5 - Venti minuti alle nove

Il corpo nudo di Anita, sotto la doccia, venne pervaso da brividi all'udire, in maniera ovatta dai muri e dall'acqua che scorreva sulle piastrelle, la voce penetrante dell'uomo, che, dal salotto, sembrava discutere con Hunter. Non riusciva a comprendere le parole, solo i loro timbri non molto pacati.

Il pensiero che lei fosse a un passo da lui la mandava in subbuglio. Tuttavia era sbagliato, così fece scorrere l'acqua fredda sul corpo. Aveva bisogno che fosse gelida, come i suoi occhi, come chi aveva fatto di tutto affinché lei avesse potuto comprendere che il suo cuore avrebbe dovuto essere di ghiaccio di fronte all'amore. Doveva rilassarsi e doveva riprendere il controllo sul dovere. Aveva bisogno di essere all'altezza di quella situazione.

Ducan era la situazione che poteva solo essere gestito con il dovere. Lo sapeva.

Anita si portò le mani ai capelli bagnati, alzando il mento; l'acqua scese sulla gola, sul seno, sulle braccia, sulla pancia tanto da farla rabbrividire, ma il suo sguardo serio non diede scampo all'acqua di averla vinta. Erano brividi di chi aveva preso coscienza, di chi aveva ripreso il controllo.

Era di nuovo Anita. Era la solita bastarda Anita quando uscì dal box doccia e osservava, al grande specchio a statura umana, poggiato alla parete, la sua figura poco limpida, composta a tratti da graffi e lividi dovuti ai Giochi che a volte diventavano cruenti.

I suoi occhi avrebbero voluto posarsi sul suo viso imperturbabile, serio, felino. Ma fu tutto inutile, il suo sguardo non era un aiuto per la sua mente. Fu per questo che indossò un asciugamano intorno al corpo ed uscì dal bagno per andare in camera.

Ducan, in salotto, si avvicinò al tavolo in vetro posto accanto alla grande vetrata, alzò una sedia e, senza fare rumore, si sedette.

«Sarò diretto Wilson. Cosa sai?»

«Quando mai il signor Bass non è stato schietto nella sua vita?» Hunter si sedette sulla bianca poltrona.

«Non divagare», lo ammonì.

«Se sei arrivato a Birmingham per rompere i coglioni, amico mio, quella è la porta. Ciò che so o non so non ti riguarda, è facile».

«Se la metti così però non andiamo d'accordo, lo sai vero?» Alle parole di Ducan, Hunter alzò le spalle.

«Wilson, ascoltami, fammi questa cortesia. Anita si sta sistemando, quindi cogli quest'occasione per parlare con me. Cosa hai scoperto a Singapore? Cos'è successo, Hunter?» Ducan si avvicinò all'amico, facendo stridere la sedia sul pavimento.

«Oh! Ci mette anche di meno a volte», Wilson guardò Ducan con sguardo maligno.

«Siamo buoni amici, — Ducan incrociò le mani e le posò sul tavolo, avvicinandosi di conseguenza a esso — e su questo non ci sono dubbi. Abbiamo lavorato insieme e mi auguro che in un modo o nell'altro lo stiamo ancora facendo...» Ducan fece una piccola pausa, respirò profondamente, ma poi strinse prepotentemente quelle mani intrecciate, tanto da farle diventare bianche e alzò lo sguardo intenso e serio sul viso di Hunter. «Ma parla un'altra volta di lei così e t'ammazzo, amico mio».

«Rilassati Bass, sto scherzando. Non c'è bisogno di passare alle maniere forti», Hunter lo guardò divertito mentre fece per andare in camera sua a cambiarsi, ma il respiro si bloccò, gli occhi si aprirono grandi dalla sorpresa e fu costretto ad arretrare con le pantofole che stridettero sul pavimento, creando un suono ridicolo e poco all'altezza della situazione.

Anita, a venti minuti alle nove, fece il suo ingresso in salotto, con i capelli legati in una treccia alta e lunga che rendeva ben visibili le linee eleganti del suo viso fine. Si fermò proprio in mezzo alla sala e l'attenzione fu tutta rivolta su di sé.

«Tutto bene Ducan?» Domandò imperscrutabile, ma senza distogliere gli occhi dal volto di Hunter. Ducan annuì: Anita lo vide e annuì impercettibilmente, tuttavia Hunter sorrise, divertito. Ma lei severa alzò il capo e lo abbassò con sguardo severo e lui, poco audace, mutò espressione in una seria.

«Pensi che non abbia sentito le tue parole?» Su un paio di scarpe nere con tacco basso, si avvicinò al giovane.

«Stai al tuo dannato posto e non osare insinuare altro sul mio conto. Non provare di nuovo a mancarmi di rispetto. Ci siamo intesi, non è così Hunter?»

«Sì, assolutamente. Perdonami, è stato — » Anita alzò una mano e si voltò verso Ducan, che aveva messo il cappello e li stava guardando imperscrutabile.

«È stato un gioco di dominio e provocazione, Hunter». I suoi occhi gelati erano dentro quelli del biondo, intimoriti.

«Ma non c'è alcun gioco che voi due possiate fare con me fuori dall'Arena. Al contrario, mi piacerebbe sapere come avresti risposto, Hunter, alle domande di Bass». Ducan abbassò lo sguardo sulla gonna in seta nera di Anita, che le fasciava i fianchi e i glutei, e cadeva lenta fino alle caviglie; seguì i movimenti sinuosi della giovane, che si avvicinava al divano bianco e si sedeva accavallando le gambe; poi seguì le mani, lunghe ed eleganti, di Anita, sistemare la grande giacca in pelle sulle spalle, senza indossarla dalle maniche, lasciando intravedere la camicia beige che terminava dentro la gonna.

