2 - Dove un occhio fa sempre comodo

2 - Dove un occhio fa sempre comodo

Armata di pugnale, zaino e tanta pazienza, e con il cappellino degli Yankees sistemato alla cintura, aspettai Percy dove ci eravamo dati appuntamento: davanti alla mensa. Ero ormai fradicia dalla testa ai piedi per colpa del temporale, e i capelli appiccicati alle guance mi davano una visuale limitata, ma lo vidi arrivare lo stesso, con la sua camminata sicura e l'espressione di uno pronto a tutto.

― Allora ― esordì ― qual è il piano per arrivare a Central Park senza che tu ti prenda una polmonite per colpa di uno stupido...

Gli tappai la bocca con una mano prima che potesse insultare Zeus con qualche epiteto poco conveniente per la nostra sopravvivenza. ― Il piano è prima di tutto tenerci amici gli dei ― gli dissi in tono di rimprovero. ― Poi pensavo di chiamare un taxi.

Percy si liberò della mia mano, scostando la testa. ― I taxi mortali non trovano il Campo, lo sai.

― Ho detto "taxi mortali"? ― Sorrisi. No, non avevo detto "taxi mortali". Avevo detto solo "taxi". Mi incamminai verso l'uscita del Campo e spiegai il resto a Percy strada facendo. ― Ci sono queste tre simpatiche vecchiette note come Sorelle Grigie che scorrazzano semidei, divinità e mostri in giro per la costa est. L'ho letto su Olimpo 2000. Pare che abbiano delle tariffe piuttosto convenienti... se sopravvivi al viaggio. Il loro vero nome è quello di Graie, note anche come Forcidi. Sono sorelle delle Gorgoni e di...

― Medusa ― disse Percy. Poi curvò le labbra in un accenno di sorriso. ― Sai, a volte ti ascolto quando parli. Più che altro ho paura di rimetterci la pelle se non lo faccio.

Evitai di replicare alla battuta. ― Non ho mai incontrato le Sorelle Grigie ― ripresi a dire ― ma non mi sembrano una brutta idea. Voglio dire, quanto possono guidare male?

― Peggio di te è difficile ― ribatté Percy. Lo fulminai, ma lui si limitò ad una scrollata di spalle. ― E' la verità e su questa non te la darò vinta ― disse. ― Non sai guidare. Ti ricordi il sidecar preso al Castori Inn? Io sì. Mi veniva da vomitare ad ogni inchiodata. 

― Quanto sei esagerato ― replicai. Ormai avevamo raggiunto il pino al confine del Campo Mezzosangue e cominciammo a scendere lungo il pendio che portava alla strada principale. ― Comunque sia, per chiamare le Sorelle Grigie sembra che basti dire ad alta voce i loro nomi. Li odiano.

― Come si chiamano, Ipotalamo, Microcefalo e Cervelletto? ― fece Percy.

― No, ma ci sei andato vicino.

Giunti sul ciglio della strada, gli schioccai un'occhiata, per capire se era pronto. Lui annuì come se non vedesse l'ora. Allora io scandii ad alta voce i nomi delle Sorelle Grigie. ― Enio, Penfredo e Deino!

Percy alzò le sopracciglia, più disgustato che divertito. ― Penfredo? In confronto Cervelletto può vincere il premio per il nome migliore dell'anno...

Fece appena in tempo a finire la frase che un taxi dalla vernice gialla scrostata atterrò dal cielo come un meteorite, sbalzandoci lungo l'asfalto di un paio di metri. Per mia fortuna atterrai sopra Percy, risparmiandomi un po' di lividi, ma lui non apprezzò molto il ruolo da materassino da spiaggia. ― Ti amo ― disse in tono dolorante, ― ma preferirei essere atterrato in una maniera più soft, la prossima volta.

Mi alzai, aiutandolo a tirarsi su. ― Credevo adorassi le mie maniere forti.

― Non quando sono io a rimetterci le costole.

Raggiungemmo il taxi proveniente dallo spazio. Allungai una mano per aprire la portiera dei sedili posteriori ma quella si spalancò da sola, facendomi saltare indietro. Sbattei di nuovo contro Percy, ma stavolta lui mi afferrò al volo, senza perdere l'equilibrio. ― Non mi resisti, eh? ― Gli tirai una gomitata davvero forte, e poi salii a bordo del taxi.

