𝗰𝗮𝗻 𝘆𝗼𝘂 𝗳𝗲𝗲𝗹 𝗺𝘆 𝗵𝗲𝗮𝗿𝘁

⟿ ✿ ship :: TodoDeku

⇉❃➶ !AU :: Villain !AU

➭ ✧❁ SMUT alert :: "Quando ricominciamo a baciarci, è dolce."

➥✱ song :: "Can you Feel my Heart", Bring me The Horizon

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➸★✺ disclaimer :: questa storia si basa completamente sulla romanticizzazione della follia. Essendo al cento per cento un'opera di finzione vi consiglio vivamente di non leggerla se vi disturbano le vibes inquetanti e osessive. La relazione fra Todoroki e Midoriya è assolutamente tossica, spero davvero di non disturbare nessuno.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

− Ne abbiamo trovato un altro. Giardino nazionale di Shinjuku, dietro ai cespugli, lasciato di notte. Vieni subito qui. -

Questo è il messaggio vocale che risuona nel mio auricolare quando corro verso le alte frasche verdi degli alberi, le gambe che bruciano per la corsa, l'aria in faccia.

Siamo a caccia di cadaveri.

È da stamattina.

Ognuno era strategicamente posizionato in qualche incrocio frequentatissimo, paradossalmente nascosto dagli occhi delle persone nonostante fosse in così bella vista.

Dietro un cassonetto a Shibuya, nel bagno pubblico di una stazione della metro, fra i cespugli del giardino nazionale.

Quattro.

Oggi, erano quattro.

Due donne e due uomini, e questo quinto ancora non lo so.

Inizio a rallentare quando vedo le sirene che lampeggiano in fondo alla strada che sto percorrendo.

Non c'è nulla da fare.

Il lavoro è della polizia, ora.

Io non posso salvare i morti.

In ogni caso, la curiosità macabra che mi nasce nel petto, mi avvicino. Passo sotto i nastri della scientifica senza problemi, le persone sanno perfettamente chi sono.

Forse i miei capelli, forse che sono il Number Two.

− Shoto. Sei arrivato. - mormora la stessa voce che ho sentito all'auricolare nemmeno cinque minuti fa, una voce calma e pacata, quasi rassegnata nel suo tono mogio.

Il capo della polizia.

Di fronte all'ennesima vittima innocente.

− Ci sono. Ma non credo di essere molto utile, in questa situazione. È la quinta, non è vero? -

Annuisce.

− Oggi è stata una strage. Non so se pensare che la Lega dei Villain li abbia radunati tutti per ucciderli assieme. -

Ingenuo.

"Lega dei Villain"?

Ingenuo, ispettore.

Annuisco.

− Dice? In ogni caso quei bastardi devono essere fermati. - rispondo fra i denti.

Allungo lo sguardo verso il corpo morto. È sfregiato, sangue ovunque, profonde coltellate sul petto, sul ventre, il volto irriconoscibile, i capelli biondi strappati.

Ah, la conoscevo.

So chi è.

− Indizi? - mi limito a chiedere, facendo finta di nulla.

L'ispettore si prende il ponte del naso fra l'indice e il medio, inspira rumorosamente e tenta di rilassare la tensione sfinita delle sue spalle.

− Niente. Solo... −

Si avvicina al cadavere.

Con le mani calzate nei guanti, lo gira.

− Questo. - conclude.

La schiena nuda, quasi familiarmente lentigginosa della ragazza che conoscevo, è intagliata con lettere rosse, scure, insanguinate.

− Chissà che cazzo vuol dire. "Togli le mani da ciò che è mio". Che roba di cattivo gusto. - borbotta, tracciando i confini delle ferite con lo sguardo.

Mi mordo la lingua per non scoppiare a ridere.

Piccolo bastardo, si sta divertendo parecchio, non è vero?

Torno in me.

− Davvero. - è tutto quello che rispondo.

Annuisco una volta, guardo l'ispettore radunare la sua squadra.

E fra me e me, Dio, fra me e me sorrido.

Deku l'ha scampata un'altra volta.

Quando torno a casa, lo stesso giorno, sono sfinito.

Nonostante fosse del tutto inutile coinvolgermi in qualsiasi attività di ricerca del colpevole, l'agenzia ha comunque insistito.

Che secondo loro un Villain come il mio è così coglione da farsi beccare nei dintorni del luogo di un ritrovamento di un cadavere, no?

Idioti.

Ho passato quattro ore a setacciare inutilmente le strade alla ricerca di qualcuno.

Sono passato in ufficio prima di andare a casa.

C'erano le foto delle vittime, e credo di aver sorriso per un minuscolo istante, a guardare i connotati asettici dei corpi morti che una volta vedevo brillanti, contenti, pieni di vita.

Sospiro chiudendo la porta di casa mia.

Mi sfilo le scarpe.

Vado in camera da letto.

− Piaciuti? - è quello che sento quando le piante dei miei piedi sono appoggiate non più al marmo freddo ma al parquet scuro della mia stanza.

Sorrido.

− È stato divertente, devo ammetterlo. - ribatto.

Muovo qualche altro passo in avanti, finché non sono al bordo del letto, le mie gambe contro il materasso e la figura minuta fra le lenzuola che si alza sulle ginocchia per raggiungermi.

Mi cinge il collo con le braccia, io mi chino.

Ci baciamo con calma.

Ci baciamo finché non finisce il fiato.

E quando mi stacco, mi viene quasi da ridere.

Quattro ore. Ho passato quattro ore a fingere di cercarlo, quando sapevo perfettamente dov'era. Era dov'è ora, dov'era ieri sera, dove sarà domani mattina.

−Ci hai messo una vita a tornare, oggi. - dice, la voce lamentosa e le mani che si aggrappano ai fianchi stretti del mio costume da Hero.

Alzo le spalle.

− Dovevo andare a recuperare i cadaveri che un certo qualcuno ha lasciato in giro, sai com'è. - rispondo, seguendo le sue dita su di me e sfregando delicatamente i polsi sottili.

Storce il naso.

− Figli di puttana. Ho fatto bene ad ucciderli. -

Stringe una mano sul tessuto della mia maglia, sul petto, e la tira verso di sé, facendomi sbilanciare verso il letto.

Mi reggo coi palmi sul materasso, ma atterro inevitabilmente addosso a lui.

Mi stringe la vita con le gambe, mi preme contro di sé.

− Non credi, Shoto? Non credi che abbia fatto bene ad ucciderli? -

Quanto sono debole, quando parla lui.

La sua pelle è marcata da una miriade di cicatrici mentre inspiro l'odore del mio shampoo sull'incavo del suo collo.

Si dev'essere lavato da me.

− Rispondimi. Non pensi che abbia fatto bene ad uccidere le persone che ti avevano toccato prima di me? L'ho fatto per noi, Shoto. L'ho fatto perché così siamo al sicuro. - riprende.

