𝘀𝗵𝘆 𝗮𝘄𝗮𝘆
⟿ ✿ ship :: MomoJirō
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➭ ✧❁ SMUT alert :: "Annuisco e l'attimo dopo, sono al bagno."
➥✱ song :: "Shy Away", Twenty One Pilots
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➤♡❆ comfort fic for :: mericrezia
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
Tutto quello che sto per raccontarvi, inizia esattamente dove iniziano tutte le cose che si rispettino.
In quel luogo magico dove la realtà e la fantasia si mischiano fra i fumi dell'alcol, dove ci sono luci stroboscopiche, ragazzi in latex aderente e ragazze con le camice a quadri, cocktails un po' annacquati e musica pop anni novanta.
Quello dove arrivi che sai cosa vuoi e ti ritrovi alla fine che non ti aspettavi di desiderare altro.
Quello in cui perdi il tuo migliore amico e lo ritrovi due ore dopo a picchiarsi con un altro improbabile omosessuale che sembra uscito da un video di Britney Spears per un tavolo vicino alla console.
Tutto inizia, oggi, in un locale gay.
Il locale gay più gay di Tokyo.
Il mio locale gay preferito.
Non mi definisco una tomboy ma nemmeno una femme, a dirla tutta, accozzo qualche dettaglio qua e là ed esco come viene.
Oggi ho pescato fuori dall'armadio delle meraviglie un paio di jeans un po' larghi, una t-shirt tagliata dei My Chemical Romance che credo di aver comprato agli inizi della mia fase emo, orecchini con gli scheletri d'argento e anelli su tutte le dita.
Gli stessi anelli battono sul legno sporco del bancone del bar, al momento.
Al mio fianco, felice e scemo come al solito, il mio bisessuale e caotico migliore amico che si scola l'ennesimo Cosmopolitan un po' allungato, le gambe che penzolano dallo sgabello e i gomiti appoggiati dove non dovrebbero stare.
Siamo arrivati qui due ore fa, abbiamo ballato quel che c'era da ballare, abbiamo cantato, abbiamo bevuto come due maledetti, abbiamo fatto un po' di casino.
C'è stata la videochiamata a Bakugō che dormiva che ci meriterà cattiverie e maledizioni domani alle prove, poi la telefonata a Shinso che ha promesso di portarci a casa, un giro di shot con i baristi che conosciamo ormai fin troppo bene, e ora stiamo finendo la serata sbollendo la sbronza prima di essere costretti ad andarcene.
I miei talloni sbattono sul legno, quando li getto indietro, la mia mascella cade, la mia mano si appoggia sulla coscia di Denki.
Sento la sua spalla magra premersi contro la mia, il calore del suo corpo e la texture che pizzica delle sue calze a rete.
Siamo spiaccicati così da un quarto d'ora.
E questo perché ai nostri occhi da buffoni, è giunta un'immagine direttamente dal paradiso.
Ok, non negherò che per me tutte le donne con un filino di forme siano immagini del paradiso. Sono giovane, sono lesbica, per me basta un po' di pelle e sono per terra come un tappeto.
E anche Denki, non è tanto meglio.
Solo che davvero, miseria.
Non l'avevo vista.
Non l'avevo mai vista.
Chi è?
Come si chiama?
Come fanno a star su in quel modo le sue enormi, adorabili, bellissime tette?
Ha questo vestito nero che le aderisce al corpo come se fosse una poesia, lo scollo che vorrebbe essere elegante che taglia le spalle con una linea dritta, e le tette che sbordano dalla parte superiore.
È alta.
È bella.
Per me è amore.
− Kyōka, se non vai a parlarle tu, vado io. – mi sento dire all'orecchio, dal cretino che come me rimane a guardare lo spettacolo ballonzolante di lei che gesticola mentre parla.
Deglutisco la saliva che non voglio versare per terra.
− Smetti di fare la troia. –
− Non faccio la troia! –
Fa la troia, lo fa sempre. È fidanzato da quando aveva quindici anni, non ha mai nemmeno pensato di tradire quel gran bel pezzo d'uomo del suo ragazzo, ma fa sempre la troia.
È nel personaggio.
Credo che a Shinso piaccia.
− Sono perfette, Denki, perfette. –
− Sembrano fatte da una divinità. –
È vero.
Sono meravigliose, opere d'arte di qualche artista da Museo del Louvre.
Si gira verso di noi spostando il peso da una parte all'altra.
Salgono e tornano giù.
Indietreggio con i gomiti per godermi meglio lo spettacolo.
− Sono davvero lesbica, Denki. Se le corro addosso secondo te atterro sulle sue tette? –
Mi punzecchia con un gomito.
− Se lo fai voglio farlo anch'io. –
Davvero, vorrei farlo.
Lo farei.
Lo...
− Denki, ci sta guardando? –
Merda.
Siamo stati beccati? Così in fretta? Siamo solo due ragazzi ubriachi, dopotutto, che colpa ne abbiamo se abbiamo visto delle belle tette?
Chiedo venia, polizia del pudore, era solo per divertimento.
Io non volevo...
− Sta venendo da questa parte, tirati su, brutta racchia, è il tuo momento. – è la risposta che ottengo, una mano che mi spinge la schiena dritta e l'altra che mi sistema i capelli.
Ho un taglio corto, che bisogno c'è di sistemarli?
E sono anche lisci come spaghetti.
Cerco di non fissare la sconosciuta nonostante sia palese che fino ad un attimo fa lo stessi chiaramente facendo.
Un po' di contengo, no?
No.
Zero contegno.
Quando è a tiro d'occhio, il mio contegno sparisce e tutto quel che rimane è il suo bel viso – a discolpa non l'avevo tanto notato – e il suo buon profumo, e il mondo sembra ovattato.
Che angelo.
È un angelo del cielo.
Magica.
Mi parla ma non sento. Recepisco un "bagno", un "ciao", ma la mia mente diventa una landa desolata di gattini e cucciolini felici mentre sento la felicità trasportarmi in un'altra dimensione.
Io amo le donne.
Quanto cazzo amo le donne.
− ... ti va? –
Ok, riavvolgiamo il nastro.
Che cosa mi dovrebbe andare?
Tutto, siamo d'accordo che mi vada tutto, ma preferisco prendermi un pelino piccino di cautela.
− Scusami? –
Sorride.
Che bel sorriso.
Ha i denti dritti, bianchi, le labbra tinte di un rosso ciliegia che esalta i suoi occhi scuri e grandi, i capelli lisci tirati su in una coda alta.
Questa volta aggiungo alla mistura "bella" e "tu" e "vorresti".
Cazzo, non posso chiederle ancora cos'abbia detto, sembrerò scema.
