di nuovo a se senza badare al fatto che ormai sono seduta sulle sue gambe e gli ho bagnato la maglietta di lacrime, nei suoi occhi c'era comprensione ed erano lucidi a causa del mio racconto.
<sono stati il mio primo gruppo, lo stesso giorno che mia sorella è morta ho incontrato il mio secondo gruppo da cui poi sono fuggita...sono stata una codarda! Sono fuggita come con Charlotte!>
Stringo con forza le mani sulla sua maglietta inspirando a fondo quel familiare profumo che fino ad allora non avevo mai avuto occasione di percepire così bene.
<non sei una codarda, hai fatto ciò che ritenevi giusto> sussurra con le labbra premute sui miei capelli, avvolge le braccia intorno alla mia schiena per confortarmi e continua a sussurrare, sta volta più vicino al mio orecchio.
<ma non capisci...si stava tutto ripetendo!> esclamo portandomi la mano sulle guance per togliere definitivamente le lacrime, non mi sono mai fatta vedere così debole da Dylan.
<nel mio secondo gruppo è morto il nostro leader, poi un ragazzo poco più grande di me e Cassandra, una mia cara amica, stava morendo quando me ne sono andata, aveva anche lei una grave ferita alla gamba>
<sono solo coincidenza, stai tranquilla> sussurra ancora, lentamente.
<non è questo! Capisci perché non volevo che ci fermassimo? Saremmo morti come loro. Charlotte e Cassandra si sono fermate, sono rimaste sole e sono morte, Garnett si è preso una fottuta pallottola per un'altra persona e Mack è stato divorato davanti ai miei occhi e a quelli della sua ragazza! Era troppo! Non avrei sopportato di vedere morire il resto di loro, erano diventati troppo importanti>
Immediatamente tornano davanti agli occhi le immagini delle notti passate di guardia con ognuno di loro, i segreti sussurrati e le promesse fatte.
Il vero nome di Diecimila ancora mi risuona in testa proprio come il mio, la preoccupazione verso cosa sia stato di tutti loro è tale da rendere impossibile non essermi pentita della mia scelta ma è per il mio e per il loro bene.
<adesso mi riesci a capire?> sussurro alzando lo sguardo.
Annuisce lentamente per poi abbassare il capo e toccare la sua fronte con la mia.
<perdonami, non dovevo trattarti in quel modo. Prima non capivo perché lo avessi fatto ma adesso si. sei stata coraggiosa, non codarda>
Nego con la testa sentendo altre lacrime finire dalle guance al collo, le sue mani le raccolgono e si fermano sulla guance, mi fa alzare il viso e mi guarda negli occhi studiandomi.
<non mi sento coraggiosa> replico, sempre più vicina al suo viso.
<lo sei, Grace. Lo sei> sussurra e in un attimo le sue labbra sono sulle mie in un bacio dolce e leggero.
Riapro gli occhi nel momento stesso in cui le nostre labbra si separano, mi perdo nelle sue iridi grigie e prima che possa dire qualcosa affondo le mani nei suoi capelli e torno ad assaporare le sue labbra con più voglia e irrequietezza.
Le sue mani passano fameliche sulla mia schiena fino al collo, al viso che accarezza lentamente mentre approfondisce il bacio, poi ai capelli e di nuovo alla schiena.
Un calore intenso al viso lascia solo immaginare il colore delle mie guance in questo momento ma lo ignoro completamente quando le sue mani arrivano al bordo della mia maglietta e lentamente me la sfila.
Prima che possa baciarmi di nuovo, in un'impeto di follia e accecata dal desiderio, gli sfilo velocemente la maglietta lasciandola poi cadere a terra.
Mi riapproprio delle sue labbra per un solo istante ed entrambi ci allontaniamo l'uno dall'altra, senza fiato.
Gli sguardi di ognuno passano studiando il corpo dell'altro, la mia mano scivola sul suo petto lentamente accarezzando la pelle calda e madida di sudore.
Lui si limita a guardarmi per poi accarezzarmi la spalla spostandomi i capelli da essa, si morde il labbro inferiore mentre il petto si alza e abbassa con irregolarità.
Mi prende per un fianco e mi avvicina a lui, si sdraia sul letto e così trascina anche me, mi fa appoggiare il viso sul suo petto e poi sento le sue labbra sfiorare la mia fronte.
<ora dormi, Grace> sussurra stringendo la mia mano.

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