Capitolo 38

Quando, finalmente, i soldati delle Ali della libertà si decisero a lasciare Shiganshina, era ormai il tramonto.

La gente, che per tutto il giorno aveva studiato quegli strani guerrieri, più simili a mendicanti che ad altro, a quel punto, fece ritorno a casa, prima dello scattare del coprifuoco.

Levi, tuttavia, aveva altri progetti per la testa.

Restare recluso per tutto il giorno, seppure in compagnia di Isabel, Armin ed Hanji, che nonostante i suoi impegni aveva insistito per restare con loro, gli aveva riportato alla mente il difficile anno trascorso nel palazzo di Duncan.

Ma nonostante tutto se n'era rimasto tranquillo.
Aveva atteso, scambiando vuote chiacchiere con Isabel ed Hanji, che avevano perfettamente compreso il suo stato d'animo.

Era stata la seconda, in particolare, a spronarlo a mettere in pratica quella assurda idea.

Difatti, non appena la notte avvolse con il suo velo la piccola comunità, Levi si apprestó a lasciare la sicurezza della sua nuova casa per uscire.

Furlan si sarebbe arrabbiato, ma Levi scacció quel pensiero con la stessa rapidità con cui lo aveva formato.

L'aria della notte era così fredda e tagliente che, appena messo un piede oltre alla soglia della porta, Levi si sentì mozzare il fiato, tanto da doversi fermare.

Era una serata meravigliosamente limpida; il vento glaciale, aveva sospinto lontane le nuvole, trasformando il cielo in una lucida lastra di tenebra, illuminata dalla neve candida, caduta nel primo pomeriggio.

Levi si strinse un po' di più nel pesante mantello, portando i polpastrelli, gelati nonostante le fasce con cui gli aveva avvolti, alla bocca, nel tentativo di riscaldarli con il fiato.

Dalle sue labbra si levò una piccola nuvola bianca, quindi s'incamminó.

La città, un vero formicaio di giorno e che gli trasmetteva una sgradevole insicurezza, con il calar del sole si era mutata in un'oasi di pace silenziosa.

Pareva di essere sott'acqua, anzi, in un sogno, tale era impressionante l'assenza del suono.
Solo lo scricchiolio della neve sotto gli scarponi, ricordava al moro di essere sveglio.

Camminó per un bel po', evitando la piazza principale e di passare accanto alla vecchia chiesa e, di conseguenza, al campanile di Pixis; l'ultima cosa di cui aveva bisogno era che il vecchio lo scovasse in uno dei suoi soliti vagabondaggi.

Si diresse invece, nella "Zona di distribuzione", dove, ogni mattina, le famiglie ricevano la loro razione giornaliera.

I "banchi di scambio" erano tutti chiusi e bui, ma emanavano ancora i loro aromi, riportando i pensieri del ragazzo a tempi più antichi, sommergendolo nelle sue memorie, quando il mondo non era ancora diventato un posto crudele.

Si fermò giusto un momento davanti alla bottega del fabbro, dove Furlan aveva cominciato il suo apprendistato, prima di riprendere la sua passeggiata.

E senza accorgersene, si ritrovò di fronte al suo magazzino.

Era uno dei più piccoli (e forse era anche per quella ragione che ci lavoravano solo lui e quell'idiota di Oruo), sgraziato e dall'aspetto tutt'altro che stabile; ma era divenuto per Levi un posto sicuro. Quasi più della sua camera condivisa.

Restó lì immobile per quelle che gli parvero ore, di fronte a quella casupola sbilenca, perso nei suoi pensieri.

Di tanto in tanto, avvertiva il vento sferzargli il viso, come in una muta richiesta di riprendere il cammino.

E fu proprio durante un colpo di vento, che per un attimo gli annebbió la vista, scompigliandoli i capelli, che si accorse di un particolare.

Lui e Oruo avevano l'abitudine di chiudere sempre le porte del magazzino con un grosso lucchetto nero.