Ha ragione.

Ora siamo al sicuro.

Senza quelli che vogliono dividerci, siamo al sicuro.

Annuisco.

− Sì. Hai fatto bene. -

Inspira, cerca il mio sguardo con il suo, gli occhi grandi e verdi e accoglienti quando mangiano i miei.

− Ti amo, Shoto. Nessuno ti ama come me. -

Inspiro, espiro.

− Anche io ti amo, Izuku. -

Non so precisamente come siamo arrivati a questo punto.

La prima volta è stata un errore, e lo sapevo perfettamente.

Mi sono svegliato la mattina dopo che ero da solo, Deku sparito come neve al sole, nessuna traccia. L'unica cosa che mi ricordava che lui ci fosse stato, che quella cosa era successa per davvero, erano le macchie sulla mia pelle.

I segni dei morsi, delle unghie. E sapevo che in ogni caso lui era messo molto peggio.

Di avergli dato il codice del mio sistema antifurto, mi ricordavo.

Ma che mi aspettassi di vedermelo arrivare a casa una notte di qualche settimana dopo, pieno di sangue dalla testa ai piedi, con un proiettile nella spalla, quello no.

Diceva che non voleva più darmi fastidio.

Che era lì vicino, che Shigaraki l'aveva tradito, che non poteva fidarsi di nessuno, che non sapeva dove andare.

Che anche non mi avesse detto nulla, avevo passato gli ultimi giorni a pensare solo a lui. Che avrei voluto rivederlo in ogni caso.

Alla fine Shigaraki l'ha perdonato, o così credo di aver capito dagli eventi confusionari che mi racconta, ma Izuku non ha smesso di venire qui.

Verso le sette di sera, quando la gente torna a casa, vestito coprendo le cicatrici e senza la matita sotto gli occhi, sembra solo un ragazzo normalissimo. Che entra con calma in un complesso di appartamenti del centro come chiunque altro, che sale sette piani sopra il mio e scende a piedi per le scale, inserisce il codice e non si fa vedere da nessuno.

Che si toglie qualsiasi cosa abbia addosso appena mette piede qui, che si va a fare una doccia perché dice che l'odore del mio shampoo lo rilassa, che mi ruba i vestiti e si fa trovare sempre, sempre, sempre sul mio letto ad aspettarmi.

Izuku dice che gli sembra che il tempo passi solo quando ci sono io con lui.

E anche a me sembra lo stesso.

Passo le giornate ad aspettare solo questo momento.

Solo l'istante in cui aprirò la porta di casa, lascerò Todoroki, il Number Two con tutte le sue stupide pretese e stupide foto pubblicitarie fuori, nel pianerottolo, e diventerò l'unica cosa che voglio davvero essere.

Mi stacco dalle sue labbra prendendo fiato.

− Devo farmi la doccia, Izuku. - mormoro, una delle mie mani, quella su cui non mi reggo, che raggiunge la sua guancia e percorre delicatamente la traccia invisibile delle sue lentiggini chiare.

Sporge il labbro inferiore.

− Ma ti aspetto da ore... vuoi lasciarmi di nuovo da solo? -

Scuoto la testa.

− No, no, mai. Vuoi farti la doccia con me? -

− L'ho già fatta. Se prometti di fare presto ti lascio andare. -

Glielo prometto, e la sua stretta di scioglie in un istante.

Mi manca già, il suo calore sulla pelle.

Raggiungo la tasca sul retro dei miei pantaloni mentre mi allontano.

− Vuoi il mio cellulare? - chiedo, tirandolo fuori e agitandolo di fronte ai miei occhi.

Annuisce.

− Sì, sì, ti prego. -

− Ecco. -

Glielo lancio delicatamente e lo prende fra le mani che si chiudono insieme, sorridendo appena.

Izuku non ha un cellulare, sarebbe rischioso. E gli piace controllare chi mi si avvicina, chi mi scrive e contatta.

Non mi dà fastidio.

Mi fa sentire al sicuro.

Si getta all'indietro fra i cuscini, l'orlo della mia felpa che sale e rivela le gambe magre, e nude, e la metà inferiore del suo corpo coperta solo da un paio di boxer.

Ha le lentiggini su tutta la superficie liscia della pelle.

Vado in bagno prima di bloccarmi in qualsiasi pensiero malsano potesse essermi nato in testa.

A fare la doccia, in effetti, non ci metto molto, che ho fretta, una grande, grande fretta, Mi lavo i capelli velocemente, e l'acqua trascina via ogni angolo di stanchezza dalle mie spalle, calda, forse bollente.

Non ho nervi cutanei che reagiscano alle temperature di nessun genere.

Il mio quirk non ne ha bisogno.

La mia pelle non prende fuoco né si congela.

Provo solo una sensazione soffusa di calore, o di freddo, ma niente di più.

Per cui è quando vedo il vapore formarsi in un banco denso ai piedi della doccia che mi rendo conto che ho usato l'acqua troppo calda.

Poco male, non fa nessuna differenza in ogni caso.

Quando finalmente anche l'ultima traccia di sapone scompare nello scolo della doccia, esco un passo alla volta, mi lego un asciugamano in vita, attivo delicatamente il mio quirk per asciugarmi i capelli.

So che sembra una cosa stupida, ma posso garantire che darmi fuoco funziona.

Quando torno in camera, sono perfettamente asciutto, e il musetto di Izuku è completamente al buio, fatta eccezione per il naso e gli occhi illuminati dallo schermo del cellulare.

− Tienilo più lontano, o ti farà venire mal di testa. -

− Ho dimenticato gli occhiali da Kurogiri. - borbotta di risposta, scostando lo sguardo per fissarmi un attimo mentre mi cambio.

Si lecca le labbra come se volesse invitarmi a fare qualcosa, ma torna a se stesso l'istante dopo.

Scorre con le dita lunghe e sottili qualcosa che non so, sullo schermo chiaro, gli occhi svegli che leggono le righe una dopo l'altra.

− Chi è questa troia, Shoto? - chiede dopo un po'.

Sospiro.

− Chi? -

− Ti ha mandato dieci messaggi negli ultimi venti minuti. Stavo recuperando l'ultimo capitolo di Harry Potter e il Principe Mezzosangue e il tuo telefono ha iniziato a vibrare. -

Alzo un sopracciglio.

Nessuno dovrebbe scrivermi a quest'ora.

Nessuna donna che conosco.

− Dammi qua. - mi ritrovo a dirgli dunque, allungando la mano.

Spalanca gli occhi come se fosse spaventato. Vedo il terrore, puro, cieco terrore, nelle sue iridi chiare che sfavillano di qualcosa di folle di fronte a me.

Mi prende la mano e mi tira sul letto.

− Davanti a me. Tu rispondi davanti a me. -

− Scusami? -

Tremano. Le sue mani tremano di... furia.

