5. Biblioteca


"And if there's love in this life,
there's no obstacle
That can't be defeated"
("Waiting for Love" - Avicii)


«Come sarebbe a dire che ti ho portato fortuna?»
«Sì, Jamie. Hai letteralmente detto che "avrei trovato qualche ragazzo che non fossi tu"», esclamai affannata, mimando delle virgolette con le dita.
«Corri, schiappa!» Mi incitò sorridendo. Le corse mattutine con il mio migliore amico erano la parte di giornata che più desiderassi. Amavo Jamie da parecchio, ma lo stesso non si poteva dire di quando ci incontrammo la prima volta. Era il primo giorno scuola media e lui mi sfilò da sotto il naso la sedia accanto alla mia migliore amica dell'epoca. Io fui costretta a prendere posto accanto lo più sfigato della classe. Ero così tanto una furia che la professoressa fu costretta a richiamare il coordinatore per calmarmi. Odiai Jamie per quasi tutto l'anno, cercando disperatamente qualcosa che gli desse fastidio così da potermi vendicare. Un giorno finalmente scoprii si trattasse della puzza del latte appena bollito, così corsi a comprare una tazza di latte di capra, il più puzzolente di tutti, lo bollii e la mattina seguente glielo rovesciai addosso appena entrata in classe.

«Perché ridi, Amelia?» I miei pensieri furono interrotti dalla sua voce affannata. Avevamo appena smesso di correre, e io mi sostenevo sulle ginocchia per prendere fiato.

«Vuoi proprio saperlo?» Risi ancora, «Sto pensando a quando eri coperto di lat-»
«Che schifo, non vorrai farmi vomitare qui al parco» borbottò mentre si allontanava di alcuni passi.

«Guardiamo il lato positivo, quell'evento segnò la fine delle nostre rivalità. Sarai sempre mio fratello, anche quando avrò una strega per cognata contro cui combattere per uscire a bere un caffè con te», mi fiondai sul suo petto per abbracciarlo, riuscendo a sentire il suo cuore ancora affannato dalla corsa.
«E tu sarai sempre la mia piccola, anche quando sarai sposata con quel professore».
«Smettila!»
«Che c'è? Non vuoi mostrare al mondo di avere una cotta?» Fece spallucce, alzando il tono che rimbombò tra i sentieri del parco, «Sono quasi due mesi che non fai altro che parlare della sua "filosofia del piano". Se questa non è attrazione, allora io sono cieco e tu sei una suora».
«Mmmh», mugugnai. Non seppi cosa dire perché quello che diceva era dannatamente vero, ma avevo paura di mostrare al mondo quello che provavo.
«E invece io sono in grado di scavare in quella tua testolina e capire che in realtà il suo sex appeal ti sta spolpando il cervello» mi stuzzicò, guadagnandosi un ringhio da parte mia.
«Nel dubbio, cambiamo sentiero e torniamo a casa. Ho bisogno di rendermi presentabile dato che fra meno di due ore avrò a che fare con lo charme di Campbell in carne e ossa».
Mi diede un colpo sulla testa. «E ancora ti ostini a rinnegarlo...»

Quella mattina passò velocemente. Dopo la corsa all'alba tornai a casa, dove mi rimisi in sesto. A causa dell'usuale traffico bostoniano fui costretta a guidare sulla statale per nove canzoni. Sì, ho detto bene. Ero un'amante della musica sin dalla notte dei tempi, e quello era sempre stato il mio metodo per quantificare il tempo. L'ultima fu Waiting for Love di Avicii che con il suo ritmo concitato mi accompagnò fin dentro al parcheggio dell'università. In un mese di frequentazione del corso avevo fatto conoscenza con alcuni colleghi, sebbene si trattasse solo di un'essenziale rapporto di pacifico studio. Era capitato una o due volte che prendessimo un bicchiere alla caffetteria dell'università, e ovviamente non erano mancate delle stoccate su Campbell e sul nostro rapporto di confidenza.

Sebbene provassi a stargli il più lontano possibile, durante le lezioni era inevitabile che finissi per ancorare il mio sguardo su di lui. La diligenza che trasudava nelle vesti da professore aumentava giorno per giorno, accentuata dal suo stile perennemente elegante e carismatico. Non mancava lezione in cui non si presentasse in completo coordinato o camicia infilata dentro i pantaloni, mettendo in risalto la sua corporatura proporzionata. Il lessico articolato era sempre accentuato da quella pronuncia britannica che talvolta in aula pronunciava il mio nome, facendomi mancare un battito. Non riuscivo a inibire il ricordo della serata al concerto, o la notte passata a leggere Shakespeare in biblioteca. Quell'uomo era un miscuglio di sensazioni da scoprire, e tale era l'attrazione irrefrenabile che esercitava sui miei occhi che non riuscivo a concentrarli altrove se non sul suo fascino da togliere il fiato.

