𝗮𝗰𝗵𝗶𝗹𝗹𝗲𝘀 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗱𝗼𝘄𝗻

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➥✱ song :: "Achilles Come Down", Gang of Youth

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➸★✺ disclaimer :: questa storia si basa completamente sulla romanticizzazione della follia. Essendo al cento per cento un'opera di finzione vi consiglio vivamente di non leggerla se vi disturbano le vibes inquetanti e ossessive. La relazione fra Todoroki e Midoriya è assolutamente tossica, spero davvero di non disturbare nessuno.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

Nemico.

È una parola così breve, e così semplice. Così facile da pronunciare, persino da capire, devo ammettere. Ma il suo significato? Troppo, troppo pesante, persino per me.

Affondo le gambe nella neve, alta, gelida contro il mio costume da Hero tristemente sottile. Certo, la mia metà sinistra fa quel che può per mantenere la mia temperatura corporea ad un livello decente, per non morire di freddo, ma non è sufficiente per non farmi percepire i brividi su tutto il corpo.

Nemico.

Deku è un nemico.

Il mio nemico.

È lontana. Una casetta piccola, di quelle che potresti trovare tra le pagine ingiallite di un libro di fiabe, e il rivolo di fumo che esce dal comignolo mi fa intendere che ci sia un camino, dentro.

Cammino ancora, e ancora.

Mi sembra di non avvicinarmi mai, però. Mi sembra che alla fine, nonostante i passi ampi che muovo su questa distesa bianca e soffice, io non sia nemmeno un centimetro più vicino a quella ridicola casetta di mattoni.

Sbuffo, e la condensa si forma davanti alle mie labbra.

Bastardo.

So che è lì, lo so e non ne ho il minimo dubbio.

È il suo stile.

Attirarmi così.

Nessuno è venuto con me. Da una parte perché mi sono rifiutato io, Deku è la mia nemesi e quella di nessun altro, dall'altra perché non una sola persona ha pensato che potessero essere vere, quelle parole storte scritte su un pezzo di carta attaccato alla mia porta di casa.

In effetti, quale Villain scriverebbe un indirizzo su un post-it?

Solo il mio. Ne sono certo.

Le emozioni in me sono profondamente contrastanti. Non odio Deku, non penso di averlo mai odiato. Alla fine è una vittima come me, abbiamo più cose in comune noi due di quante non ne abbia con uno qualsiasi dei miei colleghi.

Ma è cattivo, e devo catturarlo. Gli ultimi tre anni della mia vita li ho volti solo a catturarlo.

A metterlo dietro le sbarre, chiuderlo in una prigione e ingoiare la chiave, a farlo sparire.

Incastro le mie mani fra di loro, spandendo il calore di una nel gelo dell'altra.

Mi mancheranno, forse. Le corse trafelate fatte per rincorrerlo, gli indizi ironici che lasciava ogni volta che dedicava qualcuna delle sue opere solo a me.

So che non dovrebbe essere così ma alla fine, un nemico, serve a questo. A darti qualcosa da combattere. A darti un motivo per andare avanti.

Strizzo gli occhi fra di loro, continuo ad avanzare.

Eppure non riesco a capire. So per certo che non è una trappola, perché qualsiasi esame preliminare io abbia fatto ha rivelato che c'è una sola persona in quella casa, che non c'è nessuno nascosto nella neve, che siamo solo io e lui.

Vuole farsi catturare?

O vuole uccidermi per davvero?

Non l'ha mai fatto, però. Nemmeno quando ne ha avuto l'occasione. Ha sempre detto con quella vena maliziosa, tragica e indistinguibilmente folle nello sguardo che non mi avrebbe mai torto un capello. Che non c'era niente che valesse la pena di distruggere, se non c'ero io a tentare di impedirglielo.

Ma alla fine è solo un povero pazzo. Un povero pazzo come lo sono anch'io.

È impossibile prevedere che cosa voglia in realtà da me.

Lo scoprirò solo vivendo.

Izuku. Izuku, è il suo nome. Lo so perché me l'ha detto, e penso di essere l'unico a saperlo. Che tanto alla società non frega niente di quelli come lui se non quando la loro testa è infilzata ad una picca.

Alla società non frega niente del perché. Del come. Del quando.

A me, d'altro canto, è sempre sembrata una storia davvero tragica, la sua.

Un ragazzino senza quirk che nel giro di due mesi viene rifiutato dalla UA, la scuola dove sono andato io, tra l'altro, viene abbandonato a se stesso, rimane orfano in un incidente collaterale ad un salvataggio di Hero, sua madre schiacciata da un muro distrutto da qualche mio collega distratto.

Nessun giornale ha mai parlato di quello, però. Un trafiletto minuscolo in una testata sovversiva che ho trovato scavando negli archivi dell'ufficio di mio padre.

Tutto quello che sua madre, la sua unica e sola famiglia, ha contato per noi.

Ogni tanto me lo chiedo, come sarebbe stato, se fosse venuto al mio liceo. Come sarebbero state diverse le cose, se ci fossimo conosciuti in circostanze diverse.

E invece, è andata così.

È andata che gli do la caccia, che catturarlo è il mio unico obiettivo, che sto camminando sulla fottuta neve da un quarto d'ora per infilarmi in una situazione potenzialmente mortale per un post-it scritto male sulla mia porta.

Devo davvero averci perso la testa, per questo Deku.

Poco, manca poco.

Mi stanco di sfilare in mezzo alla neve e lascio che una fiamma brillante sprizzi dalla mia mano, mentre libero il passaggio di fronte a me.