Era l'autoveicolo più disgustoso su cui io avessi mai messo piede. Sulla fodera del tetto erano incrostati vecchi chewingum rinsecchiti. Sui tappettini vagavano lattine vuote di pepsi. I finestrini erano così lordi che non si capiva neanche se fuori era notte o giorno. I sedili erano cosparsi di peli d'animale, quale non volevo saperlo. Davanti, una al posto di guida e le altre due stipate nel sedile del passeggero, c'erano le tre Sorelle Grigie in tutto il loro... schifo. Erano brutte, rivoltanti e in putrefazione. Sul serio, puzzavano davvero di cadavere. Indossavano degli stracci grigi (ovviamente) stile sacchi dell'immondizia e la loro pelle grigia (ancora ovviamente) era così raggrinzita e piena di pustole da sembrare carta pesta annacquata nell'East River. Poteva esserci qualcosa di peggiore? Ovvio. Al posto degli occhi le Sorelle Grigie mostravano con orgoglio le loro belle cavità orbitali nere come la pece. Appeso allo specchietto retrovisore, al posto di un Arbre Magique al melograno o di un paio di dadi peluche souvenir di Las Vegas, penzolava il loro unico occhio comune. ― Già, mi ero dimenticata di dirtelo ― bisbigliai a Percy, indicando l'iride tumefatta e melmosa ― Hanno solo quello, in tre.

― Come se avere quei nomi orribili non fosse già abbastanza ― fece lui. ― Se mi dici chi delle tre è Panfredo, giuro che la invito a cena.

Captando il bisbiglio di uno dei loro nomi, le Sorelle Grigie si voltarono di scatto. Sorrisero, mostrando le loro orripilanti gengive grigie prive di dentatura. Solo una delle tre sfoggiava un incisivo giallognolo e marcio. Era l'altro particolare disgustoso che le Sorelle condividevano, oltre l'occhio. ― Sorelle Grigie al rapporto! ― urlarono con voci gracchianti e stridule, come fossero tre vecchiette scippate davanti al supermercato. ― Prima la grana, poi ingrano! ― disse quella al posto di guida, battendo una mano scheletrica sul cambio delle marce. La sorella munita di dente aprì il palmo sotto i nostri nasi. ― Cento dracme! Contanti, carta di credito o bancomat?

― Cento dracme? ― ripeté Percy. ― E' un furto. Ho visto arpie che offrono un servizio più rapido alla metà del prezzo.

― Più rapido? ― strillò la terza sorella. ― E' già un'onta averti a bordo della nostra Batmobile, Perseus Jackson! Non insultarci oltre!

Percy stava davvero per arrabbiarsi. ― Un'onta?

Lo trattenni, schiacciandolo con una mano contro il sedile. ― Ce l'hanno con il tuo omonimo, Perseo. Gli ha giocato un brutto scherzo, con quel loro occhio. Lunga storia.

― Cento dracme ― ripeté la sorella con il dente.

Frugai nello zaino e tirai fuori il bancomat. Allora la sorella al volante staccò l'occhio dallo specchietto retrovisore e se lo ficcò nella cavità orbitale sinistra, dicendo: ― Sono mancina.

Quella con il dente passò il bancomat e me lo riconsegnò insieme ad uno scontrino con un ghigno soddisfatto. ― Destinazione?

― Central Park ― dissi.

― Più rapido! ― esclamò la terza sorella, come se fosse rimasta alla conversazione di prima. ― Glielo diamo noi, un servizio più rapido.

Percy roteò gli occhi, sbuffando. ― Come faccio a incasinare sempre le cose già incasinate?

― Me lo chiedo sempre anche io ― ribattei.

Le Sorelle Grigie mandarono all'unisono una risata degna della Befana, e poi il taxi sgasò. La prima sensazione fu simile a quella che si prova sulle montagne russe. Lo stomaco mi salì più o meno all'altezza dello sterno e l'intestino fece cambio posto con i polmoni per qualche istante. D'istinto, afferrai una mano di Percy e strinsi forte. A peggiorare la situazione, la sorella con il dente accese la radio. Passavano una canzone degli One Direction e alzò a palla, entusiasta per la scelta del DJ. Ma dato che non era ancora abbastanza per il viaggio peggiore della storia, si mise anche a cantare a squarciagola. ― But if you like causing trouble up in hotel rooms, and if you like having secret little rendezvous, if you like to do the things you know that we shouldn't do... Baby, I'm perfect! Baby, I'm perfect for you!

Le altre due sorelle si unirono al coro con entusiasmo, sfoggiando gargarismi e rantoli degni di gatti scuoiati vivi.

