9. Astrofisico

"I don't care, go on and tear me apart
'Cause in a sky, 'cause in a sky full of stars
I think I saw you"
("A Sky Full Of Stars" - Coldplay)


La rigida frescura serale stimolò un fremito che mi percorse la colonna vertebrale, facendomi svegliare di soprassalto. L'erba - bagnata dall'umidità tipica del crepuscolo - mi pizzicò piacevolmente le spalle nude a contatto con essa. Aprii le palpebre. Stavo sognando? La luna argentea quasi piena brillava nel cielo in compagnia delle stelle, illuminando l'immensa distesa in cui poco prima era successo qualcosa che sarebbe per sempre rimasto inciso nella mia anima. Tastai il braccio caldo di Nolan, che era ancora assorto in un sonno talmente profondo dal quale sembrava non volesse svegliarsi. Ero al suo fianco. I pettorali erano messi ben in evidenza dalla naturale linea al centro dello sterno, ampio e proporzionato alle spalle ugualmente robuste. Di riflesso portai i polpastrelli fra i suoi capelli, che si mescolavano ai crini d'erba. Osservarlo mi diede un profondo senso di pace interiore.

Era stata la mia prima volta. L'eccitazione che crebbe in me contribuì ad affievolire in parte la tensione che erodeva ogni mia fibra. Del resto, sebbene avessi cercato di mascherarla, era inevitabile che l'altra metà non la percepisse. E compresi che Nolan avesse capito quando, poco prima di entrare dentro di me e con una dolcezza disarmante, mi promise che avrebbe fatto piano. E mantenne la sua promessa. Venni più volte sotto le sue spinte docili e passionali, che per tutto il tempo furono la testimonianza della sua presenza complice e nobile, che mi incise indelebilmente l'anima.

«Darling» fu la sua voce assonnata a destarmi dalla riflessione. Osservavo i miei stessi polpastrelli percorrere orbite circolari sulla spalla di Nolan quando mossi lo sguardo sui suoi occhi a malapena aperti, rivolti nella mia direzione. Brillavano sotto la mite luce dei corpi celesti,  che dalla pianura erano notevolmente più visibili. Costellavano il cielo in ogni sua parte, da un orizzonte all'altro, sembrando così prossimi da far pensare si potessero afferrare con un dito.

«Darling...» ripetetti, impegnandomi per inscenare il miglior britannico possibile. Ma la verità era che solo lui avesse il potere di farmi mancare un battito ogni qualvolta usasse quell'appellativo.

La sua mano tracciò un percorso lungo il mio fianco, scaturendo una serie di fremiti fino a bloccarsi sul collo. Con il pollice mi sfiorò il labbro inferiore. «Provi a imitare il mio accento, darling

Mi resi conto di aver accorciato la distanza che intercorreva tra le nostre figure solo quando le mie labbra si unirono spontaneamente alle sue. Perché era questo che Nolan Campbell faceva costantemente: esercitare un ascendente che marcava la mia anima in ogni suo aspetto.

Tuttavia, passò poco che un pensiero mi attanagliasse il petto. I battiti del cuore accelerarono a dismisura mentre eressi le spalle allontanandomi da Nolan, che mi riservò un'occhiata stranita. «È notte fonda, Nolan», mormorai confusamente, «così fonda che i miei genitori avranno già chiamato l'FBI».

Nolan mi prese le mani fra le sue, infondendomi all'istante la protezione che sempre lo caratterizzava. «Amelia, non sono neanche le otto di sera».

Fui io a guardarlo stranita in quel momento. Ricordai che i nostri cellulari fossero nella sacca della sella, affibbiata sul dorso di Julian. Sfiga volle che come un domino, un dilemma ne portasse dietro un altro. «Come lo sai? E dove sono i nostri cavalli?» Chiesi concentrandomi sulle dita intrecciate alle sue, doppiamente più grandi rispetto alle mie.

