Mare silente

Stati Uniti, 1885

Sollevi la nebbia, mentre un ragazzo dal volto dimesso attraversa i moli coperti di casse. Cammina verso gli uffici del porto, non fiata, non guarda le manovre di carico dei marinai in piedi dall'alba. Bussa a una porta. Un impiegato dal cipiglio cupo gli apre, lo guarda un poco e già così la stanchezza sul volto in parte scompare. Lo accompagna in una piccola sala da fumo, lasciandolo solo ad attendere che l'oggetto di quella visita finisca a breve di lavorar sulle carte.

E, infine, il signor Morehouse arriva.

«Voleva vedermi?»

Il ragazzo si alza e gli stringe la mano. «Sono Arthur» bisbiglia.

«Oh, certo, siete il figlio di Spooner. Avrei dovuto capirlo.» L'uomo si strofina i baffi, il lungo pelo sul mento – due corni caprini, imbionditi dal sole e com'anche la pelle bruciati dal sale. «Prego, accomodatevi. Io... mi domandavo quando sareste venuto. Da dove cominciare? Certo, innanzitutto condoglianze.»

Arthur lo fissa. Dagli occhi non si lascia tradire. «È stato tredici anni fa, non cerco conforto e so che voi non mi dovete scuse.»

Morehouse annuisce, i denti gli sfiorano i baffi. «Però siete qui. Come posso aiutarvi?»

Arthur affonda le unghie nei braccioli di stoffa nera della sua ruvida poltrona, un'impercettibile crisi della sua scorza di cera. «Voglio sapere.»

Il vecchio capitano annuisce. «...cosa è successo alla Mary Celeste

Tra i due cala il silenzio. Gli occhi di Arthur si inchiodano sul volto ancor più ruvido del lupo di mare, che medita assente, in piedi, di fronte. Il viso è toccato da un raggio di sole, entrato dal vetro sollevato insieme al gergo del porto e al tanfo ustionante del catrame, e ai garriti lontani – una crudele risata – di gabbiani in cerca di qualche scarto di pesce, ratti morti o pattume di mare. La luce lo smuove, lui sussurra un «Seguitemi.» e conduce il ragazzo nel suo studio privato, tra pile alte un piede di carte di viaggio.

Infila una mano tra il panciotto e la giacca di lana, ne estrae una chiave di metallo brunito e la porta alla toppa di un armadio dal legno tutto mangiucchiato dai tarli. Ne sfila da un cassetto un vecchio quaderno coperto in cuoio marocchino, di quei registri ingombranti che affollano la cabina di un capitano.

«Ecco il diario di bordo di vostro padre. Non l'ha toccato più nessuna penna: è ancora come lo trovai sulla Mary Celeste quando la Dei Gratia la incrociò.»

Morehouse ricordava bene quel giorno: il cielo era terso e spirava una brezza leggera che riempiva le vele. Il mare, unico panorama tutt'intorno a loro, brillava del sole allo zenith come un deserto spianato e silente. Eppure, mentre scrutava l'oceano che li circondava in cerca di qualcosa per combattere l'ozio, era stato scosso più volte dai brividi – cosa strana, considerando che per un uomo della Nuova Scozia come lui il freddo era di casa. La ragione di tutto era quel punto nero apparso all'orizzonte, una minuscola anomalia a sei miglia da loro sulla quale il suo sguardo continuava a tornare, come ammaliato, senza che lui se lo riuscisse a spiegare. Poteva essere una nave qualsiasi, uno dei tanti piccoli mercantili come il loro che solcavano l'oceano di continuo. E allora perché l'attirava tanto?

Era come un'eco lontana, a cui dover ubbidire come Abramo sul corpo di Isacco: gli sussurravi "Vai".

«Signor Johnson» disse infine Morehouse al timoniere cacciando fuori dalla giacca il suo cannocchiale, «Due punti a babordo. Avviciniamoci a quel vascello, lì.»

Il capitano aveva passato i successivi venti minuti a spiare quel naviglio, per scoprire finalmente perché lo inquietava: con tanto vento a favore, quella nave – un brigantino a due alberi come il loro – spiegava appena un fiocco a prua e un parrocchetto tenuto lasco. Avanzava piano, imbardando e beccheggiando come un animale da soma troppo umorale.

«Signor Wright, vada a prua a chiamarmi il signor Deveau. Vedo una banderuola sull'albero, devono aver bisogno di aiuto.»