Anita alzò lo sguardo e finì che i loro occhi si incrociarono. Lei lo intimò e spostò l'attenzione su Wilson che, imbarazzato, si grattava il collo.

«Bene». Hunter si avvicinò in un sospiro e unì le mani come una preghiera.

«Come ti ho già detto, so che sei -»

«Sì, Hunter. Sono in pericolo e perdonatemi, ma non me ne faccio nulla di questa informazione. Ho bisogno di qualcosa di concreto. Cosa succede a Singapore?» La donna guardò entrambi, che restarono muti mentre si scambiavano solo sguardi eloquenti.

«Nessuno dei due parla? Allora, signori, non capisco perché vi siete scomodati a venire fin qui. Capite che essere in pericolo non mi preoccupa?» Anita si alzò, sfilò la giacca in pelle e la prese in mano.

«Tu sei sicuramente arrivato a Birmingham per confondermi e distarmi dai miei doveri,» i suoi occhi si posarono su Ducan con furia, «e tu, solo per farmi perdere tempo», quella volta osservò Hunter.

Anita, a passi sicuri, si avvicinò al gancio posto accanto al portone, sfilò da quello le chiavi di casa, guardando i due da capo a piedi con sguardo greve.

«No, Anita. Non è così. Sta succedendo qualcosa. Ascoltami, cazzo». Ma lei era già uscita dal portone, sbattendolo dietro di sé, noncurante, nonostante avesse sentito le sue parole.

«Ducan parla con il capo, per carità. L'ultima cosa che che ci serve è Anita incazzata con noi», disse Hunter, ma Ducan era già fuori dal portone, che aveva aperto in un ringhio furioso, e stava scendendo le scale velocemente. Si trovava dietro di lei, solo pochi gradini lo separavano per camminarle di fianco, ma la corvina era svelta e nulla potette contro la sua ira.

«Non mi ascolti mai, eh?» Le disse quasi divertito.

«Perché dovrei? Te ne sei andato e non mi hai scritto, neanche un messaggio in sei mesi. Sei un orgoglioso del cazzo, Bass. Sei partito incazzato con me, sempre per la solita motivazione. Sai quanto è difficile per me quando te ne vai? Per di più non ho saputo nulla di te da te. Ciò che so riguarda le imprese che hai compiuto, solo perché sono state mandate in diretta. Sai era giusto per sapere se fosse tutto okay, Ducan. Ora però sei qui, d'improvviso, e cosa mi dici? Di darti retta?» Anita scendeva le scale di corsa, allenata e furiosa.

«Mi avete avvertito entrambi. Adesso basta. Noi di Birmingham affronteremo a testa alta quello che verrà, non si discute più». Sentì Ducan ridere appena. Ma lei aveva terminato le parole da pronunciare, così rimase in silenzio, mentre percorse le ultime rampe di scale.

Una volta fuori dal palazzo, lui si piazzò di fronte a lei e la guardò con occhi seri.

«Anita, ti dirò un paio di cose, così ti convincerai di quanto grave può essere ciò che potrebbe accadere. Sarò stato pur un coglione, ma adesso dovrai starmi a sentire», il suo tono fermo mise in allerta la corvina, che annuì e lasciò che lui parlasse.

«A Singapore i Giochi non si svolgono come da contratto. Venom ha le sue regole e, credimi, sono spietate. Ogni apparecchio elettronico dei Giocatori e dei dipendenti è sorvegliato. Posso solo dirti questo». Chiuse gli occhi stanco e fece un passo indietro.

«È vietato, è illegale, Ducan», disse a denti stretti Anita, che invece si avvicinò a lui per paura che qualcuno potesse sentirli.

«Non mi sono fatto vivo anche per questa ragione, ma alla prima occasione sono partito. Non vedi che sono qua?» Le sorrise, anche se il suo viso era contratto, preoccupato, eppure tentò di rassicurarla, di pensare a lei, a ciò che avrebbe dovuto affrontare. Così tentò di sfiorarle il braccio, ma poi si ricordò e ritrasse la mano.

Lei notò quella carezza mancata e osservò quelle braccia e quelle mani con iridi tristi e persi.

Quel tocco lo desiderava da così tanto tempo che aveva perso le speranze su se stessa.

Non ci volle pensare, o meglio, s'impose di non farlo e si concentrò sulle informazioni appena ricevute. Suo padre stava gestendo i Giochi illegalmente. Cosa stava combinando quel bastardo?

Sospirò e tornò a riavere il controllo di sempre portandosi una mano sul petto, mentre si concentrava sul viso di Ducan.

«Bene. Hai bisogno di un telefono usa e getta e varie schede. Sei pronto a giocare a Birmingham, Ducan?»

Lo spazio di Cenere

Buonasera amici!

In questo capitolo abbiamo Anita che riprende il controllo e si scontra con i suoi amici per cercare di capirne di più senza ottenere nulla, e assistiamo a una rivelazione importante sui giochi gestiti da Venom. Beh spero vi abbia lasciato curiosità questa parte della narrazione! Fatemi sapere e con un commento, lascia anche una stellina di supporto, per favore, per me è molto importante ricevere le vostre opinioni!

Ci risentiamo tra quattro giorni con l'uscita del capitolo sei!

Per qualsiasi cosa i trovi su Instagram come @cenere.astrale

A presto,

- Cenere

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