𝗹𝗶𝗹𝗶𝘁𝗵 :: 𝟮
╰┈➤ ❝ continua ❞
Ho scoperto nei giorni successivi che aver dato il mio numero all'avvocato sia stata una mossa ambivalentemente vantaggiosa e svantaggiosa.
Vantaggiosa perché è adorabile.
Svantaggiosa perché mi sto davvero prendendo una grossa sbandata.
La prima volta che mi ha scritto, due o tre giorni dopo che l'ho sfruttato come modello e cinque o sei prima di oggi, era un semplice "ciao, sono Ushijima, volevo scriverti così magari puoi salvare il mio numero".
Io ci ho scherzato su, perché mi piace scherzare, e ho risposto "non conosco nessun Ushijima".
Devo dire come è andata a finire?
Completamente confuso dal fatto che non mi stesse rispondendo ho pensato che avesse avuto un imprevisto e ho continuato a fare quello che stavo facendo, lavorare.
Cinque o sei minuti dopo era nello studio col telefono in mano, il fiatone come se avesse corso e la camicia un po' disordinata.
Mi ha detto che aveva preso il numero sbagliato e che aveva scritto a qualcuno a caso.
Adorabile, è stato adorabile.
La sera stessa o quella dopo, la faccenda si è evoluta con me che gli mando la tavola finita del disegno che mi ha aiutato a realizzare e lui che mi riempie di complimenti senza fine.
La mattina seguente, ha scritto che "i miei colleghi dicono che sei molto bravo, ho fatto vedere il disegno a tutti" e mi è esploso il cuore.
Poi c'è stato il momento della foto del suo gatto, un siberiano che sarà grosso quando me con il pelo grigio chiaro e gli occhi verdi, quello dei miei cactus minuscoli comprati al mercatino per abbellire lo studio, quello serale su che tè avrebbe dovuto portare a pranzo e quello su cosa cucinare.
E ancora i messaggi di cortesia come "sto salendo" prima di pranzo o "ho preso per sbaglio due paia di bacchette lascia le tue sotto", le cose stupide e quelle di routine e nel giro di una settimana, sono approdato al punto che non lascio più scaricare il telefono.
Lo tengo attaccato alla presa costantemente, ho impostato una suoneria specifica per sapere quando farmi palpitare il cuore e quando no e sorrido troppo di fronte allo schermo.
Semi-Semi è venuto a trovarmi ieri e ha detto che sembravo un coglione.
E anche che mi odiava, non ci vedevamo da dieci giorni e ho passato il tempo al bar a guardare il telefono invece di parlare con lui.
A mia discolpa quando lui si è messo con Shirabu mi parlava ininterrottamente solo della sua invidiabile frangetta storta e di cose sessuali che non m'interessavano.
Quindi sì, la cotta continua, la cotta diventa sempre peggio.
Sta iniziando a sembrarmi così grossa da illudermi che dovrei davvero confessarmi.
Il punto è che io credo di essere arrivato alla conclusione che io, a Ushijima, potrei anche piacere. Il modo in cui mi scrive e mi guarda me lo fa intendere in qualche forma, per cui la cosa non è così improbabile.
E so che non è etero perché chiacchierando di relazioni passate ha parlato al maschile.
Ma, c'è un "ma".
Gli piaccio per cosa?
Ho otto anni meno di lui e non rasento nemmeno minimamente il livello delle persone che frequenta e con cui vive.
Non sto male economicamente, è pur vero, campo bene con il mio lavoro, ma non sono uno degli avvocati più conosciuti della città, non sono un imprenditore o un ingegnere, sono un mangaka.
Non sminuisco il mio lavoro, ma so che sono mondi talmente differenti che non so come potrebbero mescolarsi.
So che non dovrei pensare questo di lui, ma inizio ad avere il timore che cerchi di divertirsi o di fare qualcosa di "nuovo".
E qui si solleva anche un altro problema.
Io, voglio provare qualcosa di "nuovo"? O mi vedo già con l'anello al dito in una magione in campagna a pettinare i capelli di Ushijima Wakatoshi di fronte al caminetto?
Perché che voglia vedere l'avvocato senza vestiti è chiaro, non ci piove, ma poi?
Poi che faccio?
Semi-Semi dice che sto facendo di lui un profilo sbagliato, cattivo e meschino, ma la mia intenzione non è quella, non lo è mai stata.
