31. Somewhere Only We Know


"This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?"
("Somewhere Only We Know" - Keane)



Un anno dopo

«Da quanto fa il suo lavoro, Pierre?»
Il mio sguardo è puntato fuori dal finestrino, a osservare gli innumerevoli palazzi scorrere davanti agli occhi. Sono costellati di luci accese, che brillano nelle strade con le loro varie tonalità. Luci arancioni, gialle, bianche, poi quelle rosse dei veicoli in coda.

Guida con attenzione, come un professionista, senza distogliere lo sguardo dalla carreggiata.
«Lo faccio da ben trentatré anni. Per esattezza, da quando è nata mia figlia».

«Ha mai accompagnato gente illustre, Pierre?»
Mia sorella non riesce più a trattenere la sua perenne curiosità.

«Per anni, sono stato l'autista di fiducia dei sovrani di Svezia».

«Quella che incontreremo noi tra poco?» Si immette nel discorso Aaron, fin'ora in silenzio sui sedili posteriori accanto Anne.

Annuisco, mentre torno a osservare le immagini scorrere dal parabrezza. L'auto su cui viaggio è talmente moderna da sembrare di stare fluttuando sull'asfalto.

«Voi europei siete dei maestri in campo automobili». È di nuovo la voce di Aaron a spezzare la quiete dell'abitacolo, rivolgendosi all'autista al mio fianco.

Punto lo sguardo sullo specchietto retrovisore, intravedendolo a braccia conserte. «Mi hai per caso letto nella mente, capo?»

«L'ho fatto?»
«Stavo pensando alla stessa esatta cosa».
«Non lo sapevo di certo».
«Allora non mi hai letto nella mente».
«Ma sembra io lo abbia fatto».

L'anziano Pierre si volta a guardarmi stranito mentre sono intenta ad alimentare i botta e risposta con il biondo dietro.

«Io e mia cognata siamo telepatici. Tra di noi c'è una connessione, come dire, superiore», spiega con finto fare colto.

«Quindi... suo fratello...» Pierre cerca di intuire il grado di parentela che ci lega.

«Mia sorella e lui», lo interrompo, indicando dietro, «sono una coppia».

Ancora stento a crederci.

Fa un cenno di comprensione.
«Entrambi biondi dagli occhi chiari. Chiamasi alchimia».

Aaron assume un'espressione estremamente spaesata.
«Cos'è l'alchimia? Un cibo?»

Scoppio in una risata fragorosa, non riuscendo più a fermarmi. Neppure il rispettoso Pierre riesce a trattenersi.

«Cosa c'è da ridere? Siete tutti scienziati tranne me».

«L'alchimia fra due persone è quell'essenza che va oltre il sentimento, oltre la passione e che rende un rapporto unico e indissolubile». La definizione, dettata dalla voce cadenzata di Pierre, fa piombare l'auto in un profondo silenzio.

È Aaron a riprendere il discorso dai sedili posteriori.
«È una caratteristica di voi europei essere così poetici?»

La fisionomia anziana dell'uomo cambia espressività, come a non aver inteso.

«Mio fratello, inglese, riempiva la sua donna di romanticismi. Se avessi annotato e pubblicato ogni sua frase, a quest'ora sarei divenuto lo Shakespeare del ventunesimo secolo».

«Scusi l'insolenza, come fa suo fratello a essere inglese se lei è americano?»

«Non era un fratello di sangue, ma per scelta».
La sua frase è seguita da un sospiro. Osservo Aaron perdere d'un tratto la sua festosità. È un tormento vederlo in altri modi all'infuori che felice, come al suo solito.

Stavolta, l'auto crolla in un silenzio talmente abissale da non riuscire a riemergere per il resto del tragitto.

«Siamo arrivati, signori». Gli occhi verdi danno colore a quello che sembra essere un uomo in bianco e nero. Capelli bianchi di media lunghezza, e un completo nero che accompagna i lineamenti corrugati.

«Pierre, non ci chiami così. Non siamo baroni. Personalmente, mi fa sentire vecchio». Il biondo sfodera anche adesso la sua caratteristica simpatia.

«Ha detto di essere il capitano del dipartimento di polizia della sua città, giusto?»

Gli porge la mano.
«Per gli amici sono Aaron».

«D'accordo, Aaron». Il suo accento francese lo costringe a marcare la consonante erre.

