20. Famiglia
"What am I now?
What if I'm someone I don't want around?
I'm falling again, I'm falling"
("Falling" - Harry Styles)
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«Sono in pensiero per te, Amelia. Ho provato a contattarti svariate volte, ma non hai mai risposto».
«Così hai avuto la geniale idea di chiamarmi con il numero di Anne». La mia mente era una caterva di sensazioni, così mescolate e rimescolate fra loro da inibire ogni sentimento e altra percezione.
«Amelia, lo so che...»
«Dovevi pensarci prima» la interruppi alzando di qualche tono la voce, che risuonò nell'ambiente isolato del fiume. Sentii la presenza di Nolan, che fece un paio di passi nella mia direzione, senza però origliare.
«Ti prego, figlia mia. Vieni a casa e parliamone». La sua voce singhiozzante echeggiò dall'altoparlante fin quando nervosamente premetti sul tasto rosso. E, ancora una volta, mi strinsi contro il petto di Nolan in un abbraccio che sempre lo rendeva il posto più sicuro del mondo.
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Credevo che tutti avessero un proprio modo per affrontare le difficoltà che il mondo sparpaglia sempre davanti ai piedi: alcuni si dilettano nella lettura, altri nell'attività fisica, altri ancora nella cucina. Una volta persino sentii di un uomo che, per sopportare la crisi matrimoniale, si mise a smontare e rimontare ogni singolo ingranaggio della propria auto.
Quanto sta a me, l'indecisione dell'accettare o meno l'invito di mia madre mi portò a una disperazione tale da aver passato tutta la giornata a studiare un intero libro di psicanalisi. Studiare mi rilassava, era sempre stato uno dei pochi modi di liberarmi dai pensieri, permettendomi di immergermi in mondi alternativi per sfuggire ai tormenti del mio. Arrivata l'ora della merenda, un certo languore mi istigò a cercare uno spuntino con il quale sfamarmi.
«Un miraggio!» Enfatizzò Nolan assistendo alla mia smorta discesa delle scale. Si avvicinò all'istante per abbracciarmi. «Cos'hai fatto per tutto quel tempo chiusa lì sopra?»
Borbottante, respinsi il suo corpo caldo. «Ho studiato come psicanalizzarti».
«Uhm...» mugunò mentre si appollaiava con un braccio sulla scrivania, «non credo sia così facile».
Ogni fibra del mio corpo bruciava quando Nolan decideva che quello sarebbe stato il momento adatto per indossare quel suo solito sguardo di superiorità, gli occhi leggermente chiusi e attenti, la postura rilassata sullo schienale della sedia, e la gamba destra a cavallo. Imperturbabile come non mai, la verità era che avrei potuto studiare altri mille libri di psicanalisi, ma non c'era nessuno al mondo capace di leggermi nella mente e nell'anima come lui faceva ogni istante. Nolan era la mia stessa anima, la sostanza dei mei giorni, e avrei fatto ogni cosa pur di proteggerlo.
Rimasi in silenzio. «Ti accompagno lì», asserì lui mentre fece per allacciarsi le solite scarpe inglesi scure.
Un gemito di dissenso mi scappò mentre addentavo uno snack, facendolo rimanere confuso.
«Come sarebbe a dire?»
«Sarebbe a dire proprio no», marcai l'ultima sillaba mentre davo un'occhiata al mio inguaribile pallore allo specchio, «voglio andare da sola».
Il suo silenzio assordante mi spiazzò, fin quando la retta disegnata sulle sue labbra lasciò posto a una curva di rassegnazione. Mantenendomi sulla punta dei piedi, gli rubai un casto bacio sulle labbra per poi varcare la soglia di casa. Camminavo per le strade innevate del quartiere, stringendo le mani dentro il lungo cappotto color ciliegia. Il pannello colorato di un negozio illuminava il marciapiede con un countdown, che mi ricordò - con non poca amarezza - mancassero solo poche ore a Natale. Nella mia mente sfrecciavano fulminee le immagini degli innumerevoli film d'animazione proiettati in salotto con papà, poi i pigiama party in soffitta con Anne, poi ancora i dolciumi al marzapane della vigilia preparati con mamma. Scossi la testa, tornando a percepire i brividi dell'aria gelida addosso fin quando non giunsi davanti la facciata color ambra di casa.
«Tesoro». Fu l'unica parola sospirata da mia madre, affrettata a venirmi incontro sul vialetto sebbene rimasi impassibile alle sue braccia che mi circondavano. Una volta dentro, l'odore che percepii dell'ambiente fu diverso. Non c'era l'enorme albero adornato per tradizione ogni anno al centro del salone e neppure le luminarie fuori. Feci per accomodarmi al lungo tavolo della cucina come una normale ospite, sentendomi una perfetta estranea. Faceva male. Tante erano le domande che saltavano e risaltavano da un neurone all'altro ma, prima che potessi avanzarne una, il mio nome squillò nella stanza.
«Ho provato e riprovato ad avvisarti, ma non c'è stato verso!» Continuò affannata mia sorella venutami incontro poco prima che mio padre facesse il suo elegante ingresso in cucina. Non ebbi il tempo di raccogliere le informazioni necessarie all'elaborazione della situazione che il suono prolungato del campanello mi assordò, interrompendo il mio flusso di pensieri. Dalla finestra vicina intravidi tre figure ben conosciute avviarsi sul vialetto verso la porta.
«Cosa cazzo ci fanno questi qui?» Tuonai d'un fiato mentre un insulso pensiero cresceva gradualmente d'importanza sovrastando tutti gli altri, «Non dirmi che...»
Il suo cenno d'approvazione provocò un immediato e potente frastuono nella mia mente.
«Io...» mi rivolsi a mia madre, mugugnando nell'amarezza più totale, «continui a deludermi».
