1. Dimenticamarsi
Por pomodoro-fritto
Che lo meritiamo o meno, che questi si rivelino i giorni più bui delle nostre vite o la felicità più fulgida, siamo stati guidati dall'amore.
Come possiamo sbagliare se siamo stati guidati dall'amore?
Whether we deserve this or not, whether these turn out to be the darkest days of our lives or the brightest happiness , we've been guided by love.
How can we go wrong when we're guided by love. (Morgan Parker)
Spesso e volentieri, quando piove ti penso. O è quando ti penso, che piove?
Non lo so, mi conosci, ho sempre avuto un grosso problema con la cronologia degli eventi. Prendi quella mattina, ad esempio.
Il ricordo si ferma sempre all'attimo in cui le parole, tra di noi, sono finite.
Hai alzato la tazza del caffelatte che eravamo ancora amanti, l'hai appoggiata sul tavolo e mi sono chiesta chi fossi. Dove sono finite le nostre parole, amore mio?
Te le sei mangiate al posto dei biscotti.
Spesso e volentieri ricordo l'odore del tuo cappuccino, della felpa che indossavi quel giorno, dei capelli che incorniciavano il viso e adombravano il volto.
Ma non ricordo altro: quel giorno ci siamo conosciuti o lasciati?
Spesso e volentieri, penso alla porta che si chiude, alla tazza nel lavello rimasta lì per giorni.
Spesso e volentieri, quando faccio colazione da sola, prendo quella tazza e provo a guardare il mondo al di sopra e al di sotto, di quella stessa tazza.
Eppure è sempre uguale, tu cosa hai visto?
Spesso la rimetto al suo posto.
Spesso rimetto te, al tuo posto.
Spesso penso che al di sopra,
al di sotto,
io sono sempre io, la tazza è sempre quella.
È la tua assenza a essere una spiacevole conseguenza.
Te ne sei andato via come un cucciolo spaventato dai botti di capodanno, ma non è stato un rumore improvviso a farti fuggire, è stato il suono di una parola nuova.
Amore mio, ti odio.
Le parole, sopratutto quelle nuove, erano alla base del nostro piccolo mondo perfetto. Ti ricordi? Ne scoprivamo una al giorno, le attaccavamo al muro su fogli di carta come gli entomologi fanno con le farfalle. E quando ne trovavamo una dal suono melodioso, eravamo due bambini con un giocattolo nuovo.
Sciabordìo.
Te la ricordi? Significa, gorgoglio di liquido mosso o agitato.
Quel giorno ti ho chiamato mille volte in ufficio, i tuoi colleghi avranno pensato che fossi impazzita. "Caro, fai presto, non riesco a fermare lo sciabordio del rubinetto".
Era il codice segreto di due eterni innamorati.
Cosa me ne faccio ora, amore, di un cimitero di farfalle appeso in cucina? Strapperò le loro ali dal muro e le assaporerò, una per volta, come farò con ogni singolo giorno che mi hai condannata a vivere da sola.
Ti odio perché sarei dovuta essere io a uscire da quella porta, non tu, io. Avevi promesso. Avevi promesso che mi avresti sorriso fino all'ultimo giorno della nostra vita.
Dio, come posso vivere senza il tuo sorriso?
Non te l'ho mai detto, o forse te l'ho detto e non lo ricordi, ma quel giorno, quando la tazza del caffelatte non era ancora al suo posto e io non sapevo ancora di averti perso per sempre, sono uscita da quella porta a piedi nudi e con i capelli bianchi ancora sciolti sulle spalle. Ti ho seguito.
Sotto la pioggia, senza un ombrello, ti ho preso sotto braccio e tu, pur non riconoscendomi del tutto, me lo hai permesso. Ho urlato in faccia alla gente la mia disperazione perché, quel giorno, avevo perso il mio amore e il suo meraviglioso sorriso.
Una volta rientrati in casa, ti ho mostrato una tua stessa foto, ti ho detto "guarda, era così, non puoi farne uno uguale?". Tu hai chiesto scusa e mi hai detto che ti dispiaceva non sorridere più, ma che non eri capace di farne uno uguale e che anzi, non eri neppure sicuro che fossi tu l'uomo ritratto in quella foto.
Avevi bisogno, io avevo bisogno, di vederti addosso lo stesso identico sorriso, quello che mi aveva fatto innamorare di te.
Nei giorni seguenti, l'abbiamo cercato insieme, ripercorrendo tutte le tappe della nostra storia, nonostante i dottori mi incoraggiassero a rassegnarmi, ad abituarmi a perderti un po' per volta.
Tu lo avresti fatto con me?
Sotto le due torri a Bologna, in Piazza Maggiore. Anche sotto ai portici di Piazza della Mercanzia, ma poi mi sono ricordata che quello era il posto del nostro primo incontro, non potevi averlo perso lì.
Allora ti ho portato a San Marino, fra bancarelle e negozi, torri medioevali e guardie vestite con colori bizzarri, l'abbiamo cercato insieme. In quel posto, quarant'anni prima, proprio nel giorno degli innamorati, mi regalasti il tuo sorriso più bello e, in ginocchio, mi chiedesti di sposarti. Eppure nemmeno lì, lo abbiamo ritrovato.
Quando poi non potevo più farcela da sola e ho dovuto lasciarti qui, in questo posto, la mia triste odissea ha avuto inizio.