Potevo pensarci prima.

Ma ero troppo impegnato a rimuginare.

È molto più facile, così. E il tempo si dimezza.

Il tempo che passa prima che mi ritrovi di fronte ad una porta di legno scuro, un coltello incastrato sulla superficie liscia, un minuscolo spiraglio che si intravede all'interno.

Che gentile, ha persino lasciato la porta aperta.

Sono colpito.

Ci penso un po' su prima di aprirla, qualche secondo.

Che cosa stai facendo, Shoto?

Non lo so. Non ne ho idea.

Ma se dovessi davvero morire, so che morire per mano sua sarebbe meglio di qualsiasi altra morte di quelle che capitano agli stronzi come me.

La mia vita non vale così tanto.

Posso permettermi di rischiare, se si tratta di lui. Perché nonostante sia pazzo, nonostante non ci sia un grammo di sanità mentale in quella sua testolina arruffata, mi fido. Mi fido della sua onestà deviata, più che dei sorrisi falsi delle persone che lavorano con me.

C'è molta più verità negli occhi di qualcuno che sa di fare del male che in quelli di chi pretende di fare del bene.

Apro la porta, ed entro.

Penso che sia il suo nascondiglio, quando lo vedo. Le pareti sono tappezzate di articoli di giornale, di mie foto, di mappe della città. Una cornice al contrario è sopra il piano di legno del camino, una donna con i capelli verdi e un grande sorriso mi guarda.

È seduto sul bordo del letto, quando lo vedo.

Si morde nervosamente il labbro, gli occhi volano da una parte all'altra della stanza come se non riuscisse a fermarli, trema leggermente di freddo.

Non è vestito come al solito.

Non ha le bretelle sulla camicia bianca che gli vedo indossare ogni volta che lo incontro, no. Ha una felpa enorme e un paio di pantaloni della tuta scuri, le dita costellate dalle cicatrici che si è fatto per la maggior parte da solo, i capelli arruffati e le lentiggini illuminate dal camino che scoppietta al suo fianco.

Mi lascia confuso, vederlo così.

Quando sente il rumore dei miei passi, si volta di scatto.

Sorride.

Ma non in un modo accogliente, non con un sorriso che mi rilassa. Il suo sorriso è inquietante, contro di me.

− Shoto! - grida, le guance tirate su e un rivoletto di sangue che gli scende dal labbro torturato dai suoi stessi denti.

− Deku. - è l'unica cosa che ribatto.

Dovrei saltargli addosso? Dovrei catturarlo ora?

Sembra un ragazzino. Sembra solo un ragazzino triste. Non... non mi muovo.

Si avvicina ancora, noto la matita sotto gli occhi. Nera, scura, spessa, disordinata. Mi ha raccontato che era una cosa che faceva sua madre, una volta. Quando mi aveva legato come un salame nell'attesa che venissero a riprendermi.

− Sapevo che saresti venuto! - esclama.

Indietreggio nello stesso momento in cui i suoi passi arrivano verso di me.

− Sapevo che ti avrei trovato qui. -

Sbatte le palpebre un paio di volte, le ciglia lunghe, spesse contro il suo viso minuto.

Mi arresto immediatamente, le mani che iniziano a sentire il pizzicore familiare del mio quirk che si attiva.

Non combatto, però. Aspetto qualche secondo.

− Non... non attaccarmi. Non voglio combattere. - mormora subito dopo.

Spalanco gli occhi.

− Che cosa dovremmo fare, allora? Pensi davvero che ti lascerò andare così, da un momento all'altro? - chiedo.

− Facciamo finta di niente. Per una sera e basta. Facciamo finta che tu non sia tu e io non sia io. - risponde.

Il tono è di preghiera, pura, allettante preghiera.

E per quanto vorrei assecondarlo, la mia natura da Hero non può. Sono troppo abituato, troppo fermo, troppo rigido, per dar retta ad una richiesta del genere in pochi secondi.

Muovo qualche altro passo all'indietro, la schiena che sbatte contro la porta chiusa.

Quando mi vede allontanarmi, perde un attimo il sorriso. Lo perde e la sua faccia si trasforma in un unico, minuscolo istante, in pura preoccupazione.

− No, no, no, no. Non ti allontanare. Non andartene. - dice, scuotendo la testa energicamente come se volesse convincermi.

Non l'ho mai capito. Né mai lo capirò.

Mi fermo immediatamente sul posto, e non faccio altro che fissarlo.

− Ecco, non avere paura di me, da bravo. - commenta, finché non sono pochi i centimetri che ci separano e può stringere una delle sue mani tremanti al mio braccio.

− Perché mi hai fatto venire qui? - ritento.

Mi osserva come se fosse ferito.

− Come perché? È il nostro anniversario, Shoto! -

Spalanco gli occhi interdetto.

− In che senso? -

Si stacca con un volto di puro tradimento scuotendo la testa da una parte all'altra. Poi affonda una delle manine sull'orlo della felpa e la tira su, mostrandomi il petto inspiegabilmente scolpito costellato da cicatrici.

Appoggia un dito su un'ustione sul pettorale sinistro, la accarezza come se ne fosse fiero e contento.

− Non te lo ricordi? Tre anni fa, la prima volta che hai provato ad uccidermi. Mi sembra ieri. -

Oh, ma sì che me lo ricordo. Ricordo che mi avevano mandato ad uccidere un Villain e che invece del grande e grosso bastardo che immaginavo avevo trovato un ragazzino strano con un coltello insanguinato fra le mani.