Quando Wright tornò accompagnato dal suo primo ufficiale, Morehouse si accorse che sugli alberi di quella nave ora a quattro miglia da loro non garriva alcuna bandieruola: ciò che aveva scambiato per richieste di aiuto erano i resti di controranda e velaccino, strappati da chissà cosa e catturati dagli spiragli di vento. Deveau guardò anche lui attraverso il cannocchiale e subito chiamò tutti gli uomini sul ponte, per mettere mano alle scotte, mentre Morehouse, interrogando ancora una volta la lente, notava un altro particolare dettaglio: non un'anima pareva vegliare in coperta.

Per qualche strana ragione, quella nave fantasma gli ricordava delle mele cotte in agrodolce, mangiate una sera del mese prima all'Astor House di New York – avvertiva ancora senza sforzo l'odore della cannella. Lei aveva una voce soave, degna di sentirsi cantare solista in chiesa, e una risata cristallina che, nascosta dietro un muro di pudicizia, appariva di quando in quando, come per miracolo.

«Sono deliziose. Mai mangiate mele tanto gradevoli.»

«Allora dovreste venire a New York più spesso» aveva suggerito Morehouse, e il miracolo s'era compiuto.

«Potreste aver ragione. Vero, Benji?»

Benjamin Briggs le aveva sorriso con condiscendenza, e aveva pulito la bocca col tovagliolo per poi poggiarlo a lato del piatto.

«Ma so che il caro Spooner ha una usanza di famiglia da difendere» aveva proseguito Morehouse, «sarà davvero difficile fargli lasciare il mare.»

Sarah Cobb aveva sbattuto le palpebre e piegato un angolo della bocca.

«Certo.»

Più tardi, mentre Sarah si preparava a tornare al porto e loro prendevano due tiri di pipa per riempire l'attesa in uno dei pochi angoli di New York sì brulicante di vita ma mondato dai liquami delle fabbriche e degli animali, Spooner si era un poco sbottonato.

«Non sai che fatica è stata riuscire a trovare una carrozza qui a New York, sembra che ogni cavallo dello stato abbia la febbre. È stato terribile, devi credermi.»

«Ti credo, ti credo. Tanto vi tratterrete qui ancora per poco, no?»

«Sì, gli uomini hanno quasi finito di caricare la stiva. Sono stati così veloci che nemmeno mi è riuscito di incrociare mio fratello, qui in porto. Trovare te già è stata una fortuna.»

«Beh, ma tanto a breve ti inseguo d'appresso.»

«Forse sono stanti anche un po' troppo veloci, in realtà. Per poco con un barile non mi sfasciavano una lancia. Sono parecchio... zelanti, ecco.»

«Ci sono stati danni?»

«No, per fortuna, però non mi sento sicuro a partire in quelle condizioni. Quella iolla che tengo a bordo è vecchia. Ne avevo già parlato con Winchester – lo conosci, no?»

«Il tuo armatore.»

«Esatto. Aveva già detto che mi avrebbe fatto trovare una nuova lancia prima della partenza. Io gli voglio credere, sì, ho fiducia in lui, però ancora questa benedetta barca non si è vista. Forse che non mi si voglia far partire? Ma io devo!»

«Spooner...»

«Ed è un vero peccato, tra l'altro, perché dovresti vedere la nave, penso di aver fatto un ottimo acquisto. Ha davvero un magnifico assetto, l'hanno rimessa a fresco da poco e hanno realizzato delle cabine niente male. Per un marinaio, certo.»

«Spooner, da quanti anni sei un capitano?»

Benjamin si era fermato e si era grattato un sopracciglio. «Perché me lo chiedi?»

Morehouse aveva tentennato prima di rispondergli: «Ti vedo irrequieto. Da quanto fai questo lavoro?»

Benjamin aveva sospirato. «Da una vita. Avevi ragione prima, sulla mia famiglia. Siamo marinai da generazioni. Certo, a Marion chi non lavora grazie al mare?»

«Dovrei venire a trovarvi, lì in Massachusetts, una volta ogni tanto. Come sta tuo figlio?»

Briggs s'era incupito, tanto da lasciar morire il tabacco nella pipa.

«David, lui... beh, francamente, fino a due anni fa Arthur mi scambiava per mio fratello, mi chiamava Oli! E ora non lo vedrò più perché deve cominciare la scuola, mica poteva seguirmi per mare. Per fortuna che ho trovato questa nave, comunque, o mia moglie e la nostra piccola Sophie non le avrei viste per altri sei mesi almeno, e anche lei sarebbe cresciuta senza saper distinguere suo padre da suo zio. Adesso invece saranno entrambe costrette a seguirmi sull'Atlantico per quattro di mesi, poverette.» Briggs fissò il tabacco spento nel fornello della pipa. «Mi scorna non esser riuscito a mostrare di più New York a mia moglie, sai?»

