Capitolo 21.

È uno strano dolore morire di nostalgia per qualcosa che non avrai mai.

-Alessandro Baricco, Seta.

Il sole picchiava sui tetti e sulle finestre del paese, creando giochi di luce e ombre tra i vicoli e le chiome rigogliose degli alberi della piazza di Monteluna. Poche persone erano in giro, qualche anziano era seduto su delle panchine in plastica dura, vicini alle soglie delle proprie case, a contemplare il silenzio e le dolci carezze di un vento leggero. Arrivava dalle strette vie come un fantasma, si portava via ricordi, esistenze mai conosciute e parole vuote di un mondo in cui nessuno aveva mai avuto la possibilità di rendere giustizia a personali rancori, alle scelte sbagliate: riempiva l'anima di desolazione e malinconia.

I passi lenti, cadenzati di Christian lungo le stradine fatte di sampietrini rimbombavano come un soldato al ritorno dalla guerra. Era stanco, sfinito e non aveva voglia di vivere dopo le orribili rivelazioni di quelle giornate. I pensieri erano chiodi dentro al cervello, puntellavano la scatola cranica di visioni mefistofeliche. La lussuria e il sangue sgorgavano simili a fiumi in piena dentro le pupille, liquido dal sapore di sangue e perversione.

Non riusciva a credere di essere stato vittima di sguardi melliflui, sentiva ancora il corpo di Matilde sopra di sé. La pelle calda e morbida, mentre lo sguardo privo di emozioni lo scrutava fin dentro l'anima. Le mani aggrappate al collo, l'aria che si perdeva tra la trachea e l'acqua della vasca erano rimasti impressi su segni violacei sulla pelle. Non stava giocando a scacchi, era la sua pedina sacrificabile.

Christian aveva paura di qualsiasi mossa lei facesse e più continuava ad assecondarla, più aveva la netta sensazione di star perdendo, di trovarsi a pochi secondi dallo scacco matto. Matilde non aveva scrupoli, sarebbe arrivata addirittura a uccidere per avere la supremazia sui suoi pensieri e sugli altri. Dentro le iridi ambrate si celava qualcosa di più oscuro, percepiva le frasi di Marie Sophie tra i filamenti muscolari di occhi melliflui. In quel nero pece delle pupille c'erano le fiamme dell'inferno che scorrevano dentro gli organi, fino a bruciarli dall'interno.

Si sentiva intrappolato in un circolo vizioso e non sapeva come uscirne. Portò le dita tra le ciocche scure per quietare sibili maligni di un demone che non ne voleva sapere di lasciarlo in pace. Gocce di sudore colarono lungo le tempie del giovane, aveva corso fino allo sfinimento e voleva solo riposarsi, ma il suo cervello aveva altri progetti. Le unghie penetravano nella sottile carne divisoria tra la calotta cranica e i capillari impazziti. I polmoni richiedevano sempre più aria, mentre immagini in bianco e nero rispuntavano fuori come vecchie pellicole di un film o delle sue amate fotografie. L'unico colore a spiccare in quella monotonia di sfumature era il rosso carminio del sangue. Sporcava visi, sorrisi di bambini innocenti e inondava il paese di fiumi scarlatti, li sentiva scorrere sulle caviglie esposte; i corpi venivano trascinati privi di vita, smembrati da una voglia insana di uccidere. Era una figura rimastagli impressa tra le pieghe della materia grigia e aveva le sembianze di una bocca dalle labbra morbide, rosee come i petali di un'orchidea.

Matilde lo implorava di salvarla, di far smettere di vivere chiunque la facesse soffrire. Doveva essere sua e di nessun altro, Samaele non l'avrebbe mai avuta. Era stato già scritto in quel libro delle Anime dimenticate, Lucifero non si sarebbe mai appropriato del suo unico e vero amore, perché Lilith era l'unica donna creata per Adamo. «Così sarà per l'eternità» sussurrò una voce tra gli intricati nodi del cervello.