Dice che pur di auto-sabotarmi sono riuscito a trasformare l'uomo perfetto in un playboy senza scrupoli, che dovrei provarci guardando in faccia la realtà, non costruendo castelli in aria senza le fondamenta.
E Semi-Semi ha ragione.
Dire che Ushijima sia così superficiale, è sbagliato.
Lo difenderei a spada tratta se qualcun altro lo dicesse.
Ma stiamo parlando di... me.
Ed è più confortevole pensare che voglia solo una cosa da me che crepare di paura all'idea di confessarmi e prendere un palo grosso come una casa.
Solo che poi ci sono i messaggi.
E come faccio a dire che vuole solo scopare se mi manda le foto del suo gatto?
Il riso al cocco che mi ha offerto qualche giorno fa e che si è premurato di portarmi quello seguente, lo strafottutissimo tè, il far vedere i miei disegni ai colleghi e...
E quello che è successo stamattina.
Il primo e più valido punto a favore della mia teoria del playboy, era che in qualunque caso ci vedessimo, non c'erano mai i suoi colleghi attorno. Pensavo che magari fosse sensato pensare che si vergognasse di dimostrare di conoscermi.
Solo che, a quanto pare, non è così.
Stamattina sono arrivato a lavoro prima del solito, la giornata sembrava promettere bene e avevo una telefonata di lavoro da fare, per cui sono rimasto una ventina di minuti sulla panchina davanti al palazzo prima di salire.
Non avevo preso il caffè, contavo di passare dal bar sotto lo studio prima di salire.
Ricordo chiaramente di aver chiuso la telefonata con il freddo della mattina che mi s'infiltrava nelle ossa, aver pensato "che idea di merda rimanere fuori" ed essere rimasto ulteriori cinque minuti seduto perché non avevo voglia di alzarmi.
E poi come se niente fosse, stuolo di ragazzi vestiti bene al seguito, è arrivato Ushijima.
A quanto pare entrano tutti alla stessa ora e sono tutti ugualmente puntuali.
Mi ha visto, certo che mi ha visto, mi è passato davanti.
In quell'istante ho pensato che sarebbe andato avanti senza girarsi.
L'immagine che cercavo di affibbiargli avrebbe fatto così.
Tirare dritto.
E invece, a distruggere le mie certezze, Ushijima si è fermato, ha sorriso, ha detto agli altri di andare su prima di lui chiaramente intenzionato a rimanere lì con me, mi ha comprato il caffè e mi ha accompagnato fino alla porta.
E quattro ore dopo, a gambe incrociate sulla sedia su cui lavoro, sono giunto alla conclusione che non ho la minima, minimissima idea di cosa stia succedendo.
Mi vuole?
Per cosa mi vuole?
Per quale motivo gli piaccio?
Che problema ha?
Le domande mi frullano in testa senza che neppure io ci capisca nulla.
Da una parte è palese che ci sia un interesse di un certo tipo da parte sua nei miei confronti, dall'altra però non c'è il minimo senso che ci sia.
Non so cosa fare.
Cosa dovrei fare?
Buttarmi, no? Dovrei buttarmi e alla peggio rimediare quantomeno una scopata con l'uomo più bello del mondo. Se il mio sesto senso la dice giusta anche uno dei più dotati ma magari è solo un'impressione.
Ma...
Mi è successo in passato di essere umiliato per le cose che volevo.
Insomma, so che ci sono persone a cui piaccio, ma ho sempre avuto la sensazione che le persone che piacciono a me non siano tagliate per apprezzarmi, e dopo un po' che ti rendi conto che l'uomo di turno è etero, preferisce i ragazzi virili o ti trova semplicemente repellente, inizi un po' a chiuderti, no?
A me vanno bene gli stronzi occasionali che mi puntano in discoteca, alcuni di loro sono carini, gonfiano la mia autostima e finisce lì.
Cioè, a me andavano bene,
Perché ora non solo sono tornato a sperarci, ma la persona per cui ci spero è diversa da tutte quelle che sono venute prima.
Il profilo di uomo è sempre quello, più grande di me e più alto, ma Ushijima Wakatoshi è ben più di più grande e più alto.
