21. Natale

Nolan

"And I'm thinking about how
people fall in love in mysterious ways
Oh me I fall in love with you every single day"
("Thinking Out Loud" - Ed Sheeran)


«Un caffè doppio, per favore» ordinai al cameriere al lato opposto del bancone, che si mise subito al lavoro per servirmi. Le notti in bianco erano devastanti, soprattutto quando la mattina scoprivi che il barattolo del caffè fosse vuoto. Ero immerso nel liquido scuro che traboccava quasi dalla tazzina quando venni richiamato sul pianeta Terra da una voce profonda proveniente dalle mie spalle: «Nolan?»

«Dottor Reynolds?» Mi voltai, stupito a vedere quell'uomo sulla cinquantina appollaiato accanto a me sul bancone, «che sorpresa incontrarla».

I suoi grandi occhi scuri brillavano nella luce della stanza. Il dottor Andrew Reynolds godeva di un'apparenza particolare, fiduciosa, i suoi capelli scuri e folti lo ringiovanivano di almeno dieci anni. Fece per darmi la mano mentre si accomodava su una sedia accanto, «Buon Natale, ragazzo! Che ci fai qui?»

Mi portai svogliatamente una mano sulla bocca mentre inarcai la schiena sul bancone, «giusto un caffé... a casa era finito». Mi resi conto di essere veramente fiacco quel giorno, e odiavo non poter fare nulla a riguardo. Avevo un'attitudine all'eleganza, alle buone maniere, e non poterle mettere in atto per la stanchezza cronica mi mandava fuori di giri.

Lui addentò un pasticcino, tentando con disinvoltura di non notare il mio essere diverso dal solito. «Capisco. Come va il nuovo dosaggio che ti ho prescritto?»

«Alti e bassi» confessai facendo spallucce, «ho ricevuto il suo referto ieri. Ho provato a interpretarlo... ma senza ottenere risultati soddisfacenti».

«Nolan, ascolta» si ricompose dopo una leggera risata, «vieni al mio studio dopo le feste e ne parliamo».

Un vuoto cupo si espanse irruente in tutto il petto. La mia mente iniziò a pulsare insieme con il cuore e ogni fibra del mio corpo. Perché aveva sottolineato di volerne parlare dopo le feste? C'era qualcosa che non quadrava? «Mi dica la verità, dottore. La situazione è peggiorata?»

La sua espressione serena si era visibilmente incupita in pochi secondi, lasciando spazio a un paio d'occhi taciturni, le labbra leggermente incurvate e la sua mano che raggiungeva il mio avambraccio. «Goditi le feste con i tuoi cari, ragazzo», si alzò con lentezza, lasciando il posto occupato fino a un momento prima, «fai tutto ciò che ti passa per la testa. Non importi limiti. Sii spensierato».

Dopo aver lasciato il locale mi trovai a passeggiare per le strade innevate e popolate di bambini. Alcuni stringevano tra le mani dei giocattoli, altri si dilettavano a battaglie di neve, altri ancora giocavano con i propri genitori ad acchiapparella. Memorie riaffioravano nella mia mente, ricordi di serate natalizie trascorse con mio padre in azienda, attendendo pazientemente che finisse la sua razione di lavoro quotidiano. Non era raro che mi chiedessi cosa avessi sbagliato nella mia vita per ottenere ciò che avevo: il nulla. Nessuna famiglia alle spalle, nessun desiderio, nessuna fortuna. Mi fu stata tolta l'unica persona che abbia mai amato prima che arrivasse Amelia. La mia vita era una serie di sfortunati eventi che convergevano uno dopo l'altro come un domino: come si diceva, piove sempre sul bagnato.

Il flusso di pensieri mi accompagnò fin sulla soglia di casa, in cui feci il mio ingresso, farfugliando con ancora nelle orecchie le parole di Reynolds tra le disordinate carte che gremivano la superficie della scrivania di legno del salotto. «Dove sono...»

«Stavi cercando queste?» Una voce familiare mi raggiunse alle spalle, facendomi sussultare per un istante.

«Amelia» asserii voltandomi verso di lei ancora assonnata. Stringeva fra le dita sottili le carte, quelle carte che cercavo. Quelle carte che sarebbero potute finire in qualsiasi paia di mani del mondo, eccetto le sue. «Per quale motivo hai questi fogli?»

«Non ha importanza», quasi mi interruppe avvicinandosi di qualche passo. La sua espressione trasudava compassione, quasi tristezza. «Chi è questo povero sfortunato?»
Un groppo mi si bloccò in gola non appena constatai stesse indicando le mie radiografie. Quelle stesse radiografie recenti che Reynolds mi aveva consegnato in vista della prossima visita di controllo. Scavai nella mia testa alla ricerca di un escamotage credibile, fin quando la lampadina si accese a stento: «Mio fratello», mugugnai.

Amelia si allontanò di un passo, lo stupore dipinto sul suo volto e, conoscendola, la vergogna che le sguazzava nel petto. «Oh. Io non volevo...»
Mi sentii la persona più meschina sulla faccia della terra. Come avevo potuto mentire con una tale facilità all'unica persona che mi amava nell'intero universo? E necessitavo continuare, allora che il dado fu tratto e non si poteva più tornare indietro.
«Amelia» la interruppi, poggiando le mani sulle sue spalle, «stavo proprio cercando qualcuno che mi aiutasse a interpretarli».

Il suo flebile e costernato cenno di consenso ci accompagnò al tavolo vicino, dove lei iniziò all'istante a esaminare con cura i vari documenti. «Quanti anni ha?»
La prima fra tante stilettate mi fu involontariamente impartita. L'unico suono che riempiva la stanza era quello del legno che ardeva nel camino. «Trentaquattro» risposi silenziosamente.