Marie Sophie su una cosa aveva ragione: doveva trovare un modo per spegnere le fiamme dell'inferno e tutto sarebbe tornato come un tempo. Barcollò per un secondo tra una via fatta di ghiaia e mattoncini rotti, le ombre delle case lo nascondevano dal sole cocente e lo proteggevano da sguardi indiscreti. Christian si appoggiò al muro alla sua sinistra e provò a calmare l'ansia che lo divorava dall'interno. Si tolse le mani dai capelli e rivide i palmi insanguinati, gocciolanti di vita innocente tolta con violenza, proprio come aveva fatto alla povera lucertola qualche giorno prima.

Se le pulì sulla camicia bianca, ma tutte le volte che cercava di togliersi il liquido scarlatto, ritornava sempre più copioso. Il suo cervello era in uno stato di trance, un mondo parallelo in cui gli incubi si stavano facendo reali e nessuno lo avrebbe salvato, ma una voce eterea lo ridestò dal proprio delirio.

«È troppo tardi, mon petit, non puoi più fare nulla per lei. Lucifero se la prenderà con sé, è già tutto scritto». Alito più freddo dell'inverno si insinuò nei timpani, labbra più calde dell'estate si posarono sulla carne morbida del lobo. La testa del giovane si inarcò verso l'alto, i brividi lo avevano immobilizzato a causa del tocco gentile e velenoso di Marie.
«Non puoi fermarmi, devo fare un tentativo» sibilò, mentre cercava di togliersi di dosso l'odore dolciastro della ragazza, profumava di gelsomini e inebriava le narici come le api venivano attratte dai colori accesi dei fiori. «Intralciami ancora e sarò costretto a farti male»
Una risata divertita uscì dalle labbra della strega, lo raggiunse con grandi falcate e si posizionò davanti a lui, facendo fermare la sua camminata isterica. Gli occhi si assottigliarono in segno di sfida, avevano la stessa forma dello sguardo di una vipera, i capelli dorati e le iridi chiare mettevano soggezione e il vestito nero risaltava il candore della sua pelle. «Dimmi, cos'è che farai esattamente, fils de pute?»

Con uno scatto furente, Christian si avventò su di lei, le strinse una mano intorno al collo, ma Marie sembrava divertita, avere paura non era nella sua natura. «Prova ancora a insultare mia madre e ti ammazzo»
«Allora lo conosci il francese», sogghignò, «lo sanno tutti in paese che tua madre si è attaccata a tuo padre solo per non rimanere in mezzo alla strada»
«Sono affari che non ti riguardano, non sai proprio nulla dei miei genitori, brutta strega» sputò velenoso a pochi centimetri dal viso di Marie Sophie.

«Non mi fai paura, sei solo un morto che cammina, non manca molto alla tua miserabile morte. Lilith si è risvegliata, la tua cara e dolce Matilde non potrai più riprendertela». La voce incrinata e il ghigno soddisfatto stampato nel volto erano la rappresentazione della perversione stessa. La tentazione di ucciderla era forte, ma qualcosa tra le viscere del corpo di Christian non gli permetteva di uscire dalla soglia della pazzia. Non era compito suo sbarazzarsi di lei, aveva già in mente il piano da attuare e nemmeno la sua lingua mefistofelica l'avrebbe fermato. La partita a scacchi era ancora aperta, non poteva arrendersi, non se lo sarebbe mai perdonato.

«Lo vedremo, la tua storiella su Lucifero non ci crede più nessuno»
«Il significato non sta nel crederci o meno, ma come si insinua nella mente delle persone. Non puoi capire l'eccitazione di una mente in stato di confusione, di perdita della ragione appena scopre la verità. Tu dovresti saperla, il giorno dell'incidente c'eri quando Matilde aveva visto morire Liliana davanti ai suoi piccoli occhi d'ambra, te lo sei dimenticato anche tu?» sussurrò, facendo breccia nei ricordi di Christian, mentre le bianche sclere si riempivano di una finta dolcezza.