Non è il solito ragazzo bello per cui mi prendo una tranvata in piena faccia e su cui sbavo settimane, non è il bello e sprezzante che mi tratta come se non valessi niente e sbriciola le mie speranze ad ogni parola alimentando una forma d'interesse malsano.
Ushijima, lo ripeto per la milionesima volta, è l'uomo perfetto.
Non c'è solo la bellezza.
C'è tutto il resto.
Ci sono la premura, la gentilezza, i modi di fare pacati.
E temo a questo punto che questa potrebbe essere la peggiore cotta che mi sia preso.
Mi ritrovo a riguardare con gli occhi velati dai dubbi il bozzetto che gli ho fatto una settimana fa, appoggiato sul bordo del tavolo, palesemente intonso e non toccato se non dalla stampante.
È che è così gentile.
Disponibile, carino, dolce.
Potrebbe farmi così tanto male, trattarmi in modi umilianti e sminuenti, ed eppure non solo non lo fa, ma si comporta come se fosse la normalità.
Come faccio?
Il telefono squilla contro la mia gamba, nella tasca dei jeans neri che ho messo oggi.
[Ushijima] >> Oggi piove. <<
M'incazzo con me stesso quando mi rendo conto che sto sorridendo al cellulare.
[You] >> davvero? lol <<
Rispondo tanto per, perché a dirla tutta non so bene cosa intenda con quel messaggio e con quelle parole e con quel minacciosissimo punto che scritto da lui sembra più tenero che intimidatorio.
Lo vedo scrivere per minuti interi, smettere e ricominciare.
Sta cancellando le parole?
Inizio a preoccuparmi.
[Ushijima] >> Non possiamo mangiare sul tetto. Ti va di mangiare in un altro posto? <<
A questa il mio cuore si ferma.
[You] >> con i tuoi colleghi dici <<
[Ushijima] >> Intendevo solo noi due. Se vuoi conoscerli te li presento, però. Come preferisci. <<
Solo...
Solo noi due.
Ma se voglio conoscerli me li presenta.
[You] >> sono vestito di merda <<
[Ushijima] >> Anche io, ho messo il completo dell'anno scorso, non ti preoccupare. <<
A questa scoppio legittimamente a ridere. Davvero, con il petto che trema e il telefono che rischia di cadermi dalle mani.
È adorabile.
[You] >> niente di troppo costoso mi arriva lo stipendio venerdì <<
[Ushijima] >> È un "sì"? <<
[You] >> yesss lol pensavi che ti avrei detto di no <<
[Ushijima] >> Ho pensato che magari avessi dei piani con qualcun altro. Posso passarti a prendere fra venti minuti? <<
[Ushijima] >> Inoltre gradirei offrirti il pranzo, se la cosa non ti dà fastidio. Non voglio che pensi che mi metta in mostra, solo che mi farebbe piacere. <<
In quale squallido romanzetto rosa sono finito? Ditemelo, che voglio comprarlo e leggere la fine.
Certo io non sono una noiosa ragazzina vergine che viene venduta ad una boy band e Ushijima non è il cattivo mafioso che tenta di rapirmi, diciamo che io sono più un promiscuo ragazzino con problemi sessuali e lui un adorabile pezzo d'uomo con montagne di soldi, ma...
Qualcuno mi dica se è vero, se è un sogno, o se sto fraintendendo.
[You] >> passami a prendere quando ti pare c'è la porta aperta aprimi e basta <<
Invio il messaggio, alzo lo sguardo verso la finestra per sbollire l'eccitazione e...
[Ushijima] >> Non credi sia meglio dopo pranzo, quello? <<
Che?
Di cosa sta parlando?
Oh, merda.
Merda.
Merdissima merda, cazzo.
[You] >> *apri <<
[You] >> scusa scusa scusa non volevo il correttore scusa scusa <<
Il problema è che poi riguardo il suo messaggio.
Lui ha...
Flirtato?
No, dai, scherzava. Su, non parliamone, Satori, stava palesemente scherzando. Avrà pensato che fosse divertente per non metterti in imbarazzo.
[Ushijima] >> Nessun problema. <<
Oh, merda.
E ora come lo guardo in faccia?
Maledetto me e i miei maledetti polpastrelli. Quante volte ho scritto "aprimi" nei messaggi per fare in modo che le parole si sostituissero nella mia mente?
Primo, devo davvero migliorare il mio vocabolario.