Mi volse un finto sguardo costernato per poi -con velocità disarmante - indossare uno dei suoi più smaglianti sorrisi all'ingresso della famiglia Stewart. Le classiche, monotone, soporifere riverenze e invocazioni allo studio si protrassero per quasi un'ora. Poi, finalmente, mio padre invitò il suo amico Richard ad accomodarsi in cantina per l'assaggio di una sua bottiglia di Cognac, e le due donne lo seguirono. Mia sorella ne approfittò della suoneria del suo telefono per fuggire in camera e, così, mi trovai in sola compagnia del carissimo figlio degli Stewart.
«Come ti va la vita, Lewis?» Mugugnai con la noia nella mente e l'amarezza nel cuore. Ero appollaiata con le spalle sulla parete, a pochi passi dal tavolo su cui Lewis batteva con i polpastrelli. Fece un sospiro profondo per poi incrociare le braccia davanti all'elegantissima giacca nera che copriva le sue spalle di visibili dimensioni, «sono del parere che potrebbe andarmi molto, molto meglio. Tu che mi racconti?»
«Copio e incollo le tue parole, e aggiungo un ulteriore "molto"» mormorai mentre prendevo posto vicino a lui.
I suoi occhi oscuri e penetranti mi esaminarono. «Cosa ti turba, Amelia?»
«Non saprei da dove cominciare» tergiversai. Era la verità, cosa avrei potuto raccontare a quel ragazzo? Quale parte dei miei traumi sarebbe potuta essere la virgola dal quale partire? «Parlami di te. Non si sa mai possa prendere ispirazione» mugugnai.
Adagiò le spalle sullo schienale, scrutando le sue stesse dita delle mani incrociate sulla superficie di legno del tavolo. «Ciò che mi turba è qualcosa di irreparabile, Amelia. Potrebbero anche avverarsi tutti i miei desideri, ma so che in fondo ci sarà sempre una piccola virgola che sovrasta e frantuma tutte le bellezze».
«Sei sicuro di voler fare l'ingegnere? Sai, potresti fare lo psicanalista» ironizzai nel tentativo di smorzare la tensione.
«No. Non ho mai voluto farlo, e mai vorrò». Le sue parole mi spiazzarono tanto da ammutolirmi all'istante. Indossava un'espressione seria, imperturbabile come non avevo mai visto. «Ho sempre voluto arruolarmi nell'esercito. Ma quando hai un padre che ti obbliga in tutto, non c'è molto da fare».
Prima che potessi concordare con le sue parole traboccanti verità, le voci e i passi dei nostri genitori iniziarono a riecheggiare su per le scale del sotterraneo. In segreto, afferrai un tovagliolo annotando sopra il mio contatto telefonico, per poi infilarlo nella tasca del ragazzo un attimo prima che i coniugi Stewart si congedassero, lasciando la casa.
Eravamo noi, in quel momento, faccia a faccia. Io, mia madre, mio padre.
«Avete messo in scena proprio un bel siparietto», l'espressione di disgusto dipinta sul mio volto catturò l'attenzione di entrambi i miei genitori, «chiamare vostra figlia con la scusa di voler riparare il rapporto, invece era tutta una farsa per apparire - come al solito - "la famiglia tradizionale perfetta" agli occhi altrui. Non posso far altro che complimentarvi per le vostre capacità di recitazione». Ero semplicemente sconvolta dalle loro azioni, dalla velocità con cui un rapporto possa cambiare, non di meno il rapporto che lega un genitore a un figlio. «Avete pensato ancora una volta solo al vostro maledetto status di perfezione girando e rigirando il coltello nella piaga. Come pensate possa sentirmi se non amareggiata e confusa?»
«Amelia, so che nell'ultimo periodo sono successe tante cose» intervenne prostrato mio padre a interrompere il mio attacco, «ma non devi mai dimenticare che noi siamo la tua famiglia».
Il senso di colpa mi attanagliava lo stomaco, insieme con le sue parole che gorgogliavano nella mia mente.
«E ti vorremo sempre bene, qualsiasi cosa accada» si aggiunse mia madre all'alleanza, ammutolendomi.
«Immagino tu abbia trovato una sistemazione» asserì la voce imponente - ma al contempo pentita - di mio padre, guadagnandosi un mio silenzioso cenno del capo.
«Voglio solo che tu sappia che la casa non è più la stessa da quando non ci sei tu».
Come la mia vita, d'altronde. A malincuore indossai il cappotto, osservando le lancette dell'orologio a pendolo del salone e capendo che non avrei potuto perdonare l'ennesimo sbaglio, l'ennesima delusione. «Buon Natale a voi».
Il mio sangue - mantenuto freddo ad allora - iniziò a bollire e ribollire, e ribollire in una corsa sfinita fino alla soglia della mia nuova casa. Riaffioravano tutte le parole non dette, la rabbia e la delusione. L'unico suono che percepii fu quello che produceva il mio cuore battendo affaticato contro lo sterno, tanto da farmi pulsare gli occhi. Mi accomodai sfiancata sul divano a piazza che riempiva il salotto silenzioso, riprendendomi dalla lunga ed estenuante corsa notturna.
Parole, parole, parole risuonavano nelle mie orecchie mentre scorsi un portatile ancora acceso a pochi passi. Iniziai a navigare sul web, cecando proposte di lavoro nel quartiere. Non avrei potuto gravare su Nolan e Aaron per molto e il conto della mia carta di credito non sarebbe durato a lungo, così decisi di stampare alcuni indirizzi di ipotetici posti di lavoro. Tuttavia, ciò che viene stampato dal dispositivo fu decisamente diverso da ciò che avevo scelto.
«E adesso questo cos'è?»
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