«Sei completamente pazza. Come fai a saperlo?» chiese, con un leggero tremore nella voce.
«Io so molte cose, niente riesce a sfuggirmi, sei la mia pedina preferita». Rise di gusto, «Non mi fermerai mai, soffocami pure quanto vuoi, lo sai che mi eccita da morire. Lo hai visto al Sabba, avevi gli occhi incollati su di me. Bramavi dalla voglia di toccarmi». Le sue labbra sfiorarono quelle del giovane, non aveva mai assaporato un veleno tanto dolce: cianuro tossico da mandare in cancrena gli organi al suo passaggio. La morte lo attendeva a braccia aperte e si sarebbe cibata della sua anima.

La spintonò via, cercò aria per riprendersi da una follia incontrollata. «Vattene via, non farti mai più vedere» le gridò, cominciando poco dopo a scappare.
«Sicuro che tutto questo non avvenga solo nella tua testa?»
L'ultima domanda di Marie si propagò come un'eco nella testa del malcapitato, tanto da fermarsi di colpo e girarsi per osservarla. Era sparita, il silenzio era tornato a farsi strada nella via, a ululare le voci del vento settembrino.

Era andato fuori di testa, non riusciva più a capire cosa fosse reale o solo frutto della sua fantasia, Marie Sophie era un'ossessione. Gli aveva mandato in confusione i ricordi, sogni lucidi in cui far scorrere fiumi di sangue.

Si riprese spostando i capelli ricci dietro la testa e si incamminò verso la piazza per trovare un posto tranquillo dove sedersi. Sperava sotto qualche albero di platano, così da poter contemplare il paesaggio campestre stagliarsi all'orizzonte. Uno dei posti in cui sentirsi libero, far scorrere la tensione lungo colline piene di prati erbosi, terre arate e il mare ad affacciarsi alla fine della valle, confondendosi con le sfumature del cielo.
Il sole riscaldava la pelle e il gioco di ombre delle foglie lo proteggeva dalla calura estiva. Si sporse sul parapetto in pietra e le pupille si persero nella vastità della natura, nel cielo terso dove annegare lo sguardo anche oltre il campo visivo e provare a riconoscere i piccoli paesini dalle alte torri campanare. Le macchine erano un brusio continuo, motori sempre in funzione che davano inizio a una nuova era di tecnologie, lasciando indietro cittadine come Monteluna. Prima o poi nessuno si sarebbe ricordato di loro.

«Se vuoi, ti do una mano a buttarti di sotto». Una voce gutturale si palesò all'improvviso, facendo sussultare Christian. Si girò di scatto e i suoi occhi chiari si scontrarono con il volto teso e le spalle possenti di Michele. Si era acceso una sigaretta, la mano fasciata copriva la fiamma dal vento e con l'altra impugnava l'accendino. Il crepitio della cartina si fece più intenso, mentre i polmoni si riempivano di fumo e nicotina.
«Non mi serve il tuo aiuto, hai già causato troppi problemi»

Un silenzio pregno di inquietudine divideva i due a qualche metro di distanza l'uno dall'altro. Michele si alzò barcollando e si avvicinò al mingherlino.
«Vedo che il mangia farina è irrequieto, oggi. Dimmi, cosa avrei fatto di preciso?» sputò il fumo sul volto di Christian.
Rimase impassibile, con lo sguardo di sfida stampato sul volto. «Il fatto che tu esista, crea problemi a tutti.»

«Non paragonarmi a mio fratello, non è colpa mia se si scopa la tua amichetta. È dura quando non si viene ricambiati». Lo derise senza pietà, in paese si conoscevano tutti ed era abituale vedere Christian in compagnia di Matilde, vivevano quasi in simbiosi. Lui si prendeva cura di quella ragazza, ma in cambio riceveva solo sguardi vuoti e privi di emozione. Di languidi attimi ce n'erano stati, come la sera dopo la sagra. Riusciva a farlo ragionare, a non perdere la testa, gli insegnava a vivere, ma in quel momento si sentì perso. Aveva la sensazione di essere rimasto fuori dalla vita di Matilde, ma al tempo stesso non voleva affrontare la realtà.