− Non voglio che mi nascondi le cose, Shoto. Le persone. Non puoi tradirmi anche tu. - dice infine, e la voce mi muore in gola.

Che cosa?

Pensava che volessi... io?

Annuisco.

− Come... come vuoi. Non è un problema. Non ti nasconderei mai nulla, Izuku, lo sai. -

Sorride flebilmente, come se lo sapesse ma non riuscisse a convincersi di quest'idea, e poi, dopo qualche istante, cerca di tornare calmo.

Aspetta che mi sieda decentemente, che appoggi la schiena contro la testiera del letto, prima di arrampicarsi come un rampicante sul mio corpo semi-steso, una gamba fra le mie e la testa sul mio petto.

Solo quando è completamente spalmato su di me, lascia andare.

− Fammi... fammi vedere quello che fai. - si raccomanda solo, e lo bacio sulla punta del naso per rassicurarlo.

Non c'è nessun mondo in cui potrei tradirlo.

Perché non c'è nessun mondo in cui io vorrei rimanere senza di lui.

Niente è fatto per farci stare assieme.

Nessuno ha mai voluto questo per noi.

Siamo sempre stati solo due stronzi buttati in una vita già scritta, figli di un contesto sociale con una conclusione costretta, niente di più.

E non ci possono separare, ora.

Non dopo averci creati come due facce speculari di una realtà che cade a pezzi.

Non dopo aver diviso la giustizia fra le mie azioni e le sue intenzioni.

Non dopo averci tolto tutto se non l'odio reciproco.

E si sa che le emozioni forti, come la paura, il terrore, la furia, l'amore, l'euforia, alla fine, sono tutte uguali. Sono tutte accomunate da quella vampata adrenalinica che ci fa dimenticare che la realtà non ha niente di quella bellezza effimera e momentanea della gioia o del dolore più sfrenati, e alla fine, confonderle, è piuttosto facile.

Non saprei dire con esattezza quando l'odio e l'amore si sono mescolati al punto da essere una cosa sola.

So semplicemente che da quando c'è questo, da quanto invece di rincorrerlo e minacciarlo lo stringo a me come se fosse l'ancora di una vita che non mi è stata concessa, mi sembra di respirare la libertà.

Mi sembra di non avere più le catene della società.

Mi sembra di poter essere qualcuno a prescindere da quello che ho intorno.

Di poter finalmente scegliere qualcosa, nella vita. Di decidere cosa e chi amare, di poter prendere strade che so saranno sbagliate, ma che, cazzo, mi fanno sentire così bene.

Mi godo per un istante la sensazione dei suoi capelli sottili contro il viso.

Poi prendo il cellulare fra le mani e corro velocemente alle notifiche di cui stava parlando.

Riconosco immediatamente il nome.

− È la mia nuova segretaria. - commento, e lo sento irrigidirsi per un istante.

− Segretaria? Un Hero ha bisogno di una segretaria? -

− Rendono il lavoro più svelto. -

Leggo con calma i messaggi.

Tre sono su una conferenza che mio padre terrà nel weekend, bastardo, non ho voglia di andare.

Altri due sulle ricerche di oggi, poi il PDF di qualche documento che devo firmare, le specifiche delle operazioni, altra roba di lavoro.

E in fondo, là, timido e minaccioso non tanto ai miei occhi quanto a quelli della creaturina minuta ma stranamente letale che riposa fra le mie braccia, eccolo.

>> Buonanotte Shoto ci vediamo domani <3 << recita, innocente e nonostante questo maledettamente esplicito.

Stringo i denti un istante.

Prima che senta la gelosia di Izuku infiammarsi come il più eclatante degli incendi.

− Shoto!? Ti ha chiamato per nome? -

− Sì, mi ha chiamato per nome. -

− Come... come cazzo si permette! -

La sua voce è rotta dalla rabbia, incostante, seria, affilata e tagliente.

Spaventosa.

Ed eppure così calda e coinvolta che mi fa sentire importante, e amato ai suoi occhi.

Non dovrebbe piacermi questo. Non dovrebbe piacermi lui.

Ma non dovrei avere la possibilità di scegliere questa cosa.

E siccome ce l'ho, allora scelgo la bruciante passione dell'amore che non dovrei volere, perché mi fa sentire vivo oltre la lentezza straziante della vita che si ripete sempre uguale.

− La ammazzo. Io la ammazzo. Li ammazzerò tutti, quelli che ti vogliono. Fino all'ultimo. - borbotta, come se stesse parlando fra sé e sé, come se non potessi sentirlo.

E invece, lo sento.

E non dico nulla.

Non mi oppongo.

Perché non voglio farlo.

− Come si chiama? -

Spiffero il nome senza farmi problemi.

− Vive a qualche isolato da qui, dietro la sede centrale dell'agenzia di mio padre. - continuo poi, il cellulare spento appoggiato al mio fianco, sulle lenzuola, e una mano che scorre pacificamente sul suo corpo teso incollato al mio.

− La uccido. -

− Uccidila. -

Non m'importa.

Di nessuno, m'importa.

Non ho niente. Non ho relazioni durature, non ho amicizie che valgano la pena di essere chiamate tali, non tengo a nessuno in particolare.

Se non ad Izuku.

Ed è per questo che gli lascerò fare quel che gli pare. Perché quello che vuole lui, è quello che voglio io.

Decido di utilizzare il discorso a mio favore.

− E tu? C'è qualcun altro che devo far fuori sul campo? - chiedo.

Non è l'unico folle, lui.

Solo che se lo faccio io è legale.

L'unica differenza.

Una marea di Villain, solitamente piccole comparse nella scena malavitosa della città, ho fatto fuori in battaglia.

Sorridendo alle loro facce sofferenti e chiedendo loro se ne era valsa la pena, di mettere le mani sul corpo lascivo della persona che era fatta per me.

Io e Izuku non siamo fatti per stare assieme.

Siamo troppo infantili, soli e incazzati col mondo, per avere una relazione.

Distruggiamo tutto quello che ci tocca.

Eppure, siamo qui.

E non potremmo essere più completi.

Lo sento respirare rumorosamente, cercare di riprendere una parvenza di calma, prima di rispondere.

− Tre. Di una sezione minore della Lega dei Villain, ti scrivo dove stanno prima di andarmene domani. -

− Che ti hanno fatto? -

Non sono nuovo all'idea che la gente allunghi le dita su Izuku a prescindere dal suo consenso. Dice e so che è un mondo troppo violento e crudo, il suo, perché qualcosa di così importante ma effimero come un'espressione verbale possa contare.

− Mi hanno drogato tre anni fa, quando dormivo per strada. Mi hanno fatto stare da loro alla condizione che non mi lamentassi. -

Anche io inizio a incazzarmi, ora.

A infuriarmi.

