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Versione Revisionata.
«Cazzo! Cazzo!», sbraitò Elizabeth in mezzo al marciapiede mentre la pioggia la inzuppava fin dentro le ossa. Stava congelando, come un piccolo gattino abbandonato al gelo. La pioggia, purtroppo per la ragazza, aveva deciso di diventare sempre più forte e intensa, con delle raffiche spaventose di vento che più e più volte le avevano sferzato con violenza le guance arrossate.
«Tanto più zuppa di così non posso diventare, eh...», strillò furiosa, rivolgendosi al cielo cupo e ricoperta da nuvoloni grigi mentre l'acqua piovana continuava a cadere impetuosa.
L'unico giorno in cui nessuno poteva venirla a prendere e aveva dimenticato l'ombrello a casa, pioveva come se non lo facesse da secoli. Per non parlare della temperatura che era calata moltissimo, sembrava quasi di essere al Polo Nord con il freddo che aveva sopraffatto Maddison Town.
«Perché a me?», piagnucolò, spostandosi indietro i capelli che le si erano appiccicati alla guance e alla fronte.
Elizabeth voleva solamente tornarsene a casa, ma il suo orientamento faceva schifo e come sempre – quando era da sola – si era persa nella stessa città in cui viveva da sempre, sin da quando era nata.
Le macchine sfrecciavano a tutta velocità sull'asfalto bagnato, fregandosene altamente di lavare i pedoni sui marciapiedi con l'acqua sporca e piovana che alzavano con le loro gomme. Elizabeth si era beccata due lavaggi da due imbecilli in due macchine, che l'erano sfrecciate accanto velocemente mentre cercava di trovare un riparo sotto a qualche tendaggio dei vari bar e pub di quella strada.
La corvina si strinse nel suo giubbotto fradicio per cercare di scaldarsi mentre davanti al suo viso si formarono delle nuvolette di vapore che solo a guardarle, la fecero tremolare dal freddo. Riprese a camminare, fin quando una voce che le sembrò abbastanza familiare, ma non ricordava di chi fosse, la chiamò.
Elizabeth si girò verso il punto da cui si era sentita chiamare e notò una macchina grigia ferma vicino al marciapiede. I fanali della macchina si illuminarono ad intermittenza per alcuni secondi. La ragazza inarcò un sopracciglio, domandandosi chi potesse essere. Tutte le persone a cui aveva chiesto aiuto, le avevano detto che era impegnante quindi chi diavolo era?
Incerta si avvicinò a quella macchina abbastanza familiare e quando il finestrino fu abbassato, si pentì di averlo fatto. Ma proprio lui dovevo beccare? Cazzo, oh! Pensò Elizabeth roteò gli occhi e lasciando sfuggire dalle sue labbra carnose uno sbuffo scocciato.
All'interno della macchina c'era Cameron Powell, il quale aveva dipinto sul viso un sorriso sghembo, «Forza Sali.»
«No, grazie», replicò lei con tono gelido e il più possibilmente distaccato. Perché non se ne va a fare in culo? Posso farcela anche senza il suo aiuto! Se, come no!
«Forza, sali. Stai congelando, in più sei fradicia», Cameron le aprì lo sportello della macchina e l'incitò a salire. Elizabeth sbuffò sonoramente poi salì sull'auto dell'unica persona con cui non avrebbe voluto passare del tempo e come diceva sempre "la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo". E cazzo se era vero.
La ragazza si rannicchiò sul sedile, bagnandolo completamente mentre cercava in tutti i modi di non portare il suo sguardo sulla persona che guidava.
Il ragazzo con nonchalance voltò il busto e il viso verso Elizabeth, la quale sobbalzò sul sedile pensando che lui volesse baciarla, «C-che fai?», domandò paonazza e boccheggiante.
Cameron scrollò le spalle con nonchalance poi allungò un braccio verso i sedili posteriori e afferrò una coperta che lanciò fulmineamente addosso ad Elizabeth, «Copriti con questa. Non voglio vederti morire congelata.»