«Vai al diavolo, non sai nulla di lei» alzò il tono della voce, aggrottando le sopracciglia folte e scure. Christian era al limite della sopportazione, la nausea era arrivata quasi a bruciargli la gola. Sentiva la bile infiammare l'esofago, ma la rabbia lo fece rimanere lucido ancora per qualche istante.
«Tu invece conosci proprio tutto, non è vero? Guardati, mi fai pena». La sigaretta tra le labbra penzolava precaria, mentre la cenere svolazzava verso il basso e si posava sulla strada brecciata.

«Io so molte cose sul tuo conto. Sarebbe il caso di tenere a freno la lingua, se non vuoi ripercussioni. Fai in modo che Samaele non vada a casa di Matilde piuttosto». Lo minacciò, sentendo il cuore frantumargli lo sterno e le costole. Parlare con quell'essere era come fare un patto col diavolo.

Una risata gutturale e grottesca uscì senza freni dal ghigno di Michele. «Ci ha già provato ad andare da Matilde. Mio padre ha dovuto fermare l'ira di Alberto o lo avrebbe ucciso con il suo fucile. Qui credono tutti a quella vecchia storia». Il palmo fasciato tremò per il dolore, per la precarietà in cui lo aveva ridotto Samaele, non poteva nemmeno lavorare e l'ossessione di uccidere animali si faceva sempre più intensa dentro di sé. Doveva placarla o avrebbe avuto psicosi incontrollate, come un tossico dipendente con la sua eroina.

«Anche tu conosci la leggenda di Lucifero e Lilith?» chiese Christian stupito.
«Certo, Marie la va raccontando a chiunque, credo che c'entri qualcosa anche la sua famiglia, ma posso dire che per essere una strega, i pompini li sa fare proprio bene» sghignazzò divertito, mentre il giovane davanti a sé lo guardava con disprezzo, quasi ai limiti del disgusto.

«Non mi farei toccare da lei nemmeno sotto tortura», incrociò le braccia al petto, osservando i movimenti imprevedibili di Michele.
Si era poggiato con i gomiti sul davanzale a osservare il panorama pomeridiano e ogni tanto tossiva grumi di muco misto a tabacco. «Lei è già dentro la tua testa, lo fa con tutti. Ottiene così ciò che vuole» proferì, avvicinandosi minaccioso al viso di Christian.

«Io non l'accontenterò, non questa volta. Il ciclo vizioso deve finire, quindi mi serve che tu tenga lontano Samaele il più possibile da Matilde». Le parole uscirono fuori come fiumi in piena, non aveva mai immaginato di arrivare a tanto. Un accordo con l'angelo della giustizia o forse la morte stessa che non vedeva l'ora di poterlo torturare nelle viscere della terra. Si sentiva un traditore nei confronti di Matilde, ma per averla sarebbe arrivato anche a dannarsi l'anima.

Con uno scatto furente prese Christian di peso per il colletto, portando la schiena oltre il parapetto, in bilico tra la vita e la morte. Era a penzoloni a circa cento metri da terra e sarebbe morto di sicuro infilzato da qualche ramo, il cranio fracassato sulle rocce dure della montagna, resti di cervello e interiora sparse al suolo come cibo per rapaci.
«Mettimi giù, fammi scendere» urlò, con le lacrime agli occhi e il cuore in procinto di esplodergli nel petto.

«Che c'è? Il mangia farina ha paura delle altezze? Stammi bene a sentire, qui le trattative le decido io e non ho nessuna voglia di uccidere quel bastardo di mio fratello, non voglio sporcarmi le mani di merda».

«Pensavo fossi abituato stando sempre in mezzo ai tuoi amici maiali» rise di gusto, puntando le iridi glaciali sul suo carnefice. Non fece in tempo a dire altro, si ritrovò a un passo dall'oblio, vedeva il mondo a testa in giù e il sangue al cervello iniziava a dare fastidio.
«Prova ancora a sfidarmi e giuro che lascio la presa». Michele lo scosse con violenza, prima di sentire la mano ferita bruciare per il troppo sforzo, ma la rabbia lo accecava più del dolore e dei punti di sutura.

