Prologo
“Buonanotte, shign… shignor…”
“Buonanotte, e in bocca al lupo con sua moglie.”
L'uomo mosse la mano, in quello che forse doveva essere un cenno di saluto, ma il movimento gli fece perdere l'equilibrio già instabile, portandolo a poggiarsi contro un cartello stradale che cigolò sinistramente in mezzo al ticchettio della pioggia.
Giovanni chiuse la porta del bar e girò la targhetta, volgendo verso il mondo esterno la scritta CHIUSO. Poi passò distrattamente gli occhi sul locale.
Mentre quell'ultimo avventore gli raccontava di come la moglie lo avesse cacciato di casa, urlando che pensava più al lavoro che a lei, lui aveva lavato il pavimento a scacchi, annuendo tra un colpo di straccio e l'altro. Costretto ad ascoltare le sue chiacchiere, sempre più accompagnate da strascichii balbettanti e strane divagazioni insensate, aveva pulito tutti i suoi bellissimi tavolini, la cui lunga vita era certificata da piccole scritte intagliate negli angoli più remoti, che variavano dalle offese più volgari alle più profonde dichiarazioni di eterno amore. Era poi passato al lungo balcone, territorio in cui gli aloni rimasti dai fondi dei bicchieri avevano trovato da tempo una casa, e agli alti sgabelli, che quotidianamente lo allietavano con la musica del loro cigolio. Infine, esasperato nell'attesa che quell'uomo se ne andasse, aveva persino iniziato a lucidare tutti i bicchieri, lavoro che da anni affidava volentieri a Wash, la sua fedele lavastoviglie.
Ora, non aveva più niente da fare, poteva andarsene a casa.
Gli occhi si soffermarono per un secondo sulla porta dello scantinato. Già, non c'era altro da fare. Nessuno era apparso, nemmeno i suoi soliti clienti si erano presentati. Molto strano.
Fece spallucce, recuperò la giacca e il cappello dal retro, e diede due giri di chiave mentre usciva, sperando di vivere altre giornate tranquille come quella.
Il breve tratto dal bar a casa fu un continuo bussare della pioggia sul cappello, un richiamo incessante delle pozze che gli inzuppavano le scarpe, e un infiltrarsi senza sosta dell'odore umido nelle sue narici, come se tentassero di richiamare la sua attenzione. Ma lui era completamente assorto nei suoi pensieri.
“Starò via alcuni giorni, ma conto di tornare con i file. Giovanni, questa volta ce la faremo!”
Sorrise, ripensando alle ultime parole con cui Ariel l’aveva salutato. Avrebbe venduto volentieri tutto il bar pur di poter vedere la faccia della sua amica quando le aveva mandato quel messaggio, il giorno prima:
Ho trovato i files! Ti aspetto a casa mia.
Ariel era partita per cercarli, e invece li aveva trovati lui.
Si fermò davanti alla porta. Sperava che fosse già arrivata, che fosse lì ad aspettarlo, ma quando aprì, la casa era buia e deserta come al solito.
Non trovarla gli fece inaspettatamente male. Mentre accendeva la luce e si toglieva giacca e cappello, pensò a quanto fosse inaspettata la vita. Aveva lavorato per decenni coi diavoli, e ora la sua migliore amica era un angelo.
Trasportò tutte le pozze che aveva incontrato lungo la strada fino alla poltrona. Ci si lanciò sopra, con un polverone che sapeva di muffa che subito corse ad abbracciarlo. Emise l'ennesimo sospiro della serata mentre la mano stappava la bottiglia di Whisky, fedelmente poggiata sul comodino vicino alla poltrona. Lo versò in un bicchiere di vetro, in attesa dalla sera prima, e se lo portò al naso.
Inspirò a fondo, sentendo l'aroma tostato pervadergli le narici. Un odore che era colmo di ricordi, perché da trent'anni, da quando aveva preso il bar, non aveva mai saltato il rituale del suo bicchiere di Whisky notturno, un momento di pace in mezzo ai casini quotidiani del bar.
Fissò il liquido ambrato, che giocava col colore limpido del bicchiere. Aveva passato l'intera serata a versarne a quell'uomo, ascoltandolo distrattamente mentre parlava dei casini con sua moglie. A un certo punto, quando già l'occhio era attraversato da una patina lucida che tradiva l'effetto dell’alcool, lo aveva guardato sconsolato.
“Signor Giovanni…”
“Solo Giovanni, la prego.”
“Giovanni, lei è sposato?”
“No, mai stato. Orari imprevedibili, festività sempre al lavoro… troppo impegnativo per una famiglia.”