Si voltò stranita. «Come te?»
«Trenta!» Mi corressi all'istante, iniziando a battere compulsivamente il piede sul pavimento.
«Fuma?»
Stavolta, mi limitai a un gesto di negazione mentre lei sembrò concentrarsi ancora di più. Si mordicchiava le unghie non smaltate, sinonimo che si applicava con le sue forze a quel caso. «Ha mai lavorato per un'azienda siderurgica o a contatto con polveri tossiche?»

Fu lì che l'ennesima stilettata fu sferrata al mio cuore, che prese a battere come non mai contro lo sterno, provocando un rumore assordante. «Sì».

«Questi valori lasciano pensare a una malattia cronica dell'apparato respiratorio, così come la radiografia. Guarda qui». Indicò una stampa con il polpastrello.
«Cos'è?»
«Un'ostruzione dei bronchi. Tuo fratello deve rivolgersi immediatamente a un buon medico».

«Ed è per questo che mi ha inviato i suoi esami» borbottai arrampicandomi sugli specchi, «in modo da potermi rivolgere a un famoso pneumologo di Boston. Un certo Reynolds».

«Nolan», bisbigliando, richiamò la mia attenzione. Ero chino sul tavolo a contemplarmi le dita, sconvolto e stravolto come se avessi corso una maratona, non solo dall'esito degli esami ma piuttosto dalla menzogna che avevo inscenato davanti ai suoi occhi. «Se hai bisogno di un parere medico, chiedi pure».

Fu lì che il mio cuore cessò la propria attività, mancando diversi battiti. Lo avrebbe scoperto, prima o poi.


Nonostante i pensieri che affollarono prorompenti la mia mente la mattinata passò rapida, lasciando posto a un soleggiato pomeriggio natalizio. La luce calda si infiltrò nella stanza attraverso le persiane, brillando con un gioco di luci sulle pareti chiare. Mi avvicinai al salone, prendendo posto sul divano di stoffa che riempiva la stanza davanti al camino, attualmente spento. Osservavo Amelia, concentrata nella lettura di un libro sdraiata sul sofà.
«Signorina...» richiamai la sua attenzione dopo aver letto il titolo del suo romanzo, «la credevo più da grandi classici della letteratura».

«Lo sono» rispose d'istinto fissando lo sguardo sui miei occhi, «è solo che questo romanzo me l'ha regalato il mio migliore amico».

«Conosce un soggetto di sesso maschile che le regala la trilogia erotica più famosa al mondo? Potrei essere geloso a partire da...» sollevai il polso, fingendo di guardare l'orologio, «adesso».

I suoi piccoli occhi bruni assunsero una sfumatura divertita, le labbra più rilassate in una curva. «Non credevo fosse un uomo geloso, professore».

«Lo sono per le giuste cause». All'ultima sillaba mi fiondai su di lei, sovrastandola con la mia imponente presenza. Tentava inutilmente - come sempre - di liberarsi, dimenticando o facendo finta di dimenticare che fossi più alto di ventitré centimetri e più pesante di altrettanti venti chili di massa muscolare. Ridemmo e ridemmo, spensierati come bambini fino a farci mancare il fiato.

«Sai cosa?» Catturò la mia attenzione a voce flebile, «Non avevo mai trascorso un Natale senza la mia famiglia... ma credo che questo sia il più bello della mia vita».

Le sue parole mi solleticarono il cuore, facendomi emozionare. Ancorai i miei occhi suoi suoi, immergendomi dentro i loro abissi. Vorrei aver potuto dire quello che provavo per lei, come il suo modo d'essere mi avesse consumato... ma in momenti come quelli era come se l'interruttore delle parole si disconnettesse e mi impedisse di far altro all'infuori che leggerle l'anima. La baciai, piano. Il suo corpo caldo mi attraeva come una lampada avrebbe fatto con una falena. Le sue mani si poggiarono dietro la mia nuca, alimentando la passione di un bacio fervente che mi travolse, lasciandomi - ancora una volta - senza respiro. La presi in braccio, stringendola contro il mio petto. Feci un paio di passi verso la nostra stanza, dove la adagiai sul letto, accompagnandola con il mio corpo. Le sue braccia, dapprima circondanti le spalle, allora si concentrarono sui miei abiti. Mi sfilò la maglietta con flemma, i suoi polpastrelli a solleticarmi la pelle dell'addome facendomi sorridere. Le sfilai la sottile giacca di cotone, avendo accesso a quella che era la sua perfezione fisica. La pelle fine, delicata, che avrei voluto assaporare in ogni centimetro. Strinsi i suoi polsi esili nei miei pugni, per poi incatenarli contro il cuscino. Lei socchiuse gli occhi volgendo il capo di lato mentre io presi a baciare i lati della sua bocca, poi il collo, lo sterno e l'addome, tracciando una linea immaginaria con la lingua calda e umida. I nostri corpi ansimanti reagirono spontanei in una bramosa unione di battiti e respiri sommessi. Volsi ancora una volta lo sguardo sui suoi occhi color cioccolato che brillavano di luce calda. Occhi desiderosi d'amore, di passione. Occhi ancorati sui miei in una connessione profonda, astrusa, inarrivabile.

Nessuna parola. Nessun pensiero. Solo la travolgente unione della nostra fisicità e dei nostri sentimenti impetuosi in un mite pomeriggio di Natale.

Amelia, se solo avessi potuto spiegare quanto ti amavo.

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