Secondo, se fra venti minuti Ushijima è qui, dovrò vivere con la prospettiva che lui mi abbia letto dirgli "aprimi".
Merda.
Come se non fosse vero, poi, ma merda.
Devo fingere di essere tranquillo, vero?
Che la cosa non sia stata grande com'è per davvero. Con calma e tranquillità, io...
Ma che calma e tranquillità, ora sarò in imbarazzo per il resto della mia vita mentre le immagini di Ushijima l'avvocato perfetto che mi apre non se ne andranno dalla mia mente.
Dopo pranzo, dice.
Bella battuta, Ushijima.
Bei tempi comici.
Non potevi dirmelo prima, che eri un comico nato? Mi sarei abituato prima al tuo senso dell'umorismo.
Un attimo, ma Ushijima non ha senso dell'umorismo.
No, ma non può essere veramente che...
Mi alzo con la faccia che va a fuoco.
So che sta andando a fuoco.
Anche se sono da solo.
Mi lancio in bagno, apro l'acqua del rubinetto e caccio la testa sotto il getto gelido.
Avevo messo il gel stamattina, per tirare su i capelli, ma poco m'importa che si sciolga.
Non credo dopo i calzini dei cartoni che ci sia modo in cui lo imbarazzerebbe vedermi. Forse il posto in cui conta di portarmi vorrebbe qualcuno di diverso, ma non posso farci molto se sono così.
Mi dico che se mi trovassi a disagio con lui o mi dicesse che non sono adatto per essere portato in giro, sarebbe di per sé una risposta.
Tiro indietro la testa e bagno lo specchio con piccole gocce d'acqua.
Sono grondanti, i miei capelli, e mi concedo quantomeno di strizzarli un po' per evitare che mi bagnino.
Ha funzionato?
Più o meno.
Ho la testa che non sembra stare per eruttare lava da ogni parte ma comunque grandemente confusa.
Sono imbarazzato perché gli ho scritto quel messaggio, ma stranamente tentato e accaldato dalla prospettiva che la sua risposta fosse onesta.
Sono spaventato a morte dal fatto che mi voglia solo come intrattenimento, ma allo stesso modo il cuore mi si stringe all'idea che potrebbe non essere così.
Credo che l'unica sarebbe chiedere.
Ma è fuori discussione.
Se tanto mi volesse rifiutare non sarebbe questo a farlo desistere e rischierei di perdere la sua compagnia per qualcosa che non posso cambiare.
Mi metto i soliti anfibi per evitare di doverlo far aspettare, anche se manca ancora un quarto d'ora.
Posso sotterrare le parole che non riesco a dire sotto al cibo, se evito di rimanere troppo tempo di fronte a lui.
Di norma non vedrei l'ora di uscirci, ma ora come ora sono solo parecchio, parecchio insicuro.
Ho i guanti tagliati sulle dita, addosso, lo smalto nero rimesso di fresco e sulla sinistra ho le ossa delle mani tatuate sulla pelle in corrispondenza della posizione dove dovrebbero essere.
Stamattina mi sono messo la matita nera sotto gli occhi e l'ho fatta sciogliere per sembrare più grunge, miseria, non sono il tipo di un avvocato di centro città.
Se magari fossi diverso...
− Satori? –
Mi rendo conto di avere le unghie fra i denti, l'espressione accigliata e la postura distante mentre rimango sulla scrivania seduto.
Mi ha chiamato per nome?
Perché è qui?
− Non avevi detto venti minuti? –
− Hai detto di scendere quando voglio. –
Apre la porta più dello spiraglio in penombra.
Non sono il suo tipo.
Non posso esserlo, quando è così.
Ma posso sperare che lo sia, questo è lecito.
− Se ti disturbo... −
Scaccio il pensiero con la mano di fronte al viso.
− Smetti di pensare che mi disturbi, Ushijima, chi ti ha insegnato a pensare che disturbi? Non mi disturbi mai. – confesso, scuotendo le spalle.
Sorride appena, ma non risponde.
− Sei troppo buono. –
Entra di qualche passo.
− Hai lavato i capelli? –
− Avevo bisogno di schiarire le idee. –
Si avvicina, aggrotta le sopracciglia.
− Non prenderai un raffreddore? Non voglio che tu stia male. –
Maledetto, maledetto perfetto adorabile Ushijima.