«Immagino. Anche io avrei portato mia moglie Desiah con me ma si è ammalata, purtroppo.»

«Non penso di chiedere troppo, volevo solo rimanere accanto a mia moglie. Non si è ancora ripresa...» La voce di Briggs si spense in un gemito represso.

«Per la bambina?»

«È la seconda che perdiamo. Lei non credo reggerebbe una terza... povera creatura, aveva solo due mesi.»

«Beh, capisco che deve essere stata dura, Spooner. Purtroppo è così che va la vita, a volte. Vedrai, però, troverai un modo e tutto andrà meglio.»

«David, lo sai cos'ha fatto mio padre quando si è stancato del mare?»

«No.»

«Ha rilevato un'azienda a Wareham. L'ha fatta fallire e si è trascinato dietro i debiti per cinque anni. E indovina come li ha estinti?»

«Tornando in mare.»

«Tornando in mare! Però è uno dei pochi uomini della famiglia morto a terra, anzi, sì, l'unico che io conosca. Due anni fa l'ha folgorato un fulmine una notte, proprio sulla soglia di Rose Cottage. È morto mentre noi eravamo per mare, poveretto.»

«Mi dispiace.»

«Dio ha voluto così. Non possiamo farci niente.» Briggs infilò un dito nel colletto e tentò invano di allentare il cravattino. «E poi, diciamoci la verità, David. Hai visto le navi in porto?»

«Non ti seguo, Spooner.»

«I vapori, David, i vapori! Sono sempre di più. Tra quanto il vapore supererà la vela?»

«Non lo so, ma dubito che sarà domani.»

«Prima o poi accadrà, David, e mi chiedo se non saremo superati anche noi.»

Morehouse si schiarì con forza la gola e batté la pipa sulla spalla dell'amico per farlo voltare.

«Senti un po', Spooner, io e te siamo capitani, perdiana! Non comuni marinai! Solo perché una nave cambia i muscoli non vuol dire che avrà bisogno di un altro cervello. Siamo brav'uomini, io e te. Tu specialmente, te lo assicuro, e tua moglie lo sa molto bene, e lo ricorderanno anche i tuoi figli. Dovesse maledirci la sorte, troveremo sempre un modo di tirare a campare, stanne certo.»

«David, quello che intendevo...»

Sarah arrivò a passo svelto dall'interno del locale, ancor più bella con quel berretto anche se grezzo ricoperto di fiorellini bordeaux, legato da due nastri di tessuto leggero sotto il mento regolare.

«Scusate l'attesa» e regalò loro ancora un sorriso, «sono pronta.»

«Allora andiamo» rispose il marito. «È stato un piacere rivederti, David. Dubito ci rivedremo presto: salpiamo domattina, al più tardi nel pomeriggio.»

«Tanto sia noi che voi siamo diretti a Genova, dico giusto?»

«Dici giusto, dici giusto. Beh... ci si vede dall'altra parte, allora.»

«Buona fortuna, Spooner.»

E non si erano più visti.

Ora, mentre la lancia guidata da Deveau girava intorno alla poppa del naviglio abbandonato, Morehouse sentiva in una certa qual maniera un senso di colpa, come se già sapesse quale nome avrebbero trovato dipinto sulla poppa. E non erano nemmeno le scotte spezzate, il mezzo braccio d'acqua che allagava la sentina e aspettava solo di essere gettata fuori dalle due pompe poste vicino all'albero maestro – di cui una lasciata con la sonda estratta – o gli spettrali rimasugli di vela che qua e là si aggrovigliavano in mezzo al sartiame il fulcro di tutta quella irrequietezza, né il ponte deserto o l'assenza di qualsiasi lancia anche solo trascinata a poppa da una cima. Nonostante quei danni, il naviglio era perfettamente in grado di galleggiare e abile alla navigazione, e persino il rivestimento in rame risultava ammaccato in maniera solo superficiale, senza rivelare a occhio umano lo scafo in peccio, betulla, pino e faggio – tutti legni della Nuova Scozia – fin troppo marci per rimanere ancora a portata di salsedine. Su quel veliero, a esclusione di Deveau, Johnson e Wright che vi si erano avvicinati per suo preciso ordine, non risultava esserci nessuno.

Persino la gatta risultava sparita.

Quella stessa gatta – uno spauracchio per i ratti – la piccola Sophia l'aveva trovata accoccolata una mattina nella stiva e l'aveva subito soprannominata "Pooh-u Poo".

