La fuga (pt.2)
Ambra Pov's
La mia tempia destra impatta fortemente contro il vetro spesso e freddo, facendomi gemere per il dolore e dischiudere stancamente le palpebre ancora intorpidite. Volto il capo verso la russa, intenta a pilotare l'elicottero, ma stranamente i suoi occhi fiammeggiano di terrore. Le sue pupille sono dilatate ed il respiro risulta frammentato mentre le sue labbra piene son morse con nervosismo sino a sanguinare. Celermente mi drizzo sul sedile e le domando con allarmismo: «Cosa sta succedendo?»
«Prega.»
Non comprendo immediatamente il senso del lemma da lei appena pronunciato, ma, prima che possa chiederle a cosa si riferisse, l'elicottero perde drasticamente quota, accelerando una violenta impennata verso il basso e tagliando le nuvole come una lama nella carne. Inevitabilmente l'interno della vettura s'illumina di rosso intanto che il suono acuto degli allarmi risuona prorompente all'interno del veicolo volante, facendomi agitare ancor più.
«Natasha! Natasha! Che facciamo?»
Indubbiamente so di non dover affrontare la pericolosa situazione urlando e facendo atterrire ancor più la pilota, ma ormai il panico si è impossessato di me siccome mi rifiuto di morire in una circostanza tanto infame. Sono sopravvissuta alla trasformazione delle mia famiglia, alla condanna corporale di quelle bestie ed alla fuga quasi impossibile dal dirigibile. Non può essere che questa sia la mia fine! Non può! Percepisco il cuore pulsare febbrilmente in petto, il sangue scorrere più rapidamente nelle mie vene e la bile pungere le mie tonsille. Avverto lo stomaco serrarsi e le membra tremare intanto che la vista s'annebbia a causa delle lacrime. Percepisco la schiena bruciare come lava e la lesione alla clavicola squarciarsi sempre più. Ingoio un gemito di dolore ed artiglio violentemente la parte inferiore del sedile, inspirando profondamente e serrando momentaneamente le palpebre.
«Dobbiamo saltare.»
Istantaneamente ruoto il capo nella sua direzione e l'osservo incredula ed atterrita.
«Ci sfracelleremo al suolo!»
La russa mi lancia uno sguardo tagliente, ordinandomi mutamente di non obiettare se tengo cara la pelle, perciò celermente imbracciamo le armi da fuoco. Mentre impugno il fucile, la corvina, dopo aver artigliato l'altro e la pistola, ghermisce fortemente un telone, porgendomelo senza esitazione. Senza porle domande lo afferro intanto che lei ne prende un altro dello stesso colore. Subito dopo ruota verso sinistra e spinge decisamente un pulsante quando istantaneamente le grandi portiere s'aprono violentemente, permettendo al vento freddo di colpire con forza i nostri volti pallidi per il terrore. Lancio un rapido sguardo alla russa che urla dissennatamente: «Dobbiamo lanciarci!»
«Ci schianteremo!»
«Siamo a circa cento metri da terra e se non ci lanciamo ora, esploderemo insieme all'elicottero.»
«Ma...»
La russa si muove invisibilmente e con un colpo deciso mi spinge brutalmente fuori dall'elicottero. Colta dal terrore più viscerale e dall'istinto di sopravvivenza, artiglio disperatamente il telone che quasi immediatamente si apre e mi tira violentemente lontano dal suolo, mozzandomi il fiato e bloccando momentaneamente il pulsare incessante del mio cuore. Non appena mi rendo conto d'esser viva, mi guardo intorno e cerco angosciosamente la russa, accorgendomi quasi istantaneamente che sta fluttuando proprio come me. Sospiro sollevata quando una violenta ed improvvisa folata di vento mi fa precipitare ad una velocità esorbitante. Natasha urla il mio nome in preda al terrore, ma odo la sua voce ovattatamente a causa del rombare impetuoso del mio sangue. Il cuore pulsa celermente nel mio petto caldo intanto che lacrime cristalline bagnano le mie gote ceree. Un singhiozzo muto prorompe dalle mie labbra tremanti mentre osservo la russa urlante e danzante nel cielo.
«Sto per...morire?» Sussurro amaramente a me stessa.
BOOM!
Chino celermente il capo verso il suolo, notando fuoco, fumo e metallo fondersi in un'unica cosa, mentre il mio corpo s'avvicina orribilmente alla zona dove l'elicottero si è schiantato ormai in fiamme.
«AMBRAAAAA!»
