10. Professore

"Running in circles, coming up tails
Heads on a science apart
Nobody said it was easy"
("The Scientist" - Coldplay)


«Come sarebbe a dire "non ci siamo più sentiti"?» Il tono stupito del mio migliore amico rimbombò nei miei timpani ancora assonnati. Fissai lo sguardo oltre la vetrina della sua pasticceria, osservando il tran tran delle auto su una delle vie principali di Cambridge.
«Ci sono altri significati? All'infuori della sua tristissima mail istituzionale non ho un numero, un contatto, niente Jamie!» Borbottai mentre tuffavo la testa fra le braccia incrociate sul bancone. Erano passati alcuni giorni da quel fatidico pomeriggio trascorso in compagnia di Nolan e, a causa di un altro esame da preparare, non avevo più frequentato il laboratorio di anatomia. E né tantomeno avevo confessato a Jamie i dettagli dell'accaduto.

«Comunque, ancora devi deliziarmi con il tuo racconto dei fatti» continuava a tormentarmi il moro, passandosi una mano fra i capelli, «non puoi nasconderti all'infinito, Mel!»
Tuffai il biscotto al cioccolato dentro il mio cappuccino con voga, guardandolo fisso negli occhi cerulei.
«Non ci credo», spalancò la bocca arrivando a mostrare le tonsille.
«Raccogli la mascella» lo fulminai torturandomi il labbro con i denti, «ti è caduta a terra da un pezzo».

Verificò che i suoi colleghi baristi fossero nell'altra sala, aggiustando poi la solita camicia casual a quadretti color senape. «La sempre-vergine-perfettina ha fatto l'amore!»

Mi divincolai dal suo abbraccio. «James Francis Archer, smettila!»
«È stato bello, no?»
Incrociai gli occhi con i suoi, che stava eretto dietro le mie spalle. «Ti basta sentire che credo di aver cominciato a vivere in quel momento? Però c'è qualcosa-»

«Allora fottitene dei pregiudizi e delle regole!» mi interruppe, marcando le parole e battendo il pugno sul marmo rossastro del bancone. Si avvicinò, abbracciandomi da dietro fino a sentire il tuo odore. «Pagherei oro per provare un amore simile, Amelia».

Solo quando mi rilassai, mi resi conto di aver tenuto un'espressione imbronciata per tutto il tempo. «Allora passami un ipercalorico, grasso, squisito donut con glassa al cioccolato e nocciole tritate».
Si affrettò a incartare il dolce richiesto in un sacchetto con su scarabocchiato il mio nome. «Ci vai pesante oggi, vedo».
«Ho bisogno di un bel carico di zuccheri complessi per apparire una leonessa», tentennai un istante, «agli occhi del mio leone».
All'istante Jamie mi prese con forza per i fianchi, alzandomi dallo sgabello. «Così ti voglio, brutta stronza!»
«Ti aggiorno, sergente!» mi limitai a dire, prima di accennare il nostro saluto e uscire dal locale.

Dopo aver scorso una scatoletta gialla in lontananza, sbracciai per farmi notare. Fui costretta a prendere il taxi quel giorno dato che, non appena ruotata la chiave di accensione, il display tuonò di essere a secco. Anne aveva la propria auto, ma scoprii si divertisse a prendere in prestito la mia senza alcun consenso, lasciando il serbatoio perennemente vuoto.

«Harvard Medical School, per favore» mi rivolsi ansimante al tassista una volta chiuso lo sportello.
«Aspirante medico?» Il ragazzo dai capelli corvini spezzò il silenzio mentre era concentrato alla guida nel caos di Boston.
«Chirurgo» asserii, guardando dallo specchietto retrovisore.
«Ho un cugino che insegna in quella scuola».
«Ah sì?» Borbottai mentre addentavo un morso della mia ciambella.
«Sì. Noah Campeille».

Sussultai, e per poco non mi andò di traverso il cibo. Tossii ripetutamente, catturando gli occhi scuri di quel ragazzo sullo specchietto retrovisore.
«Noah, lo conosce? Ci somigliamo parecchio, capelli e occhi neri come Calimero».
Ripresi a respirare, poggiando le spalle sul sedile posteriore. «No, mi spiace. Quanto viene?»
«Vada a studiare, signorina. Offre la casa».