Finisce di parlare che un rossore le tinge la cima delle guance, ma nulla di più. Ha la stessa postura sicura di sé, lo stesso modo di fare elegante e perfetto.
Che bella.
Decido di ripiegare su un'opzione inaffidabile ma egualmente disponibile.
Mi giro verso Denki che ha la faccia più scioccata del pianeta.
Che è successo?
Aggrotto le sopracciglia verso di lui.
Lo vedo aprire la bocca, spalancarla, come per urlarmi addosso, poi la richiude, e sussurra al mio orecchio una parola alla volta.
− La ragazza dice che ha bevuto un sacco di vino, pensa che tu sia bellissima e ti chiede se vuoi per caso accompagnarla al bagno. Vai, Kyōka, vai o ti revoco il diritto di toccare le donne, cazzo. –
Eh?
Sono ubriaca, non è vero? Sono ubriaca e ho le visioni. Sono ubriachissima e non so cosa stia succedendo.
Non è raro che qualcuno mi si avvicini in questo modo e io stessa lo faccio, sono piuttosto libertina, e fin qui ci siamo tutti.
Ma...
Mi giro verso la ragazza che sembra uscita dalla copertina di Vogue e penso di annuire troppo in fretta.
− Quello che ti pare. Quello che vuoi. –
Ride appena, si sporge verso di me e mi infila una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
− Sei davvero carina. –
Wow, ha le ciglia davvero lunghissime così da vicino. Saranno finte? No, no, sono sue.
− Kyōka, se non ti muovi ti spacco il culo qui ed ora. – mi sento dire da un Denki molto alticcio e molto felice per me.
Scusa, è che sono rimasta incantata, dammi il tempo.
− Tu ce la fai a rimanere da solo? –
− Hitoshi ha detto che arriva fra due minuti, devo solo trovare un palo su cui ballare e posso farlo perfettamente anche senza di te. –
La ragazza sorride ancora, indietreggia e mi tende la mano.
La prendo e ha la pelle così morbida, così liscia. Ha le unghie corte, rosse come il le sue labbra, le dita eleganti e sottili.
Il mio smalto sbeccato e i calli da bassista non fanno lo stesso effetto.
− Andiamo? –
Dovunque lei voglia, andrei, persino in Chiesa, se me lo chiedesse.
Annuisco e l'attimo dopo, sono al bagno.
Allora, facciamo un po' di chiarezza. Io non sto né sopra, né sotto, sto dove capita, per la maggiore sono solo tanto felice di starci, con una donna, quindi dove va va.
Devo aprire le gambe e stare zitta? Lo faccio, c'è una donna fra le mie cosce, chi non lo farebbe?
Devo essere io a cacciarmi fra le gambe di qualcuno? E che problema c'è, sono pur sempre le cosce di una donna, chi sono io per rifiutarmi.
Per cui non è che pretenda niente, quando mi ritrovo sul lavandino di un bagno pubblico col culo sul marmo e le ginocchia sulle spalle di una ragazza che sembra uscita dal Paradiso.
Pensavo che fosse una di quelle carine e femminili che riceve.
Invece è più tipo "ti faccio quel che mi pare, quando mi pare e come mi pare".
Mi lamento?
No, cazzo, chi si lamenterebbe?
E poi ha anche un senso, io sono un metro e cinquantacinque di rabbia, alcol e omosessualità, lei è altissima.
Vedere la sua testa fra le mie gambe è...
Surreale.
Davvero.
Ho la schiena inarcata contro lo specchio, la testa indietro che cerca comunque di vedere qualche dettaglio qua e là e i pantaloni messi su una gamba sola, le mani si trattengono al lavandino e le gambe cercano di chiudersi sulle sue spalle.
È...
Cazzo, sarà l'alcol che mi fa parlare, ma è brava.
Tipo bravissima.
Tipo che non credo di riuscire a farcela.
Ho l'interno coscia pieno di segni del rossetto, morsi e chi ne ha più ne metta, le ginocchia che tremano e non so nemmeno che nome urlare.
Sorride contro di me, dal basso, mi guarda dritta negli occhi.
− Sei così minuta che tremi tutta, quando faccio questo. – dice sorridendo con una vena di pura cattiveria nella voce.
Tira fuori la lingua, senza lasciare il mio sguardo sale dal basso verso l'alto.
Inutile dire che un bel gemito eloquente mi lascia la bocca.
− Cazzo, cazzo, ca... −
Stringe i miei fianchi con le mani, affonda le dita sulle anche.
Si spinge più forte contro di me.
Sento la sua lingua praticamente ovunque. Ovunque, lo giuro. Dentro, fuori, ovunque.
Non riesco a darmi il minimo contegno.
Apro le gambe ancora di più, tanto che mi fanno quasi male.
Questa donna sì che sa come si tocca un'altra donna, cazzo.
Chiude le labbra attorno al mio clitoride, succhia piano.
Sbatto la testa indietro.
− Cazzo! –
Continua qualche secondo, tanto da farmi letteralmente alzare dal lavandino con la schiena, poi sale e lascia un morso sulla pelle chiara dell'incavo della coscia.
− Continui a dirlo, ma non ci sono cazzi qui e preferirei che non ci fossero. – scherza.
Ha il rossetto sbavato fino al mento e io credo di avere il mascara colato fin sulle guance, ma non m'importa nulla.
− No, no, anche io. –
Passa al fronte della coscia, morde di nuovo e più forte.
Ride piano al gemito che mi esce dalle labbra.
− Davvero? Non sei bi? –
Scuoto la testa, i capelli viola e sottili che ballano con i miei movimenti.
Sale verso l'addome, piatto e magrolino, mordicchia la zona sotto l'ombelico sorridendo verso di me.
− Come... come mai lo pensavi? –
− Il tuo amico è una bandiera dell'orgoglio bisessuale coi piedi, ho solo generalizzato. –
Rido alla battuta, risata che si trasforma in un arioso gemito quando sento le sue mani sistemarmi meglio sul lavandino.
Sfila le spalle da sotto le mie ginocchia, mi tiene su dalla vita, fa per alzarsi.
− No, mi piacciono solo le donne. –
Annuisce, si avvicina a me.
− Molto, moltissimo. – aggiungo.
Mi accarezza uno zigomo con le punte delle dita, inclina la testa.
− Davvero? –
Scende con il pollice sul mio labbro inferiore, le fronti che si toccano e i suoi meravigliosi occhi scuri che incontrano i miei, tira su le labbra in un sorriso.
Che bella, cazzo, che...
Mi bacia piano con le labbra che spalancano le mie, mi perdo nel suo sapore che temo al momento essere il mio e non me l'aspetto quando la sua mano s'inerpica fra le mie gambe.
