Capitolo 28
"All I want is to flip a switch
Before something breaks
that cannot be fixed"
("Touch" - Sleeping At Last)
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Il tripudio di calorie in vista al centro della tavola mi fa ufficialmente mandare la dieta a farsi benedire.
«Aaron, giuro che ti uccido!» Doso il tono di voce affinché il messaggio venga recepito dal destinatario nell'altra stanza.
«Che avrò mai fatto di così grave per meritarmi la morte?» Il suo palese bluff è seguito da una risata. Fa il suo ingresso in cucina, emanando carisma da tutte le prospettive. A dire dai litri di sudore che grondano dalla sua pelle, scommetto abbia sollevato almeno mezzo quintale in quello sgabuzzino che lui chiama "palestra personale".
«Si vede che sei proprio biondo».
«Questo è un oltraggio a un pubblico ufficiale».
«Parla meno il poliziese» lo stuzzico mentre batto l'unghia sul suo petto, coperto da una t-shirt grigia zuppa di sudore, «sergente Newell».
«Tenente», mi corregge, accennando un occhiolino.
«E sarebbe un grado più alto?»
«Non ti avrei corretta, altrimenti».
«Che idiota», batto il palmo sulla fronte, «se non ti avessi conosciuto, avrei pensato che stessi flirtando con me».
«Io e te? Ti prego. Non conosci la legge del migliore amico?»
«Spara».
«La fidanzata del migliore amico non si tocca. La si protegge come una sorella, ma non si sfiora neanche con un dito».
Per un attimo il mio sesto senso mi convince che mi stia prendendo per i fondelli. Poi, la sua espressione seria come il ghiaccio prevale, facendomi ricredere.
«Quanto siete strani voi uomini».
Non appena volta le spalle per tornare al suo inammissibile workout, prendo due dei suoi invitanti donut, raccogliendo ogni singola briciola che sfugga alle mie grinfie affamate.
«Attenta che quello va tutto a finire nei fianchi» mi stuzzica, scrutandomi da dietro l'angolo.
«Ti odio, tenente Newell!»
Gli zuccheri ingeriti con la colazione iniziano a fare il loro effetto, mettendo in moto i miei neuroni. Ricordo dell'ultimo appuntamento con il coordinatore di laboratorio, fissato nella mia agenda per oggi pomeriggio.
Passo al setaccio l'armadio, alla ricerca di un tajer idoneo all'incontro. Sposto uno per uno gli abiti che traboccano dal guardaroba, fin quando vengo catapultata alla velocità della luce di un paio di anni indietro.
Tra le mani mi trovo la t-shirt che personalizzai con Jamie e che insieme indossammo l'ultimo giorno di superiori come "dichiarazione di migliore amicizia".
Eravamo dei pazzi noi.
Dei migliori amici pazzi, identici in tutto e per tutto.
Un fratello e una sorella di madri diverse.
Due metà uguali dello stesso cuore.
Mi manchi, Jamie.
Mi manca starti vicino.
Mi manca il nostro odio verso il mondo.
Mi manca la nostra amicizia.
Prendo un profondo respiro, constatando di averlo trattenuto a lungo.
Mi precipito in salone, dove Aaron sta per varcare la soglia per andare a lavoro.
«La povera sottoscritta avrebbe bisogno di essere scarrozzata al centro di Boston».
«Io al centro di Boston ti ci porto» sospira, volgendo gli occhi al cielo, «però la spesa questa settimana la fai tu».
«Ti odio doppiamente, tenente Newell!»
Tuttavia, se solo avessi saputo cosa questo scellerato aveva in mente, avrei preso un taxi anche a costo di pagare un rene.
«Frena, così ci arrestano!»
Mi tengo stretta agli appigli più vicini mentre l'auto prende sempre più velocità sull'asfalto, facendomi fibrillare tutto il corpo.
«Credi che arresterei me stesso?» Confessa con la nonchalance che le persone sane di mente usano mentre assaporano un mojito ai Caraibi.
Vengo sballottata contro la portiera a causa del movimento a zig-zag che l'auto fa tra i veicoli sulla carreggiata.
«Ciò non giustifica il fatto che tu debba sfrecciare a duecento chilometri orari sulla statale approfittando delle sirene accese; senza motivo, aggiungerei».