Levi non se ne sarebbe mai dimenticato e Oruo, quando era il suo turno, gli chiedeva sempre di controllarlo una seconda volta.

Quella mattina era il turno di Levi.
Il moro era certo di essersi assicurato di averlo chiuso bene, prima di correre alla piazza principale per l'annuncio di Pixis.

Eppure ora il chiavistello giaceva malamente a terra, seminascosto dalla neve fresca.
Quasi nessuno lo avrebbe notato.
Quasi.

Si avvicinò circospetto e lo raccolse tra le dita, mentre il cervello galoppava veloce in cerca di una risposta che non presagisse il peggio.

Gettò un'occhiata verso la porta e, nonostante a un primo sguardo apparisse perfettamente chiusa, si accorse che questa stava semplicemente appoggiata.

Il corvino avanzò di un passo.

Se ci fosse stato qualcun'altro al posto di Levi se ne sarebbe tornato di corsa a casa, a chiamare aiuto o il corpo di guardia. Ma Levi proseguì ad avanzare, incurante del pericolo.

Posò la mano ghiacciata sul legno e prese un profondo respiro:

Ho smesso di avere paura, si disse.

E con una leggera pressione, la porta gli cedette il passo, con un inquietante scricchiolio che rimbombó contro le pareti di legno.

<<Oi!>>

Nessun suono rispose a quel debole richiamo.

<<Oi! C'è nessuno?>>

Levi scrutó l'interno polveroso del magazzino, strizzando gli occhi fino a farne due fessure per distinguere qualcosa oltre quel caos di casse e ciarpame.

<<Oi!>> chiamò ancora, innervosendosi un poco.
Mosse un passo, lasciando che la porta alle sue spalle si richiudesse con quel fastidioso cigolio.

Pareva non ci fosse nessuno.
Che si fosse sbagliato?

Accese il piccolo lume che Oruo lasciava sempre accanto all'entrata, ma, nonostante la luce il magazzino restó vuoto e silenzioso.

Il moro, a quel punto, mandò uno sbuffo seccato, maledicendo Oruo e la sua sbadataggine;

Quell'idiota si sarà dimenticato di chiudere la porta...

Stava per spegnere la candela, quando accadde.

Una mano sbucata dal buio gli afferrò con forza il braccio, attirando il ragazzo nell'oscurità.

Neanche il tempo di reagire che Levi si ritrovò costretto in un abbraccio forzato, con due calde labbra premute sulla bocca arricciata.
Per un attimo non riuscì neanche a capire cosa stesse succedendo.

<<Lasciami!- berció, cercando di liberarsi da quella morsa -Lasciami!>>

Lo sconosciuto era più forte e lo superava in altezza; gli serrava i polsi con forza, impedendogli di scappare, mentre cercava frenetico di scontrare le loro labbra.

Levi fu colto da una forte nausea.
Tutti i traumi erano tornati a sommergerlo, come se non fosse mai scappato.

Come se non fosse mai stato libero.

No! No!

L'intruso gli mordicchió il collo, sussurrando parole sconnesse contro il suo orecchio:

<<...-vi....-vi...>>

<<Liberami, razza di...!>>

<<...vi! -vi!>>

<<Liberami, ho detto!>> da qualche parte dentro di sé il moro trovò la forza per allontanare lo sconosciuto con uno spintone, mandandolo a terra, in una nuvola di polvere e fracasso.

Da parte sua Levi arretrò traballando di un passo o due, con il corpo in preda a tremiti incontrollabili.
Si appoggiò a una cassa, cercando di restare in piedi.

<<Che diavolo ti salta in mente eh?!- gemette, spingendo le parole fuori dalla gola strozzata -Cosa credevi di...>>

Un singhiozzo.

Lo sconosciuto piangeva?

<<Che ti prende adesso, idiota?>>

Un altro singhiozzo.

Levi ansimó a fatica, in cervello in subbuglio che lavorava frenetico.
Se solo quel martellare incessante avesse smesso di distruggergli le tempie!

