4. Filosofia del piano




Lo scricchiolio del chiavistello d'ingresso precedette il ritorno a casa di mia madre. Lasciò la sua ventiquattr'ore di pelle sulla prima superficie disponibile per poi catapultarsi sul divano, sospirando dalla stanchezza. «Dimmi che stai preparando qualcosa di buono per pranzo e non una delle tue solite ricette dietetiche inventate, ti prego».

«Scusa l'insolenza, figlia», risposi prepotentemente mentre sollevavo un piatto su cui ergeva una montagnetta di pancake salati.

Di riflesso si sedette a tavola in una frazione di secondo. Preparai per entrambe due pancakes doppi al bacon. «Figlia, ho una proposta da farti. Sono sicura non rifiuterai».
«Spara».
Addentò una tortina. «Ti va di accompagnarmi a un concerto di piano stasera?»
Puntai lo sguardo su di essa, lasciando che un pancake cadesse sulla piattaforma di marmo mentre provavo a girarlo teatralmente con un colpo di padella.
«Un concerto di piano?!»



Feci ingresso al teatro cittadino. La tappezzeria di velluto rosso copriva gran parte dei mobili presenti nella maestosa entrata dell'edificio. Le tende, dello stesso colore, adornavano le ampie finestre in stile rinascimentale che sporgevano sul giardino esterno, ormai buio. Persino il tappeto, su cui i miei tacchi a spillo faticavano a stare in equilibrio, era rosso.

Il tetto a cupola era costellato da vari affreschi, i cui colori antichi e tenui mi portarono indietro di almeno quattro secoli. Da esso pendeva un enorme lampadario: il migliaio di cristalli che componeva la sua struttura rifletteva le luci accese al suo interno, illuminando ogni superficie della sala. A risentirne in particolar modo di questo effetto era l'argenteria che costellava i mobili di legno bruno.

Tutti i suoni erano come ovattati, compreso il brusio di voci appartenenti agli ospiti, in trepidante attesa di accomodarsi in platea per l'inizio dello spettacolo. Tra la folla scorsi mia madre, intrattenuta a conversare con un gruppo di intellettuali in frac e cilindro.

L'atmosfera che si respirava in quel luogo ebbe la capacità di farmi sentire su un mondo parallelo, diverso da quello in cui ero abituata a vivere nel quotidiano.

Cercai di abbassare di qualche centimetro la stoffa del mio abito rosso cardinale, ponendo attenzione a non sfilare il pizzo dello stesso colore che lo rivestiva. Mia madre mi porse il biglietto d'ingresso, poi ci accomodammo nella nostra cabina. La platea gremita del pubblico si bloccò in un rigoroso silenzio. Lo spettacolo stava per iniziare.

Le prime note che rimbombarono nella sala mi fecero capire all'istante di che composizione si trattasse. Ero piuttosto emozionata. Lasciarmi cullare dall'eleganza della musica classica era sempre stata una passione sin da bambina. I suoni armonici che nascevano dal tocco fievole delle dita sui vari tasti mi aveva sempre messo i brividi. Dal vivo, l'emozione era duplicata.

A metà serata, il telefono di mia madre vibrò nella borsetta. Alcuni minuti dopo essere uscita, fui io a ricevere uno squillo.

«Tesoro, mi hanno chiamata dall'ufficio. Devo andare. Resta al concerto e fatti vedere da Frank per le congratulazioni. Mi raccomando».
«Ti ammazzerò, mamma» sussurrai al telefono con enfasi.
«Mi perdonerai. Mando un taxi a prenderti a mezzanotte».

Premetti sul tasto rosso, riagganciando la chiamata. Ero amaramente sola nella cabina di un teatro ad ascoltare un concerto di piano, fin quando le tenui luci si accesero, segnando la fine del primo tempo. Mi incamminai verso l'enorme ingresso. All'altro capo della sala intravidi tra la folla un tavolo delle vivande. Mi feci spazio fino ad avvicinarmi a esso, dove un cameriere si intratteneva a servire dei bicchieri di champagne ad alcuni uomini.