Per un anno intero, guidata dal sentimento che era stato nostro e che ora era soltanto mio, ho ripercorso le strade, i vicoli, i paesi, le autostrade e le spiagge che ci hanno visti insieme. Cercavo qualcosa che testimoniasse al mondo intero che tu, un tempo, mi hai amata.
Sono qui, oggi, perché l'ho trovato nel posto più impensabile.
Ti ricordi il giorno della diagnosi? Piangevamo entrambi, più io che tu. Le hai tenute sempre nascoste le tue lacrime, con quelle non sei mai stato così generoso come lo eri con i tuoi sorrisi.
Non trovi ironico che, a farci piangere, fosse stata proprio una parola nuova?
Ma le tue lacrime morivano in un sorriso un po' forzato. Capisci amore? L'ho trovato, era lì. Quel giorno, mentre il mondo si fermava, mentre mi tenevi il viso fra le mani e appoggiavi la fronte sulla mia, ripetendo il mio nome all'infinito per paura di dimenticarlo, avevi ancora un sorriso da regalarmi.
Oggi è San Valentino e io sono qui per questo.
Per ringraziarti per il tuo sorriso, per aver ripetuto il mio nome così tante volte e per chiederti scusa di aver provato io a dimenticarti, prima ancora che tu ti dimenticassi di me.
Ma più di tutto, vorrei che tu potessi sentirlo, lo sciabordio del mio cuore infranto.
Ricordo il giorno in cui le parole hanno smesso di esserci amiche.
Stavo leggendo il giornale sdraiata sul divano, cercandone una tutta nuova da condividere con te. Dall'altro capo tu mi accarezzavi i piedi fissando la finestra del terrazzo. Quando l'ho trovata, era già troppo tardi. Era la nostra ultima parola, amore scusami, non potevo saperlo.
Non ho più sentito la carezza delle tue mani e ti ho visto guardare casa nostra così come io vedevo te, in quel momento: semplicemente, non la riconoscevi.
Era passato solo un mese dal giorno in cui, allo sgretolamento del nostro amore, uno specialista aveva saputo dare un nome. Un nome vecchio, corrosivo, che non aveva nulla a che fare con il gioco di due eterni bambini.
In quel momento mi sono accostata a te, ti ho sussurrato parole familiari, tentando di infonderti quella calma che a me stessa mancava. Ero lontana dall'accettare che quella parola intrusa, potesse infettare il nostro stare insieme, penetrare la nostra pelle finendo per scorrerci nelle vene.
Avrei voluto proteggerti, assediare il tuo cuore e la tua mente, come una amazzone sul piede di guerra, arrestare l'inesorabile avanzata di quel morbo che avrebbe finito per divorare entrambi.
Le settimane successive furono devastanti, gli episodi di smarrimento erano sempre più frequenti. Un mattino mi svegliai trovandoti nudo all'angolo del letto, i tuoi occhi si chiedevano chi fossi. Ero disperata, fu il più doloroso dei risvegli perché non avevo avuto il tempo di prepararmi. Piansi come una bambina con le mani sugli occhi e un macigno nel cuore.
Vedermi così deve averti scosso tremendamente. Sei saltato sul letto con il tuo "no, no, no, no, no". Mi hai abbracciata come se si fosse trattato di uno scherzo venuto male.
In quel momento hai saputo regalarmi il più tenero dei ricordi, e non ti ringrazierò mai abbastanza per questo.
Non avevamo più parole nuove, ne hai inventata una per me.
"Ti ho dimenticamato, è vero?". Un attimo prima piangevo, quello dopo ridevamo come due ragazzini.
Ci siamo amati, per l'ultima volta, ci siamo amati. Consapevoli entrambi che ogni bacio, ogni carezza, era un ultimo messaggio d'amore affidato all'oceano infinito del nostro reciproco amore.
Nei giorni successivi mi hai lasciata definitivamente e alla fine i dottori mi hanno convinta che fosse giunto il momento di consegnarti a loro.
Oggi è San Valentino e io torno da te, da quel che resta di te, dopo un anno intero. Io e il nostro amore, ti abbiamo cercato ovunque perché tu, amore, eri ovunque ma non qui.
Quando sono arrivata, poco fa, mi hai chiamata mamma e io ti ho baciato sulla fronte, come avrebbe fatto lei.
Il tuo corpo è un simulacro, la tua mente un tempio in cui dimora il fantasma di una sacerdotessa senza nome.
Quella sacerdotessa oggi è qui per onorare il luogo in te in cui dimora l'universo. Perché quando tu sei in quel luogo dentro di te, e io sono in quel luogo dentro di me, siamo una cosa sola.
Forse non mi perdonerò mai, non per averti abbandonato, so che non avrei potuto fare altrimenti.
Non mi perdonerò mai per aver abbandonato te, quando ormai non eri più in te.
In quel letto, quando ci siamo dati tutto ciò che restava di noi. Dovevo dirtelo allora, che non ce la facevo più a perderti. Ogni giorno, continuamente. Dovevo darti l'opportunità di dirmi quello che mi avresti detto davvero. Forse sarebbero state parole di disprezzo o forse di perdono, ma in tutti i casi te lo dovevo.
Siamo qui, adesso, sul letto di una stanza di una casa di riposo, abbracciati come lo siamo stati per tutti questi anni. Non è il nostro letto, non siamo più noi, siamo io e te, ma fa lo stesso.
Due ragazzi invecchiati nella stretta di un abbraccio, come quando d'inverno avvolgevi le mie gambe con le tue.
Volevi scaldarmi i piedi, finivi sempre per scaldarmi il cuore.
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