Alla fine non ce l'ho fatta quella prima volta, ad ucciderlo. E nemmeno quelle dopo.

− Non... non capisco. Forse è meglio che me ne vada. -

Mi prende le mani immediatamente. Il suo sguardo ha un non so che di deviato, quando lo schianta contro il mio.

− Tu non vai da nessuna parte. - dice.

Il tono che usa mi fa venire i brividi. Non ha niente della melanconia acuta che usa di solito. È semplicemente diretto.

Quando vede come lo sto guardando, si riprende in un attimo.

− Vero? -

Devo svegliarmi. Devo svegliarmi, usare il mio fottutissimo quirk e catturarlo. Devo prenderlo, perché è il mio nemico. Devo farlo.

Ma non riesco.

− Non... non lo so. - è tutto quello che riesco a rispondere.

− Ti imploro, Shoto, ti imploro. Rimani qui solo per un po'. Non ti farò niente, lo sai, e tu puoi... puoi non far niente a me. -

Scuoto la testa appena, eppure la proposta mi alletta.

Che male mai farà, qualcosa del genere? No, domanda sbagliata. Il mio lavoro dipende da questo, la mia essenza, la mia interiorità.

Il punto è che mi sento così sopraffatto, così legato ad un mondo che non sento appartenermi a pieno.

È nulla più di un ragazzino bisognoso, ora. E sarebbe eroico abbandonarlo? O forse sto soltanto parlando in maniera egoistica?

E nonostante questo, un'altra domanda campeggia nella mia mente.

Che cosa succederebbe, se rimanessi qui? Che cosa potrei scoprire in me, in lui, se decidessi che per una sera, una soltanto, smettessi di essere il mio lavoro?

Il pensiero mi terrorizza.

Mi fa tremare le gambe, pensare che potrei davvero crollare a pezzi se dessi a lui una chance di farmi capire quanto, nonostante lo sappia già, siamo simili.

− Dieci... dieci minuti. E poi questo non è mai successo. - concedo, alla fine.

Sospira di sollievo.

− Menomale, mi stavo un po' arrabbiando, e non finisce mai bene quando mi arrabbio, Shoto. Hai paura che qualcuno scopra... questo? Che pensino che sia un traditore? - chiede, e torna a guardarmi in quel suo modo intenso e incomprensibile.

Indietreggia, le mani che non lasciano le mie e mi trascinano con lui.

− Nessuno sa che sono qui. Posso... posso lasciarti andare oggi. - riesco a rispondere, le parole che suonano rigide, e complicate fuori dalla mia bocca.

Sorride a trentadue denti, le lentiggini che si piegano quando gli zigomi salgono.

− Nessuno sa che sei qui? Siamo io e te da soli? -

Annuisco.

Sorride ancora di più, se possibile.

− Sono così felice! Possiamo festeggiare in pace, allora! -

Alzo un sopracciglio.

− Festeggiare? -

La sua voce si piega e canticchia un paio di note, tirandomi verso il letto e facendo in modo che mi ci sieda sopra. Si appoggia al mio fianco in un attimo.

− Te l'ho già detto, Shoto, insomma! Festeggiamo il nostro anniversario! - ripete per la seconda volta.

Non so cosa ci sia in lui, in me, nell'aria. È tutto così strano. E inquietante. E talmente incomprensibile che non me la sento nemmeno di contraddirlo.

− E come vorresti festeggiare? - rispondo pacatamente.

Ballonzola con la testa da una parte all'altra.

− Che ne so... stiamo insieme? Le uniche volte che ci vediamo tu cerchi di ammazzarmi e io cerco di scappare. Non è difficile trovare qualcos'altro da fare. - si lagna, colpendomi la punta del naso con un dito.

Sbatto le palpebre.

− Non lamentarti, sei tu che sei un criminale. - gli faccio notare.

Svolazza con una mano nell'aria.

− Sì, sì, lo so. E tu sei uno di quei Hero bastardi che hanno fatto fuori mia madre. Siamo pari, non vedi? -

− Se ne sei convinto. -

Annuisce, e poi prende la mia faccia con le mani strizzandomi piano le guance. Arruffa il nasino di fronte a me.

− Quanto sei serio, Shoto, sei davvero noioso. Su, sorridi un po'. -

Un lampo di fastidio mi cattura.

− Se la persona che insegui da anni ti invita a casa sua non sei proprio rilassato, vedi. Non so nemmeno se dovrei ammanettarti, in questo momento. -

Ridacchia piano, prima di avvicinarsi al mio viso e fermarsi a pochi centimetri di distanza.

− Puoi farlo, se ti va. -

Avvampo. Avvampo letteralmente di calore al punto che mi stupisco di non star prendendo fuoco.

− Che cosa? -

− Se quello è il modo in cui vuoi festeggiare, chi sono io per dire di no? -

La sua voce è sussurrata, gli occhi mi fissano dritti con quella vena di follia che mi fa venire i brividi.

− Non flirtare con me. - sbotto, incredulo.

Ride.

− E se invece volessi farlo? E se ti volessi? Mmh, morirei per avere il mio Shoto tutto per me! - risponde, e sembra la cantilena di un bambino che pesta i piedi perché vuole un giocattolo nuovo.

− Basta così. - tento di zittirlo, ma non serve.

− Sai che sono ossessionato da te. - continua.

I suoi occhi verdi sono grandi, e sono belli. Mangiano i miei e sembrano così onesti, così sinceri.

Scuoto la testa.

− Non dire... non dire stronzate. -

Le sue mani si stringono più forte sul mio viso e la fronte preme sulla mia.