Due dita.
Ne mette due.
Con il polso verso l'alto, il palmo che mi stimola assieme al movimento, la bocca che non lascia la mia.
Muove le dita dentro e fuori, le apre piano fra di loro e poi le infila più a fondo, i miei muscoli interni che si contraggono addosso a lei.
Ingoia tutti i miei rumori, tutti i gemiti, tutti i tremori.
Il mio bacino inizia a muoversi contro la sua mano, a spostarsi e cercare le sue dita che si prendono cura di me.
− Impaziente? –
Annuisco un po' più fortemente di quanto dovrei.
− Ti prego, ancora, anco... −
Le toglie, dalle mie labbra esce un lamento di pura insoddisfazione.
Mi avvicino alla sua mano con i fianchi, nonostante i movimenti siano difficili, così attaccata al marmo come sono in questo momento.
− Che carina, sei davvero carina. –
Muovo una mano sulla sua spalla, sul collo, guido il suo viso verso di me.
− Per favore, per... −
Rientrano dentro di me più violentemente e mi cade la fronte contro la sua spalla.
− Così? –
− Sì, sì, cazzo, sì... −
Sento il pollice circondare il mio clitoride, le dita dentro di me farsi tre, le sue labbra che si muovono verso il mio collo.
− Vuoi venire? –
− Ti prego, ti prego, io... −
Avvicina la bocca al mio orecchio.
− Posso essere un po' cattiva con te? –
Mi mordo il labbro inferiore, il piacere inizia a scorrermi nelle vene e a mandarmi piccole scariche sulla pelle, faccio "sì" con la testa prima di riuscire a rendermene anche conto.
− Sei davvero carina, a farti toccare come una troia in un bagno pubblico da una che nemmeno conosci. – mormora con un filo di voce che entra dritto dritto nelle mie orecchie.
Merda, cazzo, 'fanculo.
− Non ho ragione? –
Più veloci, le dita, il ritmo si fa più serrato.
Mi sembra che il fiato mi si spezzi nella gola.
− Rispondi o mi fermo. –
Tutto quello che riesco ad emettere al momento è una sequela di ansimi senza senso.
Se fossi una ragazza timida credo mi sarei sotterrata all'idea di cosa la gente fuori potrebbe sentire, ma grazie a Dio non lo sono e questa ragazza è la personificazione di tutto quello che ho sempre amato delle donne.
È bella, è alta, è formosa, ha una voce spettacolare, le mani di una fata, le tette più belle che io abbia anche solo intravisto per caso, è aggressiva e non aspetta ordini per decidere cosa fare.
Io sono innamorata.
Lo sono.
E non ho la minima idea di come si chiami.
− Hai ragione, hai ra... −
Spinge contro il mio clitoride più forte, piega le dita appena verso l'alto, mi morde forte il collo e io mi liquefaccio sotto le sue mani.
Credo di urlare o forse gemo molto forte, stringo le gambe attorno alla sua vita, mi si alza la schiena un'altra volta e vengo con uno spasmo che fa tremare me, lei e credo tutto il bagno.
Ho la visuale annebbiata.
La faccia, ci scommetto, uno schifo.
Ma l'unica cosa a cui penso è che ho avuto un orgasmo con la mano della donna più bella del mondo dentro di me e che ora posso passare quei due minuti per riprendere fiato contro le sue tette.
La mia vita è un film.
È meravigliosa.
È fantastica.
Toglie la mano con calma, la vedo sorridere con la coda dell'occhio e allungarsi per prendere un fazzoletto usa e getta, prima di darmi un bacio veloce sulla guancia.
− Scusa, là sul momento non mi controllo tanto bene, non volevo darti della puttana. – si giustifica, le guance ancora più rosse e l'espressione meno affilata e più dolce.
− Non... importa, anzi, è stato fico. –
− Oh, menomale. –
Vorrei chiederle come si chiama.
Ma ho tutto un casino in testa che non riesco a controllare tanto bene e mi sento super confusa.
Forse l'alcol mischiato all'orgasmo, di solito non esaurisco le mie forze al primo round, cazzo. Che figura.
− Vuoi una mano a scendere dal lavandino? –
Annuisco senza parlare, mi faccio aiutare a rimettermi in piedi mi sistemo le mutande e i jeans cercando di non sembrare troppo sbronza.
− Se mi dai un secondo mi sciacquo la faccia e... − inizio, con la voce un po' molliccia.
Devo ricambiare. Ok, non devo, ma sarebbe corretto.
Non essendo un uomo etero, m'infastidisce lasciare le mie partner insoddisfatte, soprattutto se loro hanno soddisfatto me.
− No, nessun problema. Si vede che sei stanca. – risponde, ma non infastidita, sinceramente gentile con me.
Scuoto la testa.
− No, dai, davvero, io... −
Si sporge, mi bacia le labbra velocemente.
− Sei adorabile e davvero carina, ma sei anche ubriaca fradicia e a malapena ti reggi in piedi. Facciamo che la prossima volta mi devi un orgasmo e andiamo a casa, ok? –
Cosa ho detto?
Angelo del cielo.
La ragazza, è un angelo del cielo.
Mi sposto per lasciarle lavare le mani sotto l'acqua mentre oscillo da una parte all'altra con il peso, un po' imbarazzata e un po' mezza sfatta per tutto quello che è successo nell'ultima mezz'ora.
− Posso... posso chiederti come ti chiami? –
Sorride, si sistema il vestito.
− Momo. –
Come faccio a chiederle il cognome senza sembrare una maniaca?
Oh, forse non vuole dirmelo.
O forse ci rivedremo qui e...
− Tu? –
− Kyōka. –
Si asciuga con altri fazzoletti, si mette a posto i capelli e pare non le importi del rossetto, prima di girarsi e aprire la porta per me.
− Che nome carino, come te. –
Arrossisco .
− Gra... grazie. –
È bella, bella da morire, miseria, credo di non aver mai visto una ragazza più bella di lei. E poi è così alta, così elegante, così...
Esco con le mani cacciate al fondo delle tasche dei jeans.
Vorrei chiederle il numero.
− Vieni qui spesso? – attacco, come se fosse una buona idea, qualcosa di intelligente di cui parlare.
Sposta la testa facendo oscillare la coda.
− Prima volta, mi sono trasferita. Tu? –
Rido come l'ebete ubriaca che sono.
− Sempre. –
Sorride, la vedo sistemarsi la borsetta sulla spalla e tirare fuori il cellulare.
− Allora, Kyōka, non è che vorresti... −
Sì, la mia bocca stava già dicendo "sì" da sola ed ero così felice nella mia ubriachezza in quell'istante che giuro sarei potuta esplodere come un vulcano ma mi dimentico sempre che a me, la vita, odia davvero.