<<Maledizione...>> imprecó tra sé e, con la mano tremante afferrò il lume, nonostante ogni fibra del corpo gli urlasse a gran voce di scappare, per  accostarlo al volto dell'intruso.

Ciò che gli apparve fu per primo il verde brillante delle vesti, marchio delle Ali della libertà, poi la fiamma delineò i contorni del corpo, illuminando una figura giovane e snella.

La pelle ambrata, ricoperta da uno spesso strato di sudore, rifletté la luce della fiammella, mentre il volto era celato dai lunghi capelli bruni.

Il moro deglutì a fatica, prima di posare la candela accanto alla mano del ragazzo.

Fu allora che lo sconosciuto si azzardò a sollevare la testa: era giovane, proprio come aveva intuito Levi, nonostante l'accenno di barba intorno alle labbra carnose che lo faceva apparire più vecchio.

Aveva tratti dolci, morbidi, come quelli di un bambino e...

Levi sgranó gli occhi sorpreso quando vide  due perle verdi, inumidite dalle lacrime salate, fisse su di lui.

Due occhi che non aveva mai dimenticato.

<<E-...- come poteva essere lui? -...E-Eren?>> pigoló piano, insicuro, temendo, forse che fosse l'ennesimo scherzo della sua mente distorta.

Il ragazzo di fronte a lui scoppiò in un pianto sommesso e tornò a cercargli le labbra, sfiorando, marchiando, ogni centimetro di quel viso che tanto aveva sognato.

<<Levi...Levi...Levi...>> piangeva questo tra un  bacio e l'altro.

E il moro sentì le proprie lacrime unirsi a quelle del più piccolo, riconoscendo la sua voce, il suo sapore, il suo Eren.

<<Moccioso>>

Si strinse a lui, cingendogli la testa tra le mani, aggrappandosi ai suoi capelli morbidi,  lasciandosi andare nella stretta del suo moccioso.

Eren gli morse il collo con dolcezza e con le mani frementi corse a sfiorare, accarezzare quella pelle candida, liberandola dalla sua prigione di stoffa.

Levi gemette, inarcando la schiena alla pari di un felino; <<Eren...- ansimò, allacciando lo sguardo dentro quelle pozze verdi -Sei davvero qui?>>

Il minore annuì, allargando le labbra in un sorriso: <<Non sai quanto ti ho cercato>>

Il cuore  di Levi fremette al punto da minacciare di fermarsi.
Per tutti quei mesi aveva temuto che il suo moccioso lo avesse dimenticato.
E invece non aveva mai smesso di cercarlo.

<<Sei tornato a prendermi...>>

Quelle pozze argentate si fecero lucide, colme di tutte le lacrime che il corvino si era sempre impedito di versare.

Eren allora gli baciò con dolcezza le palpebre, inspirando il suo profumo; <<Non posso vivere senza di te>>

Levi si sentì accaldato.
Aveva bisogno di sentire Eren, di sentirsi avvolgere dal suo calore.
Aveva bisogno di capire che era davvero lì, davanti a lui.

<<Eren...>>
E come se gli avesse letto nel pensiero, nel sentire gemere il proprio nome in quella maniera indecente, Eren si tuffó sulle labbra dischiuse di Levi, incastrandole in un bacio colmo di desiderio.

Il corpo del moro non pareva aver dimenticato il suo tocco: era bastato sfiorare quella pelle di porcellana per risvegliarlo completamente.
Eren si sorprese a sorriderne.

<<Eren...>>

Il minore si slacciò i pantaloni, incapace di staccarsi da Levi, dalle sue labbra bollenti e lo strinse a sé sollevandolo di peso.

Non se lo ricordava tanto leggero.

Lo fece sedere su una cassa, spingendolo indietro con il busto; Levi si lasciò guidare con docilità, piegando il capo all'indietro, esponendo la gola che si contraeva al ritmo del respiro spezzato.