− O che succede, se no? Ti incazzi? -

Scatto come un elastico troppo teso. Sono confuso, confuso dalla sensazione che pizzica il mio petto, confuso dal terrore misto ad affetto che provo per lui, confuso dalle mie stesse reazioni.

Le mie dita si stringono al suo collo e lo vedo trattenere il fiato.

− Smettila di dire stronzate. Dimmi che cazzo vuoi e fallo ora, prima che decida che ne ho abbastanza e ti ammazzi, Deku. - sibilo, il tono basso e rigido e minaccioso.

L'aria gli manca quando le mie dita affondano sulla sua pelle chiara.

Gli occhi sfarfallano e le pupille salgono verso l'alto.

− Più... ah... più forte. - riesce ad ansimare, e il calore si propaga nel mio petto non appena lo lascio andare. Tolgo la mano da lui come se scottasse.

Prima che possa accorgermene, però, si aggrappa alle mie spalle, fa passare una coscia oltre le mie e si appoggia a cavalcioni su di me, comodamente seduto sul mio grembo.

− Perché hai smesso? Non vuoi farmi male? - chiede, un broncio nel viso.

− Deku togliti da me. Alzati. Non possiamo... non posso... − farfuglio come riesco, ma il mio corpo non mente. Il mio corpo brucia, il mio bacino vuole che questo ragazzino si abbassi più forte contro di me.

Tira fuori la lingua in mezzo ai denti.

− Mmh, c'è una parte di te che non è d'accordo. - sussurra, e il suo tono è lascivo.

− Devi smettere adesso. -

Mette su di nuovo il broncio. Il suo labbro inferiore sporge adorabilmente quando si china verso di me e strofina il naso contro il mio.

Non so quanto ancora riuscirò a resistere.

− Sei un guastafeste, Shoto, un guastafeste! Di cos'hai paura, eh? Un Hero grande e grosso come te spaventato da un ragazzino indifeso. - mi provoca.

La sua mano si infila fra noi e prima che possa farci nulla, è premuta di piatto sulla mia - quasi - erezione. Ne scorre la superficie delicatamente, ma la pressione basta per farmi tremare le gambe.

− Izuku... − riprovo, ma il suo nome è tutto quello che riesco a dire.

Sento una delle sue mani intrecciarsi alla mia, tirarla su, portarsela a livello del viso. Avvolge la lingua attorno a due delle mie dita proprio di fronte ai miei occhi.

− Mmh, hai un così buon sapore. - mugugna soddisfatto, mentre mi sente chiaramente tremare sotto la sua mano a contatto con il mio basso ventre.

Non riesco a trattenere un gemito. Non riesco. Quando le sue dita si stringono su di me e succhia più forte la mia mano, la voce esce senza che possa farci nulla.

Si aggrappa alla mia vita, circonda il tessuto all'orlo dei miei pantaloni.

− Izuku, cazzo. - provo a lamentarmi ancora, ma quello che esce tutto sembra tranne che stizza. Sembra che lo stia pregando.

Sorride mentre slaccia la cintura con entrambe le mani, si allontana da me, scende in ginocchio.

Appoggia per un secondo il viso sulla mia coscia e mi lancia un'occhiata così carica di speranza, sotto quelle lunghe ciglia scure che mi fa sentire improvvisamente come se stessi fluttuando.

Quello che sto facendo, o meglio, che mi sto facendo fare, non è giusto. Non è giusto per me, non è giusto per lui. È una profonda, immensa stronzata.

Eppure non riesco a staccargli gli occhi di dosso, e lui non li stacca da me.

− Posso? Per favore, posso? -

Provo a fare no con la testa, ma ad accogliermi rimane solo un broncio poco convinto, il viso lentigginoso arrossato e impaziente.

Tira fuori la lingua e la appoggia di piatto sul tessuto che ancora mi copre.

− Come fai a dirmi di no quando sei così duro, Shoto? - mi fa notare.

Distolgo lo sguardo, mi mordo il labbro.

− Non... non possiamo. - ripeto, l'ennesima, ennesima volta.

Ma non riesco più a mantenere la mia stoica concentrazione, quando le sue manine abbassano completamente pantaloni e mutande e mi prendono in mano.

Muove un paio di volte il polso su e giù, osservando me, o meglio la mia erezione, come se volesse mangiarla.

− Non c'è nessuno, nessuno dei tuoi, nessuno dei miei. Siamo solo io e te. Una volta? Una volta sola? Per favore, ti imploro. - inizia a pregarmi, il pollice che tasta lievemente la punta mozzandomi il fiato.

− Tu sei mio. Sei sempre stato mio. E io esisto solo per te. Siamo fatti per fare questo, siamo fatti per stare insieme. - riprende.

Il dubbio mi nasce nella testa. Il dubbio tra la nebbia del momento che sto vivendo.

E se poi non avesse tutti i torti?

L'Hero che sono lo devo solo a lui, dopotutto. Che cosa sarei mai potuto essere senza qualcuno da combattere? Io non ho valore, senza Izuku.

E perché dovrei starne lontano? Se ci penso, chi mi conosce meglio? Chi è la metà perfetta del mio essere, se non l'unica persona alla quale ho dedicato ogni minuscolo, intimo angolo dei miei ultimi anni?

Ha ragione.

Siamo fatti per stare insieme.

Affondo una mano fra i suoi capelli, lascio andare il mio sguardo sul suo viso innocente, che spalanca gli occhi quando percepisce la tensione lasciarmi.

Annuisco.