Ed è sbagliato che sia perché lui è lui, piuttosto che per il gesto.

Ma il vero Shoto non è eroico, no. È un egoista che tiene solo alle cose che ama.

− Perfetto. Rimpiangeranno il giorno in cui hanno deciso di guardarti in faccia. - dico infine, e lo penso davvero.

Rimaniamo qualche altro istante in silenzio.

Un silenzio teso, pieno di parole non dette.

Ma allo stesso tempo rilassato nell'unico posto dove possiamo essere veramente felici di stare.

Izuku si gira, atterra con le clavicole magre premute contro le mie, il naso a pochi centimetri dal mio viso.

− Mi proteggerai per sempre, non è vero? -

− Ti proteggerò come tu proteggi me. Niente e nessuno ci separerà mai, Izuku. -

Quando mi bacia c'è tutto, nelle sue labbra.

C'è la sensazione di rabbia, c'è la gelosia, c'è la tensione e c'è l'amore, c'è la nostalgia di noi che possiamo vederci così poco ed eppure per un tempo che conta più del restante enorme susseguirsi di secondi che trascorriamo separati, c'è l'appartenenza.

Ha imparato a baciarmi come mi piace.

Ha imparato perché gliel'ho insegnato io.

Questa è l'unica cosa di me che in lui posso vedere da fuori.

Le sue labbra sono sempre ruvide, graffiano quasi le mie, costellate come sono dai segni dei morsi e dalle screpolature, ma è piacevole sentirle muoversi, timide e sottili, contro le mie.

Mi sorprende sempre il gemito di puro piacere che danza fuori dalla sua gola quando intreccio la lingua alla sua.

È come se nonostante la sua esperienza e il suo dolore fosse sempre sorpreso, di quanto posso farlo star bene.

Si scioglie fra le mie mani, aderisce a me e sento i suoi muscoli rilassarsi, e quando ci stacchiamo i suoi occhi scintillano.

Sorride appena, passa con una delle gambe oltre la mia vita, si mette per bene a cavalcioni del mio grembo.

Appoggia il mento sul mio sterno.

− Mio? -

Annuisco.

− Sì, sì, tutto tuo. -

Mi bacia il petto completamente soddisfatto.

− Perfetto. -

Quando muovo il braccio per infilare le dita fra i suoi capelli, si lascia andare, come se volesse appoggiarsi, contro la mia mano.

− Raccontami che cosa hai fatto oggi. - chiede dopo qualche istante, e ridacchio.

− Sai cos'ho fatto oggi. -

− Lo so, ma mi piace ascoltarti parlare. -

Sorrido appena.

− Il primo era quello di Shibuya. Geniale, lasciarlo dentro al cassonetto. Mi è piaciuta la scelta. - inizio, e lo vedo annuire.

− Visto? Volevo che fosse sotto gli occhi di tutti ma che nessuno riuscisse a vederlo. -

Lo so, Izuku, lo so.

Io so sempre quello che vuoi.

− Mi hanno chiamato immediatamente, ma in realtà è stato piuttosto inutile, come con gli altri. Non capisco che cosa possa fare un Hero di fronte ad un cadavere. -

− Volevano che li vedessi, forse. -

− Mmh, non saprei. -

Respiro il suo - mio - profumo fra le ciocche verdi.

− Mi veniva da ridere, quando ho visto la prima scritta. Ho fatto davvero fatica a far finta di nulla. - continuo.

Sorride a trentadue denti.

− Scusami, era uno scherzo! - esclama, mettendosi la lingua fra i denti.

Storco il naso.

− Uno scherzo che poteva costarmi il lavoro. Sai che figura mi sarei fatto a spaccarmi dal ridere davanti ad un cadavere? -

Si scusa ancora, si asciuga il bordo di un occhio con la mano.

Continuo a raccontare.

Racconto di come avessi visto le persone con cui avevo una relazione in passato morte di fronte ai miei stessi occhi, di come non mi abbia fatto il minimo effetto.

Lo sgrido per il capello verde che ho dovuto bruciare prima che gli altri lo vedessero per coprire le tracce, non lo facevo così distratto.

Dice che quello aveva lottato parecchio.

Che era inevitabile che qualcosa ci fosse finito.

E poi scendo nei minimi dettagli di qualsiasi cosa mi abbia detto la polizia, le mie mani che premono più forte sulla sua schiena e stringono più saldamente la sua pelle ogni istante che passa.

La stanchezza della giornata di lavoro scivola via da me con lo stesso ritmo con cui mi rendo conto della presenza di Izuku.

Di ogni centimetro della sua pelle eburnea, lentigginosa e quasi trasparente, che esce dalla felpa e si inerpica nelle superfici dolci e lisce delle sue braccia, delle sue gambe.

Il viso è adorabile, quando è rilassato.

Adorabile quanto inquietante.

C'è una bellezza forse femminea, forse infantile, nella forma tonda e grande dei suoi occhi, nelle ciglia folte, fitte, scure, nel naso minuto e nelle labbra con una forma così delicata.

Il viso di Izuku è l'unica cosa che non è rovinata del suo corpo.

È l'unica che rimane di quello che era prima di diventare così.

E tanto lo amerei anche fosse sfregiato, perché quello che provo nei suoi confronti esplode più per lo scontrarsi contrastante delle nostre personalità, che per una pura attrazione fisica.

Ma non negherò che il suo corpo è qualcosa che amo.

Sia questo viso così incredibilmente innocente, sia il corpo tonico e pieno di cicatrici.

Mi rendo conto di essermi incantato a fissarlo e di aver smesso di parlare quando arrossisce.

− Sho... Shoto? - mi chiede, arruffando delicatamente le sopracciglia, avvicinandosi al mio viso come volesse sentirmi parlare più forte.

Scuoto via i pensieri.

− Scusa, mi sono perso. -

− Mi stavi... mi stavi fissando. C'è qualcosa che non va? È perché ho i tagli sulle labbra? La... la prossima volta... −

Lo zittisco baciandolo.

− Non sono i tagli, Izuku. Stavo pensando che sei bello e che mi piace il tuo viso. -

Diventa impossibilmente rosso, nasconde gli occhi con le mani che un po' tremano, e si allontana.

− Non dire... non dire così... −

Sorrido.

− Perché non dovrei dirlo? È vero. -

Si allontana ancora.

Fa "no" con la testa, stringe le cosce fra di loro e le tira impercettibilmente verso di sé, come se volesse proteggersi.

− Non... non mi dire bugie, Shoto. -

Non capisco.

− Non lo sto facendo. -

Inizia a tremare più forte, più violentemente.

Furia? Di nuovo?

No, questa è più muta, più calma, più dolorosa.

Rassegnazione...?

Immediatamente allungo una mano per circondare il suo polso, e sento il suo cuore battere forte sotto la pelle, fra le mie dita.