− Non li asciugo mai. –
− Oh, capisco. Io non riuscirei. –
Lo dice ridacchiando al fondo, come se fosse qualcosa di divertente.
Si gira verso la porta, mi squadra un istante.
− Posso lasciare qui la cravatta? Mi dà fastidio, anche se non sembra. – confessa, con il solito tono pacato che mi fa venire il latte alle ginocchia.
Annuisco.
Si toglie anche la giacca, la molla sullo schienale della sedia.
− Non la porti? Non dovrebbe piovere? – chiedo spontaneamente, quando lo vedo sistemare i polsini della camicia sugli avambracci e mettere in ordine il colletto.
Mi guarda e sorride come se avesse fatto una cosa davvero simpatica.
− Oggi non piove. –
Rimango interdetto.
− Oggi non... −
Sorride di più.
− Oggi non piove. –
Oggi non piove. E allora perché non siamo sul tetto?
Perché lui...
− E allora tu... −
Annuisce.
Mi va in cortocircuito il completo sistema nervoso. Tutto, tutto dice che Ushijima Wakatoshi vuole spontaneamente frequentarmi, è evidente, evidente, cazzo.
Ma il mio cervello urla che è impossibile, che nessuno del genere s'interesserebbe mai ad un mangaka strano che ama il sangue, men che meno la personificazione del sesso, del potere e della gentilezza.
Troppe informazioni.
Troppe.
Non riesco a trattenerne più nemmeno una.
− Volevo solo un modo per poterti invitare a pranzo. – confessa, abbassando lo sguardo.
Un modo per potermi invitare a pranzo, dice.
− Non so se sono adatto ai posti dove vai a pranzo di solito. –
A sentire queste parole, alza lo sguardo di botto.
− In che senso? –
− Insomma, non credo che in un bel posto qualcuno porterebbe mai... me. – concludo, dando voce a tutte le insicurezze che non posso più tenere a bada.
− Se nessuno ti ci ha portato prima è perché non capiva nulla, Satori. – trancia, annuendo piuttosto convinto, più di prima, quantomeno.
Perdo un battito.
− Sei sicuro? –
− Perché mai non dovrei esserlo? Se non volessi pranzare con te avrei smesso ben prima di invitarti fuori. –
È che è tutto così logicamente pulito e perfetto che sto cercando disperatamente appiglio per dargli una qualche forma di colpa.
Non credo che questa cosa finirà in un modo diverso da quelle precedenti, non perché non mi fidi di Ushijima né tantomeno perché non lo voglia, ma perché so come sono fatto, e come sono fatto dopo un po' stanca.
Ed eppure è logico, lineare e chiaro il modo in cui si comporta con me.
− Non sono abituato alle persone come te. – borbotto, guardandomi la punta dei piedi.
Con la coda dell'occhio registro un altro passo verso di me, poi sento la sua mano chiudersi sulla mia spalla. Muove il pollice trascinando con sé la maglietta scura, piano e con delicatezza.
− Non sto facendo niente di speciale. –
Mi stringo nelle spalle.
− "Niente di speciale" un corno, Ushijima. Tu... −
− Ti invito a pranzo? –
Mi mordo la lingua.
− Non ti vergogni di me. –
Sento la sua mano scendere sul braccio e fermarsi sulla mano, ammorbidirsi contro le dita e lasciare il mio contatto in un attimo.
Tiene la porta aperta con la mano, mi fa cenno di uscire.
− Nessuno si vergognerebbe di te. Credo che l'unico motivo per farlo sarebbe avere un complesso d'inferiorità, e non è comunque colpa tua. – dice, con la sua voce gentile e il viso serio.
Complesso d'inferiorità? Nei miei confronti?
− In ogni caso, a pranzo con te ci voglio andare davvero. Nel caso non te ne fossi accorto, Satori, non sono per niente capace a dire cose che non penso. Non so quale sia il mio problema, ma sono fatto così. –
Sorrido accettando l'invito e uscendo dalla porta.
− Non è un problema, è una cosa bella. –
− Dici? –
Chiama l'ascensore per me, mi fa entrare nelle porte scorrevoli prima di se stesso.
− Sì, davvero. Io penso troppo alle cose, è piacevole avere qualcuno che ti riporti alla realtà. –
Gli angoli della sua bocca si alzano.