Quella mite mattina di metà autunno, l'orologio affisso alla parete principale dell'università segnava le otto meno qualche minuto. Avevo in mano il celebre testo di Oscar Wilde che, sebbene lo avessi letto varie volte, presi in prestito dalla biblioteca della scuola un paio di giorni prima. Dati i minuti di anticipo mi diressi verso di essa per consegnarlo. L'unico suono che udivo era quello delle mie suole battute rapidamente contro il pavimento. Vagavo fra gli innumerevoli scaffali paralleli fin quando l'unico suono delle mie suole battute sul pavimento fu accompagnato da una risata poco lontana che fece bloccare ogni fibra del mio corpo, attirandomi a sé senza il mio consenso. Quella voce proveniva dallo scaffale accanto. Spostai con attenzione un libro, fino ad avere uno spiraglio della sponda opposta.

Nolan era in piedi, con le mani in tasca e le spalle rilassate contro lo scaffale successivo a quello che ci separava. Potevo osservare la sua espressione serena e intenta in un dialogo apparentemente divertente. A ostruirmi dalla sua visuale c'era una figura più piccola, bionda e vestita in tailleur e gonna. Era la professoressa quarantenne che talvolta avevo visto passeggiare nell'altra ala dell'università. La distanza che intercorreva fra le due figure frontali era minima, ridotta ulteriormente dalla sua mano che campeggiava attorno il bicipite di Nolan.

«Grazie davvero, Nolan», disse lei mentre la sua mano si spostava lentamente sulla camicia che copriva tutta la lunghezza del braccio, «non so come avrei fatto se non ci fosse stata la tua... spinta».

Sconvolta mi portai una mano davanti alla bocca, voltando le spalle e trovando appoggio contro lo scaffale. Nolan rise. «Non dovresti ringraziarmi, Karen... è stato divertente».

«Dopo tanto mi sono finalmente sentita...», la donna si bloccò. Per un istante ebbi timore che i battiti del mio cuore si sentissero per tutta la biblioteca.
«Viva?» Nolan continuò.
«Azzeccato. Sei magnifico, professor Campbell».
La ragione impose a tutte le fibre del mio corpo di fuggire da quel luogo inopportuno. Era sbagliato. Origliare le conversazioni altrui era moralmente sbagliato. Ma furono le fibre del cuore a resistere, lasciandomi immobile dietro allo scaffale fino al termine del dialogo.

«Ho lezione da fare adesso», disse la donna mentre si avvicinava pericolosamente a lui. Si sollevò sulle punte dei piedi e poi lasciò che le sue braccia si sostenessero alle spalle di Nolan. Di riflesso lui portò una mano dietro la schiena, aiutandola nell'intento di abbracciarlo. Com'era possibile che non me ne fossi accorta prima?

«Ah, Karen», attirò la sua attenzione mentre lei sgattaiolava fuori dalla biblioteca, «per stasera ripassa la lezione che ti ho fatto».

Fu dopo il tonfo della porta che crollai. Il libro che per tutto il tempo strinsi fra le dita cadde, causando un rumore sordo che si propagò rapidamente per tutta la stanza. I passi pesanti di Nolan si bloccarono.
«C'è qualcuno?» La sua voce mi fece raggelare il sangue sul posto. Non solo avevo appena scoperto in modo del tutto illegittimo la sua relazione con una professoressa, ma stavo anche per essere smascherata a origliare le sue conversazioni. Il cuore prese a battermi fino a sentirlo in gola, e fu questione di pochi istanti che mi voltai, sussultando.

«Amelia?» La sua espressione passò dall'essere serena all'essere visibilmente stranita. «Che ci fai alle otto di mattina in biblioteca?»

Mi voltai nella direzione opposta ad armeggiare con alcuni testi sulla mensola, nascondendo le lacrime che da alcuni secondi mi irroravano gli occhi. «Lasciami stare, Nolan».
«Hai origliato la mia conversazione?»
Il suo tono era più alto del solito, ed era del tutto comprensibile. Indietreggiai fino a scontrarmi contro lo scaffale.
«Non per mia volontà».
«Che intendi con "non per mia volontà"?» Nolan fece ancora un passo avanti, dimezzando la distanza che intercorreva fra noi. «Amelia, sei stata qui per tutto il tempo a origliare la mia conversazione personale con la professoressa Blake!»

«Non mi risulta che tu l'abbia chiamata così prima», fu l'unica cosa che dissi, tagliente e inopportuna. Mi torturavo nervosamente le dita mentre per un istante desiderai di non aver mai pronunciato quelle parole. Cosa mi era saltato in mente? Sul volto di Nolan campeggiava la confusione più totale. Nella penombra della biblioteca, i suoi occhi si erano incupiti in una sfumatura tendente al grigio.
«Ma cosa hai capito, Amelia?»

Eravamo a un fiato di distanza quando lui provò a sfiorarmi le braccia con il suo tocco, che io respinsi facendo un passo indietro. In un attimo si creò un asfissiante buco al centro del petto, che mi fece percepire la privazione di qualcosa che mai avevo avuto. Talmente alto avevo volato con la mia mente da schiantarmi poco dopo per la mia inesperienza. Mi morsi le labbra fino a farle sanguinare. Avrei dovuto immaginare che un grande uomo come lui non potesse perder tempo dietro una relazione proibita con una studentessa.
«Ho capito, Nolan» asserii.

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