Come non detto.
Mi tappo gli occhi per tutto il tragitto, fin quando l'auto si ferma all'indirizzo da me indicato. Tiro un sospiro di sollievo.
«Non chiedere mai un passaggio al tenente Aaron Newell se non vuoi morire di infarto o essere spiattellato contro un muro. Dovrebbero strapparti la patente».
Sorride.
«Sì, ti voglio bene anch'io».
Il mio cuore finalmente trova pace. Mai avevo desiderato come adesso di camminare sulla terraferma.
Davanti a me, appare casa di Jamie.
Suono il campanello per tre volte consecutive, come da tradizione. Venivo ogni giorno qui, e questo era l'unico metodo per farlo alzare dal suo amato letto per aprirmi.
Constato di essere in preda all'ansia quando noto di stare compulsivamente tormentando le cuticole delle mie dita. Almeno fin quando un paio di grandi occhi blu iniziano a squadrarmi dalla testa ai piedi.
«Mi sarei aspettato di vedere il presidente degli Stati Uniti ballare nudo sotto la pioggia, ma non la mia migliore amica uscire con questa ridicola t-shirt del liceo».
«Non sei arrabbiato con me?» Balbetto confusa. Mi fisso a decifrare la sua espressione, seppur a vuoto.
«Potrei mai?»
Recuperiamo le conversazioni perse negli ultimi mesi. L'occasione si rende utile per raccontare le mie avventure-disavventure vissute, chiarendo i suoi dubbi sulla mia improvvisa sparizione.
Si siede all'altro lato del tavolo, assaporando una tazza di caffè americano.
«È successa una cosa importante, che tu devi sapere».
«Non dirmi che è morto Romeo», tento confusa di indovinare. Neanche il tempo di finire il fiato, che il suo povero gatto arancio si sente preso in causa, saltando giù da una mensola a manifestare la sua longevità.
«Hai imparato a guidare la macchina», ritento con più enfasi.
«Sai, non ho voglia di finire in carcere con l'accusa di omicidio stradale».
Delusa, mi spremo le meningi nel tentativo di azzeccare l'evento.
«Te lo dico io», prende in mano le redini della conversazione, «una nuova persona è entrata nella mia vita».
«No», esordisco sbigottita, «ti sei...»
«Mi sono...»
«Amelia?!»
Mi si ritira la lingua, non appena dalla stanza accanto scorgo uscire la metà a cui allude il mio migliore amico.
«Tu?!»
Seguono attimi carichi di tensione, dove tutti i presenti ci sentiamo al posto sbagliato nel momento sbagliato.
«Okay, mettiamo ordine», si interpone fra noi Jamie, «come fate a conoscervi?»
«Lunga storia», confessiamo all'unisono io e Lewis, che nel frattempo si è avvicinato a Jamie, abbracciandolo da dietro.
Ci accomodiamo in salone, dove attacchiamo bottone. Il moro freddo che ero abituata a conoscere non nasconde altro che una bontà fuori dalla norma. I suoi reali atteggiamenti sono contrari a quelli inscenati nelle teatrali cene di famiglia, che eravamo costretti a subire.
«Non eri in cerca di una "lei"?» Chiedo confusa.
«Sì, davanti agli occhi dei miei genitori tradizionalisti, bigotti e restii a ogni forma di comportamento non conforme all'alto rango a cui credono di appartenere».
«Abbiamo molto più in comunque di quanto pensassi...»
Storce il naso: «nascondi un coming-out anche tu?»
Rido sonoramente, scuotendo l'indice in segno di dissenso.
«Ecco perché volevano farci conoscere».
Le sue parole risuonano nell'ambiente ristretto, producendo un silenzio assordante che strappa con veemenza dal mio petto ogni briciolo di normalità. I ricordi riaffiorano uno dopo l'altro in un lampo, mettendosi ognuno al proprio posto fino a costruire nella mia mente caotica un enorme puzzle.
«Stai dicendo che quel pranzo è stato cotto a puntino dai miei genitori per combinarci una storia?»
«Perché non lo sapevi?»
Scorge il mio stupore. Lo capisco dalla transizione dei suoi occhi scuri come il caffè. Quel velo di spensieratezza che li illuminava, li ha ora abbandonati al senso di colpa.
