6. Ascensore

"I'm not afraid anymore
When you walk out the door
and leave me torn
You're teaching me to live without it"
("Bored" - Billie Eilish)



Ruotavo nervosamente i pollici mentre attendevo il mio turno. La sedia si fece sempre più scomoda mentre con la mente vagavo altrove. Era il fatidico giorno del congresso. Venuto a conoscenza del mio studio positivo sulla resistenza genica dei batteri, il rettore mi diede l'onore di esporre un'argomentazione in aula, davanti a professori e studenti frequentanti le facoltà biologiche. Vista l'importanza del lavoro da svolgere, decisi di assentarmi dalle lezioni per un periodo. Erano passate esattamente due settimane dall'ultima volta che misi piede all'università, analogo momento da cui non vidi più Nolan. Dopo l'evento in biblioteca feci dietrofront, uscendo dall'edificio e cercando una spalla su cui appoggiarmi, si diede il caso fosse proprio quella di Jamie. Ogni fibra del mio corpo aveva ormai metabolizzato la relazione di Nolan, ormai professor Campbell, con la sua collega. Ma fu Jamie a ostinarsi di convincermi che magari avessi frainteso e, sebbene a lui non diedi mai ragione, mi resi poi conto che sul momento dell'accaduto non avevo considerato l'ipotesi che lei fosse... un'amica. Come potevo non averci pensato? Mi pentii amaramente di aver fatto quella scenata da bambina. E mi mancava Nolan. Mi mancava amaramente attendere con trepidazione il suo sguardo. Mi mancava il modo in cui pronunciava il mio nome. Mi mancava fingere che fra di noi non ci fosse nulla.

«Miss Moir, prego». Un membro della commissione, forse il più giovane e inesperto, mi svegliò dallo stato di trance in cui ero piombata, invitandomi con un gesto timido ad accodarmi a lui. Seguii la prestante figura in completo grigio fin dentro la sala congressi, dove mi sforzai con tutte le mie cellule di mantenere la calma.
«Lì», il ragazzo dai capelli a spazzola indicò il leggio dove avrei dovuto argomentare.

Annuii mentre mi apprestavo ad accomodarmi dietro di esso, estraendo dalla mia fedele borsa la risma di fogli e appunti. Collegai al portatile la pen-drive contenente il mio file multimediale, che all'istante venne proiettato sul maxischermo alle mie spalle. Poi spostai lo sguardo sullo scenario di fronte: l'aula era per metà piena da medici e professori, ognuno dei quali veniva identificato da una targhetta posta sulle scrivanie che trapassavano l'aula in tutta la sua larghezza. Provai a scaricare i nervi osservando ogni singolo nome inciso sul metallo color oro: J. Ruiz, F. Affleck, A. Hunt, N. Campbell. Gli occhi e il cuore mi si fermarono per un istante, fin quando scoprii con sollievo si trattasse di una coincidenza che vedeva protagonista un ultra sessantenne.

Il rettore universitario fece il suo ingresso nella sala, suscitando un immediato silenzio.
«A causa degli impegni che costantemente mi perseguitano non potrò partecipare di persona a questa presentazione, ma cederò il mio posto di relatore al qui presente professor Henry Hartman. Vi auguro un buon proseguimento» mi affidò il microfono per poi uscire celere dalla sala, affiancato dal suo braccio destro Mr Capelli-a-spazzola.

Era il momento. Dopo un profondo respiro d'incoraggiamento pigiai a fondo il pulsante di fronte a me, accendendo il microfono: «Buongiorno a tutti, signori. Ho condotto questa ricerca sulla resis-»

Il cigolio metallico della porta interruppe agli albori la mia argomentazione, seguito dal rumore cadenzato dei tacchi di una segretaria bassa e mingherlina che, senza alcun timore, attraversò l'aula fino a raggiungere il professor Hartman. «Vi chiedo di attendere un momento, per favore».

Nell'attesa, concentrai la mia attenzione sul portamento fiero del docente che si alzò per andare incontro alla segretaria: il suo fascino da cinquantenne intellettuale, i capelli brizzolati, le spalle ben impostate e gli occhi chiari sono tutte caratteristiche che mi riportarono alla mente l'attore Patrick Dempsey. Poi fu la sua voce stentorea a richiamarmi all'attenzione: «Io non posso abbandonare la discussione di questa ragazza per un ricevimento!» Inveì autoritario contro la donna già diretta verso l'uscita, «Trovi un altro docente disponibile a sostituirmi e solo a quel punto potrò lasciare la sede».

Stavo per riprendere il mio discorso quando qualcuno bussò alla porta facendomi sussultare. Il fascinoso Hartman lasciò la sua postazione, raggiungendo l'uscita con poche falcate. Qui strinse la mano a una persona ancora fuori, sparendo poi dietro la parete. La tensione crebbe sempre più nel petto, raggiungendo il culmine non appena i miei occhi si arresero alla vista dell'ultima persona che avrei voluto incontrare. O forse la prima.

Tentai di distogliere lo sguardo dal suo portamento orgoglioso che, al contrario mio, non trasudava alcun imbarazzo. Quel giorno aveva addosso un cardigan color ardesia sagomato sulle forme dei muscoli, e un pantalone nero. Mi trovavo nel bel mezzo di un'esposizione davanti a una flotta di medici di Boston, a divorare con gli occhi l'uomo che oramai era onnipresente nelle mie notti. Continuai a scrutarlo in segreto fin quando il contatto inaspettato con i suoi occhi quasi divertiti mi bruciò le pupille, costringendomi a torturare le mie cuticole.

«Prosegua la sua argomentazione, Miss Moir».