− Quando vuoi. –
Se posso essere onesto, nonostante il modo in cui mi parla, ero ancora un briciolino convinto che si vergognasse di me. Un pelino, ecco, un grammino piccino.
Poi, però, dopo aver passato la strada a chiacchierare delle rispettive giornate di lavoro, del gatto di Ushijima che ora è il mio argomento preferito e di altre cose che ora non ricordo, ho visto il posto dove intendeva offrirmi il pranzo.
Esistono posti del genere fuori dai film?
Davvero?
Flash di me che m'ingozzo di sushi al posto osceno che ho sotto casa facendo a gara con Semi-Semi mi hanno attraversato la mente.
Io... non credo di essere nel mio elemento.
Non dovrebbe essere questo il mio posto.
Solo che alla fine sono entrato e quando Ushijima ha visto che non sembravo particolarmente convinto, dopo avermi chiesto se andasse tutto bene e se ci fosse qualcosa che non andava, mi ha preso la mano con la sua e mi ha trascinato al tavolo senza neppure guardarsi intorno.
Ha detto che sto davvero bene con i capelli senza gel, non che non mi stiano bene tirati su, ma che anche così gli piacciono molto.
Mentre le persone mi fissavano come fossi un totale estraneo, Ushijima mi spostava la sedia.
Credo di essere finito in una fiaba senza senso.
Che poi ho pensato, prima, tra me e me, che se fossi stato diverso sarebbe stato più facile.
Ma ha fatto capolino la porzione meno insicura di me a dire che se fossi stato diverso, Ushijima forse non mi avrebbe voluto.
La prospettiva di piacergli come sono è spaventosa.
Ora siamo seduti su un tavolo al centro di un ristorante troppo elegante e troppo pulito, faccia a faccia, e Ushijima mi sta guardando dritto negli occhi.
Non ha nemmeno tirato fuori il cellulare.
È...
− C'è qualcosa che non ti piace mangiare? – mi chiede, sorridendo appena.
Sono un'aspirapolvere, no che c'è qualcosa che non mi piace mangiare.
Scuoto la testa.
− A me non piacciono i funghi. – commenta, come se fosse una di quelle cose che gli passa per la mente e che non riesce a lasciar defluire.
− I funghi sono stra-buoni. –
− Fanno paura. E se fossero velenosi? – risponde, totalmente serio.
Rido appena, cercando di non fare troppo rumore per non disturbare gli altri perfettissimi clienti che sono qui dentro.
− Non credo che ti venderebbero un fungo velenoso al supermercato. Se no ci sarebbe molta meno violenza domestica e un sacco di uomini morti. –
Alza le sopracciglia.
− Oh, hai ragione. –
Mi viene da sorridere istintivamente.
− Chi l'avrebbe mai detto che l'avvocato squalo aveva paura dei funghi? – scherzo.
− E il mio hobby è il giardinaggio. – aggiunge.
− Sei strano, Ushijima. –
− Credo di sì. –
Cade il silenzio, lo vedo girarsi per guardare attorno al nostro tavolo, poi si china più vicino a me e abbassa drasticamente il tono della voce.
− Non dirlo a nessuno, ma la storia dell'avvocato squalo è finta. –
− Davvero? –
− Davvero. Mi dipingono in quel modo perché so fare bene il mio lavoro e perché mio padre lo era, ma io odio far piangere le persone in aula. Gli mando i fiori il giorno dopo perché mi sento molto in colpa. –
Devo mettermi una mano di fronte alla bocca per non scoppiare a ridere.
− I fiori? –
− Ah-ah. Non so perché le persone pensino che io sia cattivo. –
Non credo di saperlo più nemmeno io.
Vedo un cameriere vestito meglio di me avvicinarsi al tavolo e istintivamente incollo lo sguardo alla tovaglia.
Perché cazzo ci sono così tante posate, qui?
È un ristorante occidentale?
Per cosa dovrei usare tutta questa roba?
Vedo Ushijima allungare un braccio verso il mio oltre il tavolo.
Non so se si sia accorto che sono a disagio, se gli piaccia il contatto fisico o che altro, ma mi sento un pizzichino più calmo, quando appoggia la mano a fianco della mia.
Cerco di sollevare gli occhi.
Oh, merda è al tavolo.
Che cosa guardo, ora?