Lo schermo si accende.
Leggo "Mina <3" sullo schermo.
Momo spalanca gli occhi e risponde immediatamente.
Al momento il pensiero che sia la sua ragazza si fa strada su di me.
− Mina? –
La persona dall'altra parte della cornetta inizia a parlare a macchinetta e so che non dovrei fissare Momo come se mi avesse appena tradita ma lo faccio, nei fumi dell'alcol.
Poi sento quello che dice e almeno questo peso, me lo tolgo dal petto.
− Tu hai fatto sesso con chi? –
Dovrei smettere di guardarla? Dovrei.
Lo faccio? Cazzo, no.
− Shiozaki, quella coi capelli verdi della classe di arte? –
Altre parole, altre cose che non capisco.
− Mimi, cazzo, non potevi chiederle un passaggio? –
Rimango con gli occhi sbarrati.
− Come faccio a venirti a prendere, sono sbronza pure io! E se chiamiamo Sero sarà fatto come un coglione pure lui, merda. Chi ci rimane? –
Vorrei dire che l'accompagnerei io, ma oltre ad essere sbronza non ho mai preso la patente.
E Denki è sbronzo pure lui.
Forse Shinso...
− Ho la persona giusta, tu cerca di non ucciderti e rimani in un posto dove ci siano altre ragazze, arrivo subito. – sento Momo rispondere alla cornetta prima di chiudere la telefonata, riprendere il telefono in mano e scrivere "Iida" nella ricerca contatti.
Mi guarda un secondo, si sporge e mi bacia le labbra.
− La mia migliore amica è uscita con la ragazza che le piaceva, hanno fatto sesso e quando l'altra le ha chiesto se volesse un passaggio ha detto di no perché pensava di disturbare. È ad una festa in campagna dove non conosce nessuno completamente da sola. – mi spiega, con una rughetta in mezzo alle sopracciglia.
Preme "chiama" vicino al nome della persona che cercava.
− Devo scappare, la prossima volta che ci vediamo mi devi anche il tuo numero. – dice convinta, puntandomi l'unghia rossa contro.
Annuisco senza capire niente.
E con un turbinio di nero, profumo sofisticato e capelli lisci come la seta, Momo, quel giorno, è completamente scomparsa.
E io ero talmente ubriaca che di come sono tornata a casa, ricordo poco e niente.
So per certo che il momento in cui sono tornata nella sala centrale, Denki e Shinso erano avvinghiati contro un muro a ricordare al mondo quanto fosse una merda essere single, e che mi hanno accompagnata a casa poco dopo.
Odio quando mi accompagnano.
Amo tutti e due, ma fare il terzo incomodo è uno schifo e quei due hanno il quantitativo di tensione sessuale di un'intera compagnia di film porno, giuro. Si guardano come se volessero spogliarsi e la voce di Shinso è sesso fatto a corde vocali.
Non mi piacciono gli uomini.
Mi piacessero mi piacerebbe lui.
Detto ciò, della misteriosa sconosciuta, alla fine ricordavo ben poco. Ho pensato di cercare la sua amica, sicuro qualcuno le conosceva, alla fine di persone nella comunità non è che ce ne siano poi tante, ma non ricordavo un nome.
Solo "Momo", grandi tette, belle mani, e un orgasmo in un bagno pubblico.
Fine.
In ogni caso ho deciso il giorno dopo, tra una pausa e l'altra alle prove, che sarebbe stata acqua passata.
Era bella, questa Momo, in maniera quasi ridicola, e anche parecchio ricca.
Qualsiasi cosa che la riguardasse trasudava soldi.
Ho pensato che non fosse il mio tipo e di poter agevolmente andare avanti in ogni caso. Di fatto, mi rimane ancora il ricordo della meravigliosa ragazza che mi ha fatto avere uno dei migliori orgasmi della mia vita, ma non è che stia sotto a qualcuno con cui ho parlato due volte.
Oggi sono passate tre settimane, forse un mese, e sono di nuovo con Denki. Io e Denki stiamo sempre insieme. Tranne quando sta con Shinso, ma Shinso studia e studia tanto per cui il biondo bisessuale me lo tiro dietro per parecchio tempo.
Lui ha la sua chitarra legata dietro la schiena, io il mio basso e stiamo allegramente zompettando verso il posto dove ci hanno chiesto di suonare l'altro giorno.
Siamo famosi?
Più o meno, direi.
La gente impazzisce per il terzo membro che oggi si è categoricamente rifiutato di venire.
Io e Denki... piacciamo, ma credo che il fascino dei piercing ai capezzoli di Katsuki Bakugō sia qualcosa di inimitabile. Ecco, lui non mi piacerebbe, se mi piacessero gli uomini. È così passivo che credo potrebbe star sotto a Denki, e mi fa ridere già così.
Attraverso la strada con il caffè ghiacciato in mano sperando di non farmi investire.
− Tu lo sai perché non è venuto? – mi chiede il mio migliore amico, il frappuccino fra le dita e la piastrina militare comprata su Shein perché è un poveraccio che tintinna ad ogni movimento.
− Perché non scopa, Denki, non scopa. È sempre nervoso e arrabbiato e ha detto che non ci viene se non c'è minimo il doppio del pubblico. –
Lo sento sospirare, poi bere rumorosamente dalla cannuccia.
− Dobbiamo trovargli qualcuno da scopare. –
− Io una persona ce l'ho, ma non sono molto sicura. –
Denki rotea gli occhi.
Camminiamo fianco a fianco ancora per la strada, diretti verso il pub al fondo della via.
− Chi? –
− Secondo me l'amico di Shinso, quello che fa il militare o che ne so io. –
Denki si gira, mi squadra non capendo, poi realizza alzando le sopracciglia.
− Kirishima? Quello che vuole diventare un pompiere? –
Schiocco le dita della mano libera e gli faccio il segno della pistola.
− Lui. Se tira su un muro per salvare i civili, può aprire in due quel mestruato di Katsuki. L'unico problema è che... chi glielo fa fare? 'Suki è bello, per carità, ma stare con lui è un delirio e lo sai. –
Denki ci pensa su, beve un altro po' del suo frappuccino, deglutisce.
− Però scoparselo se lo scopa di sicuro. Trasuda top energy da tutti i pori, e gli piacciono i biondi, 'Suki sarà come vedere il paradiso. Sarà un pazzo violento, ma quel culo è poesia e lo sai, Kyōka. –
Tiro su il coperchio del mio caffè con le dita e scolo quello che rimane. Prendo fra le labbra un pezzo di ghiaccio, prima di buttare tutto nel primo cestino che trovo.