«D'accordo, sto zitto» rispose con vigliaccheria.
«Se vuoi che tolga mio fratello dai piedi, non lo farò gratis, lo sai, vero? Una vita per una vita. Tu uccidi Alberto e io ti accontento» proferì rabbioso.
«Non posso fare una cosa del genere, non come tuo tornaconto»

«Quell'essere schifoso ha rubato quasi trecento mila lire dal nostro punto vendita solo per sperperarli in gioco e alcool. Sono la bellezza di più di due mesi di paga, ogni giorno si prendeva quelle quindici mila lire in più per non destare sospetti, ma io non sono stupido, voglio fargliela pagare e tu sarai il mio tramite. Li rivoglio indietro!» urlò, come se fosse colpa di Christian a essersi trovato in quella situazione.

«Non li avrà mai quei soldi, se li sarà già spesi tutti» si azzardò a rispondere il giovare in preda a spasmi di ansia e terrore.
«Allora pagherà con la sua stessa vita» ringhiò Michele.
«Non posso farlo, ho già fatto una promessa»
«Ci sputo sopra alle tue promesse», lo interruppe prima che Christian potesse aggiungere altro. «Vuoi che mio fratello si fotta ancora la tua amichetta psicopatica?»

«No, toglilo dalla mia vista e dalla vita di Matilde» scosse la testa in senso di diniego, reggendosi con le poche forze rimaste al parapetto.

«Sarà meglio che ti sbrighi a sbarazzarti di quel vecchio pazzo, hai tre secondi per accettare altrimenti ci vediamo all'inferno piccolo mangia farina». Un sorriso diabolico si disegnò sul viso contratto e gli occhi spalancati rappresentavano la pura follia di una mente deviata.

«Uno...» Michele iniziò subito a contare, mentre mollava sempre di più la presa sul colletto e sulle caviglie del giovane. Christian era stato messo all'angolo: doveva accettare, non aveva altra scelta. Non voleva morire proprio in quel momento.

«Due...» con una forza disumana, staccò la mano dal colletto del mingherlino e lo fece penzolare per i piedi, mentre le urla si facevano sempre più forti.

«Va bene, lo farò!» gridò con tutte le sue forze, mentre la gente omertosa non si degnava neanche di affacciarsi alle finestre per chiamare soccorso. Quando c'era di mezzo Michele nessuno aveva il coraggio di affrontarlo, la sua cattiveria andava oltre il genere umano.

Smise di contare e aiutandosi con i muscoli possenti dei bicipiti, riportò Christian sulla terraferma. La paura aveva fatto fischiare le orecchie del povero malcapitato, i polmoni cercavano aria e le lacrime sgorgavano come rivoli incontrollati.

«Vedi che riesci a ragionare anche da solo? Così mi piaci, ora però sparisci prima che cambi idea» gli sussurrò Michele, guardandolo dall'alto in basso. Lo sovrastava di qualche centimetro e i loro nasi a punta si sfiorarono appena.

Christian se ne andò, tornando per i suoi passi verso casa, mentre il suo carnefice lo osservava per l'ultima volta prima di sparire anche lui tra le vie silenziose e dirigersi all'allevamento. Non avrebbe mai adempito all'accordo, Michele non aveva intenzione di uccidere Samaele. Non si sarebbe sporcato le mani di sangue marcio, si meritava un'esistenza logorante, la vita lo avrebbe soppresso in una lenta e dolorosa morte. Quella era la miglior vendetta per il sangue del suo sangue.

Di Alberto gli importava ben poco, ma si sarebbe divertito a vedere il delirio negli occhi delle sue vittime. Michele era subdolo, arrivava ai suoi scopi con sotterfugi e all'occasione si sbarazzava della gente facendola impazzire, torturandola fino a rendere la loro psiche una bomba a orologeria.

L'unica persona che si meritava di morire per mano sua era rimasta nelle pieghe del suo cervello già da molto tempo e avrebbe sparso litri di sangue, pur di arrivare a vendicare una volta per tutte la sua cara e dolce madre.

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