Epilogo.

"La verità è che la risata suona sempre più perfetta del pianto. La risata scorre con un ritmo violento ed è melodia spontanea. Il pianto è spesso combattuto, stonato, mezzo strozzato, o rilasciato con umiliazione."

-Anne Rice

La notte iniziava a schiarirsi, il cielo non faceva più così paura. Le stelle scomparivano una a una, lasciando il posto alle nuvole mattutine. La foschia inglobava gran parte dell'orizzonte, le scogliere frastagliate erano difficili da osservare in tutta la loro bellezza. Il vento soffiava forte e il mare agitato era una melodia leggera in cui annegare i propri pensieri. L'aria frizzantina pizzicava le gote di due anime perse nei loro ricordi, guardavano il vuoto, l'altezza della rupe li rendeva minuscoli, l'odore della salsedine penetrava insolente nelle narici, lasciando esplorare ai loro polmoni gli odori di sale e pesce rancido. Tonalità bluastre dipingevano candidi corpi di sfumature marine, mischiate col sangue rimasto a seccare tra le mani e sui volti. Gli occhi erano spenti, ammaliati dalla bellezza e dalla furia del mare. Non avevano mai visto così tanta libertà: fuori dalle quattro mura di una città sconosciuta c'era l'ignoto ad aspettarli.

Tremavano per il freddo, per la paura di non riuscire a vivere a pieno la propria esistenza, desiderosi di realizzare i propri sogni, di piangere, ridere e gridare senza nascondere niente.

Matilde guardò verso il basso, a pochi metri sotto i suoi piedi la terra si fermava, scendeva a strapiombo sul mare e la spuma sbatteva contro rocce appuntite, in un eterno avanti e indietro in cui la pietra avrebbe ceduto alla forza incontrollata di litri d'acqua.

«A mia madre sarebbe piaciuto tutto questo» sussurrò Matilde, ripensando a quante volte sua madre le citava spesso delle giornate in spiaggia passate a scottarsi la pelle e a sentire la sabbia bollente avvinghiarle i piedi, fino a correre il più veloce possibile verso il bagnasciuga. Liliana amava la vita, era un uragano in continuo mutamento, se ne andava in giro ad aiutare la gente, a regalare sorrisi a contadini in difficoltà. C'era sempre in qualsiasi situazione e come il mare era inarrestabile, senza confini. Matilde si era sentita persa, le avevano portato via la persona che amava di più al mondo. Senza sua madre era diventata la parte peggiore di sé, era morta insieme a lei quel lontano pomeriggio d'agosto. Se ne era andata come un'onda che si infrangeva sulla roccia, con una forza tale da frantumare il cuore e spezzare la mente di Matilde in modo irreversibile.

Samaele la guardò a lungo, per lui lo spettacolo era proprio lì, accanto a lui. Il mare non esisteva, non era degno della bellezza incontrastata di un essere umano troppo imperfetto per un mondo già malato. Si erano fermati a guardare l'alba, a vedere i raggi del sole illuminare una distesa infinita di un blu intenso.

«Ti manca?» chiese Samaele, con l'ingenuità stampata nel volto pieno di lividi violacei.
«Più di qualsiasi altra cosa al mondo, più della stessa aria», rispose subito. «Era la mia parte mancante, ciò che mio padre non era mai stato in grado di essere». Le parole erano amare, ruvide come il grattare di unghie su assi di legno marce.
Erano dei sopravvissuti, le ferite erano marchi sulla pelle a ricordare loro quanto quelle sofferenze fossero state violente.

Samaele si mise davanti a lei, oscurandogli la visuale. La camicia stropicciata era piena di schizzi scarlatti: somigliavano alle efelidi impresse sull'epidermide. I capelli scompigliati, più rossi del fuoco stesso si muovevano leggiadri, simili a onde incandescenti. I ricci cremisi erano l'unico colore a risaltare in quella coltre di semioscurità: una goccia di sangue, fuoriuscita da una ferita di un pittore dalle mani maldestre. Era la nota stonata in mezzo a una tranquillità fatta di salsedine.

«Non sei più sola, Matilde. Ci sarò io a prendermi cura di te, mi hai dato un motivo per vivere, per andarmene via da una famiglia che non mi ha mai voluto. Mia madre è morta per i rimorsi, mi ha odiato dal primo giorno in cui sono nato e tutto questo rimarrà come la parte più triste della mia vita». Si fermò per riprendere fiato e per immergersi nelle iridi dorate di Matilde. «Nessuno mi ha mai amato come hai fatto tu, nel modo più semplice possibile. Sei entrata nella mia esistenza come un uragano e mi hai dato la possibilità di riscattarmi, di ribellarmi di fronte alle ingiustizie. Abbiamo sofferto entrambi, fin troppe volte. Ci hanno spezzato le ali, ma adesso siamo solo io e te». Le lunghe e sottili mani di Samaele accolsero la morbidezza delle guance di Matilde, riscaldandola dal freddo e dai rimasugli della notte. Della brina si era solidificata sui capelli corvini della giovane, lasciandole piccole gocce simili a diamanti.