John Johnson, rimasto a tenere ferma la lancia sul fianco del brigantino, suggeva l'aria e pregava che il cielo, già morto il vento, non divenisse ancor più scuro, e le onde più grosse. Aveva anche chiamato i compagni, per dir loro di muoversi, ma invano. Quelli avevano trovato a bordo solo il silenzio, rotto dallo sbattere improvviso di una porta che a ogni inversione del rollio risuonava per la tuga di prora e scuoteva i loro corpi. A poppa, superando i boccaporti rimasti tutti aperti, Deveau notò che il timone lasciato sciolto girava da solo, come mosso da un fantasma. "Ma no, è solo il moto delle onde sulla pala" si ripeteva, ma questo nascondeva un'altra importante domanda: perché non frenarlo prima di abbandonare la nave?

Ben più importante, si domandava John Wright al suo fianco, era chiedersi perché la chiesuola all'ingresso del cassero di poppa risultava divelta insieme a uno dei suoi gallinacci, e la bussola di bordo giaceva a terra distrutta, col vetro infranto.

Nel cassero di poppa, invece, dov'erano le cabine degli ufficiali lasciate socchiuse, non vi era un solo corpo, né puzza di cadavere. Solo odore di umidità e di chiuso, notò Deveau, qualche mappa, alcuni libri ben allineati, una macchina da cucire appoggiata su un tavolino, una concertina – o era una fisarmonica? Deveau non ricordava la differenza – gettata in un angolo della stanza, due bambole di pezza nascoste in una pila di cubi di legno e, in una cuccetta, l'inquietante sagoma di un bambino, nitida come un sudario.

Nemmeno nella tuga di prora, dove dormiva il resto dell'equipaggio, John Wright trovò anima viva, solo l'odore di stantio. Pentole e mestoli, gettati per terra, galleggiavano in due dita d'acqua entrate da un oblò lasciato aperto – l'unico, tra l'altro, a non essere stato sigillato con un pezzo di tela. Nelle quattro cuccette dei marinai vi erano tre casse da viaggio e quattro pipe lasciate su un tavolo. "Perché manca una cassa?" si chiedeva Wright, ma non poteva sapere che i marinai Volkert e Boz Lorenzen, fratelli, ne condividevano una. E poi, Wright era preso da domande più inquietanti: quale marinaio avrebbe mai abbandonato la propria pipa? E perché le mantelle cerate per la pioggia erano tutte al loro posto?

Deveau, intanto, si era messo a cercare il registro di bordo nella cabina del primo aiutante, sperando di riuscire a capirci qualcosa, e l'aveva trovato, nascosto dietro un registro di carico, insieme a una carta nautica appesa alla parete, dove una linea era tracciata da New York fino a un punto poco più a ovest delle isole Azzorre. Accanto vi era una data: il 24 novembre.

"Cristo, dieci giorni fa... ma forse è stata solo una dimenticanza." Deveau tornò a guardare il registro che teneva in mano, lo sfogliò rapidamente fino a dove l'inchiostro lasciava il campo alle pagine bianche. "Questo viene con me dal capitano." E subito si lanciò verso le scale per riguadagnare il ponte.

Avevano già passato fin troppo tempo lì, e non c'era granché altro che potessero fare. Ma nella testa di Deveau, mentre scendeva la rete di corda per raggiungere Johnson sulla lancia e Wright che l'aveva preceduto, si insinuava la cinica idea che ora quella strana giornata avrebbe potuto fruttare a ognuno di loro qualche centinaio di dollari almeno, se non proprio un anno buono di paga.

Intanto, mentre i due compagni spingevano la lancia lontano dallo scafo e afferravano i remi sugli scalmi, lui si teneva stretto al petto quel quaderno, del cui contenuto neanche aveva chiare tutte le implicazioni.

Quello stesso cuoio ora geme al tocco di Morehouse, che sotto lo sguardo vigile di Arthur lo apre e sfoglia le pagine ingiallite lasciandole scorrere in uno scricchiolare di carta.

«So che non c'è paragone tra voi e me, ma lasciatemi dire che quella nave ci ha procurato un sacco di sfortuna.»

Arthur è una colonna di sale che si guarda alle spalle. «Temo proprio non abbia procurato altro a nessuno.»

