Fuga riuscita

«Mamma ho paura.»

Chino il capo e stringo con forza le mani tra loro, tremando e riuscendo appena a non piangere.

«Non dire assurdità!» Mi rimprovera con voce grave. «Perché mai dovresti aver paura?»

«Temo di sbagliare tutto e bloccarmi nel bel mezzo dell'esibizione.» Ammetto in un singhiozzo. «Voglio suonare bene per me e per te, ma ho paura.»

«Smettila!» Tuona alterata, fissandomi con occhi glaciali. «Sei mia figlia, perciò devi essere forte. Sono una cosa dovresti temere, quale?»

«La morte.»

Mia madre sospira e mi sorride, avvicinandosi e ponendo le sue mani sulle mie, tremanti e strette in forti pugni. Con gentilezza mi spinge ad alzare il capo e guardarla negli occhi scuri. Rimaniamo così ed in silenzio per qualche istante fin quando la donna dinanzi a me non si drizza sulla schiena e si allontana di poco.

«Sei forte e lo sarai sempre, perciò cosa temi?»

«La gente, il pubblico o chiunque sia qui per giudicarmi. Non voglio fallire!»

«Non dire idiozie!»

La sua voce, autoritaria ed acuta, fa voltare alcune persone, ma prontamente si scusa e mi si avvicina. Mi ghermisce per un braccio e mi conduce con sé in un angolo appartato, fermandosi dinanzi a me e fissandomi con collera: «Il pubblico ti mangia?»

«No, ma...»

«Allora qual è il problema?»

Schiudo le labbra per ribattere ma le serro poco dopo, in quanto ha ragione. Nonostante ciò, il cuore continua a pulsarmi in petto con vigore tanto da farmi male mentre percepisco le gambe liquefarsi ed il corpo fremere. Un brivido, lungo e freddo, mi fa drizzare nello stesso istante in cui un gelo ingiustificato s'impossessa delle dita. Avverto le lacrime pizzicarmi gli occhi, perciò scuoto il capo con veemenza tanto d'attirare l'attenzione di mia madre, ovvero la persona più forte e combattiva che abbia mai conosciuto. Si china alla mia altezza e mi scruta con dolcezza, stringendomi a sé ed infondendomi il coraggio a me mancante. Da grande vorrei essere come lei, caparbia ed indistruttibile senza mai mancare d'animo. So che il mio nemico più grande sono io, in quanto temo di fallire e perdere quel poco che ho, ma ora non riesco a vincerlo, non ancora.

«La prossima pianista è Ambra Lamberti!» Vocia qualcuno al microfono.

«Mamma...»

«Vai e dai il meglio di te.»

«Mamma ma io...»

Prima che possa terminare la frase, mi afferra saldamente per le spalle e mi guarda diritto negli occhi, asserendo con fermezza: «Se sbagli, vai avanti. Se hai un vuoto, inventa. Solo la morte devi temere, ma ti assicuro che non devi angosciartene visto che hai appena quindici anni e quindi una vita dinanzi a te.»

Sospiro inquieta, acconsentendo col capo ed udendo le sue parole di conforto: «Spacca tutto e non demordere mai. Sei tu che comandi e non il pianoforte.»

Le mie labbra s'arcuano in un timido sorriso, nonostante il mio cuore continui a battere con vigore. Avanzo dietro le quinte e, prima d'entrare in scena, inspiro profondamente e trovo la giusta concentrazione, oltre che al coraggio. Salgo sul palco e le luci m'accecano mentre volti sconosciuti nell'ombra mi guardano curiosi e giudiziosi. Mi accosto traballante al pianoforte, mi siedo con lentezza sullo sgabello e guardo i tasti in cerca d'aiuto. Chiudo le palpebre, poggio le dita sullo strumento e...

«Ambra svegliati.» Vocia la russa, scuotendomi per una spalla e facendomi mugugnare in disapprovazione. «Siamo arrivate e non abbiamo tempo da perdere, perciò scendiamo subito dal veicolo.»

Sbadiglio stordita, stropicciando le palpebre indolenzite e mormorando appena: «Dove siamo?»