«Guarda a ovest», con lo sguardo mi intimò di volgere gli occhi al cielo, «vedi quanto è bassa la luna?»
«E cosa significa?»
Si avvicinò fino alla piega del collo, dove percepii il suo respiro ardermi sulla pelle. «Significa che, date una serie di leggi della fisica fra cui la forza gravitazionale che l'asse lunare esercita-»

«Professore» lo interruppi, poggiando un dito sulle labbra, «si fottano le sue lezioni di astrofisica».
Era ancora disteso sul prato, con disegnata sul volto un'espressione di finto affronto. «Mi sa che la boccerò al prossimo esame».
Eressi il busto fino a mettermi seduta, scrutando il suo vano tentativo di apparire disinvolto come sempre. «Mi ascolti bene, razza di Galileo Galilei del ventunesimo secolo, se non alza il suo culo nudo dall'erba sarò costretta a farlo di forza io».
«Freni la lingua, darling» mi bacchettò mordendosi un dito, «non è doveroso rivolgersi al proprio professore con una tale volgarità». Con un gesto oscillatorio dell'indice mi fece capire che la sua voglia di muoversi fosse pari a zero. Rimasi eretta a seno scoperto per qualche istante, chiedendomi se potessi davvero fidarmi delle sue conoscenze astronomiche. Poi, rassegnata, poggiai la testa sul suo petto, riuscendo ad auscultare il battito ritmato.

«Professore, non che io disapprovi star qui proni ad amoreggiare sotto gli astri, ma avrei delle importanti ipotesi da confutare» presi fiato accarezzando i suoi capelli scompigliati, «pertanto, potremmo alzarci da questo candido prato per fare ritorno alle nostre umili dimore?»

Nolan ruotò gli occhi al cielo, per poi riportarli sui miei. Il loro chiarore brillava nell'oscurità della notte così come gli astri brillano nel cielo. «Per colpa sua ci perderemo le stelle, ne comprende la gravità?»
«Le stelle esistono da miliardi di anni e per altri miliardi di anni esisteranno ancora», asserii controvoglia mentre desiderai che il tempo si fermasse in quel preciso istante. Avevo le stelle, la pace e il cuore di Nolan che batteva sotto il mio orecchio. «Abbiamo tempo, no?»

Mi alzai dal prato - totalmente nuda- tastando i vestiti sparpagliati nelle immediate vicinanze. Anche lui era alla ricerca dei suoi abiti sparpagliati fra l'erba. In religioso silenzio passeggiammo, accompagnati solo dal suono acuto delle cicale e da un fruscio di vento che si presentava a cadenza di minuti. Nel buio della piana, scorgemmo il manto bianco di Newton, ancora intento a brucare qualche filo d'erba insieme a Julian. Una volta trovato il mio cellulare mi precipitai a controllare l'ora, tirando un sospiro di sollievo dopo aver puntato gli occhi sulla parte alta dello schermo. Nolan si schiarì la voce al fine di richiamare la mia attenzione. Aveva le spalle poggiate su un tronco d'albero, le braccia conserte e un'espressione di persuasione stampata in volto.

«Sì, aveva ragione per l'ora» volsi gli occhi al cielo, «vuole il premio per l'astrofisico dell'anno?»
Eravamo separati da pochi passi. Con il cenno di due dita mi intimò ad avvicinarmi a lui. «Piuttosto preferirei un bacio».

E, così, stupita sempre più dalla sua dolcezza, mi precipitai a baciarlo ancora una volta sotto il sublime chiaro di luna.


«Amelia-figlia-Moir, dove diavolo sei stata? Sono le nove di sera». La voce altisonante di mia madre squillò nei timpani non appena varcai la soglia di casa. Odiavo dire bugie a mia madre, ma era ben chiaro non avessi alternative.

«Al maneggio» misi giù le chiavi di casa, «passeggiata rigenerante con Big Julian». Avevo detto la verità, forse però omettendo alcuni dettagli. Fu in quel momento che il cellulare mi vibrò in tasca, soccorrendomi nel momento più opportuno.

Messaggio da: Jamie
«Sei ancora viva?»

Come un pesce, pensai. Sfuggii alle lamentele di mia madre imboccando le scale che portavano al piano di sopra. Una volta in camera, chiusi la porta a chiave assicurandomi che mia sorella stesse ascoltando la sua insopportabile musica reggae dall'altro lato della parete. Sfilai di nuovo il cellulare dai pantaloni ancora macchiati di terra, cliccando stavolta sul tasto verde di chiamata.
«Jamie, dobbiamo parlare».

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