8. Somewhere Only We Know
"For you, I would cross the line
I would waste my time
I would lose my mind
They say she's gone too far this time"
("Don't Blame Me" - Taylor Swift)
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Spesso le cose migliori sono accomunate dal fatto che accadono all'improvviso. Ti travolgono come un uragano, spazzando via ogni percezione che non sia relativa ad esse. Forse la loro bellezza è da ricercare proprio nella sorpresa che portano. O forse nel cuore in cui trovano vita. O forse in entrambi. Ma l'unica cosa vera per certo è il desiderio che quel momento non muoia mai.
«Quindi ti piace la natura?», provai a contenere la mia euforia incontrollata snocciolando frasi una dopo l'altra. I nostri cavalli passeggiavano uno a fianco all'altro con andamento cadenzato mentre la pianura si estendeva pian piano davanti ai nostri occhi. Seguivamo un sentiero di erba bassa che conduceva a un'elevazione della collina, dove il sole con i suoi raggi si preparavano al tramonto, abbracciando la natura in ogni sua parte.
«Guarda, darling», la voce di Nolan era accompagnata dai suoni miti dell'ambiente, «osserva, ascolta, vivi il panorama. La natura è il principio del moto e della quiete. Come non avere una passione per tutto questo?»
Sospirai di riflesso. Le sue parole erano la poesia che codificava per quella parte occulta della mia anima.
«È il tuo destriero?» Spezzai il leggero silenzio che si era creato durante la mia riflessione.
«Destriero?» Sorrise, ancorando le pupille sulle mie. Bruciavo sotto il loro colore, distinguibile anche a un miglio di distanza. Di una tonalità che era in grado di riflettere ogni frangente del suo mondo interiore.
Ruotai gli occhi, per poi riportarli sui suoi. «Sto solo provando a imitare te e il tuo lessico dell'ottocento».
Ridacchiò alla mia battuta, poi diede una pacca sul dorso del suo cavallo. «Newton? Sì, è il mio destriero».
Stavolta fui io a lasciarmi scappare un sorriso. In effetti era inusuale chiamare il proprio cavallo Newton. Ma se fosse esistita una cosa che urlava opposizione a Nolan Campbell, quella era l'ordinarietà. Con le redini direzionò il suo cavallo verso il mio, allungandosi fino a darmi un leggero colpo sull'avambraccio. «Ti fa ridere il nome, eh, Amelia?»
«È solo...», feci spallucce, «curioso».
«Devo ricordarti che sono un fisico?»
Lo guardai stranita. «Non eri un professore?»
«Perché rispondi alla mia domanda con un'altra domanda?»
«Lo hai appena fatto anche tu, Nolan».
«Newton è un po' vecchio, ma scommetto sia ancora in vena di correre contro Julian», distolse lo sguardo che fino a quel momento era stato assorto nel mio. Più rapido di una scintilla lo volse silenziosamente al cielo e poi sulle redini, che strinse attorno alle dita. Passò poco che Nolan (e di riflesso io) schioccassimo una decisa frustata sulla groppa dei nostri cavalli, istigandoli ad aumentare l'andatura.
Ci ritrovammo a galoppare nella magnifica piana di Boston, costellata dall'erba incolta e con il sole in procinto di calarsi all'orizzonte. Il suono ovattato degli zoccoli che battevano fulminei sul terreno fu l'unico udibile fin quando arrestammo la nostra corsa sotto un gruppo di alberi secolari. Misi i piedi per terra, lasciando libero Julian di pascolare per il prato circostante. Nolan copiò la mia azione, liberando Newton dalle redini che gli pendevano dal collo. Silenziosi ci spostammo a osservare la magnificenza della natura incontaminata. L'altezza del luogo permetteva di scorgere in lontananza la città apparentemente inerme, che si preparava ad accogliere la notte. Le foglie di un salice ci abbracciavano, filtrando il golden hour che proveniva dal tramonto. Ero assorta nelle percezioni quando finimmo per toccarci di spalle: un movimento spontaneo che mi provocò una serie di fremiti di ardore sempre più profondi nei punti in cui le mie spalle esili toccarono la sua schiena ben allenata.
«È molto romantico questo posto, non trova?» Chiese mentre la sua figura si approssimava alla mia. Sebbene le sue parole fossero bisbigliate, dentro di me rimbombarono amplificate come se fossero un tuono temporalesco. Come negarlo? Il nostro respiro sembrava sincronizzato. Eravamo separati da così poca distanza che potei osservare il chiarore dei suoi occhi fiammeggiare, riflettendo il verde del salice che ci circondava, per poi calarsi sempre più nella profondità dei miei. «Amelia», sussurrò di nuovo lui, la prima parola titubante, «ama qualcuno?»
Fu quello il momento in cui mi resi conto di come ogni parola avesse il potere di scatenare infiniti brividi, se pronunciata da lui. Lui, l'uomo che era precipitato come uno tsunami nella mia vita, stravolgendola e insediandosi fin dentro gli abissi dei miei pensieri. Mi morsi spontaneamente il labbro inferiore, gesto che lui esaminò con attenzione millimetrica, al termine del quale deglutì profondamente. Fui io stavolta a seguire il movimento flemmatico del suo pomo d'Adamo, poco prima che sentissi due mani poggiarsi a un lato e all'altro del collo, un paio di labbra sulle mie e il cuore mancare un battito.