Mi accorgo che il pensiero è totalmente immotivato quando il cameriere si gira verso Ushijima fingendo che io non esista e di lui vedo giusto le spalle e il taglio di capelli.
Dovrebbe farmi piacere, no? No, cazzo. Meglio l'imbarazzo di sbagliare che essere trattato come fossi invisibile.
− Buongiorno, Signore. Lo chef dice che è felice che sia tornato dopo tanto tempo, che gli farebbe piacere venire a salutarla prima di ordinare. – sputa fuori quello stronzo con la voce talmente impostata che credo non sia nemmeno sua.
Ushijima sorride.
− No. –
Che?
− Mi scusi? –
− Sono a pranzo con un ospite, non credo che sarebbe molto educato da parte mia. Gli dica che verrò a salutarlo con piacere un altro giorno, se non è un problema. –
Vedo un brivido salire sulla schiena del cameriere che, come se si fosse accorto ora che c'è un'altra mano accanto a quella di Ushijima, si gira un centimetro alla volta verso la mia faccia.
Schifato?
Sì, è schifato.
Ma io sono un bastardo, perché credo di non essere all'altezza del posto e non a quella di Ushijima, ma amo dare fastidio.
Stringo le dita dentro quelle dell'avvocato, tiro su la mano e sorrido facendo "ciao" con la quella libera.
− Buon... giorno. – mi sento dire.
Ushijima guarda fisso le mani intrecciate.
Non toglie la sua, la fissa e basta.
− Bel posto, carino. – rispondo, guardandomi attorno.
È Ushijima ad intervenire.
− Ti piace? –
− Sì, grazie di avermici portato, Wakatoshi. –
La sua faccia diventa tutta rossa e stringe più forte la mia mano.
Guardami ancora come se fossi invisibile, ora, signor cameriere. Prova a fare lo stronzo, su.
− Posso portarvi da bere? –
Miseria, ma ora devo anche ordinare. Che ordino?
− Dell'acqua, per me. – inizia Ushijima e mi accodo con un maturissimo "anch'io" per evitare di chiedere una Monster in un ristorante di lusso.
Idem per il cibo, scontato.
Sono in grado di ordinarlo da solo?
No, cazzo, mangio riso e verdure bollite ventiquattr'ore al giorno, come posso sapere io che cosa sia una riduzione di radice di zenzero del Tibet?
Che poi, c'è lo zenzero nel Tibet?
In ogni caso, preso da questa mia vena sovversiva che si sostituisce a quella incerta, mi premuro di essere il più irritante possibile per il signor cameriere del cazzo.
Chiedo ogni singolo ingrediente.
Tiro avanti domande come "qual è il tuo piatto preferito, Wakatoshi" e "non credi che sia un po' fuori stagione" totalmente a caso, per il puro gusto di vederlo impazzire.
Pensi di essere meglio di me?
Preparati a perdere tempo.
Il problema è che poi, dopo aver imitato l'ordine di Ushijima dopo quelli che saranno stati dieci minuti di fastidio puro, il cameriere se ne va.
E io rimango da solo a prendermi le responsabilità del mio atteggiamento.
− Satori? – è quel che sento quando siamo finalmente di nuovo da soli.
Meeeerda.
Faccia innocente.
− Sì? –
− Stavi prendendo in giro il cameriere? –
Oh.
Se n'è accorto.
Come avrà fatto?
Certo, devo ammettere che se qualcuno ti porta a pranzo fuori la cosa meno indicata sarebbe prendere in giro il personale e mi sa che mi sono fatto un po' prendere la mano.
Dovrei smettere di essere pazzo.
Ahimè non posso farci molto.
− Forse. –
Ora mi uccide.
Ora mi...
Ride.
Ushijima ride e il rumore è meraviglioso, il viso spettacolare, l'effetto totale mi inchioda alla sedia come se fossi di ghiaccio.
− È stato divertente. –
Divertente, lui dice.
− Davvero? –
Fa "sì" con la testa.
− Sei divertente, Satori. –
Mi diventa la faccia di fuoco.
− Non ti ho messo in imbarazzo e ora vuoi sotterrarti e non farti vedere mai più con me per il resto della vita? –
− No, voglio portarti in tutti i ristoranti costosi che conosco. –
Vuole...
Non mi ha lasciato la mano, non voglio lasciarla nemmeno io, credo. Mi fa sentire un po' meno a disagio e attira l'attenzione in un modo che non disprezzo.