− La prossima settimana invitiamolo alla serata pizza da Shinso, così lo valutiamo. – propongo.
− Giusto, giusto. Ma se li dobbiamo far mettere insieme nessuno dei due deve saperlo. Katsuki si altera quando gli altri gli danno ordini e nessuno direbbe di sì alla descrizione "biondo, bel culo, potrebbe ucciderti e vorrà farlo". –
Mastico il ghiaccio fra i denti.
− Siamo due geni. –
− Totali. –
Arriviamo alla porta del pub che il nostro piano degno dell'FBI inizia a sfumare e ci torna in mente il motivo per cui siamo venuti.
Non è un posto grande, né una buona opportunità di farsi pubblicità, questo posto, è letteralmente un pub all'inglese con il palchetto di legno.
Ma abbiamo visto "A Star is Born" l'alto ieri, e ci è venuta voglia di duetto eteronormativo in un posto country andante.
Denki entra per primo, mi tiene la porta, squadra il locale da dietro le lenti rosa dei suoi enormi occhiali da sole.
− Kyōka, sento puzza di etero da qui. Se ci aggrediscono? –
Mi sporgo oltre la sua spalla.
In effetti, non è che abbia tutti i torti.
Cinquantenni con i pantaloni color cachi e cinquantenni con scarpe così alte che non metterei neppure me le avesse regalate Ozzy Osbourne in persona, odore di birra scadente e musica ambient da ascensore.
In che cazzo di posto siamo finiti?
− Gli diciamo che abbiamo l'HIV e che se ci toccano prendono le malattie. Vai, Denki, ormai abbiamo detto che ci saremmo stati. –
Lo spingo dalla spalla e, un po' incerto, decide d'incamminarsi.
Mi guardo attorno con un po' di ribrezzo, ma cerco di mandar giù le sensazioni fastidiose che mi rotolano addosso.
Non tutti gli etero sono schifosi e sono solo qui per fingere di essere Lady Gaga e cantare "Shallow" con il mio non virile e per niente mascolino migliore amico.
Fine.
Nessun problema.
Il proprietario del locale ci aspetta vicino al palco e per quanto non credo si aspettasse un metro e mezzo di bassista coi capelli viola e il bisessuale con gli anfibi verde fluo, è molto gentile quando ci spiega come sistemare gli strumenti, dov'è il retro e che ha fatto il bonifico all'agenzia.
Ci sistemiamo in fretta perché pare anche che siamo venti minuti in ritardo.
Era necessario andare a prendere il caffè, ok?
Era necessario.
E poi Denki cammina male che ieri era il suo anniversario con Hitoshi.
Fine della storia.
Tiro fuori il mio basso acustico viola glitterato dalla custodia. Mio padre fa il liutaio, non è stato difficile farmene fare uno come lo volevo e a mia discolpa fa scena nei video musicali. Certo, fa più scena il fumo colorato attorno alla batteria di Bakugō che suona e canta mezzo nudo, ma anche il mio basso è di tutto rispetto.
Sistemo le corde a orecchio, è praticamente già accordato ma fa sempre scena, mi giro per trovare lo sgabello in mezzo al palco vicino a Denki.
− Vuoi sederti? –
− Se potessi sedermi non sarei soddisfatto della mia vita sessuale, Youka. –
Ridacchio a bassa voce prendendolo per me.
Guardo Denki sistemare i microfoni che erano già sul palco, sistemare la sua chitarra e mi faccio dare una mano per salire sullo sgabello.
Ci giriamo verso il pubblico.
− Buonasera, credo. Ciao, insomma... cazzo, queste cose non le so fare. Parla tu. – inizia Denki e il pubblico ride come fa sempre, quando parla lui.
Metto sulla mia faccia il sorriso migliore che posso.
Agito la mano tenendo il basso appoggiato sulle cosce.
− Buonasera a tutti, noi due siamo solo due stronzi di una band. Forse avete sentito parlare di noi ma... senza il biondino è strano riconoscerci. –
Agito la mano in aria imitando la statura di Bakugō.
− Incendiary, ci chiamiamo. Non so se avete presente. –
Qualcuno fa una faccia confusa, qualcuno sembra riconoscerci, qualcuno non fa caso a nulla.
− In ogni caso siamo qui per vivere la nostra fantasia da Lady Gaga e Bradley Cooper. Facciamo un sacco di cose ma oggi attacchiamo con "Shallow", se vi va. Obiezioni? –
Il pubblico ride o sorride e non mi sembrano esserci problemi.
Finché poi non veniamo distratti dal rumore di vetro che si spacca a terra.
Giro la testa di novanta gradi e mezzo locale con me e sento prima di vedere.
− Chi cazzo ti ha insegnato a lavorare, eh? Non sarebbe meglio fare qualcos'altro, con quel bel faccino, invece di disturbare i clienti, stronza? –
La voce è maschile, il tono è aggressivo e scendo dallo sgabello senza rendermi neppure conto della situazione.
− Io... mi... non volevo, davvero, lavoro qui da poco e... −
− Non me ne frega un cazzo, se lavori qui da poco, fai quel che ti chiedo di fare, ragazzina. Ancora mi chiedo chi abbia deciso che le donne potevano lavorare. –
Salto giù dal palco.
− Hey, tu, ma che cazzo dici? – è quel che mi esce dalle labbra prima che mi renda conto principalmente di tre cose.
Primo, la ragazza che serve al bar, il motivo per il quale mi era scenso un bel brivido lungo la schiena a sentirla parlare, è Momo.
Secondo, è completamente ricoperta di vetri e birra, in mezzo ad un disastro che credo abbia causato lei stessa ma che è pericoloso.
Terzo, il tizio è tipo il triplo di me.
Che sono una ragazzina.
A digiuno da stamattina alle nove e che va avanti grazie ad un caffè freddo.
'Fanculo, lo ammazzo.
− E tu che vuoi? – si gira, e sento l'odore di patriarcato etero cisgender a distanza di metri.
− Voglio che chiedi scusa, paghi per la tua cazzo di birra invece di parlarle così e vai a leggerti un cazzo di libro quando torni a casa. –
Mollo il basso sul palco, supero una sedia dopo l'altra.
− Pagare per la birra? Quando questa troia me l'ha fatta cadere addosso? –
Momo ha il viso mezzo scioccato, le mani che tremano ed è visibilmente turbata.
− Chiami "troia" anche tua madre? Perché ha fatto cadere te dal seggiolone una volta di troppo, credo. –
Alza le sopracciglia e le abbassa più minacciose di prima.
Non mi spaventano, gli uomini.
Non più.
Mi fanno solo schifo, nella maggior parte dei casi.
− Che cos'hai detto? –
Arrivo a pochi passi da loro due.