− Izuku, cosa c'è che non va? Volevo farti un complimento. Ero onesto, non sto mentendo. - ripeto, più lentamente, scandendo bene le parole per fargliele capire perfettamente.

− No... non è possibile. Tu... tutte quelle persone, erano così belle, così belle. - mormora, e non riesco bene a collegare le parole le une alle altre, nel vibrare incerto della sua voce.

− Non capisco. -

− Quelli... quelli che ho ucciso. Quando erano vivi erano così belli, come te. Io... io... non posso... tutti, li ammazzerò tutti, così non mi lascerai mai... solo io... − continua, e di nuovo non afferro a pieno nessuna delle frasi che sta borbottando.

Sembra che lo faccia spesso, di parlare fra sé e sé con quel tono appena sussurrato, pensando e rimuginando.

Come se stesse elaborando le informazioni.

Prendo un grande respiro, e lo circondo con le braccia, il suo corpicino che è ancora tremante quando lo stringo al mio petto.

Non smette di parlare.

Quell'ammasso di lettere incomprensibili.

Stringo più forte.

Le mie parole, a differenza delle sue, si capiscono bene,

− Nessuno è più bello di te, Izuku. Non ti lascerei per nessuno al mondo, per niente al mondo. Potresti strapparmi il cuore dal petto e non smetterei di adorarti. Dico la verità quando dico che sei bellissimo, quando dico che mi piace il tuo viso. -

Inizia a respirare più in fretta, e le mie braccia sono quasi serrate attorno alle sue spalle, ormai.

− Mi fa tutto schifo tranne te. Non voglio niente che non sia tu. Non vorrei vivere, se tu non ci fossi più. -

Ammutolisce.

Ammutolisce in un attimo, ed è come se si sciogliesse, diventasse morbido e malleabile. Aderisce alla mia pelle come se ci si stesse spalmando sopra, il suo respiro si fa sempre più docile.

− Lo pensi... lo pensi davvero? -

Non ragiono prima di parlare, perché non ne ho bisogno.

− Non ho nessun dubbio, Izuku. -

Quando ricominciamo a baciarci, è dolce.

La prima volta che l'abbiamo fatto, toccarci, intendo, è stato violento. E meraviglioso ma doloroso, tagliente, solo l'insieme di una miriade di sensazioni positive e negative che si amalgamavano nella mia soddisfazione e nella sofferenza così ambita per Izuku.

C'era fame, la prima volta. Quella voglia di ingoiarci interi a vicenda, chiuderci dentro noi stessi, scappare e rinchiuderci assieme.

Nelle ultime due settimane, ci siamo addolciti.

Non c'è rabbia.

C'è solo la tensione disperata del tempo che scorre.

E che vorremmo che non finisse mai.

Apre le labbra per sentirmi più vicino e io inclino la testa per raggiungerlo meglio, e cade con la schiena sul letto, me sopra un'altra volta, come quando sono tornato a casa qualche decina di minuti fa.

Dice che lo fa sentire al sicuro stare sotto di me.

Che si sente come se fosse in gabbia.

All'inizio non capivo che cosa ci fosse nell'immagine dell'essere rinchiuso di "sicuro", ma forse ora inizio ad afferrare che cosa intendesse.

Forse voleva dirmi che si sentiva sopraffatto.

E che essere sopraffatto da qualcuno che ti ama e non dall'odio per te stesso, è piacevole.

Lasciarsi andare a qualcuno.

Mi stringe la vita con le gambe, mi preme contro di lui, le braccia allacciate al mio collo e la bocca sulla mia.

È così insicuro.

Così convinto che voglia tradirlo.

Così dolcemente fragile.

Inizio anch'io a volerne improvvisamente di più, a sentire che non è abbastanza, a desiderare decisamente più contatto.

Infilo le mani sotto la sua - mia - felpa.

Ha la pelle calda, sotto.

− Di più, Shoto. - mormora, quando ci stacchiamo per riprendere fiato.

È una preghiera, la sua.

E io non ho alcuna intenzione di disonorarla.

Affondo forte le mani, le dita che scompaiono sulla distesa chiara di pelle cremosa, mentre traccio la linea dalla sua vita fino al busto, la spina dorsale dietro e un capezzolo davanti.

Come mi sente toccarlo lì, si morde il labbro.

Non so se sono io, lui, o la nostra combinazione assieme, ma è sensibile.

Come se sentisse tutto troppo forte.

Osservo per un istante i suoi occhi prima di raggiungere la mano sul suo petto con l'altra, alzare l'orlo della felpa ed aiutarlo a liberarsene, adagiarlo sul letto praticamente nudo.

Inerme, innocente, indifeso.

Delicato e dolce quando la sua voce si stringe in un gemito che somiglia ad un lamento mentre le mie labbra si chiudono attorno al capezzolo che avevo toccato prima.

− Più forte, su, fammi sentire. - lo stuzzico, prima di affondare il naso fra le distese lentigginose della sua pelle.

Ha tutto un odore così... rilassante.

Mi sento a casa.

Più di quanto non mi sia mai sentito in un edificio, o con la mia famiglia.

Con le labbra che tracciano una linea delicata dal petto all'ombelico di Izuku, mi sento a casa.

Quando circondo il bordo elasticizzato dei suoi boxer e ci infilo le punte delle dita dentro, scorrendo sulla pelle tesa, mi sento a casa.

Arrossisce.

Si morde il labbro e distoglie lo sguardo.

− Guardami. - chiedo.

− Mi vergogno. - risponde.

Mi viene da ridere.

Sappiamo tutti come è andata la prima volta che l'abbiamo fatto.

Sappiamo tutti di come avesse fatto la stessa cosa e ci fosse pure quasi rimasto, per farlo.

− Izuku, guardami. - ripeto.

Ha il naso di un colore che ricorda il viola quando mi lancia un'occhiata furtiva.

− Non devi farlo per forza. Non... non sei obbligato... perché... −

Lo spoglio senza aspettare che finisca la frase.

− Non lo faccio per forza. Lo faccio perché voglio. -

L'istante dopo gli sto spalancando le cosce con le mani e quello dopo ancora il retro delle sue ginocchia è appoggiato sulle mie spalle.

Getta il mento all'indietro e la sua schiena si inarca quando lo prendo in bocca.

− Shoto! - riesce ad esclamare, anche se in realtà sta gemendo.

Mi piace quella vocina che fa.

Quando lo eccito particolarmente.

Mi prendo il mio tempo per muovermi lentamente su e giù, leccare la parte esattamente sotto e appena più delicatamente la punta, scavare nei suoi fianchi con le mani per tenerlo fermo mentre il suo bacino scatta involontariamente in avanti, verso di me.

Stringe le cosce attorno alla mia testa.

− Ca... cazzo... − riesco a sentirlo borbottare.

La sua pancia si tende, quando la parte centrale della schiena di alza e descrive un arco dolce nell'aria.