E l'adrenalina mi si scioglie in corpo mentre avvolge le labbra piene di tagli attorno a me, succhia piano, mi accoglie nel calore umido della sua bocca.

Non so se l'abbia mai fatto prima a qualcuno, né tantomeno a chi, ma la sensazione è meravigliosa. Meravigliosa e sbagliata, ha il sapore delle cose che sai di non dover fare.

Gemo ad alta voce lasciando cadere la mia testa all'indietro, le dita che si aggrappano più forte ai suoi riccioli mentre accompagno i suoi movimenti.

Lo prende dentro finché non sento l'inizio della sua gola stringersi attorno a me e mi chiedo per un attimo se non gli faccia male. Conoscendolo, comunque, lo ecciterebbe solo di più se fosse così.

− Izuku, cazzo, con calma. - chiedo, la sua bocca troppo impaziente su di me.

Mi lascia uscire dalle sue labbra sorridendo, la saliva che gli scende fino al mento e gli occhi lucidi. Brilla, il suo sguardo. Brilla di una luce inquietante.

− Sono bravo, vero? Sai con quante persone ho dovuto farlo, prima di imparare? Solo per te, Shoto, solo per te. - mormora, e sento il calore della gelosia accendersi nel mio petto.

Senza più controllare nessuno dei miei istinti, tiro i suoi capelli e lo costringo a prenderlo di nuovo in bocca, la gola immediatamente riempita, il naso che batte contro il mio stesso corpo.

− Tutte quelle belle parole e poi ti inginocchi di fronte al primo che passa. -

Lo sento cercare di respirare. Cercare di staccarsi, cercare di lasciarmi andare.

Stringo più forte le dita fra i riccioli verdi.

− Che c'è, non riesci a respirare? - chiedo, la domanda chiaramente retorica. So che non può rispondere, e so che sono il motivo di questo.

Se possibile lo spingo ancora di più verso di me, le sue dita che scavano a fondo nelle mie cosce.

Le lacrime gli scendono dagli occhi, la matita che le tinge di un nero chiaro, trasparente, sulle guance chiare arrossate dallo sforzo.

Eppure non mi guarda come se mi pregasse di smettere.

Mi guarda come se volesse morirci strozzato, così. Come se qualsiasi cosa stia facendo o lo stia costringendo a fare sia meravigliosa, se fatta per far star bene me.

Non riesco a reprimere l'onda di soddisfazione che mi attraversa, la sua gola che si stringe delicatamente contro e la faccia che mi implora.

Passo il pollice sulla sua fronte, rimando indietro una ciocca verde.

− Quando verrò ingoierai tutto, non è vero? - mormoro ai suoi grandi occhi attraversati da felicità e un fondo di deviata follia.

Annuisce come può e vedo una luce convinta, soddisfatta e impaziente accenderglisi nello sguardo.

La sua gola si stringe ancora, e ancora, e ancora. Non ce la fa più, l'aria gli manca. Gli manca completamente.

Eppure rimane lì, fermo, le labbra attorno a me e l'atteggiamento devoto.

Quando lo sento succhiare, mugugnare qualcosa addosso a me e succhiare, tremo.

La vita sembra uscirmi dal corpo, quando sento l'orgasmo accendermisi nella pancia. Quando perdo le inibizioni, afferro più forte i suoi capelli e muovo la sua testa in un superficiale su e giù, quando vengo direttamente nella sua gola, quando l'aria mi si mozza nel petto e mi sembra di cadere a pezzi.

Lo lascio andare subito dopo.

Tossisce.

Tossisce e respira a pieni polmoni. Piange persino, e forse è un riflesso corporeo, perché sembra la persona più felice che abbia mai visto.

Sento la realizzazione cogliermi in un attimo quando provo a chiedergli scusa. Ma parla prima di me.

− Ancora, usami ancora. Come prima, fallo ancora. - mi prega, la voce graffiata dalla tosse e le mani aperte sulle mie cosce.

Gli afferro il viso fra le mani.

− Tu sei pazzo, Izuku. Potevo farti davvero male. −

Sorride, c'è qualcosa di triste nel suo viso.

− Mi va bene, se mi fai male tu. - risponde, le pupille che tremano nei suoi occhi enormi incollati solo a me.

Mi fanno sentire così potente, quelle iridi chiare. Così perfetto, così forte. E anche compreso, forse. Accolto.

Sono io a baciarlo per primo, di fatto. Le nostre labbra si incontrano e so che le sue sono ruvide, come carta vetrata sulla mia pelle morbida, ma non m'importa. Apre la bocca quasi d'istinto e risponde piano alla mia lingua.

Si stacca.

− Non... non lo so fare tanto bene. Non l'ho... mai fatto. - si giustifica, arrossendo nelle guance lentigginose e tracciando il contorno della mia bocca con un dito.

− Su questo non ti sei allenato? - lo stuzzico, la fronte appoggiata alla sua.

Scuote la testa.

− Nessuno mi può baciare tranne te. - ribatte.

Mi disturba. Questo modo di fare infantile. Il dualismo fra la svergogna di prima, quando era lui a saltarmi addosso, e l'innocenza pura dell'esperienza che manca.

Mi disturba ma mi eccita, perché mi fa sentire come se fosse mio.

Lo bacio ancora, e ancora, finché le sue labbra non si abituano alle mie, finché non lo sento assecondare pazientemente i movimenti.

Lo aiuto a tirarsi su, a sedersi di nuovo su di me, le braccine sottili che mi circondano il collo e il naso inclinato perché riesca a raggiungere meglio la sua bocca.

Geme, come se non se l'aspettasse, come se fosse lui stesso sorpreso delle sue reazioni corporee.