«Ne abbiamo passate davvero tante» sussurrò la ragazza, rimasta ferma sul suo posto e beandosi del tocco leggero dei polpastrelli sulla sua pelle. Era la sensazione più dolce mai provata prima, Samaele le aveva fatto ritrovare i sentimenti, i ricordi rimasti assopiti per troppo tempo nella sua mente, ma sapeva che tutto quello era solo un'illusione.

Lei aveva bisogno di riscattare sua madre, lo aveva sempre saputo nel profondo. Si era preparata per anni, prima di saper giocare una partita a scacchi bisognava studiare ogni mossa giorni prima. Imparare a memoria schemi, attacchi e inganni solo per far perdere l'avversario senza nemmeno rendersene conto. Una delle poche cose che le aveva insegnato sua madre era quello di bastarsi da sola, di esistere senza l'appoggio di nessuno. Amare significava dividere l'anima in due, ma nessuno sarebbe tornato a rimettere a posto i pezzi una volta rotta.

Si era innamorata di Samaele e lo amava fin dal giorno in cui si sono incontrati in quella strada sterrata. Forse in una seconda vita avrebbe potuto dargli la possibilità di entrare nel suo cuore fatto di ghiaccio e pietra. Era troppo legata a sua madre e aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai affezionata a nessuno, ma Samaele tentava come mille diavoli.

La vita faceva dei giri strani, non comprendeva possibile come potesse essersi invaghita del figlio della carnefice di sua madre. Eva era la causa di tutto e la sua stirpe malata aveva rovinato un futuro ormai cancellato dalla morte. Nessuno di loro doveva avere un finale felice, Lucifero non avrebbe mai raggiunto la sua amata, non si sarebbero mai incontrati, perché Lilith si era innamorata della solitudine e così lo era stato per Matilde.

Doveva terminare la partita, arrivare allo scacco matto.

«Ti amo, Matilde», sibilò Samaele poggiando le labbra su quelle morbide dell'amata. Un bacio morbido, profondo, senza malizia.
Le loro lacrime si amalgamarono in un'unione di sale incandescente, riscaldando le guance dal freddo della morente notte.
«Ti amo anch'io, Samaele» rispose singhiozzando, con la voce rotta dal pianto e dal dolore di doverlo perdere per sempre.

Si strinse a lui in un abbraccio mortale, pianse fino a tremarle il cuore di brividi. Era giunto il momento di porre fine a quel circolo vizioso.
Il cielo si era dipinto di sfumature rossastre, tenui raggi si intravedevano da dietro la coltre di foschia e nuvole. Il sole divenne spettatore di un evento inaspettato, si nascondeva dietro le nuvole per non assistere alla follia umana. Richiamava a sé pioggia e fulmini in lontananza per farli smettere, ma era tutto inutile. Nessuno avrebbe avuto un tale coraggio, solo per sentire il potere della libertà, dell'indipendenza personale.

«Ora saremo una cosa sola, finalmente» parlò per l'ultima volta Samaele, cieco dei sogni e delle illusioni di speranze impossibili da realizzare.
«Perdonami, madre, perché ho peccato» mugugnò, stretta al petto del ragazzo. Sentì il suo cuore battere forte, si dimenava come un cavallo selvaggio. Riempiva i timpani del suo dolce e potente rimbombo e lei lo avrebbe fatto addormentare per sempre.
Il mondo non aveva più nulla da offrire a nessuno dei due. Erano fragili, fatti di carne, sangue e ossa. Erano vivi, ma ogni male inferto li aveva uccisi nell'anima fino a diventare altro che cenere nel vento.

Matilde si sbilanciò in avanti e lo lasciò cadere nel vuoto.

Gli ultimi istanti di ricordi di Samaele erano due iridi ambrate, cerchiate da capillari infuocati, le più belle che avesse mai osservato in tutta la sua vita. Lo aveva lasciato morire, il tempo si era fermato, galleggiava nel vuoto: sentirsi librare nell'aria era la sensazione più intensa di tutta la sua esistenza. Cadeva come l'angelo più bello di tutto il paradiso, ma da quel momento non avrebbe più sofferto, perché qualcuno era entrato nel suo teatro ad ascoltare un concerto di strumenti scordati.

La vide farsi sempre più piccola, il vento sferzava sul suo corpo come fruste, ciocche cremisi erano la raffigurazione di un rogo nel pieno della sua foga più distruttiva e incendiaria. Si sarebbe trasformato in cenere incandescente. Le lacrime sgorgavano lungo le guance e cercavano di risalire verso l'alto, distruggendo ogni legge fisica. Era morto per mano di Matilde e aveva rinunciato a comprendere il motivo della sua scelta. Poter avere un suo ultimo abbraccio era la chiave per le porte del paradiso, per il riposo eterno. L'avrebbe protetta sempre, anche se il suo corpo giaceva in mezzo a litri di acqua salata e spuntoni di roccia appuntiti.

Una risata isterica, mischiata a grida di disperazione si librò nell'aria, era il macabro suono delle emozioni che andavano in frantumi. La pazzia divorò senza sosta un'anima solitaria, fino a farla diventare l'ombra di se stessa.

Il cielo si macchiò di sangue, era l'alba della fine del mondo.

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