Era il fondo. Peggio, il fondo del fondo. L'intercapedine del Tartaro. E credetemi, c'ero stata laggiù, perciò sapevo quello di cui stavo parlando. Nella disgrazia, però, a Percy scappò da ridere. ― Se hanno anche Harry Styles come sfondo del telefono giuro che le invito a cena tutte e tre.

Venne da ridere anche a me. ― Lo giuri?

Lui mi guardò con i suoi occhi verde mare. ― Lo giuro sullo Stige.

Risi ancora più forte. Un giuramento sullo Stige? Non mi sarei certo lasciata sfuggire un'occasione come quella. Mi sporsi in avanti scollandomi dal sedile fetido e cercando di non vomitare per l'alta velocità battei una mano sulla spalla della sorella con il dente. Quella si girò di scatto, fulminandomi (con le orbite vuote, si intende) per averle interrotto l'assolo finale. ― Ha buon gusto musicale ― urlai sopra il volume altissimo. Indicai la radio, come se dentro ci fossero tutti e cinque, o quattro, gli One Direction. Non ero abbastanza informata da sapere a quale periodo della band risalisse quel pezzo. ― Non è una vera fan se non ce li ha sullo sfondo del telefono, però.

La Sorella Grigia mi guardò (sempre con le orbite vuote) e sbuffò come a dire: "Ma con chi pensi di avere a che fare, ragazzina?" Tirò fuori dalla manica della tunica cenciosa un i-Phone 6 plus con una cover nera glitterata. Illuminò lo schermo, mostrandomi lo splendido sorriso di Harry Styles. ― Enio preferisce Niall e Deino Liam, ma per me non ci capiscono davvero un accidente.

Annuii, come se concordassi appieno. Alle mie spalle, Percy si picchiò la fronte con una mano. Poi il taxi inchiodò, e mi ritrovai scagliata contro di lui per l'ennesima volta. ― Ti tocca pagare una cena, Testa d'alghe.

― Lo metto nella lista delle cose da fare ― disse in tono sconfitto.

― Corsa terminata! ― urlò la Sorella Grigia al volante, strappandosi l'occhio dalla cavità orbitale. Già, un vero schifo. ― Fuori, fuori, fuori, pelandroni!

Salutammo quella con il dente, la più simpatica delle tre, in fin dei conti, e rotolammo fuori dal taxi.

Il temporale imperversava ancora furioso, gettando un'atmosfera lugubre sulla città. Davanti a noi, Central Park più che un idilliaco ritrovo per rilassanti pic-nic sembrava una fucina ribollente di mostri e pericoli.

Cominciai a spiegare il mezzo piano che avevo elaborato. ― Raggiungiamo l'ingresso dell'Oltretomba...

Percy mi interruppe subito. ― Prima facciamo smettere questo diluvio universale ― disse. Lo faceva per me, perché lui era immune all'acqua, anche se a mandarla giù a secchiate era il capo degli dei. ― Hey, Zeus! ― urlò a squarciagola contro il cielo. ― Che ne dici di piantarla? Stiamo lavorando per te, se non ti dispiace. Non chiediamo collaborazione, ci mancherebbe, ma almeno non essere ostacolati troppo sarebbe carino, non ti pare? Perciò piantala e vatti a trovare una ragazza!

― Percy! ― lo ammonii, certa che quell'ultimo commento non sarebbe piaciuto a Mr. Folgori. Invece il temporale si placò di botto, come per magia, lasciando però il cielo notturno carico di nuvoloni minacciosi.

― Basta conoscere i suoi punti deboli ― notò Percy, con una scrollata di spalle. ― Lo sai com'è fatto.

Okay, forse il diluvio universale era finito, ma non approvavo comunque quel modo di rivolgersi agli dei. Sì, erano insopportabili. Sì, erano stupidi. Ma erano anche potenti. E pericolosi. Osare con loro significava sempre rischiare. E la mia saggezza da figlia di Atena mi suggeriva che quando si poteva, essere prudenti era sempre meglio. Evitai di farlo notare a Percy, perché lui sapeva benissimo come la pensavo, ma probabilmente assunsi un certo atteggiamento di distacco, e lui lo notò.

― D'accordo, scusa ― disse a un certo punto, mentre camminavano sul sentiero principale del parco. ― Sono stato avventato, hai ragione. Poteva andarmi male e Zeus poteva disintegrarmi con un fulmine.

Mi strinsi nelle spalle, ma mi concessi anche un sorrisetto soddisfatto. ― Io non ho detto niente.