“Quanto è fortunato, signor Giovanni. Non sa quanti casini si è risparmiato.”
Vagò con lo sguardo sul salotto, debolmente illuminato dalla luce pallida del lampadario. Un tappeto rosso dai ricami neri si srotolava dinnanzi alla poltrona, fino a un tavolino in legno di mogano, circondato da quattro sedie in noce stile ottocentesco. Tutt'intorno si innalzava un'immensa libreria, colma di tomi di grande valore.
Non ne aveva mai letto neppure uno.
Bevve un sorso, e nel liquido che gli scorreva lungo la gola gli parve quasi di risentire le ultime parole di quell'avventore.
“Quanto è fortunato.”
Poggiò il bicchiere e tornò a guardare quel salotto pieno di cose costose e completamente inutili.
No. Alla soglia dei cinquantacinque anni, non si sentiva affatto fortunato. Avrebbe barattato volentieri i litigi di quell'avventore con tutta la sua casa. Anche se barcollante e ubriaco, quella sera quell'uomo era tornato in una casa dove qualcuno lo aspettava.
Lui no.
Lui aveva buttato un'intera vita in stupidi soldi e in una missione che si era rivelata fondata su menzogne.
Sentì qualcosa pizzicargli gli occhi. Portò una mano alle ciglia, sorpreso e turbato, e sentì la punta del dito bagnarsi di un liquido caldo.
Una lacrima? Nei suoi occhi? Non aveva memoria di averne mai versata una.
Sprofondò nella poltrona. Beh, d'altronde, negli ultimi mesi aveva fatto moltissime cose che non avrebbe mai neppure pensato. Quell’angelo era entrato nella sua vita come un carro armato, lo aveva scosso da tutte le sue errate convinzioni e gli aveva mostrato quanto la sua missione fosse una menzogna. E ora che aveva trovato i files, potevano cambiare tutto.
Un cigolio si intromise nel ticchettare ritmico della pioggia, poi un tonfo secco indicò che il cancello era stato richiuso. Si alzò di scatto, mentre un brivido freddo gli attraversava la schiena. Chi poteva essere a quell'ora?
Qualcuno arrivò alla porta, e il faretto a movimento esterno si accese, allungando sulla finestra l'ombra di una figura con un paio di ali.
Emise un sospiro di sollievo, mentre il brivido freddo gli lasciava la schiena. Avrebbe riconosciuto ovunque il profilo di Ariel e delle sue ali angeliche.
Il campanello suonò e lui si avviò fischiettando verso la porta. Per l'ennesima volta, le avrebbe detto che doveva finirla di presentarsi senza dire niente. Aveva il suo numero, poteva pur decidersi di scrivergli un messaggio qualche minuto prima!
“Cos'abbiamo?”
Il carabiniere indicò la scena con una mano.
“Un omicidio. Probabilmente con un'arma da taglio, che però non abbiamo ancora trovato.”
Si chinò sul cadavere dell'uomo, riverso su un tappeto in cui la pozza di sangue si confondeva con i ricami neri sullo sfondo rosso.
“Si sbaglia. Suicidio, con un coltello da cucina.”
Un lungo silenzio si disperse per il salotto, interrotto solo dai continui flash di un carabiniere con una macchina fotografica.
“Con tutto il rispetto, signor ufficiale, non penso possa essere un suicidio. Anzi, è stato anche un omicidio abbastanza violento, ci sono segni di lotta dappertutto.”
Guardò i libri di valore sparsi a terra, il tavolo di mogano ridotto a brandelli e i pezzi delle sedie ottocentesche sparsi per tutto il salotto.
“Appuntato, le piace il suo lavoro?”
Il carabiniere parve attraversato da un brivido a sentire quella voce gelida. Spostò il peso da una gamba all'altra e si torturò le mani.
“Sì… sì, signor ufficiale, mi piace.”
“Allora, sarà meglio che scriva nel rapporto: suicidio, con un coltello da cucina. E interrompete il sopralluogo, da adesso ci pensiamo noi.”
Il carabiniere bisbigliò ancora qualcosa, ma non gli diede importanza. Invece, mentre i suoi uomini mettevano a soqquadro la casa, ispezionando anche il più piccolo pertugio, lui si chinò sul cadavere.
“E ora, vecchio mio, vediamo dove li hai nascosti.”
Lo fissò con un sorriso, come di sfida.
Ma quando, ore dopo, vennero a dirgli che non avevano trovato nulla, le sue labbra si tirarono prima in una smorfia disgustata, poi si aprirono in un verso animalesco colmo di rabbia.
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