Deglutii nel cercare invano di calmare il mio cuore che batteva all'impazzata contro lo sterno. Poi pigiai con forza il tasto del microfono, quasi a voler scaricare la mia tensione su di esso, proseguendo la mia esposizione fino all'ultima virgola.

Fu un caloroso applauso della platea a destarmi dalla bolla in cui ero immersa. Avevo appena concluso con successo un'argomentazione di ricerca universitaria, il che fu capace di offuscare i pensieri che popolavano la mia mente, almeno fin quando ricordai che nella stessa sala si trovavano un paio d'occhi oceano che attendevano di calarsi negli abissi della mia anima.

Volsi lo sguardo nella sua direzione. Dietro la cattedra era seduto a braccia conserte, trasudando quell'imperturbabilità che sempre lo caratterizzava. Le labbra a metà fra l'essere rilassate e arricciate, la postura attenta e lo sguardo capace di raggiungere miglia di distanza.

«Da sostituto relatore mi sento in dovere di elaborare un giudizio», mi resi conto di essermi persa a scrutarlo solo quando il suo accento britannico riecheggiò negli altoparlanti di tutta la sala. «La studentessa ha discusso in modo coerente e lineare, è stata particolarmente dettagliata nella spiegazione dei meccanismi di adattamento genetico e oserei dire che la sua ricerca possa essere di reale aiuto nello sviluppo di nuove biotecnologie».

Esaminai la sua espressione controllata.
«Qualcuno ha da ribattere sulla mia conclusione?» Domandò, richiamando all'attenzione i presenti che disinvolti sollevarono un brusio di risposte negative.

«Grazie per l'attenzione» conclusi all'istante, togliendo finalmente l'indice dal pulsante microfonico. Lasciai l'aula, dirigendomi verso l'ascensore che già era al piano. Non so cosa mi indusse, ma scappai. Scappai da quel luogo nonostante sapessi ci fosse qualcosa in sospeso che non poteva restare così ancora per molto.

Attendevo che le porte automatiche si chiudessero quando un braccio irruppe, facendomi quasi sussultare.
«Hai dimenticato questa».
La stessa, dannata, inconfondibile voce di sempre tuonò impetuosa nelle mie orecchie. Afferrai la chiavetta che Nolan mi porse e poi, senza elaborare l'istinto, tirai la manica dentro l'ascensore, un istante prima che le porte si chiudessero con un tonfo. Sapevo che non saremmo stati in silenzio per sempre. Più respiri si facevano irregolari, con il cuore che batteva contro lo sterno e mi rendeva irrequieta.

«Perché non sei venuta a lezione in queste due settimane?» Fu lui a rompere il silenzio. Entrambi eravamo rivolti verso la porta del saliscendi, uno a fianco all'altro. Nonostante ci fosse parecchio spazio il dorso della sua mano sfiorava la mia, liberando lungo ogni fibra una propagazione di stimoli che raggiungevano il basso ventre.

«Perché non mi avevi detto di avere una relazione con la professoressa Blake?» Invece di rispondere alla sua domanda, risposi con un'altra domanda.

Nolan si voltò verso di me, lo intravidi sottecchi mentre impiegavo tutte le mie forze per evitare di incrociare il suo sguardo perfetto. «Per un semplice motivo, darling», sussurrò, avvicinandosi pericolosamente al mio orecchio mentre l'ascensore stava ormai arrivando al piano, «perché c'è nessuna relazione fra me e la professoressa Blake».

Quando l'ascensore si fermò, cliccai sul pulsante, bloccando l'apertura delle porte. La cabina silenziosa sembrò farsi sempre più carica di tensione, inducendomi a mordere il labbro inferiore. Alzai finalmente lo sguardo sui suoi occhi stupiti che, riflettendo la luce calda della cabina, apparivano più scuri.
Inspirai a pieni polmoni l'aria invasa dal suo profumo prima di rendermi conto di quanto effettivamente fossimo vicini.

«Ah no? Allora quali erano le "tue spinte" a cui lei alludeva?»

Nolan sorrise, così vicino da avermi fatto mancare il terreno sotto i piedi. Mi sentii precipitare mentre un istinto sempre più violento si fece spazio dentro di me.
«Le "spinte" a cui alludeva erano dei consigli che le diedi per recuperare il rapporto con suo marito, Amelia», bisbigliò ancora nel mio orecchio. Portò una mano sulla mia, impedendomi di lasciare il pulsante che avrebbe fatto aprire le porte. Al suo gesto, una scarica di farfalle si liberò ovunque nel mio corpo.

«Era fraintendibile, lo sai, Nolan?»
«Ti avrebbe dato fastidio, Amelia...», marcò volutamente il mio nome, sapendo l'estasi che mi causava ogni volta, «se io avessi avuto una relazione con la professoressa Blake?»

Avevo due risposte a mia disposizione. Una bianca e una nera. Un cinquanta e cinquanta. «No», mentii. Mi mancò un battito, ma valse per cento.

Sentii il suo respiro sul collo. Poi la sua mano che spostava i capelli rimasti, facendosi più spazio.
«Non ti hanno insegnato che le bugie sono cattive?»

Le sensazioni che lui era in grado di evocare mi indussero a chinare il capo all'indietro, godendomi il suo contatto, che pian piano si fece più forte sulla mia pelle. Ero precipitata in un girone del paradiso, e non avevo la minima intenzione di tornare alla realtà.
«Potrebbe insegnarmelo lei, allora» sussurrai sotto il tuo tocco. Poi rimosse le nostre mani dal pulsante, e le porte piano si aprirono.

«Nella prossima lezione, darling», si limitò a bisbigliare prima di lasciare l'ascensore contro il quale rilassai le spalle, logorata dalle sensazioni che il suo modo d'essere mi aveva causato.

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