Geme addosso a me.

− Toccami, per favore. - mi chiede poi, il tono lamentoso, quasi di preghiera.

Le mie mani, in effetti, non hanno stretto molto più della sua vita.

Attendo un secondo, prima di farlo.

− Non... non ti piaccio? Non ti piace il mio... corpo? Cosa c'è che non va, Shoto? - mi sento dire da una voce tremante, insicura.

Scuoto la testa.

− Ho paura di non riuscire a trattenermi. - rispondo semplicemente.

Ed è vero. Le mie mani pregano di affondargli addosso, ma una sottile vena di paura si nasconde in me. Sto perdendo me stesso. Sto soccombendo alla sua innata, infantile, delicata bellezza.

Sembra rilassarsi di colpo, quando inclina la testa.

− Puoi farmi quello che ti pare, non preoccuparti. Da te mi farei anche scuoiare vivo. - risponde sorridendo.

E so che è vero. E mi mette i brividi. E non so se questi brividi siano di terrore o di piacere.

Tutto quello che so è che le mie dita gli affondano addosso, lo stringono, sotto la felpa, tracciano i contorni delle migliaia di piccole cicatrici sulla sua pelle chiara, la tirano e la tendono.

Lo spingo dalle scapole verso di me, le labbra ancora una volta sulle mie e la mia schiena che scende sul piccolo letto disfatto, le sue cosce che si aggrappano ai miei fianchi.

La sua voce si piega in versi quasi impercettibili quando lo tocco più forte.

Si tira su da me che ormai è completamente a cavalcioni del mio corpo.

Prende la felpa dall'orlo spesso, la tira su oltre la testa.

So che è sempre stato più muscoloso di quello che poteva sembrare, ma devo ammettere che la vista è migliore di quella che mi aspettavo. Le cicatrici sono quasi affascinanti, intagliate nel loro disturbante rosa su quella tela chiara e pallida.

Sento il suo bacino muoversi sul mio.

Getta la testa all'indietro quando lo fa, un gemito impossibile da trattenere che gli esce dalla gola.

− Mio, tutto mio. - lo sento commentare fra i denti.

Per la prima volta da quando sono qui, così, inebriato e quasi dipendente dalla sensazione fastidiosa della cazzata che sto facendo, sorrido.

Alzo lievemente gli angoli della bocca e sorrido guardandolo strusciarsi su di me come se non potesse trattenersi.

− È tutto per te, non preoccuparti. - ribatto.

Mi osserva sorridere con gli occhi spalancati, poi affonda i denti sul labbro inferiore e il movimento diventa più basso, più profondo.

− Lo voglio qui dentro. - sussurra, la mano aperta sopra la sua pancia, sotto l'ombelico.

Sbatte le palpebre.

− Voglio il mio Shoto tutto qui dentro. - ripete.

Mi corre un brivido lungo la schiena.

− E io voglio vederti piangere il mio nome. - non posso fare a meno di ribattere.

Non riuscirò a fare nient'altro con nessuno, dopo questo, e lo so. Perché c'è qualcosa di così follemente bello nell'essere adorato in questo modo infantile e aperto che probabilmente non potrò mai dimenticare.

Mi tiro su di colpo, afferrandolo per le spalle per non farlo cadere all'indietro.

Affondo i denti sul suo collo forte, senza preoccuparmi di fargli male, anzi, puntando proprio a quello. Smetto solo quando il sapore ferroso del sangue fa capolino fra le mie labbra.

− Spogliati, Izuku. - ordino, e acconsente annuendo convinto.

Si alza subito e abbassa i pantaloni della tuta in un attimo.

Lo guardo spudoratamente, le cosce magre, sottili, dall'aspetto morbido costellate di segni, i fianchi stretti ma invitanti, le mutande che affondano sulla vita morbida. Porta un fodero sul polpaccio sinistro, il coltello scuro che sporge appena.

Lo slaccia di fronte a me, si offre indifeso ai miei occhi.

Quando torna vicino a me, appoggio la fronte sulla sua pancia, inspirando.

− Sei bellissimo. - sussurro.

− Sei bellissimo e non voglio che nessun altro ti veda. - continuo.

Lo sento trattenere il fiato.

Alzo gli occhi su di lui.

− Non so dove sarai domani mattina. Non so nemmeno dove sarò io. Ma il codice del mio sistema antifurto è 14202. Vieni da me, la prossima volta. -

Quello che proviene da lui è una risatina euforica.

Mi guarda e sembra che la contentezza strabordi dal suo piccolo corpo, quando piange sorridendo.

Annuisce, mi circonda il capo con le braccia e lascia un bacio sonoro sul centro della mia testa.

− Ti amo, Shoto. Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo! Non ti lascerò andare per niente al mondo. - dice, l'energia delle sue parole che mi colpisce il petto.

Incontro il suo sguardo.

E non posso più mentire a me stesso.

Non posso mantenere questa facciata fredda, questo comportamento finto e misurato.

Perché alla fine, sono proprio come lui.

− Ti amo anch'io, Izuku. Sei l'unica persona che mi faccia sentire... così. - dico fra le labbra.

L'impatto è immediato quando mi si butta fra le braccia. Si fa stringere come se fosse fatto di pezza e nemmeno mi preoccupo più di fargli male.

Riesco fra un ansimo e l'altro a sfilarmi la maglia di dosso, le sue labbra che tracciano la linea della mia clavicola in un attimo, il corpicino che trema.

− Quante persone hanno fatto questo prima? - mi chiede, il tono pacato ma violento.