Elizabeth lo fissò accigliata poi spostò lo sguardo verso la coperta che teneva tra le mani. Era davvero il ragazzo che per tre anni l'aveva presa in giro con i suoi amici? Perché si stava comportando gentilmente con lei? Era forse impazzito?
La ragazza gonfiò le guance poi si avvolse con la coperta «Grazie», bofonchiò con voce talmente bassa che sperò che Cameron non l'avesse sentita.
Il ragazzo fece partire la macchina, accendendo la radio, la quale stava trasmettendo un vecchia canzone mielosa che fece venire il voltastomaco ad entrambi. Elizabeth spense di getto la radio, facendo calare il silenzio nell'auto, accompagnato unicamente dal picchiettio della pioggia.
La ragazza portò il suo sguardo verso il finestrino, cercando di non pensare al fatto che fosse insieme a Cameron Powell, nonché sua cotta di prima liceo, poi emise un sospiro che andò ad appannare il vetro. Con un lembo di coperta lo pulì velocemente poi incominciò a fissare le goccioline d'acqua che scorrevano lungo la liscia superficie del vetro. Decise di far finta che fosse una competizione quindi scelse la gocciolina d'acqua più grande che i suoi occhi avevano trovato e incominciò a seguire la gara, esultando mentalmente quando fu la prima ad arrivare al traguardo, sparendo oltre il finestrino.
«Si può sapere che ci facevi in giro a quest'ora e per di più senza un ombrello?», Elizabeth sbatté velocemente le palpebre, come risvegliata dal sonno poi si bloccò a pensare ad una risposta da dargli. Erano già le otto passate e lei aveva passato quasi tre ore sotto alla pioggia a girovagare in tondo perché si era persa più volte, però quello non glielo avrebbe sicuramente confessato.
«Tu che ci facevi in giro a quest'ora?», domandò di rimando Elizabeth con tono acido, scimmiottando la stessa frase del ragazzo.
Cameron roteò gli occhi color ghiaccio mentre voltava verso destra, «L'allenamento è durato più del solito. Il coach non voleva farci tornare a casa... Sai, sabato abbiamo una partita importante», rispose con voce calma e gentile.
Elizabeth si diede un piccolo pugno sulla mano sinistra, come per dire che aveva capito poi fece una smorfia con la bocca, «Giusto. E per la cronaca non me fotte un cazzo della vostra stupida partita», ribatté acidamente.
«Allora??»
«Allora cosa?»
«Tu perché eri in giro?»
«Mi sono persa...», farfugliò, vergognandosi di quel fatto. Le sue guance si erano colorate di bel rosso acceso che faceva contrasto con la sua pelle pallidissima, «Non ho senso dell'orientamento. Volevo tornarmene a casa, ma non sapevo quale strada prendere e in più mi sono persa non so quante volte.»
Cameron spalancò gli occhi e lentamente si girò verso di lei, completamente scioccato da quella rivelazione, «Non potevi chiamare qualcuno? O ripararti da qualche parte?», fece una pausa inumidendosi le labbra, «Domani ti ritroverai con un raffreddore della madonna se non ti cambi immediatamente.»
Elizabeth voltò il capo verso di lui e assottigliando gli occhi, lo guardò malissimo «Non ho intenzione di dare spiegazioni a te e, giusto per metterlo in chiaro: non mi cambierò davanti a te, né tanto meno in questa auto», sibilò gelidamente. Si è davvero preoccupato per me? Dio, Cameron che si preoccupa per me è la cosa più assurda e folle che il mio cervello potesse elaborare.
«Ti porto da me.»
«Col cazzo. Tu mi riporti a casa mia!»
«Casa tua è dall'altra parte della città. Mi spieghi come cazzo ci sei arrivata qui?»
«Come minchia sai che casa mia si trova dall'altra parte della città?»
«No, ma ce la fai? Da bambino sono stato il migliore amico di Josephine e quasi tutti i pomeriggi venivamo in bicicletta a casa tua per giocare insieme», esclamò Cameron con ovvietà, tenendo un sopracciglio castano inarcato.
«Giusto...», Elizabeth dopo quella conversazione non parlò più. Rimase in silenzio ad ascoltare la pioggia che picchiettava contro alla macchina e ai finestrini.
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