I miei genitori, coloro che mi hanno fatto da custodi, sono stati in grado di architettare, contro la mia volontà, una questione tanto personale come quella della conoscenza.
Mi perdo nella confusione della mia mente, pregandola di spegnersi.
Le mie gambe si muovono a passo svelto sulle caotiche strade mattutine di Boston. I mezzi sfrecciano sull'asfalto, fermandosi di tanto in tanto davanti a un semaforo rosso. Poi, tribolanti ripartono a tutto gas all'accensione della luce verde. Migliaia di motori accesi, clacson e voci si mescolano, creando il suono materiale del caos.
Un caos che, tuttavia, può anche far riflettere.
Ho lasciato precipitosamente l'appartamento di Jamie, alla disperata ricerca di ossigeno.
Accelero il passo tra la folla, recependo di tanto in tanto qualche frase poco gentile.
«Pron- cosa diavolo è questo sottofondo che mi sta sfondando i timpani?» Dopo qualche squillo, riconosco gli acuti di mia sorella all'altro lato della cornetta.
«Il cazzo di transito, Anne! Ho urgente bisogno del tuo aiuto».
«Hai bisogno di un pennuto?!»
«Ho bisogno del tuo AIUTO», alzo smisuratamente il tono di voce, attirando gli sguardi indiscreti di un gruppo di teenager in coda al semaforo.
«Di me? Oh, dimmi».
«Sicuramente storcerai il naso», sospiro mentre mi immetto in una via meno transitata, «ma ho bisogno del blocchetto».
«Vedo che oltre alla luna storta hai anche voglia di suicidarti oggi».
«Ti prego, Anne. È importante. Prendi il blocchetto dalla cassaforte».
«Sai che ti appoggio in tutto, ma voglio che tu sappia che non c'è via di ritorno a questo...»
«No, Anne. Non tornerò né indietro né a casa».
Dopo la mia frase, la linea telefonica crolla in un religioso silenzio.
«Invento una scusa. Tra venti minuti all'inizio del parco, non tardare».
«Non lo farò».
• • •
«Nolan!» Irrompo in casa con il fiatone, sbattendo chiavi, porta e chi più ne ha più ne metta. Manca poco per distruggere l'intera consolle di legno. Sollevo il mio polso vuoto, indicandolo. «Lo hai messo in vendita, no?»
Attendo un suo cenno di consenso. Poi, estraggo dallo zaino il mio blocchetto di cuoio. Allineo le rotelle nel giusto ordine affinché la serratura si apra. E, dopo averne osservato per un tempo indefinito il contenuto, glielo metto in mano.
«Per favore, fallo per me. Accettali e vai a pagare quel debito».
Mi sento orribilmente in colpa per averlo piazzato davanti un bivio. Un bivio che lo costringe a decidere tra la sua irremovibile personalità e me.
Attimi di esitazione intercorrono fra noi, facendomi crollare in un vortice di incertezze.
Ho fatto la cosa giusta?
«Lo faccio per noi». Come se bruciasse, lascia rapidamente scivolare il blocchetto nel fondo della sua tasca. Poi, slaccia la fibbia del suo prezioso orologio, proteggendolo nella mia mano.
Non provo né felicità, né tristezza. Resto indifferente davanti alla scena, che vede l'amore della mia vita andarsene con in tasca alcuni preziosissimi cimeli d'oro della mia famiglia.
Apro il palmo, accorgendomi solo ora di stare tremando.
Ho fatto la cosa giusta?
E, imperturbabile, il tempo nella mia mano scorre.
Spazio autrice🌻
Sì, sono riuscita a scrivere un capitolo in un giorno🥀. Può apparire noioso, lo so. Ma sentivo la necessità di concludere ciò che avevo iniziato, quindi dare un senso ai personaggi di Jamie, Lewis e Aaron per l'ultima volta. Questi erano i loro destini sin dal principio. Ci avreste mai pensato?✨ Alcuni di voi shippavano addirittura Lewis e Amelia!😂
"Il tempo scorre..." questa l'ultima frase del capitolo. Siamo vicinissimi alla fine: -3🥀
Entro domani nuovo capitolo... ❤️
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