Eren sentì la propria eccitazione indurirsi fino a fargli male: <<Oh Levi...- gemette -...sei una visione>>

I capelli scarmigliati, infatti, ricadevano disordinati sulla fronte sudata, incollandosi in un intreccio caotico; le gote, solitamente pallide, si colorarono di un rosso tenue, che ben si sposava con le labbra livide di baci.

Quando le loro erezioni si sfiorarono, Eren ebbe la sincera paura di venire.

Socchiuse gli occhi e, senza alcuna preparazione, entrò dentro Levi.

Il corvino urló: quella intrusione improvvisa bruciava come l'inferno e il dolore, per un attimo, annulló ogni desiderio, mentre una lacrima sottile sgorgava impunita per tracciare il suo percorso sulla guancia di porcellana.

Eren, quando se ne accorse, bació con premura la gota, accarezzando la pelle morbida con la punta del naso; <<Perdonami...- gli sussurrò con un sospiro gentile -Ti ho fatto male?>>

Per tutta risposta, Levi mandò uno sbuffo divertito e serró il suo abbraccio intorno alle spalle di Eren; <<Non ti fermare>>

Il castano, a quel punto, si ritrovò a sorridere contro la spalla di Levi; <<Non lo farò>>

Mosse piano il bacino, cercando di abituare il moro alla sua presenza nonostante l'intromissione improvvisa, distraendolo dal dolore con piccoli baci, posati con dolcezza sulla pelle lucida di sudore.

Levi ansimava nel suo orecchio al ritmo delle sue spinte e, a ogni affondo, sentiva la propria eccitazione indurirsi, tanto da fargli girare la testa.

<<Sei così stretto>> sbuffò a fatica, perdendo il poco controllo che gli era rimasto.

Aumentó il ritmo, circondando il torso di Levi con il braccio, per stringerlo meglio a sé.

E quando scorse il proprio morso, ancora aperto, a tagliare quell'orrenda cicatrice a forma di D, che si stagliava sulla bianca spalla, d'istinto impresse i denti in quel punto, facendo esplodere Levi in un urlo di dolore.

<<Mi dispiace...- una prima lacrima tornò a bagnarli il viso -...oh Levi...io...>>

Non riusciva a frenare le lacrime.
Ogni spinta, ogni gemito che gli sfuggiva dalle labbra contratte dallo sforzo, veniva accompagnato da quelle perle salate che gli rigavano le guance, scivolavano sulla pelle, solcando le braccia, fino a cadere giù, a terra.

Accanto al viso di Levi.

<<Levi>> gemette il ragazzo, avvicinando il viso alla bocca dischiusa del moro.

Il maggiore ansimó, coprendosi gli occhi con le braccia secche.
Il petto gli si alzava e abbassava a un ritmo frenetico.

<<Non...- fu il sussurro che sfoció dalla sua gola -Non...non lasciarmi...non...di nuovo>>

Levi scostó un poco il braccio, in modo da incontrare lo sguardo del moccioso; e a quelle sfere verdi non sfuggirono gli occhi lucidi e le lacrime che già bagnavano quelle gote d'avorio.

Levi piangeva.

Ma un largo sorriso gli increspava le labbra, dando al suo viso una luce nuova, che Eren non aveva mai scorto prima.

Levi non poteva essere più bello.

<<Io ti amo Eren>> soffió fuori da quel sorriso.

Eren sentì tutto il proprio essere fremere.
Si tuffó su quella bocca, graffiandola, mordendola, esplorandola e assaporandola come voleva fare da tempo; trasmettendo in quel bacio carico di passione tutto l'amore di cui era capace.

Le dita di Levi si strinsero intorno alle ciocche brune di Eren, tirando piano, seguendo il ritmo dettato dalle loro lingue congiunte.

<<Ti amo Levi>> ansimò senza fiato il più piccolo, prima di venire copiosamente dentro il corpo del moro.

Sono tornata gente😎

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