Sono ridicola, lo so, arrivo alla spalla di Momo e al centro del petto di questo tizio, ma non me ne frega onestamente davvero un cazzo.
− Ti ho chiesto se chiami "troia" anche tua madre, stronzo. –
Vedo la rabbia serpeggiargli sottopelle.
− Uomo mancato. – mi dice, e andiamo, questo è il miglior insulto da dire ad una lesbica? Davvero? Fantasioso, originale.
− Non sono un uomo mancato, a me piace che le donne con cui vado a letto abbiano degli orgasmi, sai com'è. –
Sento Denki ridere dal palco, il silenzio tombale attorno a noi e gli sguardi addosso.
− Dov'è il proprietario di questo posto? Dove cazzo è il proprietario? – sbraita di fronte a me, e non indietreggio di un passo, non mi muovo di un centimetro.
Non mi farò intimidire da un uomo.
Mi giro verso Momo.
− Sai dov'è il proprietario, per caso? – le chiedo, col tono più dolce e pacifico che posso.
È un po' turbata, ancora, un po' tremolante, ma annuisce.
− Ti andrebbe di andare a chiamarlo? Spiegagli la situazione, tanto che ci sei. –
− Non può spiegarle la situazione o le dirà stronzate sul fatto che... −
Momo annuisce un'altra volta, mi dice un "grazie" fra i denti e la vedo allontanarsi piano verso il retro, l'uomo che per quanto le gridi dietro non si muove di un passo.
− Cosa dovrebbe dire al suo capo? Che lei l'ha chiamata "stronza", ha detto che non dovrebbe lavorare e poi le ha dato della troia? –
− Io non... −
− L'ha fatto, eravamo qui tutti. Non l'ha forse fatto? –
Mi giro verso le altre persone nel locale che hanno gli sguardi puntati verso di me, e un paio di loro annuiscono.
− Le cose sono due. O alza il culo e se ne va ora, o il proprietario la sbatte fuori da questo posto lui stesso. Come preferisce. –
Lo vedo incazzarsi ancora di più, stringere i pugni e sto davvero immaginando di vederlo pestare i piedi come un bambino, quando prende la giacca dalla sedia, il telefono dal tavolo e si allontana.
− Me ne vado perché non voglio ascoltare la vostra musica di merda. – borbotta, guardandomi.
Annuisco.
− Certo, come no. Controlli se le è cresciuto il cazzo quando arriva a casa, mi raccomando, magari riesce a superare i quattro centimetri. –
Non sento la risposta perché mezzo locale comincia a ridere e il tizio scompare nell'imbarazzo più totale.
'Fanculo, cazzo.
Se anche non fosse stata Momo, l'avrei difesa comunque, ma è la ragazza per cui ho una cotta segreta nonostante fossi convinta di non rivederla mai più, non poteva permettersi di trattarla in quel modo.
Schifoso viscido di merda.
Momo e il proprietario tornano pochi istanti dopo, lei tutta trafelata e l'altro con un cipiglio offeso in faccia e quando arrivano si guardano intorno un po' spaesati.
− Dov'è? –
− Se n'è andato, ha deciso che non voleva rimanere qui. – spiego, facendo spallucce.
Il proprietario si gira verso Momo.
− La prossima volta mandalo a fare in culo da sola, i clienti non hanno sempre ragione, soprattutto se sono dei pezzenti omofobi e maschilisti che non si lavano. –
Lei sorride.
− Davvero? –
Quello annuisce.
− Sì, ragazza, è il mio pub, le regole le faccio io. Ora vai a cambiarti e prenditi una boccata d'aria, qua faccio io. –
Si gira vero gli altri, guarda me e agita le mani.
− Non c'è niente da guardare, niente! –
Il chiacchiericcio di prima invade di nuovo la sala e tutto sembra tornare esattamente com'era prima che si sentisse il rumore dei vetri.
Io mi giro verso Denki e gli faccio un "uno" con la mano, come per chiedergli un attimo di tempo, poi guardo Momo.
− Hey, stai bene? – domando, avvicinandomi a lei a lato della sala.
È bella, bellissima anche con la divisa da cameriera addosso. Mi aspettavo fosse ricca, davvero ricca, ma la cosa non mi fa differenza, a dirla tutta.
La camicetta bianca è aperta a mostrare giusto il solco fra le tette, il grembiulino nero le fascia i fianchi tondi e le gambe sembrano lunghissime, strette come sono nei pantaloni scuri.
Merda, me la ricordavo meno bella.
È fantastica.
Fa "sì" con la testa, poi sorride e mi appoggia una mano sulla spalla.
− Sei Kyōka del bar, vero? Dimmi che sei lei o sto facendo un miliardo di scenari romantici nella mia testa senza il minimo senso. –
Arrossisco come un peperone.
Ok, lo so che sono appena saltata giù da un palco dove dovevo suonare e so anche che ho anche aggredito verbalmente un uomo del doppio dei miei anni ma parlare ad una bella donna?
Ho bisogno di alcol per questo.
Io sono debole.
Annuisco abbassando lo sguardo.
− Oh, grazie a Dio. Ti ricordavo bella, ma non così bella. –
Sento un sorriso intimidito formarsi sulle mie labbra.
− Anche tu sei molto più bella di come ti ricordassi. –
La vedo guardarsi dall'alto, osservare i vestiti fradici e l'outfit decisamente poco formale. Come se non fosse bella qualsiasi cosa abbia addosso, per la miseria.
Rimane in silenzio come me, e ci guardiamo negli occhi, finché non sento il microfono fischiare e mi ricordo per quale motivo sono qui.
Indietreggio senza smettere di fissarla.
− Io... ora vado a cantare. Dopo... −
Annuisce.
− Dopo magari... −
Sorrido e sorride anche lei.
− Dopo parliamo, ok? – mi costringo a dire e conviene con il suo viso meraviglioso al punto che quando riesco finalmente a tornare sul palco, credo di essere davvero al settimo cielo.
Denki mi accoglie con uno sguardo eloquente.
Apre la bocca per parlare e lo zittisco con un movimento della mano.
− Ti prego, risparmiami le battute. – sussurro, riprendendo il basso e rimettendomi sullo sgabello.
Alza le sopracciglia.
− Tu le fai su di me, perché non posso farle io su di te? –
− Perché tu sei praticamente sposato e il tuo ragazzo ti chiama "gattino", te le meriti. –
Mi colpisce con il gomito.
− E tu hai appena assaltato un uomo dall'alto del tuo metro e cinquanta. –
Touché.
− Possiamo cantare, per favore? –
Si lecca le labbra.
− Se pensi di evitartela così, sei una sognatrice. –
Sbuffo, lo vedo prepararsi e avvicinarsi al microfono.