Alzo le sopracciglia.

− Tre o quattro. -

Piega le labbra in una linea, stizzito, davvero come un bambino invidioso del proprio giocattolo.

− Posso ucciderli? Ti prego, Shoto, ti prego. - chiede.

− Solo se posso far fuori tutti quelli che hanno toccato te. -

Arrossisce in viso come se avessi detto qualcosa che lo imbarazza profondamente, e abbassa lo sguardo.

− Se... se vuoi, insomma, se... -

Ridacchio.

− Se servisse a far capire a tutti che hai il mio nome scritto sopra, lo farei. -

Affondo le mani sul suo culo, ancora coperto dalle mutande e sì, è un gran bel culo. Non che ci avessi fatto molto caso prima ma ora... ora non esiste nient'altro.

Ci metto un secondo a infilare le dita sotto i boxer, a marchiarlo come se fosse mio.

Sento il calore delle mie fiamme spandermisi sui polpastrelli, poi sulla pelle, finché non sento la sua carne bruciare a contatto con la mia.

Getta la testa all'indietro, inarca la schiena.

− Cristo. - sussurra, le lacrime che cadono ora copiose dai lati del volto.

− Così tutti sapranno a chi appartieni, Izuku. - commento, accarezzando con le mani ormai tornate ad una temperatura normale la pelle gonfia dal calore.

Lascio scivolare le sue mutande lungo le cosce, poi via sotto le ginocchia, finché non rimangono incastrate contro le caviglie ed è lui a scalciarle via.

Lo osservo per un attimo.

− Lubrificante. - borbotto con il volto infilato nel suo collo.

Indica dietro di me e di fatto lo trovo, incastrato fra le lenzuola.

− Cosa ci fa qui? - chiedo, aprendolo e iniziando a spremerne un po' sulle mie dita.

Si china e mi bacia la punta del naso.

− Cosa pensi che faccia davanti a quelle tue belle foto tutto il giorno? È che mi sento così solo... −

− Sei meno innocente di quanto fai pensare. -

Ridacchia, ma perde le parole quando le mie dita entrano dentro di lui. Anzi, la sua gola si stringe, la testa cade indietro e posso vedere il suo petto teso proprio di fronte a me.

− Guardati. Basta toccarti e sei subito piegato a metà. - scherzo, infilando le dita fino in fondo. Sento resistenza da parte sua, e so che gli sto facendo male.

Ma non m'importa.

Non importa a lui, non importa a me.

− È perché sei tu. - riesce a dire di rimando, il bacino che incontra la mia mano nonostante il dolore dell'intrusione così immediata.

La cerca, la sofferenza. La cerca perché gliela sto dando io.

Spalanca di più le cosce, geme piano, con un verso che sembra quasi un lamento.

− Più forte, più forte. - prega, le mie dita che diventano tre e poi quattro in un attimo.

Le apro piano dentro di lui e sento le sue pareti stringersi al contatto, la pelle morbida, calda, infiammata.

Lascio che la mano libera si stringa al suo fianco e strizzi la carne, così forte che domani un livido gli tingerà la pelle cremosa.

− Ancora, ancora... − lo sento mugugnare, mentre ormai non mi trattengo, prendo tutto quello che è mio, lo tasto e lo esploro come se non potessi fare altro.

Trema di fronte a me, il liquido appiccicoso e bagnaticcio che precede il suo orgasmo che cola languidamente sulla sua pancia, la voce che si piega.

Chiama il mio nome una, due, tre volte.

Ma lascio uscire le dita appena lo sento stringersi.

Si lamenta immediatamente, le lacrime ormai incontrollabili e il volto piegato in una preghiera silenziosa.

− Non essere ingordo, Izuku, potrai venire solo sul mio cazzo. - lo rimprovero, alzando il bacino quanto basta per sfilarmi i pantaloni.

Annuisce.

− Sì, sì. Solo con te. -

Mi aiuta a spogliarmi completamente e ricomincia a muoversi contro la mia erezione, pelle contro pelle, il lubrificante che rende più facili e viscosi i movimenti fra di noi.

Gemo ad alta voce.

− Ora, fallo ora. Dentro di me. Vieni qui dentro. - mi implora, la sua entrata che si strofina contro di me ad ogni oscillare delle sue anche.

Lo tengo fermo, mi allineo contro di lui.

E poi lo lascio andare.

Mi cade addosso.

Lo penetro in un movimento solo, lo prendo in un attimo.

Mio. Solamente, unicamente mio.

È stretto, il suo corpo è attraversato da spasmi come se fosse stato colpito da un fulmine, la bocca pende aperta in quello che somiglia ad un urlo silenzioso, e poi viene.

Immediatamente.

Viene affondandomi le unghie addosso.

Faccio fatica a non seguirlo, il modo in cui mi stritola dall'interno troppo dolce perché riesca ad ignorarlo, ma il mio autocontrollo che alla fine ha la meglio.

Non aspetto che si riprenda.

Stringo i suoi fianchi con le mani aperte e lo muovo sopra di me, sempre più veloce, la pelle che sbatte contro la pelle e il rumore che invade le nostre orecchie.

− Shoto... Shoto! - lo sento gemere, quasi urlare.

− Stai zitto. Stai zitto e prendilo. - sbotto di risposta, non smettendo per un istante di alzare il bacino per incontrare il suo, il corpicino timido di Izuku che mi accoglie completamente ad ogni spinta.

Trema, piange, persino sbava, un po'.

Eppure non si lamenta.