Fa un po' da deterrente per gli sguardi schifati e trasforma il disgusto in muta ammirazione.
Credo sia per questo, che Ushijima la tiene.
− La prossima volta che andiamo a mangiare fuori decido io dove andiamo. – borbotto.
− Basta che non mi porti a mangiare i funghi. –
− No, no, niente funghi, giuro. –
Rimane in silenzio a guardarmi, sorridendo e basta.
Mi guarda come se fossi una cosa... bella, credo.
− Mi piaci. – sussurra dopo qualche istante.
Sento il calore fluire verso il mio viso.
Non ho il tempo per pensare, non quello per mettere in fila le mille versioni di me ognuna con un pensiero contrastante. Non ho il tempo per esplorare le ipotesi negative in favore di quelle positive, non ho il tempo per trovare il modo di farmi del male senza farmene in modo palese.
− Perché? – rispondo, con lo stesso tono che ha usato lui, timido e minuto, un filo di voce.
Stringe le dita sulle mie, guarda le mani intrecciate.
− Perché sei divertente, interessante, talentuoso. Mi sembra di non aver bisogno di fingere di essere un'altra persona, con te. – mormora indicandosi attorno.
Sorrido appena, il cuore che non segue la delicatezza con cui parlo e sbatte sempre più forte contro la mia cassa toracica.
− Intendi far finta di essere cattivo? –
Scuote la testa.
− Far finta che non m'importi degli altri. –
Non ho il tempo di distruggere tutto con i dubbi.
Ce l'avessi, lo farei, so come io stesso sono fatto, ma non ce l'ho, quel tempo.
− Io sono solo io, Wakatoshi. –
− Credo tu mi piaccia proprio per questo. –
Proprio per questo?
Io...
Non credo di averci pensato, in quest'ultima settimana, in effetti.
Ho pensato una marea, una marea di cose cattive su di lui, l'ho trattato nella mia testa come se fosse uno a cui piace giocare, uno a cui non importa degli altri.
Mi sta dicendo che di me gli piace il contrario, come potrebbe essere onesta questa cosa?
− Ho pensato cose brutte su di te, Wakatoshi, non trattarmi come non merito di essere trattato. –
Rimane fermo un attimo, poi sorride ancora.
− Non ti ho detto che devo piacerti, ma che tu piaci a me. E il fatto che tu mi piaccia non ha niente a che fare con quel che pensi e tutto con il modo in cui mi fai sentire, Satori. –
Come potrebbe non piacermi?
Come?
− Il problema non è cosa penso di te, ma cosa di me stesso, alla fine, tu sei fantastico. – mugugno, giusto per poter avere la soddisfazione di dirgli che lo è, una volta sola.
Sorride.
− Grazie. Posso chiederti cosa pensi di te stesso? –
Sospiro, bella domanda.
− Un sacco di cose non molto carine, ecco. Mi sembra di non essere molto al di fuori del mio lavoro e di non poter essere interessante per nessuno. –
− Tu sei molto nel tuo lavoro e fuori. E secondo me sei una persona molto interessante. –
− Dici? –
Annuisce.
− Dico, dico. –
Il cameriere fa capolino dal fondo della sala.
− Possiamo mangiare e parlarne in un altro momento? – mi scappa.
Non voglio che pensi che la sua confessione non m'interessa, m'interessa come nient'altro.
Ma sento che se continuassi a farmi dire tutte queste belle cose ne uscirei solo illuso ancora di più.
Ha detto che "gli piaccio", e che gli piacessi, era anche abbastanza chiaro ai miei occhi. Rimane il problema di capire in che modo, per cosa e soprattutto, se è vero.
Se tutto questo è vero.
− Quando ti pare, posso continuare a dirti che mi piaci tutto il pranzo. – scherza.
Ridacchio.
− Prima devi spiegarmi come si mangia nei posti di lusso, potrei fare una figuraccia. –
Il suo sorriso è meno convinto, ma c'è.
− Certamente. –
Il cibo arriva sul piatto che i pensieri sono talmente tanti da annebbiarmi la mente e farmi sentire la testa pesante.
Maldetta cotta.
Maledettissima cotta.
E chi la capisce.
Io no di certo.
╰┈➤ ❝ continua ❞
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