Ma quella è solo una frase di circostanza: entrambi i presenti faticano a immaginare la genesi maledetta di quella nave. Non sanno che sotto il rame newyorkese c'era una chiglia costruita sulle stesse coste dove Morehouse ha avuto i suoi natali, né lo sapevano i quattro marinai tedeschi che hanno composto il suo ultimo equipaggio. Nessuno di loro l'ha vista giacere d'inverno come una carcassa di balena sulla costa ghiaiosa, quando ancora un giovanotto col sogno del mare – il suo nome era Joshua – aspettava di completarla in primavera per battezzarla Amazon. Nessuno lo ha mai saputo, nemmeno il cuoco Edward Head che tra gli otto a bordo – pur tenendo lui i conti di tutto – era il più superstizioso.

Forse chi è ancora vivo ha sentito da qualche parte che al momento del varo quella stessa Amazon si è incagliata sul suo stesso scalo, ma è difficile distinguere le malelingue dal vero tra chi vive del mare, quando ormai si è deciso che quella nave non è maledetta, è invero posseduta dal diavolo – e la proprietà di una nave posseduta dal diavolo è difficile da vendere ma facile da acquistare. E di mano in mano, una quota alla volta e tra carte false e pasticci burocratici, multe, restauri, rifacimenti e audizioni in tribunale, una nave canadese era finita a battere bandiera americana, e della scia di morte, di speronamenti accidentali, di uomini uccisi dalla febbre gialla e gettati in mare per non cambiare la rotta... di tutto questo ognuno si è dimenticato.

I due nella stanza sanno però – anche se nessuno si sente di confessarlo all'altro – la fine che ha fatto quella nave dannata, lanciata su una scogliera a ovest di Haiti e poi invano data alle fiamme. Il figlio di Briggs quel giorno era presente, ad ascoltare la giuria pronunciare la sentenza per baratteria e concorso in frode.

«Per il reato di concorso in frode a danno di qualsiasi persona o società che avesse avuto interesse a sottoscrivere qualsiasi polizza assicurativa sulla suddetta nave o sul suo carico» declamava il portavoce, «la corte dichiara l'imputato Gilman Callum Parker, capitano della suddetta nave: colpevole. Per le stesse ragioni la corte dichiara Joseph Edward Hove, primo assistente di bordo della suddetta nave: colpevole Per le stesse ragioni la corte dichiara Raphael Boris, marinaio della suddetta nave: colpevole...» Arthur a quel punto aveva perso il filo dei nomi, tutto preso dall'accusa ancora pendente sul capitano, per cui lo attendeva la forca, e con una corda al collo, Arthur ragionava, Parker sarebbe stato l'unico dei quattro capitani ad aver comandato la Mary Celeste a morire sulla terra ferma.

Ma le parole «incapace a procedere», pronunciate dal portavoce sull'accusa di baratteria, bastarono a riportarlo nell'aula e a sottrargli ogni traccia di sangue mentre il processo veniva rinviato. E non ci sarebbe mai stato seguito, Arthur avrebbe prima o poi scoperto senza soddisfare la voglia improvvisa di sparare a quell'uomo, perché il capitano Gilman Callum Parker, rilasciato, sarebbe morto di lì a tre mesi di malattia, abbandonato in un vicolo e costretto a mendicare. E non sarebbe stata l'unica vita rovinata da quel processo, poiché anche chi in quel momento stava pagando i suoi debiti avrebbe subito ancora disgrazie: il marinaio Boris sarebbe stato internato in manicomio di lì a poco, e il primo assistente Joseph Howe si sarebbe suicidato.

Morehouse invece quel giorno non c'era, ma ricorda bene un altro processo, il cui punto d'inizio era stato proprio Deveau quando, tornato in salvo sul Dei Gratia, aveva pronunciato la frase: «Penso che dovremmo recuperarla».

«Oliver, sei serio?»

Deveau non aveva esitato. «Assolutamente. Ci sono almeno mille barili di alcool là dentro. Pensateci, capitano. Sono migliaia di dollari.»

«Ascoltate tutti quanti!» Morehouse aveva per un attimo – uno soltanto – alzato il tono di voce. «Considerate il rischio che stiamo correndo. Il rischio che poniamo su questa nave, o sulle nostre vite e i nostri beni.»

«Vale la pena.»

«Signor Deveau... è col mio onore che state giocando. Se questo salvataggio dovesse fallire sarebbe un'onta e un danno per me, non per voi.»

Deveau non aveva risposto, ma nemmeno era arretrato, e così Morehouse lo aveva incalzato.

«Su questa nave siamo in otto, e già così non possiamo permetterci alcun errore.»

«Per un brigantino ne bastano quattro, di uomini, capitano. Lo sappiamo bene entrambi.»