Piatta, delicata, liscia.

Lascio che una delle mie mani vaghi nel suo interno coscia, poi la raggiungo con le labbra e mordo forte una miriade di segni scuri sulla carne morbida, sentendolo periodicamente contrarsi e rilassarsi contro la mia bocca.

Una mano incerta arriva verso la mia testa.

− Ti sta piacendo, Izuku? Ti vergogni ancora? -

Non risponde, ma quando lancio un'occhiata dalla sua parte annuisce.

− Non... non smettere. -

Ci dev'essere qualcosa di particolarmente lascivo quando apro appena la bocca e lascio uscire la lingua direttamente di fronte ai suoi occhi.

Gli si dilatano le pupille.

Gli occhi si spalancano giusto l'attimo prima di chiudersi strizzati da un gemito che non riesce a controllare.

Chiama il mio nome.

Vibra quasi, il suo corpo.

Izuku non è abituato al piacere senza il dolore.

Alle sensazioni piacevoli che non nascono dalla sofferenza.

Non sa gestirle.

Il suo cervello è come se si aspettasse la violenza dopo, uno schiaffo o un morso che squarci la pelle, non elabora questa scarica elettrica che non maschera nessuna ferita.

La sua bocca è appena aperta indietro, quando gli lancio un'occhiata, umida a lato per quella che immagino sia saliva.

Si lecca le labbra.

− Anco... ancora... − dice e ripete, più volte.

Gli occhi gli rotolano indietro.

È come se anche focalizzarsi solo sulla mia immagine fosse faticoso.

Quando chiudo le labbra attorno a lui stringendole appena più forte di prima, succhio accompagnando il movimento con una mano alla base, urla.

Urla proprio, e si tende come un fuso.

Quando si spezza, la tensione, è davvero come se qualcosa dentro di lui si rompesse.

Geme come se stesse piangendo.

È un rumore acuto, e sensuale, ma che non saprei davvero distinguere da un lamento di dolore.

Così meraviglioso, Izuku. Così diverso, e strano, e particolare e rotto e distrutto e perfetto, per completarsi con i lembi stracciati di quello che rimane della persona che ero.

Trema fra le mie labbra, l'orgasmo che non mi faccio problemi a mandare giù, e atterra con la schiena sul letto che sta ancora cercando di riprendere fiato a pieni polmoni.

Salgo di nuovo sopra di lui cercando il suo sguardo e lo trovo sfocato, distratto, che vola da una parte all'altra del soffitto tentando di fermarsi.

− Io... è stato... − mugugna, non riuscendo a concludere la frase.

Affondo le dita fra i suoi capelli sottili.

− Lo so, Izuku, lo so. Non serve che tu me lo dica. - lo rassicuro, aiutandolo con tutta la calma che possiedo a tornare in una condizione quantomeno normale.

Sono eccitato - e parecchio duro, in effetti - ma non ho fretta.

Voglio prendermi cura di lui.

Sembra infinito, il tempo che passo a pettinargli gentilmente le ciocche scure con la mano, aspettando che il suo respiro diventi meno secco e staccato.

− Vuoi continuare? Se vuoi possiamo anche andare a dormire, non è un problema. - sussurro al suo orecchio.

Strofina il naso contro il mio sterno.

− No, no. Mi sono anche preparato, prima. -

Alzo un sopracciglio.

− Scusami? -

La curiosità è tanta, probabilmente troppa, quando lascio scendere il mio tocco dal suo capo in basso, fra le scapole, lungo la spina dorsale, e raggiungo la sua entrata.

Umidiccio, scivoloso.

Lubrificante.

− Volevo... non so, per quando saresti tornato. Così non avremmo dovuto perdere tempo. - si giustifica, e mi viene quasi da ridere.

Così ingenuo quando si tratta di ricevere ma Dio, per nulla quando invece si tratta di dare.

Sorrido.

− Bugiardo. - commento.

Arrossisce.

− Cosa? -

− Stai mentendo. Non è per fare più in fretta, che l'hai fatto. -

Diventa sempre più scuro in viso, e si morde il labbro quando sente le mie dita circondarlo delicatamente, toccarlo sempre di più.

− No? -

− No. Dimmi la verità. -

So che il motivo è molto più lascivo e folle di quello.

Izuku, lo è.

Distoglie lo sguardo, sbatte le palpebre.

− Se non me lo dici non lo metto dentro. - riprendo.

Spalanca gli occhi, di un terrore misto ad eccitazione.

− Mi... mi piaceva l'idea di essere qui sul tuo letto a farmi... quello, mentre tu stavi guardando le persone che hai amato come me morte. -

Così folle.

E così stranamente adorabile, nella sua follia.

− Ti sbagli. -

Di nuovo, mi tiro su sopra di lui, ma questa volta mi giro di lato e atterro sul materasso, trascinandomelo dietro.

Mi sfilo i pantaloni e aspetto che mi imiti, prima di farlo sedere sul mio grembo.

− Ti sbagli perché non ho mai amato nessuno come te. E non penso che lo farò mai. -

Si china e unisce le labbra con le mie, mentre spalanca le cosce ai fianchi delle mie gambe.

Mi spingo dentro di lui senza smettere di baciarlo.

Ricomincia a piangere quando entro fino in fondo. Lacrime timide e trasparenti che sembrano strabordargli dagli occhi e tingere il viso di un'aura dolorosa, nella sensazione piacevole.

− Anche io ti amo, Shoto. Ti amo, ti amo, ti amo... −

Afferro i suoi fianchi perché so che da solo non è in grado assolutamente di muoversi, nello stato in cui è, e come se non pesasse nulla, perché di fatto è così minuto che è leggero, fra le mie mani, lo muovo un paio di volte in alto e in basso.

Geme lui e gemo anch'io, perché è deliziosamente stretto e mi stritola dall'interno con gli spasmi involontari del suo corpo.

− Izuku, cazzo... −

− Shoto... −

La parola giusta per descrivere tutto questo, immagino sia "peccaminoso".

La bellezza scorretta di questa creaturina così letale e innocente allo stesso tempo che trema, e si contorce fra le mie braccia, le labbra semi aperte e gli occhi che sfarfallano, la voce che si mescola alla mia nell'aria e il rumore osceno della pelle che sbatte contro la pelle.

Peccaminoso.

Il gesto che non dovrei fare ma che faccio con tutta l'enfasi che ho in corpo.

Sbagliato e delizioso proprio per questo.

− Per... per sempre...? - mi sento chiedere, mentre tenta di tirare su la testa che è inevitabilmente gettata all'indietro dai movimenti sempre più ritmici e serrati.

In un attimo lo sbilancio all'indietro.

Lo sbatto contro il materasso, afferro il suo bacino, ricomincio ad entrare e ad uscire da lui.