«A poco meno di mezz'ora di macchina da Bari. La casa del mio amico è qui vicino.»

Nonostante abbia dormito più di un'ora, sono stremata come quando termino un allenamento sfiancante o un'impervia corsa. Sbadiglio ancora e guardo attraverso il finestrino le abitazioni oscure d'un paese dall'aria vagamente familiare. Natasha guida senza disturbo alcuno, vista l'ora tarda e l'accessibilità delle strade. Solitamente la gente alle 2:46 del mattino dorme o lavora, perciò non perdiamo tempo ed infatti esigui istanti dopo giungiamo dinanzi ad un casolare. La luce fioca, emanata da una lampadina penzolante, illumina parzialmente l'entrata d'un garage e la sagoma oscura d'uno sconosciuto. L'uomo è basso, robusto e fermo con le braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso su di noi. Natasha usa i fari dell'auto militare e, prima che capisca cosa stia accadendo, lo sconosciuto si fa da parte, permettendoci d'entrare nel garage. Nell'alzarsi, la serranda produce un rumore stridulo e fastidioso, ma, nonostante ciò, nessuno dei vicini sembrerebbe occuparsene. La russa prosegue senza indugio, parcheggiando la vettura e scendendo da essa con un balzo. Riluttante la seguo quando odo la voce arrochita dello sconosciuto: «Natasha...da quanto tempo!»

Inevitabilmente il mio interesse si riversa sullo sconosciuto che si avvicina sorridente alla russa. L'uomo, che di sicuro ha varcato la soglia dei sessant'anni, si presenta stanco ed affaticato. Il viso rugoso e l'incarnato giallognolo mi fanno ben intendere lo sforzo che ha compiuto per esser qui, questa notte. Il mento e le gote sono ricoperte da una barba nivea, contrastando il nerume paglioso che fuoriesce dal forame sopraorbitale. Gli occhi, vispi e scuri, ed il rossore delle gote invece mi fanno intendere l'ottimo stato di salute in cui verte, evidenziato anche dal ventre prominente e rotondeggiante.

Natasha acconsente gaia, rispondendo con spigliatezza: «Alla fin fine sono passati parecchi anni.»

«Sei cresciuta.» Conferma il vecchio, esaminandola nostalgico. «Sei incantevole e certamente più forte d'allora.»

«Sai bene che l'adulazione ti poterà a stenderti sul pavimento del garage, vero?»

Un riso allegro prorompe dalle labbra dell'anziano che sospira allietato: «Sono contento di notare il tuo non cambiamento, poiché sei una ragazza unica nel suo genere e devi rimanere tale.»

Natasha arriccia le labbra e lo minaccia di stenderlo con un gancio se non smette d'adularla, in quanto è visibilmente imbarazzata e detesta mostrarlo. Proprio per questa ragione gli occhi vispi del vecchio si fissano su di me per poi indicarmi e domandare alla russa: «Chi è?»

«La mia unica e vera amica, perciò trattala bene.»

«Così mi offendi! Sai che sono un signore.» Si difende, gonfiando il petto e concedendomi un affabile sorriso. «Qual è il tuo nome?»

«Ambra.»

Prima che l'uomo possa rispondermi, Natasha s'intromette: «Dobbiamo svolgere l'operazione senza perder tempo, o erro vecchio?»

L'anziano emette un verso di stizza, per poi afferrare due grossi secchi di vernice e proseguire con affanno: «Vorrei vedervi alla mia età! Dovete sapere che quando ero giovincello, ero vero un demonio e...»

«Non sei cambiato per nulla.» Conclude la russa, sorridendo beffarda e strappandogli dalle mani un secchio: «Dai qui.»

La russa mi fa cenno di prendere l'altra, ma, anche senza il suo gesto, l'avrei comunque sottratta all'uomo. Prima però che possa togliergliela dalle mani, l'anziano mi costringe a fermarmi, asserendo con vivacità: «Non farei mai lavorare una donzella quando posso usare ancora la forza che mi rimane.»