− Ti odio. –
Alza gli occhi al cielo.
− Come no. –
L'esibizione, va una meraviglia. Il pubblico che sembrava da fuori essere la peggior combinazione esistente con le vibes della nostra musica, in realtà è piuttosto vivace e tranquillo.
Amano la nostra cover di "Shallow" e questo ce l'aspettavamo, ma non accolgono male tutte le altre versioni molto poco etero di rock alternativo successive.
Ridono, scherzano, si divertono a parlare con Denki che è davvero un uomo di spettacolo, e le ore passano in fretta, devo ammetterlo.
Trascorro comunque buona parte del tempo a dimenticarmi le parole delle canzoni quando Momo serve ai tavoli e trovo adorabile la goffaggine con cui si rapporta ai clienti, ma sono una professionista e elaboro comunque un modo per cavarmela.
Più o meno.
Direi di sì.
Se ci fosse anche Katsuki, saremmo col culo per terra, perché pretende da noi, giustamente, solo il meglio e quelle due note sbagliate o l'accordo in ritardo ci sarebbero costati la sanità mentale, ma grazie al cielo lui non c'è e riusciamo a sopravvivere.
Canto l'ultima nota di "Shy Away" dei Twenty One Pilots con le dita che scorrono sulle corde, il rumore che riecheggia tutto attorno, e mi godo pacificamente gli applausi moderati ma soddisfacenti della sala.
Denki vicino a me attacca a parlare, credo per i saluti finali, ma l'unica cosa a cui penso è che a Momo ho detto "dopo" e quel "dopo", insomma, quel "dopo" è ora.
− ... quindi grazie di essere rimasti con noi e grazie di non esservi stancati del culo gay di Kyōka, vi auguro una buona serata e ci rivediamo presto! – lo sento urlare, mentre la mia bocca si riduce ad un filo e lui fa un poco etero due con le dita tirando fuori la lingua.
Spengo il microfono con le dita.
− Era necessario? –
− Kyōka, stai sbavando davanti a tutti da due ore, era necessario. – mi comunica, imitandomi e sistemando la chitarra dietro la spalla.
Saluto il pubblico e mi giro verso di lui.
− Non sto sbavando. –
− Guarda, per terra è bagnato. –
Come una cogliona, guardo davvero il pavimento.
Non è bagnato, per la cronaca.
Mi alzo dallo sgabello per raggiungere la custodia del basso.
− Io rimango qui. – borbotto, mentre chiudo la zip e cerco di evitare il suo sguardo.
− Certo che rimani qui, se non fossi rimasta ti avrei incollata alla sedia, maledetta. –
Gli faccio il medio.
− Tu che fai? –
− Hitoshi viene a prendermi, è ovvio. Dopo quello che ha fatto al mio povero culo ci mancherebbe altro, cazzo. –
Alzo gli occhi al cielo.
− Troppi dettagli, Denki, troppi dettagli. –
Lo sento sbuffare e finisco di mettere a posto il basso prima di spostarlo verso un lato del palco. Lo prenderò quando vado via, nessun problema.
− È arrivato, è fuori che mi aspetta. Se non hai più bisogno di me vado, magari riesco anche a scroccare un po' di... −
− Non ho bisogno di te, vattene. – taglio corto, girandomi per guardarlo male.
− Cibo, volevo dire "cibo", depravata. Ora che ci penso però anche un po' di cazzo non sarebbe male. –
− Denki! –
Ridacchia sistemandosi la custodia della chitarra sulla schiena.
Lo indico con il dito.
− Se arrivi alle prove con le stampelle Katsuki si arrabbia e visto quanto è merdosa la sua vita sessuale sarà così invidioso da farti davvero secco, orripilante maniaco del sesso. –
Fa spallucce.
− Risolveremo anche questo. –
Lo saluto poco dopo e non lo osservo andarsene, perché tutto quello che sono impegnata a fare, ora come ora, è cercare di ristabilire il mio controllo mentale per prendere coraggio e andare da Momo.
Miseria.
Come si fa a respirare?
Credo di non ricordarlo.
Continuo inutilmente ad accendere e spegnere lo schermo del telefono quando sento una voce dolce chiamarmi da bordo palco.
− Kyōka! –
Mi giro alla velocità della luce.
− Vado a servire al bancone e c'è poca gente, se vieni ti offro una birra! – mi sento dire da un sorriso perfetto e due occhi che sembrano guardarmi nell'anima.
Annuisco come la cretina che sono.
− Arrivo. –
E ora, però, mi tocca arrivare per davvero.
Cerco di mantenere il controllo più ferreo che posso sul mio stesso corpo, di non far cedere le gambe già molli, mentre raggiungo la scaletta di legno e scendo piano.
È vero, la metà dei clienti è scomparsa con Denki e il locale inizia a diventare sempre più desolato, me ne accorgo quando m'infilo fra le sedie vuote per raggiungere il bancone.
Momo è sempre un po' impacciata quando serve la birra alla spina a due persone sedute vicino alla cassa, ma sembra un po' meno a disagio e sorrido all'immagine.
Lavora da poco.
Non credo che abbia esperienza come barista.
Chissà chi è, questa Momo.
Trovo posto dall'altra parte rispetto agli altri, mi siedo un po' a fatica sullo sgabello alto e arrossisco davvero, quando di nuovo la ragazza guarda me e si avvicina.
Mi abituerò mai a tutto questo? Non credo, no, non credo.
− Siete davvero bravi, tu e il tuo amico! – è il modo in cui esordisce, prima di appoggiarsi sul bancone letteralmente con le tette.
Non mettere alla prova il mio autocontrollo, miseria, non sarebbe una sfida equa.
− Gra... grazie, credo. Siamo meglio con l'altro, ma non è voluto venire. –
Alza una spalla.
− A me importava che suonassi tu, che ci sia un terzo o meno non è affar mio. –
Merda, la ragazza non ha mezze misure. Certo, non è un'ottima cameriera, ma credo che sappia bene come farmi cadere ai suoi piedi.
− Davvero? –
− Davvero, davvero. –
Cerco di levarmi d'impiccio concentrandomi su di lei.
− Tu da quanto lavori qui? –
Rotea gli occhi.
− Hai sentito prima con quello stronzo, no? Una settimana, ed è stata la più lunga della mia vita, cazzo. –
Sorrido.
− Non lavoravi prima? –
− No, studio Legge, ma i miei insistevano che facessi esperienza nel "mondo reale" e mi hanno detto di trovare un lavoro. Non credevo fosse così faticoso, è una tortura e non scherzo. –
Mi congratulo con me stessa per aver indovinato.