Stupita dalla singolare gentilezza di quel tassista e dalla sfiga che mi riportava perennemente alla mente un paio di occhi azzurri che erano ben marchiati nell'anima, scesi dal taxi. Sfilai a passo lesto lungo tutta la chilometrica passerella che conduceva all'edificio marmoreo, incrociando dei saluti da parte di alcuni colleghi. Mi specchiai rapidamente sul portone d'ingresso notando il mio colorito pallido, testimone del sonno mancato degli ultimi giorni. Avrei potuto fuggire all'infinito? La risposta venne da sé, così capii che fosse arrivato il momento di incamminarmi verso il laboratorio di anatomia.

Dopo alcuni secondi di fibrillazione spalancai la porta pronunciando un convinto «buongiorno» ancor prima di sorpassare la soglia. Istintivamente guardai la cattedra. E fu un istante. Un fuggente istante in cui i miei occhi si persero nell'oceano racchiuso nei suoi. Un istante che bastò affinché il fuoco ricominciasse ad ardere dentro di me.

Le forme di Nolan erano coperte da una camicia color cielo, che rispecchiava indelebilmente la tonalità dei suoi occhi. Le maniche erano raccolte sugli avambracci, permettendo di mostrare l'orologio che sempre campeggiava sul suo polso sinistro. Pensai che dovesse per certo avere un valore affettivo, vista la frequenza con cui lo indossava. Il professore era eretto vicino la cattedra, a sostenersi con le gambe e i palmi delle mani contro di essa. Fu appena entrai in aula che incrociò le braccia davanti al torace, portandosi l'indice davanti alle labbra. Era dannatamente bellissimo e... perfetto. Mi attraeva come un magnete ne attrae un altro di polo opposto, così tanto che per un istante mi convinsi di aver perso il controllo dei miei occhi, dato che non facevano altro che ancorarsi su di lui. Mi incamminai verso la postazione sforzandomi di apparire il più disinvolta possibile. Passò poco che la sua voce riempisse tutta l'aula durante la lezione. Quella stessa voce che, pochi giorni prima, sussurrava parole d'amore al mio stesso orecchio. Quelle dita che erano stati capaci di stimolare una caterva di fremiti lungo la colonna vertebrale. Quella sensazione dei suoi baci solleticanti sulla pelle, che mi fece storcere il collo ripetutamente.

«Ha il torcicollo, Miss Moir?» Non era un sogno. La sua voce autoritaria mi raggiunse fino all'altro capo dell'aula, diventando quel pizzico che mancava per far esplodere qualcosa dentro di me. Di riflesso alzai gli occhi, trovando i suoi a osservarmi dalla cattedra.

«Oh», mi rabbuiai «temo di essermi addormentata in campagna qualche pomeriggio fa. L'umidità serale si infiltra nelle ossa e ha i suoi effetti malevoli». Lo avevo appena detto? 

Nolan lasciò sulla cattedra il libro che stava sfogliando, ruotando fra le dita la sua penna stilografica. La complicità che trasudò dalla sua espressione a metri di distanza fu così forte da obbligarmi a stringere le gambe. «Allora sarà meglio che non si appisoli più sotto gli astri» disse, prima di riprendere in mano la lezione.

A prova ultimata i colleghi si apprestavano a lasciare l'aula quando il professore, alzandosi rumorosamente dalla sedia, richiamò l'attenzione dei pochi presenti rimasti. Stava chiedendo i nostri recapiti telefonici per inviarci del materiale di studio. Sollevai lo sguardo sulla sua figura, che si apprestò a passare tra le postazioni con un foglio bianco su cui annotare i contatti, iniziando da quelle che si trovavano più in fondo all'aula. Fu questione di pochi minuti che l'ultimo collega valicò la porta dell'aula, lasciandoci inesorabilmente da soli. Il brusio di voci che popolavano il corridoio svanì, permettendo ai passi di Nolan di amplificare sempre più il loro suono alle mie spalle, fin quando accanto le mie mani fu poggiato il tastierino di un cellulare.