― Hai gli occhi che parlano ― ribatté Percy. ― E che mi fulminano anche, stile Zeus.

Mi scappò una risata. ― Allora buon per te che io non sia un dio.

In teoria, non avremmo dovuto sapere dove si trovavano i confini del Regno di Ade, segnati dalla rinomata porta di Orfeo. Ma in un'avventura di anni prima che aveva avuto a che fare con mio fratello Abaste (storia lunga), io e Percy ci eravamo ritrovati ad usare la spada di Nico Di Angelo come bussola per trovare l'ingresso dell'Oltretomba. Da allora, in pratica, avevamo imparato la strada.

Il tipo da cui l'ingresso degli inferi prendeva il nome, Orfeo, era un semidio strano con la fissa per Hilary Duff. Quando io e Percy lo incontrammo la prima volta, vendeva biglietti e pop corn in un cinema newyorkese che faceva solo rassegne di film riguardanti la mitologia. Perché meritasse di avere una porta in suo onore, non lo sapevo proprio. Sapevo solo che quell'entrata si chiamava con il suo nome perché per aprirla serviva della musica.

Trovammo la porta di Orfeo lì dove l'avevamo lasciata dopo l'ultima impresa. Non somigliava per niente ad una porta. Era solo una caterva di massi ammucchiati a casaccio che di solito venivano usati come materassini prendisole. Dato il recente temporale, però, Central Park era abbastanza deserto, e la porta di Orfeo del tutto sgombra. Anche l'ora non era delle migliori per una scampagnata al parco. Era tipo notte fonda.

Dopo l'attacco di Zeus alla foresta del Campo Mezzosangue, io e Percy ci eravamo precipitati fuori dai confini alla ricerca del ladro della torcia di Ecate. Non avevano perso tempo a guardare l'orologio. Ora che però non ci restava che acquattarci da qualche parte a fare da portinai all'Oltretomba, qualche sbadiglio ci scappava eccome.  Ci sistemammo nei pressi di una bella panchina con cespuglio privato, perfetta per avere un'ottima visuale sulla porta di Orfeo.

― Facciamo dei turni ― proposi.

Percy approvò l'idea all'istante. ― Comincio io. Ti sveglio se succede qualcosa.

― Chiunque voglia entrare da lì farà abbastanza rumore da svegliarmi in ogni caso ― ribattei. Mi riferivo al fatto che servisse della musica per aprire il passaggio. Percy se lo ricordava bene, e annuì.

― Se il ladro userà una canzone degli One Direction, punterò il dito verso Penfredo ad occhi chiusi ― disse ridacchiando. Poi si mise a sedere sulla panchina e mi offrì le gambe come cuscino.

Mi andai a rannicchiare vicino a lui, trovando subito le sue ginocchia un po' troppo spigolose, ma non proferii lamentele al riguardo. Piantai gli occhi sull'ingresso dell'Oltretomba, cominciando a fare possibili congetture sull'identità del misterioso ladro della torcia.

― Secondo te di chi si tratta? ― chiesi a Percy.

Mi posò distrattamente una mano sul fianco, tamburellandomi la pelle. ― Di qualcuno molto scemo ― disse, ― oppure qualcuno molto disperato.

― Tu lo faresti? ― domandai. ― Ruberesti la torcia di Ecate per recuperare un'anima dal regno dei morti?

― Non saprei. Forse per te o per mia madre lo farei. Ma sarebbe una grande prova di forza di volontà. Sai come la penso rispetto a quel postaccio dopo la nostra ultima permanenza.

Il solo ricordo del Tartaro mi fece rabbrividire, ma cercai di non farmi prendere dallo sconforto e posi a me stessa la stessa domanda che avevo rivolto a Percy. Io, Annabeth Chase, avrei mai osato rubare la torcia di Ecate per salvare qualcuno dalla morte?

Il rispetto che provavo per gli dei e il mio buon senso mi suggerirono subito di no. Ma poi Percy rese più consistente la sua presa sul mio fianco, e non fui più così sicura della risposta.

                                                                                                ✩✩✩

N.d.A.: Volevo dedicare questo capitolo a tutti i semidei directioner in circolazione XD Non vi sembra che la canzone preferita delle Sorelle Grigie faccia da meravigliosa colonna sonora alla nostra amata #percabeth? PERFECT! <3 E per i semidei non directioner... ascoltate la canzone, è davvero carina! Al prossimo capitolo, miei cari ;)

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