− Per sempre. -

Il suo corpo ha una linea sensuale, con le anche alzate fra le mie mani e le spalle sul letto, inarcata e dolce.

Non smetto.

Non smetto perché è caldo, Izuku. Caldo e accogliente, stretto, familiare, invitante, dolce.

La mia voce nemmeno, è in grado di controllarsi.

È più bassa della sua, probabilmente più gutturale, gratta contro la mia gola.

− Cazzo! - mi lascio andare, quando lo sento stringersi di botto con tutto il corpo addosso a me.

Raggiunge con una mano una di quelle con cui lo tengo su dalla vita.

− Ancora, dammelo ancora... − prega, e lo fa in modo così sfacciato che non riesco a nascondere una risata.

− Chiedilo più forte. - lo stuzzico.

Inarca di più la schiena, e penso sia saliva quella che inumidisce il lato delle sue labbra martoriate dai morsi.

Sarebbe meno disinibito, se fosse in una situazione normale.

Ma penso di avergli strappato l'imbarazzo.

− Ancora! Cazzo, Shoto, ancora! - urla, e senza remore questa volta, senza problemi, senza dubbi.

Lo urla e si ancora a me con le gambe, mi aiuta a entrare più a fondo, mi pugnala la schiena con le unghie e il suo mento cade verso l'alto.

Siamo vicini entrambi, quando decido di concedergli quel grammo di dolore che si vede ricerca come l'aria.

Affondo i denti sulla sua spalla.

Forte, senza trattenermi, il sapore ferroso del sangue che esplode nella mia bocca.

Lo sento gemere di piacere e sofferenza mischiati assieme, stringersi impossibilmente attorno a me.

− Dentro, Shoto, dentro di me... dentro di... − borbotta.

Non c'è alcun dubbio.

Non c'è altro posto per me.

Non sono niente se non quando sono dentro Izuku, con Izuku, una sola, unica morbida cosa con lui.

Siamo uno.

E siamo fatti per ricongiungerci in questo modo.

Nonostante tutto, nonostante gli altri e il mondo e la società che ci dice che non è vero.

Quando Izuku si stringe un'altra volta, e si contrae e viene fra noi, quando mi lascio andare e il mio orgasmo è così in fondo dentro il suo corpo che non so dove finisca io e dove inizi lui, so che è così.

E non ne rimpiango nemmeno un istante.

Izuku cerca di smettere di piangere, mentre si riprende, e io esco da lui e non faccio altro che ancorarmi al suo corpo nudo e sudato, stringerlo come se potessi fonderlo alla mia pelle.

− Shoto... Sho... Shoto... − singhiozza al mio orecchio, piangendo ma stranamente felice.

Respiro profondamente il suo odore, il suo e il mio mescolati assieme, il sudore e la fatica e l'amore che ci unisce.

− Ssh, Izuku, dormi. -

− Shoto... −

− Dormi. -

Lo osservo chiudere gli occhi combattendo le lacrime che fatica a non far uscire, il labbro che trema, quando appoggia il viso fra i miei pettorali.

Stringo una mano fra i suoi capelli, lo premo contro di me.

− Ti amo, Izuku. - sussurro.

Mugugna qualcosa di risposta.

Non capisco le parole, ma so cosa sono.

E sono felice di sentirle come non sono felice di fare nient'altro.

Non posso mentire a me stesso.

Perché a questo punto, per quanto sia tossico e sbagliato, per quanto sia malsano, ossessivo, folle e malato, lo so.

Che io vivo solo quando Izuku è con me.

È passata quasi mezza giornata quando sono in strada come ieri pomeriggio, il costume da Hero addosso, che scorrazzo da un'altra parte.

Stessa routine.

Non ho pianto, ma lui lo fa sempre, quando dobbiamo salutarci, la mattina.

Si sveglia prestissimo, prima che il sole si appoggi nella sua calotta giornaliera, quando ancora è abbastanza buio per sgattaiolare fuori lontano dagli sguardi altrui, e mi si aggrappa addosso come se avesse paura di staccarsi.

Piange.

Come un bambino, mentre lo consolo e gli dico che non passerà più di una giornata, prima della volta in cui ci rivedremo.

Ma lui piange comunque.

Stamattina è stato particolarmente appiccicoso, devo ammettere.

Non ha voluto tirarsi su quando gli ho portato la colazione e ho letteralmente dovuto imboccarlo mentre si rintanava sotto le coperte. Trascinarlo in bagno per lavargli i denti è stata un'impresa.

Che carino, di mattina.

Sembra così adorabile e tenero.

Arriccio le sopracciglia quando mi rendo conto di essere nel mio quartiere.

Una notifica di pericolo imminente nel mio quartiere?

Me ne sarei accorto prima.

In ogni caso supero l'ennesimo incrocio correndo.

Userei le fiamme e il ghiaccio per andare più veloce, ma ero già piuttosto vicino di mio, non ne ho bisogno.

È strano, che ci sia solo io.

Di solito quando ci sono queste situazioni c'è più di un Hero solo.

Non ho tempo di rimuginare sulla questione mentre intravedo la scala esterna dell'edificio che mi è stato indicato.

Cioè, in realtà solo un indirizzo scritto in un messaggio da parte della mia segretaria.

Ma significava sicuramente questo.

No?

Sento il gelo spandersi sulla mia mano, con la coda dell'occhio vedo il ghiaccio riflettere la luce, mentre vengo tirato su da una colonna gelida del mio stesso potere.

In un attimo sono sulle scale antincendio.

Terzo piano, diceva il messaggio.

Pochi secondi con le mie gambe lunghe e la resistenza di ferro.

Spalanco la finestra con un calcio.

C'è odore di sangue.

E poi, quando appoggio i piedi nella stanza, il calore che prende forma sul mio braccio per difendermi dalla prima persona che mi aspetto di vedere, poi sento ridere.

Riconosco la risata.

I miei pensieri si accumulano.

L'agenzia di mio padre... a tre isolati da qui.

La strada, l'edificio... la donna nelle foto.

Sono a casa della mia segretaria.

− Shoto? Sei arrivato per il gran finale! - dice una voce, e non è la mia segretaria.

Sono piuttosto convinto che la mia segretaria sia quel lamento femminile di sottofondo, come di qualcuno che tenta di urlare con un bavaglio in bocca.

Mi giro di lato.

Vestito da Villain non ha quell'aura innocente e dolce che ha quando dorme nel mio letto.

Con i pantaloni neri che avvolgono elegantemente le sue gambe e la camicia bianca, il gilè nero come se portasse un tre pezzi ma si fosse dimenticato la giacca, i guanti sulle mani che nemmeno dodici ore fa stringevano me.

Non lo amo di meno.

Alzo un sopracciglio.

La segretaria è legata alla sedia.

Ha le braccia squarciate da tagli superficiali, di quelli dolorosi ma innocui, che si fanno per torturare più che per uccidere.