Ancora seduta sollevai il capo fino a incontrare il suo sguardo, già assorto su di me con profonda attenzione. I suoi occhi brillavano incessantemente come due stelle.

«Non sai quanto io ti abbia desiderato durante queste tre ore» sussurrai prima di afferrare il tessuto della sua camicia, azzerando la distanza che ci separava. La mano di Nolan si poggiò a metà schiena per sostenermi, scivolando lentamente più in basso. Assaporai la sua lingua con la passione che ardeva ogni fibra del mio corpo.

«Non sai quanto io abbia voluto interrompere la lezione per venire qui a baciarti, darling». Scossi la testa mordendomi il labbro. Guardavo la sua espressione a un millimetro di distanza, a un fiato da me. Poi Nolan prese in mano il suo cellulare, stringendolo nella mia.

«Perciò, vuole scrivere il numero qui?»

Non proferì parola e, con un gesto flemmatico, infilai la mano nella tasca laterale dei miei jeans, per uscirla qualche secondo dopo con un biglietto piegato tra le dita. L'espressione di Nolan si incupì mentre in piedi afferrava il foglio, iniziando a dispiegarlo.

«Non dirmi che vuoi già lasciarmi prima di stare insieme», si bloccò un istante prima di leggere il contenuto. 

«Leggi, stupido» lo intimai mentre prendevo posto di fronte alle sue gambe sulla superficie piastrellata della mia postazione. Scrutai il movimento ritmico del suo torace fin quando alle mie orecchie arrivò un mite sorriso, così dannatamente bello da avermi liberato un fremito nel petto.

«Sul serio?» Chiese.

«Credevo di averla conosciuta come un professore di fisica».
«Lo risolverò in un attimo», Nolan mi accarezzò il labbro con l'indice mentre era ancora in piedi inserito fra le mie gambe, «ne è consapevole, darling



Era pomeriggio inoltrato quando mi immersi nella lettura di un vecchio romanzo, trovato per caso dietro uno scaffale polveroso della libreria. Casa era vuota come sempre. Nonostante fosse novembre, il clima si mantenne tipicamente autunnale per buona parte del mese, con un cielo nuvoloso che mi infondeva quiete dalla finestra che riempiva parte della parete sopra il mio letto. 

Passò poco che una notifica echeggiasse dal mio cellulare, rimbombando con un trillo inusuale. Raggiunsi con tedio la credenza dove, qualche ora prima, avevo lasciato il telefono, che al mio tocco si illuminò.

SMS da: contatto non registrato
«Spero di avercela fatta...»

Strabuzzai gli occhi indispettita.

SMS da: Amelia
«Non avrà mica usato un calcolatore online, professore».

Pigiai sulla tastiera e subito dopo sul tasto d'invio.

SMS da: Professore
«Non oserei mai dirle una menzogna. Vuole che le invio il procedimento scritto sulla mia agenda personale?»

L'utilizzo di quel "lei" che spesso e volentieri finivamo per rivolgerci mi fece sorridere.

SMS da: Amelia
«No, le credo. Però gradirei se mi spiegasse come ha fatto a risolvere una tanto complessa equazione in così poco tempo. Insomma, le ho chiesto di calcolare il punto d'assegnazione di una funzione fratta, sommarlo alla radice settima di una disequazione trigonometrica, per sottrarne il risultato ottenuto dal logaritmo della massa atomica del permanganato di potassio, per concludere dividendo il tutto per la costante di gravità».

Mi resi conto solo in quell'istante della complessità del quesito che gli proposi per estrapolare il mio contatto telefonico.

SMS da: Professore
«Le confesso un segreto, ci ho impiegato un'ora. E l'ho fatto giusto per proporle un quiz:
74 4 25(½) 53 10
Buon lavoro!»

Per un tempo indefinito restai appollaiata alla parete beige di camera mia a fissare nello schermo quella corta sequenza di numeri, ammutolita per l'ennesima volta dalla diligenza di Nolan Campbell e consapevole di dover terminare quel gioco che io stessa avevo creato.


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