«Vorrei esser d'aiuto.» Obietto decisa.

«Sei così graziosa che ti rovineresti a portare questo peso.»

«Smettila vecchio.» Lo rimprovera Natasha, poggiando il secchio vicino alla macchina e fissandolo con collera. «Ambra è più forte di quanto sembri infatti non ti consiglio di vederla in azione.»

«Quindi celi una guerriera?» Mi domanda l'uomo, lasciando il peso a terra e sospirando lieto.

Acconsento col capo, sottolineando: «Ma umana

«Gli umani sono meglio di tutti.» Ribatte l'uomo, scacciando con mano la mia insinuazione.

Natasha emette un gemito di frustrazione, afferrando un pennello e puntandolo minacciosamente contro il vecchio: «L'uomo è malvagio, egoista e schiavo del sesso. Venera solo il Dio denaro ed il figlio Potere.»

«Se continuerai ad alterarti in questo modo ti usciranno le rughe prima del tempo!»

Reprimo a stendo una risata, premendo con forza la mano contro le labbra, ed osservo divertita l'arguzia del vecchio. Inevitabilmente sposto lo sguardo sulla russa che, rossa per l'imbarazzo, ghermisce il pennello sporco di vernice ed avanza minacciosa verso il suo accusatore, ora accanto a me. Natasha lo fissa collerica mentre l'anziano continua a sorridere esilarato, spingendola a minacciarlo: «Osa un'altra volta e non vedrai più un dolce.»

Confusa dalla stramba avvisaglia, domando per quale motivo l'uomo dovrebbe temerla ed esortandola a rispondermi: «Ogni settimana pago la pasticceria di qui affinché la domenica arrivi una torta sempre diversa a casa sua.»

Prima che possa comprendere cosa stia blaterando, il vecchio s'intromette: «Natasha posso assicurarti due cose. La prima è che sono giovane dentro mentre la seconda riguarda la tua collera immotivata, visto che le donne s'inalberano solo se discuti sul loro peso.»

«Ringrazia Dio che sei più grande di me, o avrei lottato contro di te per l'affronto subito.»

Lo scambio di battute che segue è rapido e piccante per poi concludersi in lavoro efficiente. Tinteggiamo l'auto con la vernice blu, interrotta di tanto in tanto da fulmini verdi, e sostituiamo le gomme per precauzione. Natasha cambia la targa mentre io e l'anziano scardiniamo i tubi e togliamo il telone militare che ricopre posteriormente la vettura. L'operazione ci porta via un'ora e mezza, ma alla fine ne è valsa la pena. L'uomo, nonostante la veneranda età, ha prestato servizio sino alla fine, aumentando al stima già che provavo verso di lui. Dopo aver messo ogni mezzo a suo posto, montiamo in auto e sospiriamo stremante. Natasha abbassa il finestrino, saluta il vecchio con affetto: «Grazie per averci aiutate, vecchio. Arrivederci.»

L'uomo sorride bonariamente, scuotendo il capo in diniego e rispondendo con calma: «Questo ed altro per te e per le buonissime torte.»

Natasha ride serena quando l'anziano si sporge di poco e mi saluta: «Buona fortuna, Ambra.»

Lo ringrazio con un sorriso: «Ne avrò bisogno.»

Qualche minuto dopo siamo già fuori dal pesino e, lanciando un rapido sguardo all'orologio, mi sorprendo. Sono le 4:12 del mattino e, come al solito, la mente calcolatrice di Natasha ha determinato la giusta tempistica. Stancamente poggio il capo contro il finestrino, rilassandomi e contemplando quasi assopita il paesaggio ancora addormentato. Circa mezz'ora dopo giungiamo a Bari, destandomi bruscamente dallo stato di dormiveglia e fissando sconcertata la mia città. Inevitabilmente le lacrime mi pungono gli occhi ed il cuore mi batte furioso in petto. Il respiro s'irregolarizza e lo stomaco si stringe in una morsa, ferrea e dolente. Le mani mi tremano e le violente emozioni quasi mi affogano. Arriccio il naso e tento di non piangere, ma non ci riesco. Osservo afflitta e nostalgica la mia città, udendo appena la voce di Natasha: «Siamo arrivate.»