«Pierre», interrompo la loro amichevole conversazione, «mi sa dire che ore sono?»
«Le sette della sera».

Gli faccio un cenno di ringraziamento. Poi, sporgo un braccio ai sedili posteriori.
«Anne, mi passi la pillola delle sette?»

Scendo dall'auto, venendo colpita all'istante dal gelo artico di Stoccolma. Il freddo secco tipico di qui si insidia nel profondo delle ossa, facendo persino battere i denti. Mi sento immersa in una bolla dove tutto sembra andare a rilento.

In compagnia di Anne e Aaron, mi incammino verso la vicina Sala dei Concerti. Le colonne di marmo la elevano nella sua imponente altezza. L'intero prospetto che ci appare davanti è adornato da una tenue illuminazione indaco. Di colori più caldi sono invece i lampioni che costellano la piazza anteriore all'edificio. Centinaia di persone e giornalisti la gremiscono, in attesa che i più illustri ospiti facciano il loro ingresso in scena. Tra questi, i monarchi svedesi e i prevalenti membri di parlamento e governo.

Il lungo tappeto rosso è steso sul marciapiede fino all'ingresso del teatro più importante del Nord Europa.

Aaron parte a blaterare sulla diversità di questo posto. Anne lo incita a fare strada. Poi, mi blocca per una mano, costringendomi a rivolgerle lo sguardo.
«Sei bellissima, Amelia. Lui sarebbe orgoglioso di vederti sfilare su questo red carpet stasera».

In un lampo, la mia mente smette di formulare pensieri, per poi inibirsi del tutto. Mi accorgo di aver smesso di fissarla da un pezzo.
«Andiamo».

Ci accomodiamo tra i primi posti a sedere in platea. Al contrario del rosso cardinale tipico dei teatri, questo è il primo che visito a esibire una tappezzeria blu navy. In assenza del parquet, anche il palco è rivestito dal medesimo tessuto. Su di esso, allestiti i posti per gli esponenti più illustri. Con le loro migliaia di vibranti tonalità, i fiori, provenienti dalla città di Sanremo, contribuiscono a rendere l'ambiente sempre più incantevole.

Anche qui dentro sembra il tempo si fermi. La sala che piano si riempie senza far rumore. I musicisti che si apprestano a dare gli ultimi accorgimenti ai loro strumenti, prima di entrare in opera. I reali che fanno il loro ingresso, indossando abiti da favola.

Tutto fa sembrare di aver compiuto un viaggio nel tempo.

È adesso che mi rendo conto di quanto incantevole sia la cultura europea. Ogni cosa richiama alla storia. Ogni città è immersa nell'arte, nel passato. Pagherei oro per poter godere di una così ricca cultura ogni giorno della mia vita.

«Che c'è, Aaron? Ti si è ritirata la parola?» Mi rivolgo verso di lui, aggiustando la manica della sua giacca.

«Siamo in mezzo a regine, principi e marchesi. Credi gli interessino le mie incessanti chiacchiere?»

Mi tappo la bocca per attutire la mia risata.
«Allora sei consapevole di essere un logorroico?»

«Non ho voglia di insultarti davanti questa gente, dai. Non vedi come sono vestito elegante? Non sarebbe consono».

«Effettivamente quel vestito da sera non ti dona», mento spudoratamente, «non hai la faccia da galantuomo. Sembri più il poliziotto di quartiere che salva i gatti dai soffitti».

«Fai silenzio, che è successo una sola volta. L'ho fatto per quella povera vecchietta che, a vedere il suo Garfield sul tetto, stava morendo d'infarto».

«Allora sei un eroe? Come posso soprannominarti... fammi pensare, Captain America o Iron Man?»

«Volete stare zitti? Mezzo teatro vi sta guardando, idioti patentati», Anne interrompe i nostri soliti battibecchi.

La filarmonica reale inizia a comporre delle sinfonie. Sono le ultime fasi prima della premiazione.

Tutta la ristretta cerchia di invitati è in trepidante attesa delle nomine ai premi Nobel per la Chimica, Fisica, Medicina, Letteratura ed Economia.

Il primo a iniziare il discorso è il giovane presentatore della cerimonia, che illustra i candidati ai prestigiosi premi.

«Amelia, nonostante ti odi sempre di più, andrà tutto bene. Puoi farcela. Resisti ancora un po'». Aaron, seduto al mio fianco, bisbiglia all'orecchio parole di incoraggiamento.