È una ragazza ricca, si vede che lo è, non che la cosa mi dia fastidio, a dirla tutta.
Porta scarpe firmate anche a lavoro, ha la manicure perfetta e quei denti non li hai se non spendi una fortuna di apparecchio quando sei adolescente.
− Non ti piace? –
− Non credo che andrò avanti ancora per molto, no, ho a malapena tempo per studiare. Non esco tutte le sere per venire a lavorare, è uno schifo. –
Oh, ecco spiegato perché al bar non è ricomparsa.
Non stava cercando di evitarmi.
− La tua amica? Alla fine siete riusciti a riportarla a casa? –
La vedo un po' confusa, poi sembra capire.
− Ah, intendi Mina? Ho chiamato un altro nostro amico che è venuto col suo ragazzo a prendermi, poi abbiamo caricato lei e... non ricordo cosa sia successo dopo. Credo di aver fatto fuori uno stand di merendine all'autogrill, ora che ci penso. –
Ridacchio.
− Sicuro ti è andata meglio che a me. –
− Sul serio? –
Annuisco lentamente.
− Il mio amico di prima e il suo ragazzo sono adorabili, davvero, ma ogni volta che sto con loro è come se facessero sesso in diretta, non so se mi spiego. –
− Tensione sessuale? –
Sospiro.
− Litri. –
Ride appena, poi la vedo spostarsi con lo sguardo alla ricerca di altri clienti. Sembro essere l'unica rimasta, quando si china per prendere un bicchiere pulito.
− Bevi la birra? –
− Sono lesbica, è ovvio che bevo la birra. –
Mormora un "giusto, giusto" fra le labbra, prima di appoggiarsi alla leva e riempirmi il bicchiere.
Me lo pianta davanti alla faccia, poi si avvicina pericolosamente a me.
− Davvero, sei molto più carina di quanto ricordassi. Non chiederti il numero di telefono è stato l'errore più grande della mia vita. –
Sento la mia faccia andare a fuoco.
− Scusami? –
− Ho detto quel che ho detto, ragazza. –
I clienti di prima si alzano dal bancone e li vedo allontanarsi salutando Momo che sorride educatamente, poi torna verso di me.
− Vuoi uscire con me? – ricomincia.
Ok, la ragazza va a duecento all'ora e io credo di essere rimasta alla linea di partenza a crogiolarmi nel miscuglio di imbarazzo, incredulità e confusione che sono.
− Con te? –
− Con me. –
Voglio uscire con...
− Certo che voglio uscire con te. – mi scappa dalle labbra, senza che neppure il pensiero si formi nella mia mente.
Sorride.
− Perfetto. –
Prendo un sorso di birra, e le mani mi tremano.
− Sei sicura di... − inizio, ma schiocca la lingua.
− Di voler uscire con te? Sono sicura. Sei bella, hai talento e quella scena dove mi salvi di due ore fa è stampata a fuoco nel mio cervello. –
Oh, capisco.
− Ma non era niente. – sminuisco, bevendo ancora un po' con gli occhi che non riescono a starle incollati ma fanno difficoltà anche a lasciare i suoi.
− Non era niente? Kyōka, è stato adorabile, e carino e non eri costretta a farlo. E ho la sensazione che l'avresti fatto per qualsiasi ragazza, davvero. –
Annuisco.
− In effetti, credo di sì. –
− Ecco, vedi? Carina, carina, carina. –
Nascondo le guance che prendono fuoco nell'ennesimo sorso di birra.
Mi stacco dal bicchiere con le sopracciglia alzate.
− Momo, ma la birra è... −
Scuote la testa.
− Non so come si accenda il refrigeratore, non prendermi di mira o mi metto a piangere. –
È calda, fa schifo, cazzo.
Come ho fatto a non accorgermene?
Mi viene da ridere e non mi trattengo, allontanando il bicchiere e coprendomi il viso.
− Sei una barista disastrosa. –
Fa spallucce.
− Ti ho detto che mi metto a piangere. Non vuoi farmi piangere, vero? –
− No, no, ma... −
Si sporge oltre il bancone, mi tira dal colletto e quando la sua faccia è a tre millimetri dalla mia, non riesco più a finire la frase.
− Zitta. –
− Ok. –
Sento la sua mano ammorbidirsi sulla presa, ma mi viene quasi il panico all'idea e per prendere una volta, una sola l'iniziativa, mi allungo ancora di più e premo le labbra sulle sue.
Si stacca con gli occhi spalancati.
Mi allontano immediatamente.
− Scusa, scusa, è che... −
Impasta le labbra fra di loro.
− Burro cacao alla ciliegia come la canzone di Katy Perry? –
Eh?
− Non male. –
Non...
Non male?
− Puoi rifarlo, se ti va. – conclude poi.
Posso rifarlo?
Ok, ok, credo che il mio cuore non reggerà botta ma...
Mi sporgo un'altra volta oltre il bancone, le cosce tese per lo sforzo di star mezza seduta sullo sgabello e le mani che si aggrappano alle spalle di Momo, al suo collo sottile.
È dolce.
Lei, è dolce, e pacata e tranquilla, anche se il modo in cui intreccia la lingua alla mia è quasi dominante, e sa di qualcosa che penso vorrei poter sentire più spesso.
Il campanello della clientela inizia a suonare ma né io né lei sembriamo volerci staccare.
Ha i capelli morbidi, lisci come la seta, un buon profumo e la sua pelle è piacevole da toccare.
Mi stacco col fiato corto.
− Ancora? –
− Se non vado a servire i clienti mi licenziano. – scherza, a pochi centimetri dalle mie labbra.
So di mettere un piccolo broncio, ma la cosa non sembra turbarla.
− Facciamo così, io servo ai tavoli, tu rimani qui e a fine turno andiamo da qualche parte, ok? – propone, percorrendo i bordi del mio viso con i polpastrelli.
Annuisco più convinta di quanto dovrei.
− Dove andiamo? –
− Possiamo andare a casa mia o a casa tua, come ti pare, oppure... −
− Casa mia va benissimo. – taglio corto.
Non credo sia tipa da appartamento universitario minuscolo pieno di vinili ovunque, ma a mia discolpa sono dovuta scappare da casa di Denki quando ci si è trasferito Shinso.
E quei due mesi che ho vissuto con Katsuki sono stati l'inferno in terra.
− Mi canti una canzone, quando arriviamo? La tua voce è... sexy. –
Non riesco a non sorridere come una cretina.
− Preferenze? –
Si allontana verso i clienti, si gira all'ultimo facendomi l'occhiolino.
− Mi piacciono i Black Sabbath. –
Mi mordo l'interno della bocca.
Cazzo.
Questa sì che è davvero la donna della mia vita.
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