«Un bicchiere d'acqua, per favore», mi rivolsi al giovane mentre racimolavo alcuni spiccioli dal fondo della borsetta.
«Non serviamo acqua».
«Prego?»
«Le ho appena detto che qui non serviamo acqua. Se ne vada, se non ha altro da chiedere».

Se c'era qualcosa che odiavo della mia personalità, quella era la sparizione della mia lingua ogni qualvolta serviva. La mia corteccia si ostinava invano a formulare parole fin quando - alle mie spalle - l'autorità di una voce familiare mi rapì.
«Punto numero uno: non ci si rivolge con questi modi a una signorina».

La schiera di persone nelle immediate vicinanze smise all'istante di conversare, facendo piombare la zona in un silenzio cosmico. Mi voltai lentamente. Un signorile smoking nero completava ad hoc la prestanza dell'uomo che prese le mie difese: altezza sopra la norma, capelli mossi color nocciola, occhi blu come il cielo al crepuscolo.

«Punto numero due: l'insolenza è decisamente fuori moda» si avvicinò a me, facendo risuonare nel silenzio il suono delle suole battute contro il pavimento.
«E lei chi si crede di essere, il principe azzurro?» Si pavoneggiò, consapevole di avere dalla sua parte il gruppo di uomini che aveva appena servito.
«Basta dire che sono il suo fidanzato» dichiarò Nolan disinvolto, facendomi tremare anche l'anima. «Se lei rimedia al più presto al danno che ha fatto, farò finta di non aver visto né sentito nulla».

Il ragazzo visibilmente imbarazzato prese una bottiglia d'acqua da una stanza vicina. «Non accadrà più».
«Vedo che ha capito», Nolan la passò a me un istante dopo, flettendo un braccio in segno di galanteria: «Andiamo, darling

Annuii per poi afferrare il suo braccio, lasciandomi dirigere verso la galleria. I miei tacchi attutivano in parte la nostra differenza d'altezza. Eravamo ormai lontani dalla sala principale, ma non ci separammo. Il semplice tocco con il suo avambraccio mi rendeva nervosa, tanto da sentire il cuore battermi ovunque.

«Mi dica, darling», Nolan si fermò davanti a una cabina, «cosa ci fa la mia studentessa a un concerto di pianoforte?»
«Forse dovrei chiedere cosa ci faccia il mio professore a un concerto di pianoforte».
«Perché risponde alla mia domanda con un'altra domanda?»
«È quello che ha appena fatto anche lei».

Allentò la presa dal mio braccio. Sentii svanire il senso di protezione che il suo tocco mi dava.
«Sono solo. Se vuole accomodarsi...»

Prendemmo posto nella sua cabina. Ero così estasiata da star quasi tremando. Sottecchi lo osservavo ricomporsi sulla sedia. I piccoli lampadari affissi fra una cabina e l'altra facevano sì che la luce riflettesse sul tessuto satinato della sua giacca.
«È bravo con il piano?» Chiesi, rompendo il silenzio che campeggiava fra noi.
«Cosa glielo fa pensare?»
Deglutii nonostante la mia bocca fosse del tutto asciutta: «Non saprei... è innegabilmente affascinante».
Nolan sorrise. «Intende me o l'arte di suonare il piano?»

Fu in quel momento che realizzai di stargli dando del lei, il che rendeva il contesto ancora più magico. «La sfido a indovinare le composizioni senza leggerne il titolo».

«Non mi tiro mai indietro» sogghignò divertito. Anche i suoi occhi riflettevano la luce, trasformando il loro caratteristico blu cielo in una tonalità più scura, fin quando le luci si affievolirono fino a spegnersi del tutto. Come prima i fari sono puntati sul palco, dove fece ingresso un giovane pianista. Passò qualche attimo ad accomodarsi, e subito le sue mani iniziarono a farmi sognare con una delle mie melodie preferite.