Fra poco sapremo la verità.

Seguono attimi di silenzio. Poi, l'anziano Re di Svezia prende la parola, decretando i primi vincitori.

«Dagli Stati Uniti», la sua cadenzata e silenziosa voce scandisce le parole.

I due al mio fianco si stringono accanto a me, incrociando le dita. Tratteniamo il respiro mentre il tempo sembra essersi fermato. Il cuore mi batte nel petto come non mai. Ogni singola fibra del mio corpo sembra essere in subbuglio.

Con diligenza apre la busta, restando a leggere il contenuto per svariati secondi.
«Per la scoperta di una nuova classe di galassie, proclamo vincitore, per il premio Nobel per la Fisica, l'astrofisico inglese Nolan Campbell».


La mia vista è ostacolata dal numeroso migliaio di ospiti che gremisce la Sala Blu del Municipio di Stoccolma.

«Aaron», afferro il suo braccio, richiamandolo all'attenzione, «dalla tua altezza da supereroe, sapresti dirmi dov'è Nolan?»

Mi squadra dalla testa fino ai piedi con i suoi occhi chiarissimi.
«Effettivamente, nonostante i trampoli che porti, resti sempre troppo bassa».

«Hai presente quando ti viene un banale giramento di testa e mi costringi a farti una diagnosi? Ecco, guai a te se vieni a chiedermi aiuto durante uno dei tuoi attacchi d'ipocondria». Sfodero un voluto, falso sorriso mentre mi appresto a muovermi nella direzione da lui appena indicata.

Mi divincolo a piccoli passi in mezzo alla folla, fin quando una presenza mi attrae, imprigionando il mio sguardo su di essa.

Con un cenno, mi incita ad avvicinarmi. Cerco di sfilare, mostrando maggior grazia possibile.

«Suo onore, le presento mia moglie». Nolan posa la sua mano sul mio fianco, presentandomi a un suo coetaneo. A dire dal suo decoroso abbigliamento, immagino sia un'alta carica. I miei dubbi vengono confermati quando il mio uomo pronuncia il suo titolo.

«Piacere di conoscerla, Mrs. Campbell». L'uomo si appresta a darmi la mano, mettendo in atto il più classico gesto di galanteria. Qualche sporadico capello grigio è la manifestazione della sua giovane mezza età.

Con un mezzo inchino, accetto la sua cortesia.
«Il piacere è mio, marchese».

Al suo fianco, appare un'elegantissima signora dai capelli rossi, che dev'essere la sua accompagnatrice. Il vestito prezioso che indossa farebbe invidia a tutte le donne del mondo.
«Cosa fa nella vita, Mrs?» Si interessa a me.

«Sono primario di chirurgia cardiotoracica al Massachusetts General Hospital, a Boston».

Un terzo ospite, decisamente più anziano, entra a far parte del discorso.
«Chissà se un giorno avremo l'onore di premiare anche lei con un Nobel per la Medicina».

Sorrido, contagiando tutti i presenti.

«Con permesso, signori». Nolan impacchetta le riverenze, salutando la cerchia di presenti, che ci rivolge un'occhiata confusa. «Ho una cosa molto importante da fare».

Neanche il tempo di rendermene conto, che mi prende per mano, costringendomi a seguirlo nel suo rapido percorso.


Mi incanto a osservare il movimento limpido delle lancette del tachimetro.
«Perché stai prendendo questa strada?»

«Dovresti sapere che amo organizzare sorprese».

Volgo gli occhi sul cruscotto della nostra nuova, fiammante auto. Il rombo del motore si fa sempre meno intenso mentre imbocchiamo una strada secondaria di campagna.
«Io le odio».

«Odi l'attesa, ma ami le mie sorprese».

Non ribatto perché, per l'ennesima volta, ha dannatamente ragione.

Lo becco a scrutarmi in segreto.
«Perché non hai indossato il collidere che ti avevo dato?»

Abbasso lo sguardo, sfiorando il mio fedele ciondolo d'argento.
«Perché questo vale più di mille diamanti».

Sorride teneramente, facendomi venire voglia di abbracciarlo. Sfila dalla tasca una piccola confezione, affidandola alle mie mani. L'oro compone il contenuto nella sua interezza. Sulla superficie, inciso il profilo di Alfred Nobel, l'inventore del prestigioso premio.