Smisi di respirare per un tempo indefinito. Stavo sognando? Per un istante lo pensai, almeno fin quando la stessa mano che campeggiava sul mio collo mi attirò al suo corpo, tracciando un percorso lungo la mia schiena. Stavo sognando? Dalla mia umile altezza incrociai le braccia dietro alle spalle poderose di Nolan seguendo i movimenti di quel bacio, che con il suo calore si contrappose perfettamente alla fresca aria di campagna; un bacio iniziato dolce, continuato impetuoso e finito nuovamente in dolcezza, contraddistinto da una nota di amaro. Un principio di rimedio ai miei tormenti sull'amore mai provato. Stavo sognando? Mi allontanai di alcuni centimetri, soffermando lo sguardo sulle sue labbra ancora ferventi e sull'espressione più remissiva che i suoi occhi avessero mai mostrato. Ero allo stesso tempo incantata e stravolta dall'unione letale di percezioni che quell'atto aveva scaturito quando Nolan poggiò la sua testa contro la mia.
«Ti prego, Amelia», una richiesta invocata da un tono profondamente sommesso, ma talmente forte da farmi tremare l'anima, «di' qualcosa».
Ogni singola fibra del mio corpo bruciava al suo contatto, alle sue labbra a un fiato dalle mie, alla sua mano che risaliva lentamente fino a stringere con delicatezza la nuca. Chiusi gli occhi. «Io...» L'estasi che la sua presenza mi causava mi impediva di formulare qualsiasi pensiero. Mossi la mia mano fino a congiungerla alla sua. La strinsi, spostandola sul mio torace, dove il mio cuore tremava come non aveva mai fatto. Fu quello il momento in cui capii che forse non ero io a dover parlare.
Forse il cuore era tenuto a farlo.
Perché forse era l'unico incapace di mentire.
Quando riaprii gli occhi vidi i suoi chiusi, le nostre dita congiunte, e il suo palmo a sfiorare il mio torace con una cura disarmante.
«Lo sento» disse, inspirando profondamente la mia stessa aria. Stavo sognando? L'azzurro dei suoi occhi ritrovò l'oscurità dei miei. «Amelia, non c'è una via di ritorno».
Osservai la sua espressione trasudare timore. «A cosa?»
«A noi», disse mentre il muoveva circolarmente il pollice sotto le mie labbra, che io schiusi. Finalmente il cuore sembrava interrompere quel ritmo incessante che oramai portava da un tempo indefinito.
«Lo dici perché sei il mio professore?»
Scosse il capo in segno di dissenso. «Non capiresti».
«No» mi rabbuiai, respingendo il contatto che fino a quell'istante era stato il posto migliore del mondo, «tu non capisci, Nolan. Non capisci il modo in cui mi fai sentire. Non potrai mai capirlo perché non sei me», mi strinsi nervosamente le dita davanti il petto, da cui un groviglio sarebbe deflagrato a breve. «Io ti voglio, Nolan. E so bene che la nostra storia è agli albori, ma ti voglio». Sputai fuori quelle parole direttamente dalla mia anima, le quali
«Non ti allontanare...» un bisbiglio sommesso mi intimò a stare immobile mentre lui ripristinava la posizione in cui ci trovavamo fino a pochi istanti prima. «Anch'io ti voglio, Amelia», mi trovai di nuovo le sue labbra a un fiato dalle mie, «ma voglio anche che tu sappia che questo ti porterà inevitabilmente a fare delle scelte inesplicabili». Erano le sue stesse parole a causargli un male che non capivo, un tormento che lo struggeva nel profondo e che non avrei capito per molto tempo.
Perché l'inesperienza può trasformarsi nell'arma migliore per combattere il mondo, ma anche nella peggiore per distruggere te stesso. «Le farò», dissi sfiorando le sue labbra con le mie. Bramavo ardentemente di lui quando prese l'iniziativa. Ci baciammo vorticosamente, le sue braccia ad attanagliarmi la vita impedendomi di fuggire. Le mie dita vagarono tra i suoi capelli color nocciola, che brillavano sotto i raggi tenui del sole. L'erba incolta ci accolse mentre i rami spioventi del salice ci coprivano da tutte le prospettive. Ricordo di qualche leggera foglia che, vinta dal soffio del vento, si staccò e ci venne addosso.
Sormontata dalla sua imponente presenza afferrai il bavero della giacca, sbottonandola mentre lui si avvicinava, baciandomi delicatamente il collo. Scorsi i polpastrelli sulla muscolatura media che il suo corpo mostrava in ogni sua parte. Era un'opera d'arte. Socchiuse gli occhi, respirando a fondo al fine di amplificare le sensazioni che il mio tocco gli stava causando. Ricambiò l'azione, sbottonando con uguale cadenza la mia camicia. L'erba mi pizzicava la pelle della schiena, facendomi rabbrividire. Nolan si fermò a contemplare il mio seno ormai scoperto e il suo tocco fievole bastò per farmi sussultare. Mantenni gli occhi sui suoi per un indefinito lasso di tempo, che nobili si mantennero sui miei.
Passò poco che diventassimo una cosa sola. E lì, sdraiati sull'erba tenera e fresca mentre il grande sole d'oro tramontava all'orizzonte, noi due giovani innamorati ci lanciammo nel vuoto.
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