Seduto a qualche centimetro, il professore spostò le sue spalle nella mia direzione, avvicinandosi pericolosamente al mio orecchio. La sua presenza così vicina mi fece bramare di restare nella medesima posizione per tutta l'esibizione. «Nella sua sfida vale anche il tempo di risposta?»
Annuii. Le parole sussurrate insieme alle note di sottofondo mi solleticarono i timpani.
«Mariage D'Amour, Paul de Senneville».
«Solo fortuna» sorrisi, mordendomi le labbra.

Le composizioni che più mi incantavano insieme al sex appeal dell'uomo al mio fianco composero una miscela di emozioni suggestive, che mi fecero volteggiare in un'altra dimensione. Il concerto passò in fretta, con i brani che risuonavano fin dentro alla mia anima e le sue intuizioni corrette sui titoli.

L'ultimo pianista, il famoso Frank, mi spiazzò non appena iniziò a pizzicare le note di quella che è la mia sinfonia preferita in assoluto. Chiusi gli occhi, dedicandomi all'ascolto. Mi chiesi come abbia fatto l'uomo a inventare la musica classica.
«Sonata al chiaro di Luna, Beethoven» sussurrai stavolta io. Durante i sei minuti di esibizione ci mantenemmo pericolosamente vicini, fin quando le luci si accesero illuminando l'intera sala.

In silenzio ci incamminammo verso il giardino esterno. Riuscivo ancora a sentire le melodie suonare nelle mie orecchie. L'aria frizzante autunnale mi pizzicò la pelle scoperta, facendomi stringere su me stessa. Neanche il tempo di rendermene conto, che qualcosa venne adagiata sulle mie spalle. Così come ebbi la sua giacca addosso, anche la sua essenza era unita alla mia.
«Forse ho sbagliato vestito», borbottai, stringendo nervosamente le dita fra di loro.
«No», rispose prontamente, «credo le doni molto».

Seguirono alcuni attimi di silenzio, in cui non mi accorsi di star fissare il vuoto fin quando una domanda catturò la mia attenzione.
«Quindi, sa suonare il pianoforte?»
«In realtà, no. Avrei voluto tanto».
La sua espressione si incupì. «Perché parla al passato?»
«Non è facile imparare a suonare se non si inizia da bambini».
«Andiamo! Sono sciocchezze» mi corresse, «chiunque può fare qualsiasi cosa in qualsiasi momento».
Mi strinsi nel suo abito. «Non sempre otteniamo ciò che vogliamo».

«La vita, come un piano, è costituita sia da tasti bianchi sia da tasti neri. I primi rappresentano la felicità, i secondi la tristezza. Nel lungo percorso della vita li incontreremo entrambi: io credo non bisogna saltare quelli neri; piuttosto, salirci sopra e sentire l'intensità del loro suono. D'altronde, anche loro fanno musica». Le sue parole trasudarono tanta saggezza da lasciarmi senza fiato.
«Voleva fare il poeta da bambino?»
«Tutt'altro».

Notai l'orologio che sporse dai polsini della sua camicia. «Mi sa dire che ore sono?»
«Mezzanotte meno cinque minuti».
«Devo andare, mi aspettano qui fuori». Immaginai il taxi fosse già arrivato, così seguii il viale acciottolato del giardino fino all'uscita.

«Scusi, signorina» catturò la mia attenzione prima che scomparissi dietro le siepi, «è per caso parente di Cenerentola?»

Non ricordavo di aver sorriso così tante volte in un singolo giorno. Mi resi conto in quel momento che l'attrazione per Nolan crescesse momento dopo momento. Ogni istante trascorso in sua compagnia era una scoperta, una di quelle che ti prendono l'anima e la stravolgono fino al giorno successivo.
«È magnifica la sua filosofia del piano. Ne farò tesoro» confessai a bassa voce mentre stavo per chiudere la portiera dell'auto venuta a prendermi.

Lui era in piedi, a pochi passi da me.
L'auto iniziò a muoversi.
«Lei è magnifica...»

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