«Devo ammettere che sei molto perspicace».

Le sue parole mi inducono a osservarlo, alquanto confusa.
«Eh?»

«Ricordi quando mi avevi dato dell'astrofisico...»

Come dimenticare la nostra prima notte.

I ricordi riaffiorano uno a uno, facendo piacevolmente scatenare una serie di brividi nella mia schiena. Sorrido, socchiudendo gli occhi fin quando la sua voce mi desta dai flashback.
«Siamo arrivati».

Trasferisco lo sguardo fuori dal finestrino, rendendomi conto di quanto fossi immersa a guardare il conducente.

Spalanco la bocca in segno di stupore. La macchina non si è ancora arrestata del tutto quando apro lo sportello. Sfilo rapidamente i tacchi che portavo ai piedi, sebbene il terreno sia gelido. Così come l'aria aperta della collina su cui mi trovo.

Tuttavia, la temperatura è nulla in confronto al panorama che mi si apre davanti agli occhi.

«Le promesse si mantengono». La voce di Nolan mi raggiunge dalle spalle.

Delle lacrime fanno cucù, predisponendosi per fare il loro corso. Mi mordo invano le labbra allo scopo di trattenerle.
«Sei un folle».

«Come potremmo raggiungere i nostri sogni se non lo fossimo?» Si avvicina a pochi centimetri, millimetri, senza però toccarmi.

Perché mi tenti così?

«E sei anche un poeta».

«Temo proprio che me lo porterò per tutta la vita».

Entrambi i nostri sguardi sono puntati sulle onde che fluttuano nel cielo. Archi di luce, drappi verdi ondeggiano nell'atmosfera, paralleli a sprazzi dalle tonalità rosa e viola. I loro movimenti sembrano essere alimentati dal soffio di Eolo. Nello sfondo, le stelle sono onnipresenti a completare la suggestiva magia dell'aurora boreale, che incanta ogni senso, meritando di essere vissuta almeno una volta nella vita.

Quieto, Nolan porta la sua presenza innanzi a me. Prende la mia mano, portandola sul suo torace. Sotto di essa sento il suo cuore battere impetuoso, accompagnato da un respiro cadenzato.
«Una parte di te vive qui adesso».

Sorrido, incastonando lo sguardo nei suoi occhi, belli come non lo sono mai stati.
«Ti riferisci alla mia presenza nella tua vita o al polmone che ti ho donato?»

Ogni suo sorriso è talmente bello da meritare d'essere immortalato.
«Dato che sono un poeta, intendo entrambi. Non riuscirò mai a sdebitarmi con te per avermi salvato la vita».

Ignoro le sue parole, perdendomi nell'aurora boreale riflessa nei suoi occhi. Mi sollevo sulle punte, per poi accarezzargli i capelli.
«Sembri un principe, lo sai?»

Lo osservo arrossire in una frazione di secondo.
«Devo continuare con uno dei miei romanticismi?»

Scuoto la testa in segno di dissenso.
«Godiamoci la vista».

Così facciamo, perdendoci nell'immensità del panorama. Il suo braccio mi circonda, facendomi sentire la persona più fortunata e protetta del pianeta. Sotto il suo tocco, ogni mia paura viene annientata. Poggia la sua testa contro la mia. Le nostre labbra si sfiorano appena, bramando nient'altro che unirsi e mai separarsi.

La sua voce pacata richiama la mia attenzione, solleticandomi l'anima. Mi costringe a perdermi, ancora una volta, negli abissi infiniti del suo sguardo.

Uno sguardo che, nonostante abbia vissuto a lungo nell'oscurità, ha sempre trovato la forza per marciare verso la luce.

«La nostra storia era scritta nelle stelle, dolce Amelia».



Apart
"Let's get lost among the stars tonight"





Spazio autrice🌹
Ebbene sì, siamo arrivati alla fine di questo romanzo. Non so descrivere come mi sento... felice? Soddisfatta? Commossa? È un miscuglio di migliaia di emozioni a pervadermi.

Spero di avervi intrattenuti con la storia di Amelia e Nolan, due cuori destinati ad amarsi.
A giorni posterò un ultimissimo, breve capitolo conclusivo. Poi, sarà la volta dei ringraziamenti.

Fatemi sapere le vostre sensazioni.💙

(Vado a iscriverla ai Wattys, adesso🌻)

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