«Appunto! Non siamo abbastanza per coprire su ogni nave due turni di lavoro. Vorresti forse negare il sonno a tutto l'equipaggio? E vorrei ricordarvi che il tempo finora non è stato affatto clemente. Che pensate di fare se non migliora, o anzi, peggiora?»

Oliver Deveau era stato conciso. «Penso che ce la possiamo fare» aveva detto senza esitare, «se il cielo ci è favorevole.»

Morehouse non aveva più saputo che dirgli, tranne che, avendo la Dei Gratia la priorità, gli concedeva solo due uomini – e il suo primo assistente aveva scelto i marinai Charles Lund e Augustus Anderson – e per il resto doveva affidarsi a Dio.

Quando i tre avevano messo piede sul ponte di quella nave, Morehouse, schiacciato contro il parapetto, aveva urlato: «Ti senti al sicuro, lì a bordo?»

Al che Oliver Deveau – che di esperienza ne aveva anche di più del suo superiore e aveva tutto il diritto di pretendere una licenza da capitano – aveva risposto, di rimando dal parapetto di fronte: «Penso che siamo a posto. Ma non lasciarmi solo, stanotte.»

Morehouse non aveva più fiatato, e tutto era andato bene per una settimana, nonostante gli incubi a occhi aperti e la paranoia di veder sparire quel brigantino derelitto dalla loro scia.

Poi però era venuta la pioggia, e il vecchio capitano aveva ben impresso nella mente quel giorno: era l'11 di dicembre, un mercoledì. Sentiva ancora le gocce che picchiavano il volto, e il ruggire dell'onda che aveva separato le due navi.

Quando il pomeriggio del giorno dopo avevano approdato a Gibilterra, Morehouse era rimasto per ogni istante che poteva permettersi sulla sua nave o in vista del molo, e aveva tirato un sospiro di sollievo solo il giorno successivo – un venerdì – quando da un banco di nebbia era emerso il bompresso di un brigantino, e i suoi tre compagni, con occhiaie profonde fino alle ossa, avevano toccato il suolo ondeggiando.

«Deveau! Dio, sei smagrito. Vieni, tienimi il braccio. Respira, tranquillo... beh, complimenti, che tu sia dannato, ce l'hai fatta.»

«Sì, capitano...» l'uomo ansimava «...ma non penso tenterei un'altra volta.»

E per un'altra settimana avevano creduto che tutto fosse finito, che presto si sarebbe potuto riprendere il mare per Genova. Invece avevano dovuto testimoniare di fronte alla corte dell'Ammiragliato, e provare che no, Briggs e i suoi non li avevano uccisi loro, e che non sapevano niente di cosa era accaduto, né perché ogni bene importante, compresa la sciabola del capitano, fosse ancora lì a bordo.

Però, per la sfortuna di tutti, l'uomo a capo di quella corte era davvero paranoico, e ogni sua domanda era piuttosto un'accusa, tanto pesante da consumar loro la vita. A ogni sua frase, la voce raschiava come sabbia secca sul legno.

«Ma avrete trovato il registro di viaggio!»

Arthur guarda fisso Morehouse. Non sa se ha voglia di ucciderlo o vorrebbe soltanto chiedere il suo perdono, e il vecchio capitano – ha già il fiato corto? – abbassa gli occhi offuscati dai ricordi sulle ultime due righe scritte dalla penna di Benjamin Spooner Briggs, per nulla sbiadite dopo tutte quegli anni, nitide come inchiostro ancora fresco.

«Coordinate al 24 novembre: 36° 56' N. di latitudine, 27° 20' O. di longitudine. 25 novembre, mattina. Vento a otto nodi per tutta la notte, tempo stabile. Alle otto del mattino avvistata a sei miglia punta dell'isola di St. Mary, S.S.O.»

«Benji.»

L'uomo solleva lo sguardo. Sarah gli sorride serena. In un angolo della stanza la piccola Sophia batte malamente una bambola sulla fisarmonica e ride. Le pareti di legno trasmettono regolare lo sciabordio delle onde che è un costante cullare. La gatta non lontano ronfa con un rumore sommesso. Ha già avuto di che mangiare. Da sopra la scala della cabina arriva la voce dei marinai, una ha l'accento danese del secondo aiutante Richard Gilling. C'è odore di resina, di sale, di melassa.

«Capitano» chiama la voce di Gilling, e lui sale per quei pochi scalini di legno fino al ponte di coperta.

«Che succede, signor Gilling?» domanda Briggs. Ha una buona luce negli occhi.

«La stiva ha ripreso a brontolare.»