Spalanca gli occhi per chiedermi aiuto.

Respiro.

− Chi sa che sono qui? -

− Ho scritto solo a te, tranquillo. -

Un attimo che sembra eterno.

Povera donna. È stata sfortunata. Poteva avere una vita lunga, e felice.

Se solo non si fosse messa fra noi.

Mi rilasso.

− Volevi che ti vedessi uccidere qualcuno, Izuku? - chiedo dunque, e non c'è niente nella frase che ho appena pronunciato che mi infastidisca.

Dovrebbe, ma non c'è.

La mia segretaria rimane ferma, immobile. Smette di urlare attraverso il bavaglio, persino.

Fissa e basta mentre allungo un braccio verso la figura sottile e inquietante di un ragazzino con i capelli verdi.

Izuku invece sorride come se fosse euforico, prima di raggiungermi e premere entrambe le mani calzate nei guanti sulle mie guance.

Mi bacia intensamente, come se volesse dimostrare qualcosa, come se volesse mettere in mostra che questa cosa sta succedendo fra me e lui.

L'istante dopo si allunga di lato, arriva fino al lembo di tessuto bianco fra le labbra della ragazza, lo abbassa.

Lei non parla subito.

Anzi, la sua bocca è spalancata, ma per lo stupore.

− Che fai? Non parli? Sei scioccata? Eh? - chiede Izuku, e il suo tono si fa più minaccioso ogni secondo che passa.

La segretaria prova a dire qualcosa, ma la voce le muore in gola.

Continua a scorrere con lo sguardo dalla mia mano alla vita di Izuku sulla quale l'ho pigramente appoggiata, poi mi fissa le labbra, il viso.

− Tu... tu... traditore... − mormora dopo qualche istante.

Traditore?

Forse è l'unica volta in cui non sto tradendo me stesso, questa, non è la parola giusta.

Izuku scatta in avanti e in un attimo la sua mano è chiusa fra i lunghi capelli biondi, li tira indietro.

− Non guardarlo così, o ti cavo gli occhi. - la minaccia.

Lei trema.

− Tanto mi ucciderete lo stesso, vero? - sussurra.

Sì.

La risposta è sì.

− Non lo farei se non ti fossi messa a fare la troia con Shoto. - risponde duramente Izuku, con un sorriso inquietante.

− Io... non... −

− Stai zitta! Ti ho vista mandargli quei messaggi, cosa credi? Che non mi dica le cose? Stai dicendo che Shoto non mi ama? - le chiede improvvisamente.

È pazzo.

Lo so.

Ma non riesco a trovarla una cosa negativa.

− Non volevo... lasciami andare... − ripete, e il suo collo sembra sul punto di strapparsi come un foglio di carta da quanto intensamente Izuku le sta tirando indietro i capelli.

Si avvicina al suo viso con gli occhi che brillano.

− Non rimarrà nessuno che ci vuole separare, hai capito? Nessuno. -

Allungo una mano verso la sua schiena, la adagio al centro della parte bassa, sopra la spina dorsale, accarezzo il suo busto delicatamente.

Poi strizzo dolcemente un fianco, continuo a strofinare le dita contro di lui.

− Shoto? -

− Non è niente, vai avanti. Volevo solo toccarti. - mi giustifico.

Ed è vero.

Volevo sentire come si tendono i suoi muscoli, come reagisce il suo corpo a questo. Ero curioso, perché voglio sapere tutto, di lui.

Izuku sorride di nuovo, più di prima, in modo luminoso e allo stesso modo terrorizzante.

− Lo vedi? Voleva toccarmi. Voleva toccare me. Mi ama. Shoto ama me. Solo me. - si rivolge poi, ancora una volta alla segretaria, con una fierezza quasi infantile nella voce.

Anche io alzo un angolo della bocca.

− Verissimo. - commento.

La ragazza scuote la testa, come se non ci credesse, e intravedo le lacrime formarsi nel suo viso.

− Sei pazzo, Shoto, pazzo! Tu... alleato con Deku? Che cosa ti ha fatto? - urla di punto in bianco, e sono costretto ad alzare le spalle.

− Non sono suo alleato. Io e lui stiamo insieme. - la correggo.

− Insieme!? Insieme a Deku? -

Izuku si spazientisce.

− Insieme a me, e allora? Che c'è, non ci credi? Devo baciarlo un'altra volta per fartelo vedere? - sbotta di colpo, girandosi l'istante dopo e strizzando il colletto del mio costume per tirarmi verso di sé.

È inaspettato, ma non protesto quando le sue labbra si schiantano contro le mie. Anzi, rispondo, e lo cingo con le braccia con calma.

Se è quello che vuole quello avrà.

La segretaria inizia a piangere per davvero sta volta.

Sa che è finita quando ci stacchiamo e lo guardo con tutto l'amore che posso.

La uccide poco dopo.

Un taglio dritto sulla gola, un fiotto di sangue che evita saggiamente ferendola da dietro.

Non ho paura del sangue, né di essere beccato. Non mi fa impressione vedere il corpo grigiastro e freddo di una persona che stamattina ho visto sorridente dietro alla sua scrivania.

Non provo nulla, nei suoi confronti.

Ma quando Izuku mi guarda carico di speranza aspettandosi un complimento, invece, allora sì che le mie emozioni prendono vita e bruciano nel mio petto.

Sorrido alle sue guance appena insanguinate dagli schizzi che sono tornati indietro.

Sembrano lentiggini come quelle che lo adornano, le gocce rosso scarlatto sul suo naso.

Dovrebbe darmi fastidio, il sapore del sangue.

Ma non m'interessa quando lo bacio fra la distesa umida e appiccicosa della morte.

Non m'interessa mentre stringo le dita fra i suoi riccioli, mentre gli ripeto che lo amo.

Non m'interessa quando lo piego sul tavolo del salotto, non m'interessa mentre gli sfilo i pantaloni di dosso, non m'interessa quando sento la sua vita scorrermi addosso.

Il calore del respiro vivo del suo corpo.

Di fronte al pallore di un cadavere.

Io e Izuku non siamo fatti per sopravvivere, credo. O quantomeno per farlo insieme. Non siamo una combinazione che il mondo avrebbe mai voluto vedere, ho l'impressione.

Ma, a pensarci bene, le nostre vite sono un compromesso tra il tirare avanti e il dolore. Abbiamo sofferto anni di vite vuote per poterci svegliare solo un altro giorno.

E ora?

Ora sono gli altri che pagano.

Ora tutto brucia attorno a noi che ci amiamo.

Ora il mondo cade a pezzi, e tutto quello che tocchiamo si spegne nel pallore della cenere.

Questo, è l'amore?

Forse no.

Ma non m'importa.

Onestamente, non m'importa davvero.

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➠♡༊ beta-read by --sparkles MonicaKatfish __meryblxck

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