26.

Nolan

"Hold, hold on, hold onto me
'Cause I'm a little unsteady
A little unsteady"
("Unsteady" - X Ambassadors)


Mi svegliai nella stessa posizione in cui mi ero addormentato quella notte. Un formicolio si irradiava per tutto il braccio, così, premendo con la mano, cercai di far smettere quella fastidiosa sensazione. Ad accompagnarmi, dei cronici brividi di freddo che dallo sterno si propagavano in tutto il corpo. Salii per inerzia le poche scale che portavano al piano di sopra, lasciandomi andare a una doccia calda che ebbe la capacità di farmi dimenticare le difficoltà della mia vita, almeno per qualche minuto.

L'odore di caffè proveniente dalla cucina mi attrasse all'istante, dove trovai Amelia a braccia conserte a contemplare il vuoto. La confusione che affollava la mia mente quella mattina mi costrinse a ignorare sul momento il suo sguardo languido. «Buongiorno», feci per sedermi svogliatamente, senza però ricevere una risposta. «Luna storta stamattina?»

Lasciò la parete alla quale era appollaiata per venirmi incontro e porgermi una tazza di caffè americano, insieme al cellulare che estrasse dalla sua tasca. Sullo schermo acceso apparve un messaggio di testo inviatole qualche ora prima.

SMS da: Anne
«Non posso chiamarti, ma è urgente che tu lo sappia adesso. Papà ha scoperto la tua relazione, ed è furioso. Credo ci sia qualcosa di molto grosso sotto».

Ansimai mentre, ancora assonnato, sostenevo la testa dolorante con il palmo.
«Cosa facciamo?»

«Trasferirci dall'altra parte del mondo è fattibile? Credo di no. Allora continueremo le nostre vite come stiamo facendo adesso», asserì lei con inquietante tranquillità, spronandomi ad alzarmi, «andiamo?»


Il tempo volò quel giorno al lavoro, così velocemente che mi accorsi fossero già le tre del pomeriggio. La lezione era terminata da due ore, tuttavia avevo deciso di fermarmi in ufficio per compilare alcune scartoffie riguardanti le vicine lauree. Mentre ero intento a finire il prima possibile il mio dovere, il cellulare emise una vibrazione, catturando la mia attenzione.

SMS da: Amelia
«Sono alla fermata qui vicino. Aspetto l'autobus per andare al negozio».

D'istinto mi misi in piedi, per poi fare qualche passo fino a raggiungere la finestra, dalla quale intravidi Amelia armeggiare con il cellulare. Ai miei occhi sempre così piccola, minuta che l'unica cosa che avrei voluto fare era proteggerla.

SMS da: Nolan
«Ti sto osservando, ma credo tu non sappia quale sia la finestra del mio ufficio. Facciamo una sfida. Se mi trovi prima dell'arrivo dell'autobus, che da qui già vedo arrivare, prepari la cena. In caso contrario, faccio io. Con il pericolo di incendiare casa, però».

Il telefono vibrò di nuovo.

SMS da: Amelia
«Non sai cucinare?»

SMS da: Nolan
«Modestamente, ho tanti pregi, ma fra questi non c'è quello di saper cucinare».

SMS da Amelia:
«Sei un cretino. A più tardi».

Restai appollaiato alla parete per un paio di secondi a fissare l'ultimo messaggio, fin quando tre pesanti tocchi alla porta mi riportarono alla realtà. Mormorai un «avanti» che traboccava di noia, ma fu quando la porta si aprii che il tedio di un istante prima fu nullo, paragonato al miscuglio di emozioni che mi pervase. Un insieme di rancore profondo, rabbia, disgusto, disprezzo e un leggero velo di soggezione che misero in moto ogni fibra del mio corpo. Sensazioni negative che lasciarono riaffiorare - davanti agli occhi increduli - gli istanti più bui della mia nera, misera vita. Fatta a pezzi, in primis, dall'uomo che in quel momento era in piedi davanti a me.

«Ebbene sì, dopo anni, i nostri percorsi si sono incrociati di nuovo, Nolan Campbell. Non è poetico?» Le sue parole cariche di odio risuonarono nella stanza e fin dentro la mia anima.

«Con onestà, speravo che non avrei mai più incontrato la tua faccia di merda. Sento persino il bisogno di vomitare» ribattei, senza pensare alle buone maniere.

Sogghigna mentre si avvicina di qualche passo. «Baci mia figlia con quella bocca?»

Un violento raptus mi fa perdere il senno, facendo sì che alzi il tono di voce sempre di più. «Non ti permettere a nominarla, Elias. Esiste qualcosa che sia passato sotto le tue mani senza marcire? Hai distrutto la mia famiglia. Mio padre. La mia vita. Persino quella di tua figlia. Cosa potrei aspettarmi da una persona orrida come te?»

L'odio che si espande sempre di più nel mio petto mi fa costantemente muovere nei dintorni della scrivania in un istante di silenzio. A rimbombare nella stanza sono solo i nostri passi e respiri pesanti. I miei occhi incontrano i suoi neri, traboccanti di odio e sfida. I suoi lineamenti rancorosi si caricano sempre più di forza, fin quando uno scatto in avanti gli permette di afferrare un tagliacarte d'argento, per poi dirigersi nella mia direzione.

Blocco il movimento delle sue braccia con le mie, per poi accorgermi di aver fermato quell'oggetto metallico a pochi centimetri dal mio collo. Così resto, con i muscoli doloranti in tensione, nella stessa posizione, fin quando la sua azione fulminea è più rapida dei miei riflessi.

Un istante dopo, una sensazione di tepore fluisce dal palmo fino alle dita, solleticando all'estremità di esse. E ancora, e ancora. Poi, rimbomba nell'ambiente il suono delle goccioline scarlatte che dalla mia carne terminano il loro percorso sul parquet. Ancora qualche secondo di insensibilità, per poi avvertire un violento, acuto, fitto dolore alla mano sinistra, trapassata da parte a parte con quello stesso tagliacarte impugnato da Elias Moir.

«Non ti permettere a parlare di mia figlia» sussurra con il suo tetro tono di voce, «né tantomeno a pensare lontanamente di amarla. Non lascerò mai che viva con un disgraziato come te. Anche a costo di ucciderti. Sempre che la tua malattia non lo faccia prima».

Il dolore fisico, insieme a quello mentale mi tartassa l'anima, talmente tanto da farmi bramare, con tutte le mie forze, la morte di quella persona talmente spregevole.

«Sei stato avvisato» sussurra, sfoderando un mezzo sorriso agghiacciante, prima di afferrare la maniglia e uscire dal mio ufficio, sul cui pavimento brilla un'espansa pozza di sangue.

Con le punte delle dita sane mi sporgo fino a raggiungere il chiavistello della porta, per poi accasciarmi sulle ginocchia, contemplando la lama ancora conficcata nella carne. Ansimo ripetutamente, percependo il battito cardiaco notevolmente accelerato sotto lo sterno.

E ora?

Non ho altra opzione se non quella di rimboccarmi le maniche e cavarmela da solo.

Solo.

La parola risuona echeggiante nella mia anima.

Come sempre, d'altronde.




Spazio autrice🥀
E rieccomi qui! Sì, so che state pensando: "ma questo capitolo è troppo corto!"
Lo so, cari miei. L'altra parte del capitolo è già pronta e verrà pubblicata massimo dopodomani.

Opinioni?😂 Devo dire che ho amato scrivere questo capitolo "tragico". Ci ho preso gusto, ahimè aspettatevi di tutto😂.
A prestissimo❤️

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