Ogni tanto lo fa. Ogni tanto manda qualche rumore attraverso il legno della tolda, come un feto che scalcia per ricordare di essere in vita. Sono scoppi distanti, ovattati, quasi innocui.

Lì a bordo sono tutti coscienti – beh, tolta la piccola Sophia – che mangiano, lavorano, evacuano e dormono sopra 1701 barili di quercia buona, ricolmi di alcol – l'unico alcol che Briggs, come insegnato dal padre, lascia salire a bordo delle sue navi.

È un buon equipaggio quello che Winchester gli ha trovato, Briggs ne è convinto, ed è un viaggio tranquillo quello che gli sta riuscendo di fare. L'assenza di liquori non provoca danni, perché la paga è alta, anche se sotto sotto il cuoco Head e i marinai Arian Martens e Gottlieb Goodschaad un poco ci credono alle voci che vogliono quella una nave sfortunata, però certo, gli ultimi due parlano troppo tedesco per potersi lamentare.

E poi questa nave fa il suo lavoro, ed è un bel vedere, con le sue vele spiegate.

«Il tempo mostra segni di peggioramento, signor Gilling?»

«Assolutamente no, capitano.»

«Dio ci protegge» è il mormorio soddisfatto di Briggs.

Manca poco alle Azzorre, il Marocco non è lontano. Forse, pensa Briggs, tutti i suoi timori erano errati.

Volta le spalle al timone quando il vento s'ingrossa. Non sono nemmeno le nove.

«Nubi all'orizzonte, signor Gilling, sembra proprio che pioverà almeno un poco.»

Non è pioggia quella che li attende, è l'inferno d'acqua che può mandare solo il Signore. Il vento soffia tanto forte da mettere alla prova la presa dei marinai sul legno scivoloso.

«Signor Gilling, ammainare le vele e chiudere tutti i boccaporti!»

«Avanti, signori! Forza con le scotte!»

Ma il vento è davvero per loro qualcosa di mai visto, è un risucchio continuo che emette un fischio lancinante. Il cielo ora è nero, in mezzo alle nubi alcuni vedono la caccia selvaggia che cavalca possente.

«Tutti gli uomini sul ponte! Tutti gli uomini sul ponte!»

La tromba li investe improvvisa, senza dar loro nemmeno il tempo di difendersi dalla pioggia, troppo impegnati a salvare le vele. La nave si piega, quasi poggia un fianco sulle onde scure e crestate di spuma.

«Reggetevi!»

Sophia giù in cabina piange. Sarah la prende in braccio e la coccola per calmarla. Un tuono rimbomba, e si mescola agli scoppi che devastano la stiva. L'acqua investe il timone, spezza i gallinacci della chiesuola, si infila tra gli oblò coperti di tela cerata e inzuppa il cordame.

Il cielo si calma così all'improvviso, come se nulla avesse attraversato quelle acque. Briggs si domanda "È forse un segno del Signore?" ma quello che dice è solamente: «Controllate le pompe di sentina, e aprite il boccaporto di carico.»

Gilling non se lo fa ripetere, e corre alla sonda di metallo mentre due marinai slegano la iolla, legata sopra il boccaporto, e sollevano i coperchi di legno della stiva. Riesce appena in tempo a vedere sulla sonda il segno di un intero braccio allagato quando il primo assistente Richardson passa una lanterna ad olio al capitano. Loro sanno che la quercia rossa non è buon materiale per le botti: è legno poroso, lo sai, si inzuppa e lascia evaporare ciò che contiene. Ma nessuno sa che, in mezzo al carico, di barili simili ce ne sono ben nove. La nube di alcol che ha riempito la stiva punta la via di fuga appena aperta e investe il capitano e la sua torcia. La fiammata è improvvisa, alta, brillante. Qualcuno urla, l'odore di melassa si mescola a quello di fumo di quercia, uno dei fratelli Lorenzen cade in mare.

«Sarah! Sarah!» Briggs tossisce, ritorna sulla tolda, fa segno a gesti di gettare la lancia in acqua.

Il fuoco avvolge il cassero di prora mentre Head e Martens provano a domarlo. Benjamin Briggs corre ad abbracciare la moglie, la bambina in braccio. Ora piangono entrambe. La iolla è nel vuoto, Gilling e Briggs aiutano Sarah a prendere posto per prima. Martens urla, si strappa i vestiti di dosso, bruciati. Richardson taglia una corda e la iolla si schianta sul pelo dell'acqua, strappando a Sarah un urlo che si perde nei ruggiti delle fiamme.