Non riesco a spiegare come sia uscita dalla macchina e proseguito sino alla porta d'ingresso, poiché i ricordi m'invadono, facendomi rivivere memorie, vecchie e felici. Non riesco a credere d'esser di nuovo a casa, di aver trascorso quattro anni lontano da qui. Osservo emozionata l'abitazione, notando commossa che nulla sia mutato, fatta eccezione per la polvere depositata sulle finestre. Il portone in legno massiccio appare forgiato nel muro mentre il colore niveo del terrazzo mi provoca una fitta al cuore. Crollo al suolo e piango disperata, rimembrano gli ultimi istanti che vissi qui dentro. Natasha mi si accosta, chinandosi ed aiutandomi ad alzarmi. Singhiozzo infelice e tremo sulle gambe, udendo appena la sua voce: «Parcheggiamo la macchina in garage ed entriamo in casa.»

L'osservo con sguardo assente, acconsentendo debolmente col capo e stringendola a me. Senza alcun dubbio sarei rimasta qui, per terra, dinanzi al portone se non fosse stato per lei. Con gentilezza mi conduce alla macchina, trascinandomi con sé e scrutandomi addolorata al suono della mia voce: «Sono a...casa.»

Levi Pov's

Grido irritato e dolente, balzando seduto sul divano bucato. Avverto la testa in fiamme tanto da portare entrambi i palmi sulle tempie, massaggiandole con forza. Mi sembra d'aver dormito per troppo tempo in seguito ad una forte colluttazione con qualcosa. Tento di mettere a fuoco il luogo dove mi trovo, ma l'intera stanza vortica intorno a me. Impreco e chino il capo quando un oggetto attira la mia attenzione: un reggiseno. Dischiudo e riapro le palpebre più volte sin quando non noto dei cocci sparsi qui e lì. Con un gesto rapido artiglio il reggiseno e nell'esaminarlo mi rendo conto che il gancio sia stato reciso brutalmente. Non riesco a trarne subito una conclusione a causa del lancinante mal di testa, ma un odore familiare mi spinge a ricordare. Rammenti non vividi mi si riversano addosso con violenza, costringendomi a gettare il capo indietro e respirare affannosamente. Tutto ad un tratto ricordo quello che avvenne in sala, della fuga di Ambra e del nostro bacio scambiato dopo aver bevuto il suo sangue. Un'altra fitta mi costringe a gemere ed inarcare il busto mentre mi costringo a rimembrare altro. Poco dopo riesco a ricordare la casa del custode e la passione, ma, prima che potessi averla, mi colpì con un vaso e scappò via con la collana. Furioso balzo in piedi, ottenendo come risultato un violento capogiro. Prima che possa crollare a terra, riprendo l'equilibrio perduto e lancio via il reggiseno. Inspiro profondamente e penso a come sia potuta succedere una cosa simile. Ambra non sarebbe mai riuscita ad impossessarsi della chiave se non fossi stato drogato. Un ringhio primordiale abbandona le mie labbra quando scopro l'identità di chi abbia fatto sì che ciò avvenisse: «HANJI ME LA PAGHERAI!»

Dolente ed ancora intontito, esco dalla casa del custode, constatando poco dopo il silenzio immacolato che possiede la villa. Avanzo con lentezza e con poco equilibrio sino a trovare una guardia ed ordinarle di condurmi a Lecce. L'uomo non si scompone ed esegue il comando, rimanendo in silenzio per l'intero tragitto, anche quando capisco come Ambra sia riuscita a ridurmi in questo stato, mormorando tra me e me: «Sangue.»

Poco dopo al guardia m'informa che siamo arrivati, perciò scendo dalla vettura e gl'impongo un altro ordine: «Mi porti Kenny Ackerman.»

«Dove, signore?»

«Esattamente qui tra un'ora.»

«Eseguirò, signore.»

Acconsento con un cenno del capo, permettendogli così di allontanarsi in tutta rapidità verso le strade del sud Italia.

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