Affonda i denti sul labbro, le unghie sulle mie spalle, e risponde ai miei movimenti come se ne volesse ancora, della stimolazione eccessiva che gli sto forzatamente offrendo.

− Sei mio, cazzo. - commento, fra un fiato e l'altro, il ritmo che sta diventando insostenibile persino per me.

Con il volto ferito, felice, debole ed eccitato allo stesso tempo, stringe le braccia attorno a me.

− Tuo, sì, sono tuo, Shoto. Fammi sentire che sono tuo. -

La mia mano sinistra prende fuoco. Vedo una patina di fiamme che si formano sulla superficie della pelle quando la apro su di lui e il rumore della carne bruciata sfrigola nel silenzio dei nostri gemiti.

Urla, urla di dolore, ma non mi chiede di smettere.

− Così, così, bravo. - è l'unica cosa che dice, soddisfatto, euforico del male che gli sto facendo.

Spingo più forte le sue anche verso il basso.

Sembra che abbia di nuovo colpito quel punto lascivo dentro di lui, quando un gemito strozzato gli lascia la gola.

− Non potrai fare questo con nessun altro. Nessuno ti farà sentire così. - lo minaccio, bevendo ognuno dei suoi sguardi folli, godendomi il calore stretto attorno a me.

− Più forte. - risponde.

Sorrido di superiorità. Sorrido perché so che è maledettamente vero, che sono l'unico per lui. Sorrido perché non potrà fare mai più a meno di me.

Ed è l'unica persona che mi abbia fatto sentire così importante nella vita.

Lo ribalto in un attimo. Gli reggo una spalla con la mano e mi muovo per fargli appoggiare la schiena sul letto, le cosce che premono contro il petto minuto e il viso completamente distrutto.

Ora i movimenti sono solo miei.

Lui prende e basta.

E prende meravigliosamente, gemendo ad ogni affondo, urlando quando entro più in profondità, stringendosi contro di me.

Lo brucio ancora, sulla spalla, sul braccio.

Lascio ovunque le impronte delle mie mani che so non scompariranno mai.

Lo marchio per sempre, perché è mio. Solo mio. Il mio Izuku.

Il mio nemico.

− Ti amo, Shoto. - dice un'altra volta, le parole che sembrano sbavate, dal modo in cui le mormora.

Il suo viso è rigato di lacrime nere, meraviglioso.

Stringo le dita sul suo collo.

Le accendo, le lascio scaldarsi, prendere fuoco, bruciare. Osservo con attenzione il fumo della sua pelle scottata, e sento il suono della voce strozzata.

− Anche io ti amo, Izuku. - rispondo, con il tono più dolce che possiedo, prima di sentirlo stringersi un'altra volta.

E questa non posso prevederla, non posso fermarla.

Viene fra di noi. Bagna me e bagna se stesso, geme con un filo di voce, tenta di riprendere fiato mentre glielo impedisco e arrossisce.

E io non riesco a trattenermi una seconda volta e lo seguo.

Così a fondo, così a fondo che non ne uscirà mai più. Così a fondo che rimarrà lì per sempre, questo segno tangibile della mia presenza.

Gemo, riprendo fiato mentre lo lascio andare.

Respira a pieni polmoni con le mani aggrappate al lenzuolo, scuote un secondo il bacino contro di me e stringe i polpacci attorno alla mia vita quando tento di uscire, fermandomi.

− Non ancora. Rimani qua ancora un po'. Voglio ricordarmi di com'era, quando te ne andrai. - implora, la voce ancora non del tutto chiara e scandita.

Annuisco come posso, prima di affondare le mani fra i suoi riccioli verde scuro.

− Non voglio andarmene. −

− E allora rimani con me. -

Vorrei. Vorrei davvero tanto. Rimanere qui, fermo, a fondo del suo corpo caldo, immerso nel tepore della sua presenza sottile.

Vorrei rimanere tutt'uno con lui.

Perché mi sento completo, così. Non sento il vuoto che mi scava il petto, la solitudine che distrugge ogni singolo pensiero nella mia mente.

− Dobbiamo ucciderli tutti. - mi scappa dalle labbra.

Izuku incontra le mie anche con un movimento, mi lascia scivolare un po' più in profondità.

− Tutti chi? -

− Tutti quelli che provano a separarci. -

Raggiunge con una mano tremante la mia a fianco del suo viso, sorride.

− Non ne resterà vivo nemmeno uno. E poi potremo stare insieme, solo io e te. - dà voce ai miei pensieri.

Annuisco.

− Solo io e te. Per sempre. -

− Nessuno potrà più metterti le mani addosso. Nemmeno quelle stupide fan che ti abbracciano nelle foto. Nessuno. -

Piange ancora, quando mi specchio nei suoi occhi.

− Nessuno tranne te. - confermo.

Osservo avidamente ogni angolo del suo corpo, ognuna delle ustioni scarlatte che si stanno scurendo sulla sua pelle chiara. Le mie mani. Le mie ferite. Le mie cicatrici.

− Distruggiamo tutto e rimaniamo insieme. - sussurra poi.

Mi avvicino.

− Insieme. - ripeto.

Non sono mai stato così certo di qualcosa.

Scavo nella mia stessa mente, ricerco ognuno dei pensieri che si erano formati prima che mettessi le mani su di lui e capissi quanto la mia vita abbia senso solo così.

E una parola si forma tra la nebbia ovattata.

Nemico.

Questo è, Izuku.

Un nemico.

L'unica persona, che non sarà mai altro che la mia unica, perfetta, completa metà.

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➠♡༊ beta-read by -owlsetter __meeryblack MonicaKatfish

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