Chi è ancora sulla nave si getta in mare, cercando di raggiungere la barca a nuoto, ma alla fine all'appello mancano comunque Volkert, Goodschaad e Martens.

Ora tutti ansimano, tranne la piccola Sophia che continua a piangere. Cosa strana per loro, il fuoco piano piano si estingue, come troppo freddo per riuscire a vincere quella maledetta nave.

«Ma che scherzo del diavolo è questo?» sussurra Head, e Briggs si sente proprio di dargli ragione.

«Torniamo a bordo! Presto, ai remi!»

«C'è... c'è un problema, capitano.»

«Quale? Che c'è?»

«Le pompe di sentina... segnavano almeno un braccio d'acqua.»

«Cosa vuol dire, Benjamin?»

Briggs esita, ed è Richardson a rispondere. «Significa che la nave potrebbe star affondando.»

«Non è detto.»

«Torniamo a bordo!»

«Silenzio, signori! Allora, finché non facciamo un secondo controllo non possiamo essere certi se c'è una falla o meno. Abbiamo volontari che vogliono tornare a bordo?»

Richardson sa prima ancora di venire chiamato che, se nessuno si facesse avanti, a tornare a bordo sarebbe lui. Non aspetta nemmeno che qualcuno possa pronunciare il proprio nome, gli basta un cenno del capo.

Bastano due colpi di remi, ma la nave è in preda al rollio, come impazzita, e il mare dà già segno di volersi gonfiare di nuovo.

«Il timone, maledizione!»

«Cosa?»

«Non è stato bloccato.»

La nave imbarda, trascinata dalle onde.

«Attenti!»

Richardson salta prima che l'occasione possa mancare, e le corde gli sgusciano tra le mani, colpisce l'acqua, batte la testa contro lo scafo di rame, prova a risalire ma è troppo stordito per rendersi conto della iolla sopra di lui.

L'acqua è fredda, non sente il sangue che gli esce dalla testa, non avverte il dolore del cranio rotto. Non sente le urla dei compagni, o le imprecazioni di Boz che ritenta l'impresa e si ritrova appeso alla murata per poco.

La Mary Celeste imbarda ancora, colpisce la iolla e Boz perde la presa, cade su uno degli scalmi e si perfora un polmone. Mentre scivola in acqua Head lo trattiene, ma vede che è inutile e maledice la nave.

Ora la Mary Celeste si volta di poppa e sembra volere allontanarsi da loro. I pochi superstiti guardano la nave fuggire, come intontiti, incapaci di prendere una decisione sul da farsi. Briggs si guarda intorno, cerca di ritrovare la punta dell'isola di St. Mary avvistata un'ora prima, ma vede solo acqua all'orizzonte, e nubi pesanti di pioggia e di freddo.

Le donne piangono. Head e Gilling si mettono in silenzio ai remi. "Ci sarà terra da qualche parte" è un pensiero onnipresente, una speranza vana. Non si accorgono nemmeno che, senza saperlo, hanno preso a inseguire la loro stessa nave. Gilling si accorge di lì a poco che muore di freddo ed è zuppo fino al fegato che a momenti gli esplode. Gilling vomita, ha sete ma deve trattenersi, vomita ancora e infine cede alla tentazione di avvelenarsi col mare.

A sera i due sono già febbricitanti e prossimi al delirio, e Sophia anche se esausta continua a piangere ancora. La iolla ribolle dell'odore acre del vomito.

Briggs abbraccia Sarah. Tra di loro stringono Sophia. Lei mormora preghiere, lui passi della Bibbia. Perdono il conto del tempo, e già sanno quale destino li attende. La pioggia scende per poco, bagna i volti di Head e di Gilling, riempie le loro bocche e li affoga.

Benjamin e Sarah pregano ancora. Sophia si è finalmente assopita. Ora il cielo è lattiginoso, uniforme, silente. Tra i sussurri delle preghiere si insinua lo sciabordio delle onde.

Benjamin guarda il cielo. Cerca te. Tutti i loro respiri sono fili di seta. «Sei soddisfatto?» sussurra. «Hai provato piacere nel procurarmi quest'ordalia? Eppure, in te io ho fede ancora.»

Nessuno lo ascolta, è solo un agnello, immobile, indifeso, silente. C'è solo lui lì in mezzo al mare.

Poi c'è solo la nebbia.

«Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo del soggiorno dei morti ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce.»

- Giona, 2:3.


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Racconto vincitore del contest Il Palio dei Misteri della @CasadelleCivette per i premi Miglior Stile e Migliori Descrizioni.

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