L'urlo straziante della russa impatta impetuosamente sul mio animo, destandomi bruscamente e costringendomi a lottare ancora una volta per la mia vita. Non posso e non voglio morire in questo modo. Scuoto fortemente il capo in diniego, arriccio il naso e ghermisco con più fermezza le due estremità del telo mimetico. Quasi immediatamente il grande drappo si arcua, sollevandomi ed attutendo la mia imminente collisione col suolo. Nonostante giostri il telo a favore di vento, non riesco ad evitare e superare il tronco d'un imponente albero, colpendolo violentemente con il busto e gemendo per l'acuto dolore. Inevitabilmente crollo a terra per gravità, gemendo e sospirando, per poi stendermi sull'erba fresca. Serro le palpebre, inspiro profondamente e tasto con rudezza il suolo brinoso sotto di me intanto che liquido di gioia bagna le mie gote esangui ed un sussurro incredulo abbandona le mie labbra tremanti: «Sono viva...»
Lascio che le mie membra vengano lambite dal vento freddo e dal fumo cinereo uscente dalle rovine dell'elicottero quando odo dei passi leggeri avvicinarsi sempre più. Ed ecco che il terrore s'impossessa nuovamente di me, facendomi scattare in piedi e gemere per il dolore, per poi imbracciare fortemente il fucile. Non appena punto l'arma contro il nemico, tiro un sospiro di sollievo, constatando confortata che si tratti di Natasha, ammettendo rincuorata: «Per fortuna sei tu.»
Espiro profondamente, rilassandomi istantaneamente e notando la russa sorridere debolmente per poi crollare a terra ormai sfinita. Celermente mi alzo, mi avvicino a lei e circondo il suo collo con il mio braccio sinistro, aiutandola a reagire e sollevarsi da terra. Posso comprendere il suo dolore fisico e la spossatezza, ma non siamo ancora al sicuro, soprattutto perché siamo al di fuori dalle mura e quindi nel territorio degli zombie. Per di più lo schianto dell'elicottero con il suolo ha prodotto un boato talmente rumoroso da risvegliare l'intera fauna ed inoltre le macerie infuocate dell'elicottero appaiono delle vere e proprie torce per i mutati. Un improvviso brivido sinistro serpeggia lungo la mia schiena, facendomi gemere per il dolore, perciò senza perder tempo scuoto la russa per le spalle, riuscendo a farla reagire ed alzare da terra con il mio aiuto.
«Dobbiamo muoverci.» Asserisco con vivido terrore. «Presto saremo accerchiate dagli zombie.»
Natasha sussurra a capo chino: «Il campo dista un kilometro da qui...non è molto distante.»
Asserisco con un cenno deciso del capo per poi domandarle apprensiva: «Riesci a camminare?»
«Sì.» Natasha si allontana barcollate per poi scuotere decisamente il capo e riacquisire la stabilità perduta. «Grazie.»
Prima che possa risponderle, un ringhio primordiale e demoniaco rimbomba non molto distante da noi. Istintivamente mi volto verso la russa che mi scruta con lo stesso timore per poi impugnare saldamente le armi da fuoco e correre dissennatamente verso la base. Le gambe si muovono rapide mentre i piedi sfiorano appena il suolo inaridito. Il cuore palpita ferocemente nel nido sanguigno intanto che sudore freddo bagna il mio viso e la mia schiena. Il sangue fluisce più istericamente nelle vene, colorando la pelle d'un porpora ardente, mentre il terrore trafigge ferocemente le ossa. Le lesioni sulla schiena s'impregnano di sangue vivo, spaccando la pelle grumosa e bagnando la cute dilaniata, ed i muscoli si tendono e distendono celermente per lo sforzo fisico. Avverto il terrore impossessarsi del mio spirito, ma la brama di vita è maggiore, imponendomi di non crollare e correre sempre più rapidamente verso le mura. Lo sparo della pistola della russa mi fa rinsavire e voltare verso di lei che spara contro i mutati con le fauci spalancate e gli occhi incavati. Dalle loro bocche colme di bubboni e sangue imputridito fuoriescono ringhi gutturali inumani mentre i loro movimenti acquistano via via più velocità. Avverto il cuore esplodermi in petto ed il terrore pregustare il mio spirito, ma Natasha mi trascina violentemente dietro di sé, voltandosi di tanto in tanto e sparando ai mutati sempre più vicini. Inspiro ed espiro profondamente, ma, nonostante ciò, fatico a respirare senza avvertire dolore al petto o al fianco. Percepisco le energie diminuire, il mio moto decelerare e la speranza dissiparsi quando l'urlo di Natasha mi dà la forza per proseguire con più ferocia: «Siamo quasi arrivate!»
Istintivamente alzo il capo e strepitante di vita scruto la grande porta. Lancio un rapido sguardo d'intesa alla russa per poi abbandonare la sua mano e correre dissennatamente verso le mura. Esigui istanti dopo siamo entrambe dinanzi all'enorme porta in metallo ed immediatamente la colpisco con forza via via crescente, urlando aiuto, quando Natasha grida il mio nome: «Ambra!»
Impulsivamente mi volto verso i lei, notando terrificata dietro la sua spalla mutati non molto distanti da noi. Il terrore m'assale, paralizzandomi ed imponendomi di notare l'orrore della degradazione, ma al contrario di me Natasha fa fuoco contro le creature immonde, non riuscendo però a contrastarle. È proprio la forza della russa e la sua maturità che m'incitano a colpire con più vigore la grande porta ed urlare disperatamente aiuto. Sudore e sangue si miscelano sulle mie membra mentre terrore e speranza lottano per il mio animo quando tutto ad un tratto dal punto più alto delle mura qualcuno fa fuoco, colpendo magistralmente i mutati. Un grido di gioia esplode nel mio petto intanto che lacrime cristalline solcano il mio volto sporcato da terra e fuliggine.
«Sei infetta?»
Trepidante mi volto verso la grande porta, notando l'iride nocciola d'un uomo.
«No.»
Prima che l'umano oltre le mura mi risponda, Natasha tuona infervorita: «Ambra sbrigati!»
Lancio un rapido sguardo verso la sua direzione, notando che la pistola è ormai inutilizzabile e di conseguenza sta imbracciando il suo unico fucile. Non abbiamo molto tempo a disposizione e quindi devo assolutamente convincere l'uomo che non siamo contagiate.
«Siamo in due.» Annuncio con agitazione. «Non siamo infette!»
«Potete dimostrarlo?»
L'uomo assottiglia lo sguardo e mi analizza con scetticismo, studiando ogni parte del mio volto. Percepisco il terrore insinuarsi nel mio cuore pulsante, ma l'ira di fallire lo incenerisce con furia. Prima che possa prender atto di cosa stia facendo, annuncio con disperazione bruciante: «Sono Ambra Lamberti mentre la donna che sta sparando è Natasha Romanoff.»
«Ambra?! Ambra...sei proprio tu?»
L'uomo m'osserva con più interesse, ma, prima che possa associare la sua voce a qualche mia vecchia conoscenza, la grande porta si apre, permettendo sia a me che a Natasha di varcare l'uscio giunto in tempo prima della rapida chiusura dell'imponenti ante in metallo. Non appena capisco d'esser salva, crollo in ginocchio per l'eccessivo sforzo fisico, ponendo i palmi sul terreno bagnato ed inspirando profondamente. Ruoto il capo verso destra, notando soltanto adesso la russa alquanto spossata e ferita. Prima però che possa avvicinarmi a lei, la stessa voce di prima echeggia debolmente: «Ambra sei davvero tu?»
Celermente alzo il capo e scruto l'uomo dagli occhi nocciola, immobilizzandomi poi per lo stupore. Tremante e dolorante mi drizzo sulla schiena e mi dirigo verso di lui, fermandomi esigui istanti dopo e sorridendo realmente felice. Istintivamente lo stringo tra le mie braccia, piangendo per l'emozione e ringraziando Dio d'aver finalmente ritrovato un amico.
«Oh Aaron!» Esclamo commossa, sciogliendo rapidamente l'abbraccio ed arricciando il naso. «Sono così felice d'incontrarti nuovamente!»
Il giovane uomo m'osserva realmente turbato ed emozionato, ma, nonostante ciò mi sorride lieto. Prima però che possa parlare, Natasha simula un colpo di tosse, analizzandomi inquieta ed indicando con un cenno rapido del mento il mio amico. Le sorrido debolmente per poi presentare l'uomo accanto a me alla russa: «Aaron è un mio vecchio amico...forse uno dei pochi che abbia avuto al liceo.»
«Vale lo stesso per me.» Conclude prontamente il moro.
Arcuo lievemente le labbra infangate all'insù, ammettendo con gentilezza: «Grazie per averci fatto entrare.»
Il giovane uomo scuote decisamente il capo in diniego per poi grattarsi il nuca con imbarazzo e rivelare con falsa tranquillità: «In realtà vi ho permesso d'entrare solo dopo che ho saputo il tuo nome, poiché di te mi fido. L'ho sempre fatto.»
L'osservo con profonda riconoscenza, abbozzando un sorriso sincero e ringraziando il cielo per averci permesso di sopravvivere ancora una volta. Improvvisamente Natasha s'accosta a me, intimandomi a voltarmi e guardare gli uomini, che prima erano sulle mura, giungere dinanzi a noi.
«Chi siete? Come avete fatto a raggiungere il campo senza esser state infettate? Da dove avete preso quelle armi? Ma soprattutto...da dove venite?»
Il terrore formicola nei nostri animi e quasi immediatamente io e Natasha c'osserviamo reciprocamente in aiuto, accennando sincronicamente un gesto d'assenso col capo, per poi rivelar loro la nostra storia, poiché l'essenziale è essere vive.
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